SINDACALISMO (XXXI, p. 830; App. II, 11, p. 831)
Il quadro che presenta il movimento sindacale negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale è, per molti aspetti, abbastanza positivo, sia perché, sotto la spinta del nuovo spirito e delle nuove istanze sociali create dalla guerra e accolte persino in alcune costituzioni, la classe operaia ha potuto estendere ancora di più il raggio della sua organizzazione, sia per la funzione, sempre più accresciuta, svolta dai sindacati in ogni campo della vita politica, economica e sociale e, in modo particolare, in quello del lavoro. Vediamo in questi anni, per quanto travagliati da profondi contrasti internazionali, non solo ampliarsi le strutture e il potenziale dei sindacati tradizionali, in Inghilterra, S. U. A., Germania, Francia, Italia; Paesi scandinavi e Paesi del blocco sovietico, ma profilarsi e svilupparsi altresì un movimento di notevoli proporzioni in Asia, in Africa, nell'America Latina, dove, in precedenza, il sindacalismo, come teoria e come prassi, o era sconosciuto o era alle prime o confuse tappe della sua evoluzione storica. Di grande importanza è stata, a quest'ultimo riguardo, la parte avuta dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro che, nella 31ª conferenza di San Francisco del 1948 e in quella successiva del 1949, ha approvato le note convenzioni n. 87 e n. 98 sulla protezione del diritto sindacale e sull'applicazione dei principî del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva. Queste convenzioni, mentre hanno dato piena attuazione a uno dei principî fondamentali della Dichiarazione di Filadelfia ("la libertà di espressione e di associazione è condizione indispensabile di un effettivo progresso"), hanno avuto il merito - e da ciò il loro valore storico - di porre impegnativamente ai governi il problema della libertà sindacale e dell'organizzazione sindacale nei suoi caratteri per così dire istituzionali e di agire come strumenti di dinamica sindacale.
Diverso dal problema della libertà sindacale quello del riconoscimento giuridico dei sindacati che, non più attuale in diversi Paesi dove è stato introdotto nella legislazione, continua a costituire in altri il punto-chiave di una discussione politica e giuridica non ancora giunta a maturazione e soluzioni conclusive. Così in Italia, dove, nonostante il precetto costituzionale (art. 39) e i tentativi di varare una legge sindacale con la presentazione di varî progetti d'iniziativa parlamentare e ministeriale, tuttora i sindacati sono allo stato di organizzazioni di fatto, quali erano all'epoca prefascista, anche se nella realtà un riconoscimento indiretto è già operante, tenuto conto delle rappresentanze sindacali in commissioni, comitati e corpi pubblici o di pubblico interesse e, persino, nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.
La causa va ricercata nelle difficoltà obiettive derivanti dalla situazione sindacale, entrata in crisi con le ricorrenti scissioni a partire dal 1948, quando il movimento di secessione dalla già unitaria Confederazione Generale Italiana del Lavoro (C.G.I.L.), iniziato con la comparsa della Libera Confederazione Italiana Generale del Lavoro, si allargò, l'anno successivo, con la costituzione della Federazione Italiana del Lavoro (l'una e l'altra fusesi, nel maggio 1950, nella Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (C.I.S.L.), e divenne più rapido, in quest'ultimo anno, con la nascita dell'Unione Italiana del Lavoro (U.I.L.) e con quella della Confederazione Italiana dei Sindacati Nazionali dei Lavoratori (C.I.S.N.A.L.): quattro rami di un unico tronco che, sebbene statutariamente apartitici, erano e sono rimasti nell'orbita e sotto l'ispirazione dei grandi partiti politici: il socialcomunista, il democristiano, il socialdemocratico e repubblicano, e il missino.
