SINDACATO
Sindacato è termine originariamente riferito alle varie organizzazioni di lavoratori per la difesa dei loro interessi di gruppo o di classe e in un secondo tempo esteso anche alle corrispondenti organizzazioni dei datori di lavoro. "Sindacati" o meglio "Sindacati industriali" - benché, pur appartenendo prevalentemente all'industria, si formino anche in altri rami di attività economica - sono detti impropriamente anche gli aggruppamenti di imprese diretti a limitare la concorrenza ovvero a rafforzare l'efficienza produttiva delle imprese partecipanti, onde queste meglio resistano alla concorrenza. La designazione, nonostante la riconosciuta doppia improprietà, è stata anzi ormai definitivamente accolta dalla scienza economica e giuridica italiana.
Limitiamoci qui a parlare dei sindacati in questa seconda accezione rinviando, per quel che riguarda la storia del movimento sindacale in senso proprio e l'attuale ordinamento sindacale corporativo italiano, alle voci carta: La Carta del lavoro; corporazione; corporativismo (App.); lavoro: Datore e prestatore di lavoro; Diritto di coalizione del lavoro; Contratto di lavoro; Magistratura del lavoro; operaio, movimento; sindacalismo.
Sindacati industriali.
Soggetii dei sindacati industriali sono le imprese operanti in regime di concorrenza. La loro funzione si riferisce appunto alla situazione di concorrenza, che essi vogliono modificare, operando sul prezzo ovvero sul costo, allo scopo di correggere i risultati della concorrenza. Precisamente in vista della riconosciuta necessità di ovviare agli effetti dannosi della concorrenza i governi, lungi dall'ostacolare, favoriscono, quando non promuovono direttamente o coattivamente, la formazione di aggruppamenti d'imprese, non trascurando, naturalmente, di prevenirne e reprimerne gli abusi.
Due idee fondamentali caratterizzano la dottrina dei sindacati industriali prevalsa finora: a) le coalizioni d'imprese sono dirette esclusivamente ad assicurare la situazione di monopolio agl'imprenditori; b) esse rappresentano un fenomeno transitorio. Oggi entrambe queste idee sono superate. L'odierna dottrina dei sindacati industriali ha accertato che, accanto alle intese limitatrici della concorrenza, sorgono intese dirette ad agire sul costo di produzione; che, inoltre, i sindacati industriali sono organi insostituibili dell'economia capitalistica. Già sul finire del secolo XIX, qualche studioso americano, assumendo la difesa delle coalizioni, aveva messo in rilievo che non sempre esse si formano fra imprese concorrenti. Talora si tratta di collegamenti fra imprese ferroviarie e imprese minerarie, fra imprese di commercio di cereali e imprese di navigazione, fra imprese di coltivazione di caffè e imprese di trasporti, ecc., che non si propogono di limitare la concorrenza. Più chiaramente veniva intravista la distinzione fra due categorie di coalizioni dagli studiosi di Germania, in occasione del 26° congresso dei giuristi tedeschi (1902). La scienza italiana si orientò verso la visione della duplicita di scopi degli aggruppamenti di imprese allorché, qualche anno dopo, M. Pantaleoni dava alle stampe il saggio: Alcune osservazioni sui sindacati e sulle leghe, in cui elaborava la teorica dei "complessi economici". Il complesso economico è costituito da tutte le imprese, le cui vicende alterano in modo fortemente sensibile la curva di offerta e di domanda di un'impresa. L'aggruppamento di imprese produce in tali casi riduzione del costo di produzione. Tali complessi economici il Pantaleoni denominava sindacati moderni, intendendo con ciò affermare che essi sorsero dopo di quelli miranti al monopolio, cioè i sindacati, destinati a vivere, svilupparsi e prosperare nell'epoca moderna. I sindacati antichi, miranti a limitare la concorrenza erano invece destinati a sparire. Ciò dimostra che il Pantaleoni, se aveva brillantemente superato l'idea che ogni sindacato è o tende a essere un monopolio, non si era staccato dalla concezione del sindacato limitatore della concorrenza come fenomeno transitorio. Egli era troppo fedele all'idea del risultato benefico della libera concorrenza perché potesse ammettere che la concorrenza fosse suscettibile di essere regolata. Sotto l'influenza delle sue idee rimasero per lungo tempo gli studiosi italiani. Nel campo economico si continuò a studiare la formazione del prezzo in regime di coalizione come un'ipotesi eccezionale e transeunte rispetto alla libera concorrenza e al monopolio e si cercò di determinare i casi in cui fosse conveniente agl'imprenditori passare alla coalizione (E. Barone). Nel campo giuridico si continuò a discutere sulla liceità delle coalizioni. Mentre in altri paesi europei il rapido sviluppo delle intese del dopoguerra consigliò agli economisti di riguardarle come fenomeno annunziatore di un mutamento profondo nella struttura economica capitalistica (R. Liefmann) e ai governi di apprestare un sistema organico di disciplina giuridica (Germania, Norvegia), in Italia solo assai più tardi, in epoca relativamente recente, si abbandonò l'idea che la tendenza limitatrice della concorrenza fosse da considerare fatto transitorio. Il mutamento d'indirizzo coincide infatti con l'elaborazione teorica dell'economia corporativa, come sistema mirante a correggere le deficienze dell'economia di concorrenza. Si è pervenuti così anche in Italia al più avanzato stadio di sviluppo della dottrina dei sindacati industriali.
