Sindacato sulle norme penali di favore
L’ampliamento dell’ambito del sindacato costituzionale sulle norme penali di favore (in senso ampio, come locuzione riferita sia alle “norme penali di favore” in senso stretto sia alle “norme penali più favorevoli”, secondo la nota e problematica distinzione scolpita da C. cost. n. 394/2006) ha fatto registrare, di recente, un’ulteriore e significativa progressione. Con tre sentenze dall’indiscutibile rilievo, anche istituzionale e politico, nel 2014, la Corte costituzionale ha chiaramente tracciato i confini di ammissibilità di eventuali interventi in malam partem laddove oggetto di censura siano vizi in procedendo della legge o dell’atto avente forza di legge, in base all’assunto per cui, in ipotesi siffatte, ad essere tradite, se del caso, sarebbero le stesse esigenze di cui è espressione l’art. 25 Cost., nella parte in cui sancisce il principio della riserva di legge penale.
Ribadito il divieto di additive in malam partem (per la riaffermazione del quale, non senza sollevare qualche perplessità, cfr., fra le ultime,C. cost., ord. 22.5.2013, n. 96, in tema dimalversazione a danno dimilitari), la Corte costituzionale, nel primo trimestre del 2014, ha inanellato un trittico di sentenze che esibiscono una marcata rilevanza, in specie, per quel che attiene ai rapporti tra i due principi di legalità costituzionale e di riserva di legge penale, contribuendo a rischiarare talune di quelle che, con terminologia immediatamente evocativa, vengono definite le “zone d’ombra” (o addirittura “le zone franche”) della giustizia costituzionale.
La felice serie è stata inaugurata dalla sentenza 23.1.2014, n. 5, con cui sono state censurate le disposizioni abrogatrici del reato di associazione militare per scopi politici in quanto emanate in carenza di delega legislativa e, pertanto, in violazione dell’art. 76 Cost.1.
Nell’occasione, per quel che più interessa in questa sede, la Corte non ha giudicato ostativa all’ammissibilità della questione, poi accolta, la caratterizzazione della stessa come finalizzata all’ottenimento di una pronuncia in malam partem.
In effetti, sull’assunto di un plausibile “ritorno in vita” della previgente previsione (incriminatrice) – in sostanziale continuità, per quanto concerne tale precipuo aspetto, con la giurisprudenza relativa alla più paradigmatica tra le ipotesi di reviviscenza di norme abrogate2 – i Giudici costituzionali hanno ritenuto di concludere che «quando, deducendo la violazione dell’art. 76 Cost., si propone una questione di legittimità costituzionale di una norma di rango legislativo adottata dal Governo su delega del Parlamento, il sindacato di questa Corte non può essere precluso invocando il principio di riserva di legge in materia penale». D’altronde, codesto principio «rimette al legislatore, nella figura del soggetto-Parlamento, la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare, ed è violato qualora quella scelta sia invece effettuata dal Governo in assenza o fuori dai limiti di una valida delega legislativa»3.
È stato così messo in luce il nesso di strumentalità sussistente tra la verifica circa il corretto esercizio, da parte delGoverno, della funzione legislativa delegata ed il rispetto del principio della riserva di legge in materia penale, deducendosene, fra l’altro, che lo scrutinio di costituzionalità non potrebbe essere passibile di limitazioni in ragione degli eventuali effetti che una sentenza di accoglimento, fermo restando il principio di irretroattività, potrebbe produrre nel giudizio a quo.
Esibisce, mutatis mutandis, analoga trama argomentativa, perlomeno sottotraccia, la successiva sentenza 25.2.2014, n. 32, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77, co. 2, Cost., degli artt. 4 bis e 4 viciester del d.l. n. 30.12.2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla l. 21.2.2006, n. 49, di riforma del t.u. stupefacenti4.