La situazione non è ulteriormente mutata negli anni seguenti, ma va rilevata, ai fini dell'ampliamento dell'area di affiliazione e di inquadramento sindacale, la gara concorrenziale delle suddette centrali, che si è risolta in uno spostamento notevole di effettivi; e non è mutata nemmeno circa la possibilità del ritorno a un movimento unitario, perché, se anche nelle assemblee congressuali e in dichiarazioni ufficiali sono state sempre insistenti e continue le istanze per una rinnovata unità organica, di fatto le cose sono rimaste come prima. D'altra parte - ed è importante sottolinearlo - non è mancata una certa unità funzionale per quanto riguardava specifiche e urgenti rivendicazioni e lotte del lavoro. Così si è dato, ad esempio, maggiore rilievo alle Commissioni interne con gli accordi interconfederali del 1947 e del 1953, coi quali all'istituto, sono state riconosciute più larghe competenze e attribuzioni in sede aziendale. Va peraltro rilevato, a proposito delle Commissioni interne, che contrasti più o meno profondi si sono venuti accentuando circa i loro rapporti coi sindacati e circa il loro grado di autonomia. Si tratta di un problema che investe il sistema delle relazioni industriali e le funzioni di rappresentanza operaia, alle quali le organizzazioni sindacali, obiettivamente e storicamente, non possono non attribuire la necessaria importanza. Altro elemento positivo, la spinta data alla legislazione sociale e del lavoro e alla contrattazione collettiva sempre più estesa e sempre più efficace dal punto di vista della regolamentazione dei rapporti di lavoro. Importante è stata in questo campo la recente emanazione della legge per l'attribuzione di efficacia generale ai contratti collettivi per garantire un minimo di trattamento economico e normativo: legge, questa, che, se contestabile forse sul piano costituzionale, è giunta peraltro quanto mai opportuna per sanare situazioni pregiudizievoli alla classe operaia (v. lavoro, in questa App.).
Negli altri Paesi, è da sottolineare il crescente affermarsi del s. inglese, cui, date le origini e la strutturazione, sono rimasti sempre ignoti i fenomeni del pluralismo o sezionalismo sindacale. Le trade unions hanno continuato a basare la loro azione rivendicativa sui motivi tradizionali di benessere economico e sociale della classe operaia. Scomparsa pressoché la disoccupazione in conseguenza della ripresa della nazione dopo gli anni assai difficili del dopoguerra, le trade unions hanno visto aumentare progressivamente i loro effettivi. Fiancheggiato dal Labour Party, da cui rivendica la piena indipendenza, il s. inglese, per la sua omogeneità e per l'aderenza a un finalismo socialista, che concilia i termini di un classismo moderato con quelli dell'interesse generale, rimane il tipo storico di un movimento operaio che non ha eguali nel mondo moderno.
I valori di una democrazia d'ispirazione socialista, fondata sulla libertà, sono anche riscontrabili e operanti nel s. dei Paesi scandinavi, nei quali la classe operaia, organizzata in solide e compatte formazioni, ha raggiunto un grado di autonomia e di sicurezza, che è indicativo d'altra parte del grado di civiltà e di progresso economico e sociale conseguito da quei popoli. Altrettanto può dirsi più o meno del Belgio e dell'Olanda, nel nord d'Europa, e della Svizzera e dell'Austria, al centro del continente, dove la coesistenza ben antica di organizzazioni socialiste, cattoliche, liberali e protestanti non è stata di ostacolo all'affermarsi di un movimento sindacale che, pei suoi caratteri fondamentalmente democratici e per le libere lotte, si è saputo inserire, come effettiva forza reale, nella vita di quelle nazioni.
Il secondo dopoguerra ha invece provocato un sostanziale mutamento in quelle che erano state prima le forme e le strutture storiche del s. in paesi, come la Cecoslovacchia, la Polonia, l'Ungheria e quelli balcanici, che, entrati sotto l'influenza politica dell'URSS, di questa hanno assunto le concezioni e le esperienze di organizzazione sindacale e di regolamentazione del lavoro. Attuato il principio del sindacato unico, questo è divenuto organo ausiliario dello Stato e strumento valido e necessario delle finalità politiche ed economiche di cui il Partito comunista è portatore e stimolatore insostituibile. Da qui l'altissima funzione unitaria e d'inquadramento del sindacato, grazie alla quale le percentuali di affiliazione dei lavoratori raggiungono persino il 90% della popolazione organizzabile.