L'impresa è continuamente sollecitata da una duplice tendenza. Da una parte essa tende a ridurre nella misura maggiore possibile il costo di produzione; dall'altra tende a ottenere in cambio del prodotto il prezzo più alto possibile. Ora, a cagione dell'evoluzione della tecnica dell'industria moderna, si è verificata una profonda alterazione nel rapporto tra capitali fissi e capitali circolanti in alcuni rami d'industria. La prevalenza dei primi priva le imprese di elasticità e di capacità di adattamento alle oscillazioni del mercato, sicché la concorrenza diventa rovinosa. Le imprese vivono sotto la minaccia permanente della sopraproduzione e dell'abbassamento dei prezzi al disotto del costo di produzione. L'intesa fra esse si presenta come l'unico mezzo capace di assicurare un prezzo rimuneratore. L'accordo fra imprese rappresenta un compromesso fra la necessità dell'adeguamento della produzione alle oscillazioni del mercato e la dilficoltà di trasferimento dei capitali fissi da un impiego all'altro, affermantesi nell'industria moderna. Si hanno così le coalizioni tendenti a disciplinare la concorrenza: i cartelli. In relazione poi alla tendenza verso la riduzione del costo sorge altresì la necessità degli aggruppamenti di imprese. La divisione del lavoro ha frazionato alcuni processi produttivi in una serie grandissima di attività, aumentando così considerevolmente la dipendenza di ciascuna delle imprese in rapporto a quelle le cui vicende alterano sensibilmente le curve di offerta e di domanda. Allo scopo di diminuire gl'inconvenienti della divisione del lavoro e di moltiplicarne i vantaggi, le imprese trovano opportuno stringere legami con quelle la cui attività è in relazione di complementarità o di strumentalità con la propria attività. Sorgono così le coalizioni di imprese tendenti a ridurre il costo di produzione: i gruppi.