In particolare, nel solco degli inediti sviluppi registratisi nella giurisprudenza costituzionale sui limiti all’emendabilità dei decreti legge in sede di conversione5 e recepiti in alcune delle ordinanze di rimessione gemmate, segnatamente, in riferimento al riformato art. 73 del d.P.R. 9.10.1990, n. 309, la Corte ha stigmatizzato la evidente assenza di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del provvedimento interinale e quelle impugnate, introdotte dalla legge di conversione, non ravvisando alcun impedimento, quanto ad un possibile intervento demolitorio, nelle ricadute (anche) peggiorative (specie in relazione alle ccdd. droghe pesanti) della pronuncia.
In ordine a tale peculiare profilo, invero, si è laconicamente rilevato come la caducazione delle previsioni censurate – «fermo restando il divieto per la Corte di configurare nuove norme penali, siano esse incriminatrici o sanzionatorie», eventualità che non si sarebbe data nel giudizio in questione – non avrebbe fatto altro «che rimuovere gli ostacoli all’applicazione di una disciplina stabilita dal legislatore»6.
Ostacoli rivenienti, all’evidenza, dalla presenza nell’ordinamento di un atto novellatore radicalmente “invalido”, poiché adottato in spregio alla connotazione della legge di conversione quale legge a competenza tipica, per di più in una materia implicante delicate scelte di natura politica, giuridica, scientifica e, nei suoi addentellati penalistici, riservata.
Più perspicua – nel rigettare le eccezioni di inammissibilità formulate sul rilievo che l’ordinanza mirasse a conseguire una pronuncia in malam partem in materia penale – è stata, viceversa, C. cost. 13.3.2014, n. 46, che, nel merito, non ha condiviso le doglianze del giudice a quo in relazione alla legge regionale sarda sul cd. piano casa, intesa a permettere l’ampliamento di determinati fabbricati, entro il limite del venti per cento della volumetria esistente, anchemediante il superamento degli indicimassimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici7.
La Corte, nell’occasione, ha chiaramente affermato che «la preclusione delle pronunce in malam partem non può venire comunque in considerazione quando sia in discussione non il “quomodo” dell’esercizio della potestà legislativa, ma la stessa idoneità della fonte di produzione normativa». Con stringente consequenzialità, si è argomentato che «se l’esclusione delle pronunce in malam partem mira a salvaguardare il monopolio del soggetto-Parlamento sulle scelte di criminalizzazione, voluto dall’art. 25, secondo comma, Cost., sarebbe del tutto illogico che detta preclusione possa scaturire da interventi normativi operati da soggetti non legittimati, proprio perché non rappresentativi dell’intera collettività nazionale – quale il Governo, che si serva dello strumento del decreto legislativo senza il supporto della legge di delegazione (come nel caso recentemente esaminato dalla sentenza n. 5 del 2014) ovvero un Consiglio regionale…– i quali pretendano, in ipotesi di, “neutralizzare” le scelte effettuate da chi detiene quel monopolio». In tal modo, si è rimarcata, una volta di più, la circostanza che «in simili casi, l’eventuale decisione in malam partem della Corte non solo non collide con la previsione dell’art. 25, secondo comma, Cost., ma vale, anzi, ad assicurarne il rispetto»8.
Alla luce della pur rapida ricognizione delle recenti pronunce sul tema, è dato affermare, dunque, che, al cospetto di un vizio procedurale che si sospetti comportare l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, lo scrutinio ad opera della Corte non potrà considerarsi inibito (o anche soltanto limitato) per il fatto che la disposizione rechi una norma penale lato sensu di favore. Si tratta, all’evidenza, di conclusioni che fanno registrare un importante avanzamento in tema di possibili interventi su norme penali mitiores, senza peraltro variare le coordinate della constitutionality review in ordine al (merito del)le scelte di politica-criminale, per come fissate, perlomeno finora, ad opera del Giudice delle leggi.