Significativa è stata, nello stesso secondo dopoguerra, la rentrée della Germania nel mondo del s. libero con la costituzione, nel 1946, della Confederazione dei Liberi Sindacati Tedeschi (Freie Deutscher Gewerkschaftsbund: F.D.G.B.), subito modellatasi, nella zona orientale, sul tipo dell'organizzazione sindacale sovietica; e con la formazione, nel 1949, della Confederazione dei Sindacati Tedeschi (Deutscher Gewerkschaftsbund: D.G.B.), con la quale il movimento sindacale tedesco si è riallacciato alla sua antica tradizione democratica. Fra i sindacati indipendenti, occorre menzionare quelli cristiani, che in un congresso, tenuto a Bochum nel 1955, hanno formato la Confederazione dei Sindacati Cristiani (Christliche Gewerkschaftsbewegung Deutschlands: C.G.D.).
In Francia, la scissione sindacale, avvenuta dopo le comuni esperienze della lotta durante la Resistenza, ha significato praticamente l'indebolimento delle due formazioni che ne sono venute fuori: la Confédération Générale du Travail, caratterizzata programmaticamente da un massimalismo sindacale, nel quale non sono estranei motivi e interessi politici di marca comunista, e la Confédération Générale du Travail-Force Ouvrière, di tradizione socialista e di orientamento riformista. Questo indebolimento, aggravato da persistenti contrasti di fondo e da progressiva perdita d'iniziativa, si è compiuto, sia nel numero degli iscritti - ciò che è dimostrativo di una situazione di sfiducia e di delusione e stanchezza della classe operaia - sia nel mancato inserimento delle due Centrali rivali negli avvenimenti, di cui è stato teatro il Paese, specie negli ultimissimi anni. In relativo progresso invece la Confédération Française des Travailleurs Chrétiens, la quale peraltro ha sempre più attenuato le sue riserve anticlassiste, avvicinandosi, nei metodi della lotta sindacale, a quelli dei movimenti concorrenti.
Fuori dell'Europa, un posto a parte spetta al sindacalismo nordamericano, non tanto per la sua nota formazione e tradizione economistica, quanto per gli eventi di questi ultimi anni. Nel 1948 esso ha veduto ridotti sensibilmente i vantaggi che aveva ottenuti grazie alla politica filoperaia e filosindacale di Roosevelt. Un colpo serio gli è stato inferto dall'applicazione della legge Taft-Hartley, giustificata ufficialmente dall'intento di limitare la potenza dei sindacati e porre un freno alla dittatura dei dirigenti, nonché di riequilibrare il potere di contrattazione collettiva e di libertà del capitale e del lavoro. Tuttavia la legge non è riuscita a indebolire il movimento, anzi ha ottenuto l'effetto insperato di fare accelerare il moto di fusione delle due grandi Centrali, la Federazione Americana del Lavoro (F.A.L.) e il Congresso delle Organizzazioni Industriali (C.I.O.), che, divise e antagoniste fin dal 1935 per motivi di strutturazione, nel maggio 1955 stringevano un patto di unificazione, col quale il movimento operaio poteva formare un fronte compatto coi suoi 17 milioni di iscritti.
Quanto ai Paesi dell'America Latina, dell'Asia e dell'Africa, è da rilevare che il s. si è iniziato o si è sviluppato, nelle forme più strutturalmente moderne, in tempi relativamente recenti, sotto la spinta degli esempî o degli influssi europei e, in alcuni di essi, sotto la spinta stimolatrice dei partiti politici. Importante, come si è detto, è stata la parte avutavi dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, nella quale, subito dopo la seconda guerra mondiale, molti di questi Paesi sono entrati come membri.
Le Conferenze regionali degli stati d'America, promosse da questa Organizzazione, e tenute a Città del Messico nel 1946, a Montevideo nel 1949, a Petropolis nel 1952, all'Havana nel 1956, portando il massimo interesse sui problemi della regolamentazione dei rapporti di lavoro e della sicurezza sociale, hanno avuto il merito di ravvivare e stimolare anche l'interesse sui problemi fondamentali della libertà e dell'organizzazione sindacale. È da dire peraltro che al riguardo era già riuscita a svolgere una notevole opera di propaganda la già costituita (1938) Confederazione dei Lavoratori dell'America Latina (C.T.A.L.), che, sebbene di orientamento comunista, aveva fatto penetrare nelle masse l'idea sindacale e aveva dato al sindacalismo latino-americano una certa prospettiva internazionale. Prospettiva, questa, alla quale più recentemente ha contribuito l'Organizzazione regionale interamericana dei lavoratori (O.R.I.T.), d'ispirazione democratica.