I cartelli. - I cartelli, che in Italia sono denominati anche consorzî, sono accordi fra imprese appartenenti allo stesso ramo di produzione, tendenti a regolare il mercato. Per la loro esistenza non si richiede che l'accordo abbia forma scritta; anche i gentlemen's agreements, accordi puramente verbali, cui i produttori americani ricorsero per sfuggire alle sanzioni legislative, dànno luogo alla figura economica del cartello. I mezzi di cui i cartelli si valgono per regolare il mercato possono essere i più svariati. Le forme più frequenti sono: i cartelli che stabiliscono i prezzi minimi, al disotto dei quali le imprese partecipanti si impegnano a non vendere; i cartelli che ripartiscono le zone di vendita fra le imprese associate (tipico esempio di questa forma è il cosiddetto "patto di rispetto della clientela", adottato, sull'esempio di quanto si fa all'estero, dall'industria della birra italiana, in base al quale a ciascuna impresa è riservata la vendita esclusiva in una data regione); i cartelli che fissano la quantità massima di produzione per ciascuna impresa. Non di rado però tali forme si trovano unite nello stesso cartello. Quanto all'intensità dei vincoli, si passa dai semplici accordi verbali agli accordi la cui osservanza è sorvegliata da un organo di controllo, che applica e riscuote le multe a carico delle imprese inosservanti, e agli accordi in cui la vendita dei prodotti è eseguita da un comune ufficio di vendita. Il problema economico centrale è quello della loro influenza sui prezzi. La formazione dei prezzi differisce da quella che si avrebbe in regime di concorrenza. Le situazioni possibili del mercato controllato dal cartello possono ridursi a due ipotesi fondamentali: a) che le imprese rimaste fuori di esso continuino la lotta in piena indipendenza; b) che anche esse si riuniscano in cartello. Nell'uno e nell'altro caso la determinazione della ragione di scambio procede in maniera diversa di quanto non accade in regime di concorrenza. Nel primo caso la circostanza che il cartello controlla una quota notevole di produzione fa venir meno la condizione di una concorrenza più o meno perfetta, vale a dire che ciascun concorrente sia tale da dover accettare le condizioni del mercato, non potendo da solo alterarla a proprio vantaggio. Se il cartello decide di abbassare i prezzi, i concorrenti sono costretti a seguirlo, perché la porzione di domanda che ciascuno di essi soddisfa è così piccola che in breve il cartello potrebbe esso medesimo soddisfarla. D'altra parte il cartello potrà elevare il prezzo, almeno per il tempo necessario perché uno dei concorrenti si metta in condizione di soddisfare una parte notevolmente maggiore dell'offerta totale. Nella seconda ipotesi la modificazione della condizione di concorrenza è ancora più notevole. I due cartelli, la cui produzione complessiva coincide con tutta l'offerta, rappresentano due gruppi monopolistici, molto simili a due individui monopolisti. È noto che quando due monopolisti concorrono nel vendere a compratori concorrenti, l'equilibrio è indeterminato. Inoltre la formazione del prezzo in regime di cartello differisce da quella in regime di monopolio. I limiti posti all'azione del cartello sono più rigidi di quelli cui è soggetto il monopolista, sia perché esso non raccoglie di solito che una parte delle imprese e ha perciò solo il potere di un monopolista parziale, sia perché tra gli stessi membri del cartello persiste la concorrenza latente, nel senso che ciascuno di essi, nella previsione che un giorno la coalizione si scioglierà, tenderà a rafforzare la propria posizione e quando si sentirà forte abbastanza per difendere da solo i proprî interessi, finirà con provocare la rottura del patto o almeno con non aderire alla rinnovazione. Il cartello non elimina dunque la concorrenza, la quale sopravvive in forme diverse: a) concorrenza di tutti i prodotti offerti sul mercato, ciascuno dei quali tende ad assorbire la più grande frazione possibile del reddito dei consumatori; b) concorrenza dei surrogati; c) concorrenza dei beni prodotti con i capitali divenuti disponibili per effetto della restrizione della produzione attuata dai cartelli; d) concorrenza delle imprese non aderenti (outsiders); concorrenza delle imprese nuove, sorte per l'allettamento della politica dei prezzi alti del cartello; f) concorrenza latente o potenziale fra le imprese aderenti al cartello. Questa constatazione conduce anche a stabilire che la capacità dei cartelli a ridurre la produzione ha i suoi limiti. Il fatto che i cartelli sorgono soprattutto nei rami di industria in cui prevalgono i capitali fissi agisce come correttivo dell'arbitrio dei cartelli, perché la restrizione della produzione accresce il costo unitario. I cartelli possono ostacolare il progresso tecnico mantenendo in vita imprese poco redditizie; ma anche in ciò essi incontrano dei limiti. L'impresa che è in possesso di processi più progrediti pone in pericolo l'esistenza dei cartelli. A lungo si è ritenuto che l'esistenza delle tariffe doganali protettive fosse la condizione del formarsi dei cartelli. In realtà se queste facilitano la costituzione dei cartelli, è esatto però che i cartelli si formano indipendentemente dalla protezione. I cartelli possono più facilmente praticare il dumping; ma con i mezzi della politica doganale si può altrettanto facilmente ovviare a tale inconveniente. La classe lavoratrice può essere danneggiata dalla politica dei cartelli allorché questi, con la chiusura delle aziende, cagionano disoccupazione. Ma le aziende chiuse dai cartelli sarebbero probabilmente scomparse anche se fosse prevalsa la concorrenza. In generale si può affermare che la classe lavoratrice si avvantaggia di quel maggior grado di stabilità della produzione che è assicurato dai cartelli. Non ostante gli effetti svantaggiosi che accompagnano i cartelli, la loro funzione non può essere disconosciuta. Solamente è necessario sottoporli al controllo statale.