Va rilevato, infatti, che, sin dal 19839, una volta bypassato l’ostacolo collegato alla (ir-)rilevanza della questione nel giudizio a quo10, ravvisato come sussistente in base all’impostazione maggiormente ricevuta dalla più risalente giurisprudenza costituzionale11, la Corte ha ammesso un sindacato in malam partem rispetto a norme che siano in rapporto di cd. specialità sincronica con altre previsioni, pertanto meno favorevoli e compresenti nell’ordinamento, e ha escluso, viceversa, la possibilità di analogo scrutinio su norme che si pongano in rapporto di cd. specialità diacronica con altre previsioni, parimenti meno favorevoli, ma non più vigenti.
In altri termini, secondo l’insegnamento – poi divenuto tralatizio – del Giudice delle leggi, non sarebbero (state) precluse a quest’ultimo decisioni ablative di norme penali (cc.dd. di favore in senso stretto) che sottraggano una certa classe di soggetti o di condotte all’ambito di applicazione di altra norma, maggiormente comprensiva e covigente, risultando inibito, per converso, il controllo di costituzionalità di norme penali (cc.dd. più favorevoli in senso stretto) che abbiano sostituito norme anteriori, succedendo ad esse con effetti di restringimento dell’area di rilevanza penale o dimitigazione della risposta punitiva12.
Al fondo di tale impostazione “binaria”, vi è (stato) l’assunto secondo cui (soltanto) nella prima ipotesi resterebbe salva la riserva al legislatore circa le scelte di criminalizzazione, posto che l’effetto in malam partem non discenderebbe dall’introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte,ma rappresenterebbe, invece, una conseguenza dell’automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso oggetto della disciplina derogatoria giudicata incostituzionale. Nella seconda ipotesi, al contrario, «la richiesta di sindacato in malam partem mirerebbe non già a far riespandere la portata di una norma tuttora presente nell’ordinamento, quanto piuttosto a ripristinare la norma abrogata, espressiva di scelte di criminalizzazione non più attuali, operazione, questa, senz’altro preclusa alla Corte, in quanto chiaramente invasiva del monopolio del legislatore su dette scelte»13.
Va tuttavia rilevato che tale dicotomica declinazione (circa presupposti e limiti) del sindacato sulle norme penali mitiores – coniata e poi costantemente ribadita in relazione a censure di costituzionalità centrate sull’art. 3 Cost.14 – non sempre è stata “replicata” in sede di scrutinio di questioni di legittimità appuntate su parametri costituzionali diversi.
Ferma la sindacabilità delle norme penali di favore, in effetti, affermazioni non convergenti si rinvengono, quanto alle norme penali più favorevoli, nella pur scarna giurisprudenza costituzionale relativa ad ipotesi di denunciata incongruenza (per difetto) della normativa domestica rispetto ad obblighi di penalizzazione di matrice eurounitaria e in quella relativa a vizi procedurali lamentati in relazione alle stesse.
Affermazioni di opposto tenore si rintracciano, per esempio, nelle pronunce rese in materia di cd. falso in bilancio15 e in materia di cc.dd. ceneri di pirite16.
Nel primo caso, in particolare, la Corte ha motivato l’inammissibilità della questione vertente sulle soglie a carattere percentualistico previste dalla vigente disciplina delle false comunicazioni sociali, sollevata per contrasto, tra l’altro, con l’art. 117, co. 1, Cost., in base alla qualificazione delle stesse come elementi del fatto tipico e alla conseguente ascrizione della relativa previsione al novero delle insindacabili norme penali più favorevoli17; nel secondo, per converso, la Corte ha ritenuto il predetto profilo qualificatorio rilevare soltanto al cospetto di una quaestio legitimitatis ex art. 3 Cost. e, dunque, incapace di ostare ad un controllo di costituzionalità quando le censure si appuntino sull’inosservanza di altri parametri costituzionali. Tant’è che essa, nell’occasione investita di una questione di legittimità ex artt. 11 e 117 Cost. – e non ex art. 3 Cost.18 – ha asseverato la possibilità di sottoporre allo scrutinio costituzionale la più favorevole normativa domestica in relazione ad una fonte comunitaria non self-executing, considerato che, sottraendo ad un tale controllo le direttive non autoapplicative, «si toglierebbe a queste ultime ogni efficacia vincolante per il legislatore italiano, come effetto del semplice susseguirsi di norme interne diverse, che diverrebbero insindacabili a seguito della previsione, da parte del medesimo legislatore penale, di sanzioni penali».