Analoga funzione di stimolo hanno avuto le Conferenze regionali asiatiche, pur esse promosse dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, concorrendo ad avviare, in diversi stati dell'Asia, un movimento di idee, di esperienze e di iniziative in campo sindacale che, se anche è alle prime fasi, promette di avere maggiori sviluppi, ove le condizioni economiche di quei Paesi, purtroppo aree profondamente depresse, saranno in un prossimo avvenire migliorate. Eccezione ne fanno il Giappone, dove, in seguito alla legge sui sindacati (1949), lo schieramento operaio, già solido prima della guerra, ha assunto in questi ultimi anni proporzioni considerevoli; e l'Australia e la Nuova Zelanda con la loro organizzazione di formazione e tradizione inglese.
In Africa, a parte i Paesi del bacino mediterraneo, che si erano allineati più o meno sul tipo dell'organizzazione sindacale europea, occorre segnalare che, in questo campo, è operante un risveglio nell'Africa Nera, di promettenti risultati anche dal punto di vista politico e sociale. Recente è la formazione di una Unione Generale dei Lavoratori dell'Africa Nera, che in una riunione tenuta a Conakry (Guinea) ha preconizzato l'unificazione di tutte le organizzazioni sindacali del continente africano in vista di costituire una forza determinante nella lotta contro il colonialismo straniero e diventare un fattore potente e dinamico tale da contribuire a fare del continente, sul piano politico, economico e sociale, un'entità indivisibile.
Nel dopoguerra si è sviluppato e attuato anche un movimento di federazione internazionale dei sindacati dei lavoratori. Nel febbraio del 1945 fu costituita a Londra la Federazione Sindacale Mondiale, con la finalità (secondo lo statuto approvato nell'ottobre dello stesso anno) di organizzare e unificare i sindacati di tutto il mondo, di aiutare i lavoratori a organizzarsi, di combattere la guerra, di rappresentare gli interessi dei lavoratori negli organismi internazionali. Ha sede a Praga: suoi organi sono il Congresso sindacale mondiale, il Consiglio generale, il Comitato esecutivo e il Bureau esecutivo, formato dal presidente, da sette vicepresidenti e dal segretario generale. Dalla Federazione si sono ritirate nel 1949 le associazioni sindacali inglesi e americane, che hanno costituito un'altra organizzazione internazionale (International Confederation of Free Trade Union: I.C.F.T.M.), alla quale, alla data del 1° gennaio 1958, risultavano iscritti 134 sindacati di 94 paesi con 55 milioni di membri. Delle maggiori organizzazioni sindacali italiane la C.G.I.L. è associata alla F.S.M.: la C.I.S.L. e la U.I.L. alla I.C.F.T.M.
Bibl.: A. Gradilone, Storia del sindacalismo, vol. 1° Inghilterra; vol. 2° Francia, vol. 3° Italia, Milano 1957, 1958, 1959; G. Spyropoulos, La liberté syndicale, Parigi 1956; G. Lefranc, Les expériences syndicales internationales des origines à nos jours, Parigi 1952; J. Deutsche, Soviet trade unions, their place in soviet labour policy, Londra 1950; J. G. Rayback, A history of American Labor, New York 1959; J. Price, Il movimento sindacale in Inghilterra, Roma 1953; H. Tracey, Le mouvement syndical britannique, Bruxelles 1956; V. Alba, Le mouvement ouvrier en Amérique Latine, Messico 1954; G. Lefranc, Le syndicalisme dans le monde, Parigi 1949; C. Chambelland, Le syndicalisme ouvrier français, Parigi 1956; H. C. Nipperdey, Arbeitsrecht, Bonn 1954; A. Nikisk, Arbeitsrecht, Tubinga 1955; P. Grunebaum-Ballin e R. Petit, Les conflits collectifs du travail et leur réglementation dans le monde contemporain, Parigi 1954.