I rapporti fra lo stato e i cartelli si ispirano oggi a questo duplice principio: riconoscimento della necessità e legittimità di organismi limitatori della concorrenza; controllo di essi onde prevenire abusi di potenza economica a danno della collettività. Pertanto non vi è contraddizione fra il controllo statale dei cartelli e il ricorso, da parte dello stato stesso, alla formazione di cartelli obbligatorî. Allorché la limitazione della concorrenza in un dato ramo di attività si palesa necessaria nell'interesse dell'economia nazionale, se le imprese non sono disposte a sacrificare la propria indipendenza, lo stato stesso prescrive la cartellizzazione obbligatoria. I cartelli obbligatorî adempiono alla stessa funzione dei cartelli volontarî. Non mancano tuttavia differenze. Quelli obbligatorî, che comprendono tutti i produttori di un dato ramo, sono sottoposti alla diretta vigilanza dello stato. La costituzione di essi è divenuta frequente dopo la guerra mondiale.
I gruppi. - I gruppi sono unioni di imprese dirette a potenziare il grado di efficienza produttiva delle imprese partecipanti, onde queste meglio resistano alla concorrenza. Essi rappresentano una forma superiore della tendenza alla concentrazione delle imprese. La medesima tendenza verso il conseguimento del più alto grado di economicità nella produzione, consentito dalla tecnica, che opera nell'ambito dell'azienda (unità tecnica della produzione), spingendola ad estendere le dimensioni nell'ambito dell'impresa (unità economica della produzione), spingendola ad aprire accanto all'azienda esistente aziende similari, perché sia attuata una razionale divisione e associazione del lavoro nella fabbricazione del prodotto o nel compimento del servizio, ovvero altre aziende appartenenti a stadî differenti della produzione, perché si realizzino i vantaggi della combinazione; la medesima tendenza opera nella formazione dei gruppi. Attraverso essi le imprese si collegano per ritrarre dalla coordinazione dei rispettivi piani economici quegli ulteriori vantaggi della concentrazione, che solo nell'aggruppamento di più unità economiche diventano realizzabili. Accanto ai fattori che attengono direttamente alla tecnica produttiva, agiscono nella stessa direzione altri fattori: fattori relativi allo scambio, al finanziamento, all'eliminazione del rischio. Assai frequenti sono i gruppi di imprese in rapporto di complementarità o strumentalità. Anche in Italia gli esempî più cospicui si fondano sui criterî di combinazione verticale e orizzontale. Tuttavia non mancano gruppi fra imprese similari, diretti ad attuare i procedimenti di razionalizzazione; né gruppi fra imprese operanti in campi disparati, diretti a prevenire i rischi. I legami cui di volta in volta i gruppi fanno ricorso, possono ridursi a tre fondamentali: la partecipazione finanziaria, l'unione personale, la convenzione a lunga scadenza. La scienza tedesca raggruppa nella categoria Konzerne le unioni di imprese formate sulla base della partecipazione finanziaria e di alcuni tipi di convenzione (comunità di interesse o cointeressenza, contratti di locazione o di esercizio o di gestione di azienda) eliminando quelle costituite attraverso l'unione personale. La dottrina italiana dei gruppi è indubbiamente preferibile a quella tedesca dei Konzerne, sia perché l'esclusione dell'unione personale è arbitraria, potendo questa dar luogo ai gruppi anche in via autonoma, indipendentemente cioè dalla partecipazione finanziaria, sia perché la dottrina tedesca, pretendendo indicare tassativamente le forme di convenzione, presenta altrettante lacune quante sono le nuove forme di convenzione che gl'imprenditori vanno a mano a mano escogitando e applicando.