Anche gli orientamenti in punto di giustiziabilità di eventuali vizi procedurali, come si accennava, non sono stati sempre consonanti, posto che, sullo sfondo di un trend giurisprudenziale caratterizzato da uno svilimento dei limiti necessari della delegazione legislativa, specie nella materia penale19, la prospettiva di un intervento in malam partem, talora, ha rappresentato un paravento per eludere le censure relative alla genericità di principi e criteri direttivi o ad eccessi di delega20, talaltra, non ha costituito ostacolo alla ammissibilità di questioni centrate sul rispetto dell’art. 76 Cost.21
Nondimeno, a dispetto di quanto è si è appena detto in tema di giustiziabilità dei vincoli comunitari in malam partem – che porta a considerare la fase odierna una fase interlocutoria, in cui le riflessioni sulle prospettive dischiuse dal più recente arresto non possono non misurarsi con le peculiarità del caso riguardato, concernente una novazione legislativa del tutto peculiare22 – la Corte costituzionale, con i pronunciamenti del 2014 di cui si è dato atto, avrebbe assunto una posizione inequivoca sul tema della giustiziabilità di vizi procedurali lamentati in riferimento a norme penali più favorevoli.
L’elemento di novità, peraltro, non starebbe soltanto nella composizione del “contrasto”, ma anche nel paradigma argomentativo utilizzato dai Giudici costituzionali, che, come si è tentato di evidenziare, non si sono limitati a rilevare la doverosità dell’osservanza delle condizioni per la delega della funzione legislativa (e per l’esercizio di quest’ultima in via d’urgenza) in ambito penale così come in ogni altro settore, ma hanno ravvisato un ulteriore e peculiare motivo per l’ossequio dei presupposti e limiti di cui agli artt. 76 e 77 Cost. nello stesso principio della riserva di legge di cui all’art. 25, co. 2, Cost., che, pertanto, lungi dal fungere da fattore impeditivo allo scrutinio di costituzionalità, reclamerebbe, per converso, una verifica in ordine all’esercizio del potere legislativo in criminalibus da parte del Governo.
Se questo è il punto di approdo della più recente giurisprudenza costituzionale, risulta nondimeno difficile pronosticare quali possano essere i futuri sviluppi della riferita impostazione, la quale, in effetti, oltre che sul piano dell’an del sindacato, potrebbe avere delle implicazioni anche sul quomodo dello stesso, inaugurando una stagione di più rigorosi accertamenti in ordine ai requisiti della legge di delegazione e della legislazione adottata in condizioni di necessità
ed urgenza, in particolare per quel che attiene all’omogeneità funzionale della legge di conversione23.
Allo stato, tuttavia, a fronte del fisiologico periclitare del confine tra sanzione dell’ingerenza governativa e ingerenza della Corte costituzionale, appare tutt’altro che recessiva la possibilità che, a seguito della recente presa di posizione, il controllo sulle condizioni dell’esercizio del potere legislativo dimarca governativa, pur definitivamente ammesso, resti improntato ad un tendenziale self-restraint, considerato, peraltro, che il tema dei controlli (e della loro eventuale rigorizzazione, in specie) sui criteri di delega e sul loro rispetto può intersecare quello della verifica circa la conformità dell’ordinamento interno agli obblighi (di penalizzazione) comunitari24, anche attraverso il sindacato sulle cc.dd. leggi di delegazione europea e sui provvedimenti emanati in attuazione di queste ultime25.
Senonché, proprio in contesti siffatti, forse, il tradizionale lasco scrutinio sulle condizioni dell’esercizio governativo della funzione legislativa26 potrebbe cedere il passo a verifiche più pervasive, quando e nella misura in cui, compatibilmente con il suo carattere di organo “responsivo”, per il tramite della rilevazione dell’assorbente vizio procedurale della fonte interna, fosse dato alla Corte di sottrarsi al confronto con la pruriginosa questione dei cc.dd. inadempimenti statali sopravvenuti27.
