sindacato
Origini, sviluppi e prospettive
I sindacati sono nati a metà del 19° sec. con le prime unioni di mestiere (Trade Unions) in Gran Bretagna e rimangono ancora oggi la più tipica forma associativa dei lavoratori dipendenti. La loro origine coincide con l’ascesa del sistema industriale, che pose l’esigenza di tutelare collettivamente l’interesse dei salariati e di rispondere a bisogni di solidarietà e di autodifesa. Nella prima fase, tuttavia, gli imprenditori rifiutavano di negoziare con i dipendenti e di riconoscere i loro rappresentanti, mentre i governi proibivano le coalizioni dei lavoratori, le sottoscrizioni e gli scioperi. Nel corso del 20° sec., i sindacati sono stati via via riconosciuti (negli Stati Uniti, con la legge Wagner del 1935) che sancisce la libertà di organizzazione collettiva, promuovendo i diritti e le prerogative dei sindacati) e dalla seconda metà del secolo hanno ottenuto piena legittimazione quasi ovunque.
La percentuale di iscritti a un sindacato rispetto agli occupati totali, la cosiddetta densità sindacale (➔ sindacalizzazione, tasso di), è diminuita nella maggior parte dei Paesi industrializzati a partire dagli anni 1980. L’enfasi posta sugli interessi della manodopera della grande industria ha generato infatti crisi di rappresentanza in un sistema produttivo in cui altre figure professionali e nuove tipologie contrattuali, diverse da quelle del lavoro dipendente a tempo pieno e indeterminato (➔ atipico), acquistavano sempre maggiore rilevanza. La forza dei sindacati sembra insidiata in Occidente dall’evoluzione del sistema economico verso il superamento della produzione di massa fordista, che ha portato a un calo di occupati nell’industria, il settore tradizionalmente più sindacalizzato. La conseguente diminuzione di operai e di impiegati è peraltro parzialmente compensata nei servizi, dove gli iscritti continuano a crescere (in Italia, essi sono ormai più numerosi fra gli statali che fra i metalmeccanici). Fuori dall’Occidente, invece, la forza dei sindacati è alimentata dalle travolgenti economie dei giganti asiatici: nella sola Cina ci sono già 140 milioni di iscritti. In alcuni Paesi i sindacati hanno reagito al fenomeno del ridimensionamento spostando o allargando l’azione di rappresentanza e di tutela oltre a quella tradizionale sui livelli salariali e sulle condizioni di lavoro, mediante l’offerta di servizi di diversa natura rivolti anzitutto agli iscritti e alle loro famiglie. Campi d’intervento nuovi sono l’assistenza fiscale, le prestazioni previdenziali, la formazione professionale, la gestione dell’offerta di lavoro, l’insegnamento della lingua agli immigrati, l’organizzazione di eventi turistico-culturali.
Il panorama sindacale italiano vede al centro i 3 sindacati confederali CGIL (➔), CISL (➔) e UIL (➔), che sono espressione di orientamenti politici ben definiti. Nei primi anni del 21° sec., si è inoltre assistito a un rafforzamento del sindacato di destra UGL (➔). In alcuni settori, particolarmente nel pubblico impiego, hanno notevole peso i Cobas, cioè i sindacati di base, caratterizzati per essere organizzati a livello locale e non verticistico e per avere una connotazione alternativa a quella dei sindacati confederali. La CIDA (Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte professionalità) è invece l’organizzazione sindacale che rappresenta la dirigenza e le alte professionalità di tutti i settori socioproduttivi, pubblici e privati, sul piano professionale, economico e sociale. Ha la rappresentanza esclusiva nella contrattazione collettiva, sia economica sia normativa, dei rapporti di lavoro dei dirigenti.
I modelli di contrattazione salariale descrivono le interazioni strategiche tipiche dei processi negoziali attraverso i quali sindacati e imprese determinano i salari e l’occupazione. Il processo di contrattazione viene descritto dalla massimizzazione di una funzione obiettivo che tiene conto degli scopi contrastanti delle parti, dal cui potere contrattuale dipende l’esito della contrattazione stessa. I modelli di contrattazione possono essere divisi in due classi a seconda delle ipotesi formulate circa la determinazione dell’occupazione. Nel right to manage la negoziazione riguarda esclusivamente i salari, mentre l’occupazione è scelta unilateralmente dall’impresa in modo da massimizzare il profitto, dato il salario emerso dalla contrattazione. Fa parte di questo gruppo il modello del sindacato monopolista. Esso prevede che il sindacato sia capace di imporre il livello salariale che preferisce, scelto in modo da massimizzare la propria utilità. Il sindacato sarà in grado di ottenere salari più elevati a parità di occupazione quanto più la domanda di lavoro delle imprese è inelastica (➔ elasticità), cioè quanto meno esse reagiscono a variazioni del salario. Nei modelli della contrattazione efficiente, invece, si ipotizza che questa riguardi simultaneamente i salari e l’occupazione.
Un’altra branca della letteratura economica del sindacato considera il suo ruolo di ‘voce’ delle preferenze dei lavoratori, cioè di strumento di comunicazione al datore di lavoro delle istanze degli occupati. L’impresa utilizza le informazioni raccolte per scegliere una migliore organizzazione delle risorse umane e promuovere in tal modo l’efficienza produttiva. In alcuni Paesi e in alcune fasi storiche sono state applicate clausole di closed shop (➔) tendenti a subordinare l’occupazione dei lavoratori alla loro affiliazione sindacale.