La partecipazione finanziaria è la forma più frequente di costituzione dei gruppi. Essa meglio delle altre serve a realizzare fra le varie imprese quella collaborazione che si richiede per il potenziamento dell'efficienza produttiva di ciascuna. Il grado di intensità dell'intreccio azionario varia secondo le concrete finalità che, con la costituzione del gruppo, si vogliono raggiungere, secondo che contemporaneamente si faccia uso o no di altra forma di legame. Si può avere il caso estremo di una società che possiede la totalità delle azioni di altre società, o, più frequentemente, quello di società che si sono assicurate solo un influsso notevole su altre società. Di regola si richiede a tale scopo il possesso della metà più una delle azioni, non di rado è sufficiente una percentuale minore, specialmente quando si tratti di imprese con azioni largamente negoziate, il cui possesso è frazionato notevolmente, ovvero quando si tratti di società con azioni privilegiate nel voto. Gl'intrecci azionarî, che talora dànno luogo a complessi grandissimi di società (società a catena), controllabili da una porzione relativamente piccola di capitale, hanno avuto anche sviluppo indipendente dai gruppi. Il fatto che i gruppi possano servirsi di essi, ha avvicinato i due problemi, specialmente nel campo giuridico. Meno frequente della partecipazione finanziaria è l'unione personale, come forma di legame costitutivo dei gruppi. Talora è la società più forte che manda i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione delle società controllate. Talora si verifica una reciproca delegazione di membri. In Italia è l'industria elettrica quella in cui più diffusa è l'unione personale, sicché può dirsi che questa industria occupi il primo posto riguardo alla forma di concentrazione in esame. La convenzione, come forma costitutiva dei gruppi, può avere il contenuto più vario. Particolarmente preferita è la comunità di interessi o cointeressenza. Sono due o tre imprese, raramente più, appartenenti generalmente allo stesso ramo di produzione, che si collegano, stabilendo di mettere in comune gli utili dei rispettivi esercizî e ripartirli in proporzioni uguali o secondo criterî determinati.
Se la formazione dei gruppi non è che la manifestazione superiore della concentrazione delle imprese, non deve essere difficile farne la valutazione. La costituzione dei gruppi assicura a ciascuno dei membri i vantaggi della grande impresa. La circostanza che le imprese raggruppate conservano la propria individualità economica elimina il pericolo che l'ingrandimento eccessivo del nuovo organismo neutralizzi o indebolisca quei vantaggi. Inoltre i gruppi consentono di realizzare un accrescimento di economicità, che è realizzabile solo nel coordinamento di attività di più unità economiche. Il riconoscimento dell'utile funzione riservata ai gruppi non deve far trascurare di rilevare gli aspetti svantaggiosi di essi per l'economia sociale, gli abusi, che non di rado si commettono per mezzo degli espedienti giuridici, cui i gruppi fanno ricorso. Ciò richiama la necessità del controllo statale dei gruppi, che va collegato al controllo di tutti gli organismi economici.
Sindacati industriali internazionali. - È evidente ehe aggruppamenti di imprese non possano arrestarsi ai confini dei varî paesi. Sia i cartelli sia i gruppi tendono a stabilirsi anche su base internazionale. Allorché la merce prodotta da un'impresa supera la capacità di assorbimento del mercato nazionale, l'impresa cerca di collocare all'estero la quantità eccedente. Ma il rapido generalizzarsi dei progressi tecnici fa sì che le imprese similari di diversi paesi vengano a trovarsi contemporaneamente nelle medesime condizioni. Tendendo tutte a valicare i confini nazionali, esse si incontrano sul mercato internazionale, dove tanto più accanita diventa la concorrenza. Ciò stimola la formazione dei cartelli internazionali. Numerosi fattori favorevoli ai cartelli internazionali si sono avuti dopo la guerra mondiale: la tendenza all'indipendenza economica dei paesi sorti dai trattati di pace; la tendenza all'industrializzazione dei paesi che prima della guerra erano tributarî dell'industria europea; la generale tendenza all'autarchia, ecc., in quanto furono causa di sovracapitalizzazione e di sovraproduzione hanno poi favorito lo sviluppo degli accordi internazionali. Problema specifico relativo ai cartelli internazionali è quello della utilizzazione di essi per la graduale eliminazione delle barriere doganali. Il patto internazionale che riserva alle imprese il proprio mercato nazionale, elimina la funzione del dazio protettivo. Ciò è esatto. Ma, data la breve durata, l'instabilità e la precarietà dei cartelli internazionali, i produttori dei varî paesi continuano ad avere interesse all'esistenza di dazî protettivi. Solamente in un sistema organico di collaborazione internazionale, i cartelli internazionali potrebbero diventare strumenti di intesa, eliminanti ogni mezzo di lotta economica. I medesimi fattori che operano sulla formazione dei gruppi all'interno dei paesi, agiscono sulla costituzione dei gruppi internazionali. Essi si possono ricondurre a tre categorie, secondo che facilitino la riduzione dei costi del processo tecnico produttivo, dello scambio, del finanziamento. Tra le forme di legame primeggia anche qui la partecipazione finanziaria.