Altro aspetto problematico, rimasto in ombra nella trattazione, ma capace di condizionare pesantemente il tema in esame28, è poi quello attinente alla reviviscenza o meno della norma abrogata e/o modificata dalla disposizione dichiarata incostituzionale.
Nei limiti di sinteticità imposti al presente lavoro, è possibile soltanto ricordare la posizione particolarmente cauta assunta dai Giudici costituzionali sul tema della reviviscenza di norme a seguito di declaratoria di incostituzionalità29, posizione che, sebbene in riferimento a contesti affatto diversi, è andata vieppiù consolidandosi nelle pronunce degli ultimi anni, ove si parla delle ipotesi di reviviscenza, in generale, come di ipotesi «molto limitate e tipiche»30. Cosicché, alla luce di un tale restrittivo contesto, non andrebbe sottovalutato l’obiter dictum con cui la Corte costituzionale ha puntellato la tesi della reviviscenza delle disposizioni della precedente legge Jervolino-Vassalli ricordando l’esistenza di un obbligo punitivo discendente dal diritto UE e lasciando intendere che ogni diversa soluzione avrebbe esposto (inammissibilmente) lo Stato ad un inadempimento sul fronte “comunitario”31.
Infine, un’ulteriore criticità evidenziata dalle più recenti sentenze è, senza dubbio, quella correlata alla “gestione” delle ricadute della declaratoria di incostituzionalità per effetto della (asserita) reviviscenza della norma sostituita da quella dichiarata illegittima. Accanto a casi meno complessi, infatti, se ne darebbero altri in cui la ricomposizione della normativa “di risulta” – anche per effetto di successivi interventi legislativi – schiuderebbe all’interprete
margini di manovra tali che l’esito dell’operazione, più che restituire le scelte politico-criminali del legislatore, rischia, piuttosto, di riflettere le opzioni del singolo operatore del diritto32. E ciò con non minore pregiudizio, probabilmente, per il principio di riserva di legge.
1 Cfr., con varietà di accenti, Scoletta, M., La sentenza n. 5/2014 della Corte costituzionale: una nuova importante restrizione delle “zone franche” dal sindacato di legittimità nella materia penale, in Dir. pen. cont., 2014, 242 ss.; Cupelli, C., Riserva di legge e carenza di delega legislativa nella tormentata vicenda dell’associazione militare con scopi politici: i nuovi spazi di sindacabilità del vizio procedurale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 977 ss.; Caruso, C., Dottrina delle “zone franche” e sindacato delle norme penali di favore: la rivincita della legalità costituzionale, in Giur. cost., 2014, 122 ss.; Bianchi, M., La Corte costituzionale dichiara illegittima l’abrogazione del reato di associazione paramilitare: un primo commento alla sentenza n. 5 del 2014, sulle cc.dd. norme penali di favore, in Arch. pen. web, 2014, n. 2.
2 In un contesto percorso da posizioni dottrinali e giurisprudenziali non consonanti, il caso della declaratoria di incostituzionalità della norma espressamente abrogatrice è quello attorno al quale si coagulano i maggiori consensi in merito alla reviviscenza della disposizione abrogata. Per una sintetica, ma efficace ricognizione, cfr. Pietrini, F., La reviviscenza di norme abrogate, in Nomos, 2012, n. 1, 7 ss.; Caterini, M., Reviviscenza e legalità penale. Il caso del Testo unico dell’edilizia, in Crit. dir., 2003, 201 ss.
