SINDACATI INDUSTRIALI (XXXI, p. 832; App. II, 11, p. 832)
I s. i. appartengono alle materie che negli ultimi anni hanno subìto, parallelamente alle trasformazioni istituzionali e strutturali dell'economia, notevoli mutamenti in dottrina ed in pratica. Innanzi tutto la terminologia è cambiata. L'espressione s. i., sotto cui venivano designate due categorie di associazioni d'impresa, quella diretta a limitare la concorrenza (consorzî o cartelli o coalizioni) e quella rivolta ad accrescere l'efficienza produttiva (gruppi, o, come dicono i tedeschi, Konzerne), viene ormai abbandonata. Si parla di s. esclusivamente per denotare le associazioni di lavoratori e di datori di lavoro aventi per oggetto i rapporti di lavoro e non anche le associazioni d'impresa a scopo monopolistico o produttivo.
Le due predette categorie vengono considerate distintamente benché non manchino casi in cui i gruppi esercitino sensibile influenza sul funzionamento del mercato e pertanto siano da assimilare ai cartelli; questi ultimi più frequentemente vengono ora chiamati intese. Resta inoltre una nota comune che avvicina intese e gruppi; entrambi sono lo strumento con cui le imprese mirano ad adattarsi alle esigenze del mercato e propriamente a raggiungere la dimensione più conveniente e a garantirsi contro i rischi delle variazioni del mercato. Le intese si adoperano a mantenere i prezzi affinché non discendano a un livello inferiore ai costi (dell'impresa marginale); i gruppi si proteggono contro il rischio di capacità produttiva inutilizzata ovvero realizzano riduzioni di costo che non sono accessibili ad unità produttive di moderate dimensioni.
Questa interpretazione riflette le situazioni rispondenti al fenomeno fisiologico. Ma, come è noto, non sono affatto rare le situazioni patologiche nelle quali le intese vengono adoperate per mantenere i profitti a livelli esorbitanti ovvero per frenare il progresso tecnico al fine di meglio padroneggiare il mercato e i gruppi diventano strumenti di abusivo potere economico e politico e d'indebita pressione su consumatori, produttori, lavoratori, organi pubblici.
Oggi come ieri si pone pertanto il problema della ricerca di una disciplina legale appropriata per impedire che forme di per se stesse legittime di organizzazione produttiva e di associazioni d'imprese servano a sfruttare i consumatori, a paralizzare lo sviluppo economico e a indebolire le istituzioni politiche. Si verifica intanto un avvicinamento delle vecchie posizioni: la drastica condanna che caratterizzò dal 1890 in poi il sistema degli S. U. A. tende, nella dottrina e nella interpretazione giurisprudenziale se non nella lettera della legge, ad avvicinarsi all'atteggiamento prevalso da alcuni decennî nell'Europa continentale: qui, dove cartelli e consorzî erano stati talora finanche disposti per legge, preoccupazione principale del legislatore è sempre stata di combattere le formazioni monopolistiche ingiustificate e gli abusi di potere economico e non di sradicare totalmente le unioni limitatrici della concorrenza. L'avvicinamento è stato determinato da quegli studiosi che sono venuti sempre più insistendo sul declino del sistema di concorrenza nelle economie occidentali (è chiaro che in quelle collettivistiche non esiste il problema negli stessi termini) e sull'impossibilità di ripristinare la situazione esistente nel secolo scorso e nei primi decennî di questo secolo. Vi hanno pure contribuito gli storici, che hanno messo in rilievo come non di rado alla radice delle grandi realizzazioni dell'industria si trovi un monopolio (J. Schumpeter). Si è poi sostenuto da altri che la concorrenza limitata a poche imprese (oligopolio) finisca per essere più favorevole per i consumatori e per l'intera economia di quanto non fosse la concorrenza atomistica, svolgentesi cioè fra una miriade di unità produttive di moderata ampiezza.
Senza addentrarsi nell'esame del caso degli S. U. A., è opportuno notare che in Gran Bretagna si è chiaramente delineato il nuovo orientamento. Contro il parere della maggioranza della Commissione nominata in base alla legge del 1948 (Monopolies and restrictive practices act), la nuova legge del 1956 (Trade restrictive practices act) rifugge da un livello assoluto e introduce una disciplina in due stadî: obbligo di registrazione delle intese e successivo accertamento della illeceità. Inoltre nel § 21 indica una serie di sette casi di esenzioni.