La statistica dei sindacati industriali. - I risultati raggiunti dall'indagine deduttiva non sono di per sé sufficienti per un'adeguata valutazione del fenomeno in esame. Essi devono essere integrati dalla ricerca induttiva. La statistica dei sindacati è però ancora ai primi passi.
I primi tentativi di misurare l'estensione delle coalizioni furono fatti agl'inizî del secolo negli Stati Uniti e nella Germania. Solo alcuni anni or sono si è tentato di rafforzare lo sviluppo dei cartelli nei varî paesi di Europa (Fischer e Wagenführ). Ma i dati raccolti mancano di rigore scientifico perehé non vennero rilevati in base a un concetto esatto dei cartelli. Da essi risulta uno scarso sviluppo dei cartelli in Italia, relativamente ad altri paesi, e una scarsa partecipazione dell'industria italiana ai cartelli internazionali. La ragione va ricercata nella struttura stessa dell'industria italiana, nella quale non hanno importanza prevalente i rami di produzione maggiormente gravati dai capitali fissi. Nel corso degli ultimi anni i cartelli in Italia si sono raddoppiati. Se ne contano in 13 rami di produzione, in numero di 58 (compresi i consorzî obbligatorî). Il numero più alto (12) appartiene all'industria chimica. In essa i cartelli ricevono particolare stimolo dall'esigenza dello sfruttamento in comune dei brevetti. Per la Germania si è compiuto il tentativo di porre a raffronto il movimento dei cartelli e l'andamento dei cicli (Wagenfübhr), allo scopo di determinare quale fase del ciclo sia più favorevole ai cartelli. Occorre andare assai cauti nell'accogliere i risultati. Le rilevazioni sono dovute ad autori che notoriamente non assunsero il medesimo concetto di cartello; inoltre non risulta a quale punto preciso di ciascuna fase del ciclo si fa riferimento e ciò impedisce di attribuire con esattezza la costituzione dei cartelli all'una o all'altra fase, potendo i punti terminali di una fase essere uguali, negli effetti, a quelli iniziali della fase successiva. Inoltre, poiché la formazione dei cartelli è in stretta relazione col grado di sviluppo dell'industria, niente può dirci un maggior numero di cartelli sorto nella fase di ascesa rispetto a quella di depressione di alcuni anni prima, perché le condizioni di ambiente nell'uno e nell'altro caso sono diverse. Il problema centrale nello studio dei cartelli è, come si è detto, quello del prezzo. Per lungo tempo si è ritenuto che per misurare l'effetto della coalizione sul prezzo bastasse raffrontare il prezzo di concorrenza con quello del regime di cartello. Basta osservare però che il mutamento dello stato della tecnica e numerosi altri fattori rendono assai difficile la ricerca, per convincersi della scarsa utilità del procedimento. Nella rilevazione del prezzo del carbone, registrato alla borsa di Essen, per il periodo 1881-1893, anno di fondazione del sindacato renano-vestfaliano del carbone e poi per il periodo 1893-1919, epoca della costituzione del sindacato obbligatorio (Liefmann), è stato accertato il livello più elevato del prezzo nel periodo di esistenza del cartello. Ciò non autorizza però ad attribuire la differenza del prezzo unicamente all'azione del cartello. Occorre isolare gl'innumerevoli fattori, suscettibili di alterare l'azione delle intese, dal fattore monetario a quello delle variazioni dei salarî, ece. Né tale difficoltà è eliminata col metodo del margine, consistente nel notare l'eccedenza o margine del prezzo del manufatto sul prezzo della materia greggia e raffrontarlo col margine dopo la costituzione del cartello. L'andamento del prezzo di un prodotto non può essere riguardato come avulso dall'intero sistema dei prezzi, né può essere staccato dal complesso fenomeno della vicenda economica (congiuntura). L'indagine statistica non ci consente ancora di formulare giudizî assoluti sulla politica dei cartelli. Occorre che sia ancora estesa e sviluppata. Altrettanto può dirsi della statistica dei gruppi. Certo non è facile misurare l'estensione delle partecipazioni azionarie, sebbene le voci titoli o partecipazioni o interessenze o valori, contenute nelle attività dei bilanci delle imprese, possano servire di guida. Ma resta sempre da decidere se la partecipazione serva allo scopo della costituzione di un gruppo. Può trattarsi di una semplice forma di investimento di capitali. La delegazione di membri di consigli di amministrazione fra imprese, se è più facilmente rilevabile, non è sempre attendibile ai fini della statistica dei gruppi, potendo essere semplicemente