3 Così C. cost. n. 5/2014, par. 5.2 del Considerato in diritto.
4 Sulla menzionata decisione, cfr. Viganò, F.-Della Bella, A., Sulle ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sull’art. 73 t.u. stup., in www.penalecontemporaneo.it; Cupelli, C., Incostituzionalità per vizio procedurale, reviviscenza della normativa abrogata e riserva di legge in materia penale, in Giur. cost., 2014, 505 ss.; e, volendo, Manes, V.-Romano, L., L’illegittimità costituzionale della legge c.d. “Fini-Giovanardi”: gli orizzonti attuali della democrazia penale, in www.penalecontemporaneo.it.
5 Cfr. C. cost., sentt. 16.2.2012, n. 22 e 19.7.2013, n. 220; ord. 6.3.2013, n. 34. Sull’evoluzione in punto di emendabilità dei decreti-legge, in una prospettiva precipuamente costituzionalistica, Fiumicelli, D., Dalla “urgenza nel provvedere” alla “opportunità/convenienza del provvedimento”: la decretazione di urgenza tra origine storica, crisi economica e Corti costituzionali. Un confronto tra i casi di Italia e Spagna, in ww.osservatoriosullefonti.it, 2014, n. 2; e i molti spunti offerti in ww.federalismi.it, Focus fonti del diritto, 2014, n. 1.
6 Così C. cost. n. 32/2014, § 6 del Considerato in diritto.
7 Sulla pronuncia cfr. Ruga Riva, C., Diritto penale e leggi regionali in un’importante sentenza della Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it.
8 Così C. cost. n. 46/2014, § 3 del Considerato in diritto, in cui si ricorda come, già in passato, la Corte abbia scrutinato e, in più occasioni, accolto questioni di legittimità costituzionale in malam partem aventi ad oggetto norme regionali (senza tributare alcun rilievo – vale la pena segnalarlo – alla caratterizzazione della norma come di favore o più favorevole; tuttavia, di recente, cfr. C. cost., ord. 20.6.2013, n. 147, in fine).
9 Cfr. C. cost., 3.6.1983, n. 148, su cui Pulitanò, D., La “non punibilità” di fronte alla Corte costituzionale, in Foro it., 1983, I, 1806; Lattanzi, G., La non punibilità dei componenti del Consiglio superiore al vaglio della Corte costituzionale: considerazioni e divagazioni, in Cass. pen., 1983, 1916 ss.
10 Cfr., tra gli altri, Santoriello, C., Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi nel processo penale, in La giustizia penale differenziata, a cura di M. Montagna, III, Torino, 2011, 166 ss.; Scoletta, M., La “rilevanza” delle questioni di legittimità costituzionale in malam partem: il caso della prescrizione del reato, in www.penalecontemporaneo.it; Gambardella,M., Lex mitior e giustizia penale, Torino, 2013, 132 ss.
11 Cfr., ex plurimis, C. cost., 3.4.1969, n. 62; C. cost., 14.3.1976, n. 85; espressione del minoritario e contrapposto orientamento, invece, C. cost., 21.11.1973, n. 155; sul tema, cfr. Onida, V.,Note su un dibattito in tema di “rilevanza” delle questioni di legittimità delle leggi, in Giur. cost., 1978, 997 ss.; Branca,M.,Norme penali di favore: dall’irrilevanza al rifiuto della sentenza-legge, in Giur. cost., 1981, 913 ss.
12 Cfr. C. cost., 23.11.2006, n. 394, su cui, tra gli altri,Marinucci, G., Il controllo di legittimità costituzionale delle norme penali: diminuiscono (ma non abbastanza) le «zone franche», in Giur. cost., 2006, 4160 ss.; Di Giovine, O., Il sindacato di ragionevolezza della Corte costituzionale in un caso facile. A proposito della sentenza n. 394 del 2006, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 100 ss.; Pulitanò, D., Principio di eguaglianza e norme penali di favore, in Corr. mer., 2007, 209 ss.;Manes, V., Illegittime le “norme penali di favore” in materia di falsità nelle competizioni elettorali, in www.forumcostituzionale.it; Gambardella, M., Specialità sincronica e specialità diacronica nel controllo di costituzionalità delle norme penali di favore, in Cass. pen., 2007, 467 ss. Negli stessi termini, quanto alla definizione di norme penali di favore, già C. cost., 1.6.2004, n. 161, e, successivamente, C. cost., 1.8.2008, n. 324, su cui cfr. Micheletti, D., L’incensurabilità delle «riforme penali di favore»: un limite tecnico o di moderazione politica?, in Giur. cost., 2008, 3488 ss.