La formazione del MEC ha sollecitato la revisione della materia nei paesi partecipanti. A prima vista si direbbe che l'eliminazione delle protezioni doganali e di altro genere avrebbe dovuto portare alla completa incompatibilità con ogni limitazione della concorrenza. Ma ciò non è esatto. L'apertura delle frontiere, accompagnata da una politica comune per l'agricoltura e da tante clausole di salvaguardia, accomodamenti, ecc., non è l'esaltazione del liberismo economico ma il consapevole avviamento ad un mercato organizzato, che pertanto non rifugge ma ammette le limitazioni della concorrenza, da sottoporre beninteso a severa vigilanza al fine di prevenire e reprimere abusi. Così sono state concepite le regole di concorrenza sia nel trattato della CECA sia in quello della CEE. Viene pronunziato il divieto delle intese e viene represso l'abuso delle posizioni dominanti (è questa la nuova espressione per l'impresa che controlla una quota sensibile del mercato). Però viene fatta salva la possibilità di esclusioni in determinati casi nei quali la concorrenza non gioverebbe ma danneggerebbe il mercato (art. 85 § 3 del trattato CEE).
Benché diversamente formulata, sostanzialmente agli stessi principî si ispira la legge germanica del 1957 (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen); non dissimili sono i provvedimenti vigenti negli altri paesi del MEC.
In Italia diversi progetti di legge sono stati presentati al parlamento (v. anche monopolio, in questa App.). Tra tutti merita considerazione il disegno di legge per la tutela della libertà della concorrenza che il governo, insieme al parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, ha nel febbraio 1960 presentato al parlamento.
Fondamentalmente esso si allinea alla soluzione della CEE e di altri paesi del MEC in quanto colpisce col divieto le intese e reprime gli abusi di posizioni dominanti. Degna di rilievo è l'esclusione dall'applicazione della legge delle fusioni di imprese; e ciò è evidentemente da interpretarsi col proposito di non scoraggiare il rafforzamento delle unità produttive in vista dell'apertura delle frontiere. Quanto alle intese viene specificato che, accanto alle tre forme tradizionali di fissazione dei prezzi, di quote di produzione e di zone di vendita, sono da tener presenti anche le discriminazioni di trattamento a favore di talune imprese e le clausole di esclusività.
I gruppi di imprese hanno raggiunto un enorme sviluppo negli ultimi anni. I continui e sensibili avanzamenti tecnici rendono sempre più difficile alle imprese di limitate dimensioni di ottenere le economie esterne ed interne necessarie per competere con imprese di paesi più progrediti. Inoltre la complessità dei metodi produttivi sollecita i processi di concentrazione orizzontale e d'integrazione verticale, che non sempre sono attuabili nell'ambito della singola impresa, ancorché di grandi e grandissime dimensioni. Accanto ai grumi industriali, composti cioè di imprese produttive, si sono diffusi i gruppi finanziarî, la cui funzione è la gestione del capitale azionario di varie imprese.
Gruppi industriali e gruppi finanziarî sono stati grandemente accresciuti in Italia per effetto dell'estendersi del settore pubblico che, come è noto, si vale di preferenza del procedimento di partecipazione azionaria per realizzare le imprese pubbliche. Non pochi inconvenienti derivano da tale procedimento. Si attende un riordinamento legislativo anche in questa materia.
Bibl.: Una vasta e ricca rassegna bibliografica si trova nel volume Monopoly and competition and their regulation, di varî autori, Londra 1954, che contiene gli Atti del Convegno scientifico promosso dall'Associazione internazionale degli economisti. Vi sono trattazioni teoriche dei varî aspetti del problema e valutazioni critiche della situazione esistente nei principali paesi, Italia compresa. Un'altra veduta panoramica si può avere esaminando l'opera, in due volumi, Wirtschaftssysteme des Westens, di varî autori, Ginevra 1959. Un esame comparato della situazione legislativa italiana rispetto a un gruppo di altre nazioni è contenuto nel volume: Jahn e Junkerstorff, Internationales Handbuch der Kartellpolitik, Berlino 1958, mentre il Supplemento n. 16 del 1959 della Revue du marché Commun presenta il raffronto limitatamente agli Stati aderenti al MEC.
Fra le trattazioni giuridiche dedicate all'Italia sono da segnalare: T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Riv. Trim. Dir. Process. Civile, 1954; Venturi, Intese industriali e controllo dei prezzi, in Rivista delle Società, 1957; R. Franceschelli, Trattato di diritto industriale, I, Milano 1960. Gli aspetti giuridici della disciplina della concorrenza contenuta nel trattato della CECA e della CEE sono presi in esame in: V. Di Cagno, La disciplina delle intese e delle concentrazioni nel trattato istitutivo della C.E.C.A., in Riv. dir. civ., 1957; E. Minoli, Considerazioni sulle regole di concorrenza del Trattato della CEE, in Diritto dell'Economia, 1958.
L'indagine economica più recente, che tiene conto anche del disegno di legge per la tutela della libertà della concorrenza presentato dal governo al parlamento nel febbraio 1960 e del parere espresso in proposito dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è offerta dal volume Concorrenza e monopolio nell'economia italiana, di varî autori, Milano 1960. Una rivista che tratta esclusivamente della materia e segue lo sviluppo dottrinale e legislativo in tutto il mondo è: Wirtschaft und Wettbewerb (periodico mensile pubblicato a Düsseldorf).