casuale. Il problema statistico di maggiore interesse riguarda la ripercussione dei gruppi sull'efficienza produttiva delle imprese. Il rapporto fra i costi di produzione e il livello di profitti nelle imprese raggruppate, prima e dopo la costituzione dell'intesa, è esposto alle stesse critiche del raffronto dei prezzi in rapporto alla costituzione di un cartello. Né il raffronto fra imprese raggruppate e piccole imprese indipendenti conduce a conclusioni sicure. Spesso si verifica infatti che le piccole imprese libere si specializzino nella produzione di un numero limitato di articoli, per i quali si sono in certo modo assicurato il mercato. Ciò spiega come l'inchiesta americana (N.I.C.B.) per l'accertamento della produttività delle imprese raggruppate rispetto a quelle libere non abbia dato risultati conclusivi; per alcune industrie la superiorità spetta alle prime, per altre alle seconde, fatta eccezione per le industrie di fabbricazione in massa, nelle quali i gruppi manifestano chiaramente la propria efficacia. Ancor molto cammino resta da percorrere prima che l'indagine statistica offra il necessario complemento alla dottrina dei sindacati industriali.
La disciplina giuridica dei sindacati industriali. - In quasi tutti i paesi europei, l'Italia compresa, nel secolo XIX e nei primi anni del XX, mancarono disposizioni in materia. La questione della liceità delle intese fu esaminata in base al codice penale e fu generalmente risolta nel senso affermativo, eccetto nei casi in cui le coalizioni si rivelassero nocive all'interesse pubblico. La giurisprudenza italiana ritenne che ciò si verificasse allorché le imprese miravano a conquistare la posizione monopolistica sul mercato dei generi di prima necessità o di pubblici servizî. Nonostante la sfera limitata cui si riferiva la illiceità delle coalizioni, il clima giuridico e politico era piuttosto ostile che favorevole agli aggruppamenti di imprese. Né ciò è contraddetto dal ricorso ai cartelli obbligatorî da parte degli stati (1906 consorzio obbligatorio dello zolfo in Italia, 1910 sindacato obbligatorio della potassa in Germania, altri cartelli obbligatorî in Ungheria, Polonia, Romania, ecc.), misure adottate di volta in volta e in via eccezionale per la difesa di particolari interessi. Solo in epoca relativamente recente si è superata la posizione ostile. Ciò si è verificato di conserva con l'abbandono pressoché totale della concezione liberistica dell'economia. Si è passati al riconoscimento della funzione dei cartelli. Il primo paese che si pose su questa via fu la Germania, la terra classica dei cartelli. Con la legge del 1923 ogni convenzione, che impone obblighi relativi alla produzione, alla vendita, alla fissazione del prezzo, all'applicazione di condizioni di vendita, esige la forma scritta ed è sottoposta al controllo del Ministro dell'economia e del Tribunale dei cartelli. Con tale legge si mira alla tutela dell'interesse pubblico e dell'interesse dei soggetti economici deboli, di fronte all'azione delle coalizioni. Criterio informatore non è già quello della repressione delle coalizioni, bensì quello tendente ad assicurare che queste spieghino adeguatamente la propria funzione. Le disposizioni successive lasciano intatto quel criterio, pur completando o modificando la legge del 1923. Sostanzialmente lo stesso criterio ispirava la legge sui cartelli emanata in Norvegia nel 1926. Tale mutamento ha avuto attuazione negli altri paesi più tardi e precisamente durante la depressione. L'inasprimento della concorrenza, dovuto alla crisi, da una parte ha fatto notevolmente aumentare il numero dei cartelli, dall'altra ha provocato un più vasto e profondo intervento statale. L'una e l'altra circostanza hanno affrettato il nuovo orientamento anche in altri paesi, mentre hanno fatto progredire la legislazione esistente in Germania e in Norvegia. Si sono avute così le varie legislazioni: in Ungheria nel 1931, in Bulgaria nel 1931, in Polonia nel 1933, in Cecoslovacchia nel 1933 in Iugoslavia nel 1934. In Romania, in Lettonia e in Lituania sono in uno stadio assai avanzato i lavori legislativi. D'altra parte in molti stati si è fatto ricorso in misura crescente ai cartelli obbligatorî: in Polonia, con la legge del 1932, in Germania con la legge del 1933, in Francia con la legge del 1935. In Inghilterra, di pari passo col progredire della concentrazione, si è venuta facendo strada la legislazione in favore degli accordi limitatori della concorrenza (Coal mines act del 1930, ecc.).