13 Così C. cost. n. 394/2006, § 6.1 del Considerato in diritto.
14 Suscitando valutazioni di segno anche opposto in dottrina: cfr., esemplificativamente, le antitetiche posizioni di Bonomi, A., Sono davvero inammissibili le additive in malam partem in virtù del principio della riserva di legge in materia penale?, in Giur. cost., 2008, 891 ss.; e Carmona, A., La legislazione penale ad personam. I rimedi in malam partem della Corte costituzionale, in Cass. pen., 2012, 717 ss.
15 C. cost. n. 161/2004.
16 C. cost., 28.1.2010, n. 28, su cui Maugeri, A.M., La dichiarazione di incostituzionalità di una norma per la violazione di obblighi comunitari ex artt. 11 e 117 Cost.: si aprono nuove prospettive?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, 1134 ss.; Franzin, D., La Corte costituzionale e la definizione di rifiuto: nuovo capitolo di una complessa vicenda di illegittimità comunitaria, in Cass. pen., 2011, 117 ss.; e, da una prospettiva prettamente costituzionalistica, Onida, V., Sul controllo di conformità delle leggi al diritto europeo: le ceneri di pirite come «sottoprodotti» davanti alla Corte costituzionale, in Riv. giur. amb., 2011, 875 ss.; Celotto, A., Venisti tandem! La Corte, finalmente, ammette che le norme comunitarie sono «cogenti e sovraordinate», in Giur. cost., 2010, 382 ss.
17 Cfr. C. cost. n. 161/2004, § 7.1 del Considerato in diritto. Per analoga impostazione, ancor più nettamente, C. cost., ord. 17.12.2008, n. 413, su cui Beltrame, S., Il sindacato di costituzionalità sulle c.d. “antinomie penali” (le norme sanzionatorie incompatibili con il diritto comunitario) e l’«intermittente» prassi della Corte costituzionale, in www.ambientediritto.it, evidenziando l’incongruenza con l’impostazione presumibilmente sottotraccia a C. cost., ord. 1.6.2004, n. 165, su cui cfr. altresì D’Amico, M., Ai confini (nazionali e sovranazionali) del favor rei, in Ai confini del “favor rei”, a cura di R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto e P. Veronesi, Torino, 2005, 22 ss.
18 Cfr. C. cost. n. 28/2010, § 7 del Considerato in diritto, in cui si puntualizza «che, nel caso di specie, il giudice rimettente ha posto un problema di conformità di una norma legislativa italiana ad una direttiva comunitaria, evocando i parametri di cui agli artt. 11 e 117 Cost., senza denunciare, né nel dispositivo né nella motivazione dell’atto introduttivo del presente giudizio, la violazione dell’art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza intrinseca delle leggi. Ciò esclude che la questione oggi all’esame di questa Corte comprenda la problematica delle norme penali di favore, quale affrontata dalla sentenza n. 394 del 2006».
19 Cfr. Cupelli, C., La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Napoli, 2012, 179 ss.; Id., Incostituzionalità per vizio procedurale, cit., 978.
20 Cfr. Cupelli, C., La legalità delegata, cit., 192 ss.; Id., Incostituzionalità per vizio procedurale, cit., 979; ancora, C. cost. n. 161/2004, cit., per cui la qualificazione delle norme censurate come norme favorevoli (e non di favore) «preclude l’esame nel merito anche delle censure di violazione dell’art. 76 Cost. – riferite tanto alla norma di delega che alla norma delegata – basate sull’asserita carenza, o insufficiente specificazione, dei principi e criteri direttivi relativi alla configurazione delle soglie in questione, nonché sull’arbitraria o scorretta attuazione della delega da parte dell’esecutivo».
21 Cfr. Scoletta, M., La sentenza n. 5/2014, cit., 11; Id., Metamorfosi della legalità. Favor libertatis e sindacabilità in malam partem delle norme penali, Pavia, 2012, 170 s.
22 Lo rileva puntualmente Manes, V., Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, 2012, 120.
23 In linea, del resto, con gli auspici formulati da autorevole dottrina: cfr., tra gli altri, Romano, M., Corte costituzionale e riserva di legge, in Diritto penale giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, Bari, 2006, 35 s.
24 Su tale non inedita intersezione, cfr. Cartabia,M., Principi della delega determinati con rinvio alle norme comunitarie e parametro doppiamente interposto, in Giur. cost., 1993, 2051 ss., segnalando come, nell’ipotesi di determinazione dei principi e criteri direttivi per relationem alle direttive comunitarie, il sindacato sul decreto legislativo «perde completamente lo scopo di difendere le prerogative del Parlamento nella funzione legislativa delegata», tramutandosi in un sindacato sulla conformità della normativa interna con la normativa comunitaria.
25 In argomento, cfr. Cupelli, C., La nuova legge sulla partecipazione alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’UE-Il commento, in Dir. pen. e processo, 2013, 415 ss.
26 Se ne offre un saggio, anche con riferimento alle deleghe per l’adeguamento al diritto comunitario, in La delega legislativa, a cura diM. Bellocci, T.Giovannetti e L. Iannuccilli, consultabile su www.cortecostituzionale.it.
27 Sulla questione e sulle prospettive di “giustiziabilità” dei cc.dd. inadempimenti statali sopravvenuti, si rinvia a Manes, V., Il giudice nel labirinto, cit., 112 ss., 119 ss.;Manes, V.-Romano, L., L’illegittimità costituzionale, cit., 221 ss.
28 Sullo specifico aspetto, cfr., in particolare, Pecorella, C., Pronunce in malam partem e riserva di legge in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 346 ss.;Maugeri, A.M., La dichiarazione di incostituzionalità, cit., 1146 ss., 1152 ss.; Scoletta, M., L’irragionevole insindacabilità dell’arbitrio punitivo in bonam partem, in Giur. cost., 2009, 437 ss.
29 Se la giurisprudenza inclina a riconoscere la reviviscenza solo nell’ipotesi di declaratoria di incostituzionalità della norma espressamente abrogativa, in dottrina le ricostruzioni sono diverse, spaziando da quella di cui si è appena detto a quella in base alla quale, «essendo implicito l’effetto abrogativo in quello novativo», si dovrebbe «concludere per la reviviscenza ogni qualvolta venga meno la disposizione o la norma implicitamente o espressamente abrogativa» (così Sorrentino, F., Abrogazione nel quadro dell’unità dell’ordinamento giuridico, in Riv. it. dir. proc. pen., 1972, 22 s.).
30 L’interesse per il tema della reviviscenza, negli ultimi tempi, si è riacceso soprattutto per effetto della dibattuta questione della reviviscenza di norme abrogate da disposizioni sottoposte a referendum abrogativo: cfr. C. cost., 6.2.2013, n. 13, su cui Barcellona, G., Osservazioni sul problema della reviviscenza e sulla rilevanza della intentio referendaria: muovendo da Corte cost. n. 13/2012 (parte I), in Pol. dir., 2014, 103 ss., ove, peraltro, l’Autrice argomenta sull’irriducibilità del caso della dichiarazione di incostituzionalità di norma abrogativa al problema della reviviscenza. Più recentemente, in materie diverse da quella referendaria, anche C. cost., 16.4.2013, n. 70 e C. cost., 10.6.2014, n. 162.
31 Così C. cost. n. 32/2014, § 5 del Considerato in diritto, su cuiManes, V.-Romano, L., L’illegittimità costituzionale, cit., 221 ss.
32 Si pensi, per esempio, a quanto accaduto in materia di stupefacenti.