Nelle medesime linee di sviluppo s'inquadra il movimento legislativo italiano che si distacca però da quello degli altri paesi perché è coordinato con l'intero ordinamento corporativo. Con la legge 16 giugno 1932 si sancisce la validità dei cartelli volontarî e si garantisce il loro retto funzionamento con prescrizioni sulla pubblicità e sulla vigilanza su essi. Al tempo stesso si prevede la costituzione di consorzî obbligatorî in qualsiasi ramo di attività economica. Prima ancora di questa legge si era ricorso largamente in Italia ai consorzî obbligatorî (marmo di Carrara, 1927; essenza di bergamotto, 1930; produzione di riso, 1931; prodotti siderurgici, 1931) la cui formazione fu facilitata, talora sollecitata, sempre controllata dalla Confederazione dell'industria. L'impronta corporativa della legislazione italiana sui corsorzî si manifesta nella circostanza che, mentre lascia una larga zona d'influenza all'iniziativa privata, inserisce il controllo dei cartelli nei compiti dello stato e degli organi corporativi, onde risulti assicurata la disciplina unitaria e organica della produzione. Siffatta concezione ha avuto il suo coronamento con la legge 15 febbraio 1934 sulla costituzione delle corporazioni, che conferma e accresce alla corporazione il potere di elaborare le norme per il regolamento collettivo dei rapporti economici e per la disciplina unitaria della produzione, nonché il potere di stabilire le tariffe per le prestazioni e i servizi economici e quelle dei beni di consumo.
Negli Stati Uniti prevalse nel secolo XIX l'altra alternativa: la condanna delle coalizioni restrittive della concorrenza (Sherman act). Essa rimase in gran parte inefficace. Altrettanto inefficace fu l'azione della Federal Trade Commission, successivamente istituita. In pratica il divieto legislativo era stato largamente violato. Ma una breccia nella stessa muraglia legislativa si apriva col Webb Pomerane act (1919) e col Copper Volstead act (1922), che consentivano le coalizioni nelle industrie esportatrici e nell'agricoltura. L'abbandono totale dell'antico principio veniva poi provocato dalla crisi. L'imposizione dei "codici di leale concorrenza" del governo Roosevelt ha portato alla legalizzazione degli organismi limitatori della concorrenza. È difficile precisare se e fino a che punto il giudizio emanato sui provvedimenti Roosevelt dal punto di vista costituzionale possa determinare un passo indietro in questa materia.
Assai meno sviluppati sono la disciplina giuridica e il controllo statale dei gruppi, in parte perché questi sono di origine più recente dei cartelli, in parte perché i problemi giuridici a essi relativi si confondono con quelli delle società commerciali, che rappresentano la forma di cui di solito essi si rivestono. Rispetto a essi si pone il problema di evitare che, sotto il pretesto di dare luogo a un gruppo, si snaturi l'istituto della società, commerciale, facendolo servire a scopi illeciti o si mascherino abusi. In qualche paese sono state già adottate misure limitatrici della libertà di azione delle società controllanti e delle società controllate (Germania). In Italia, pur essendo entrata nella legislazione la nozione e la denominazione di società controllante e controllata, non è stato ancora affrontata dal legislatore l'organica disciplina giuridica della materia. Le proposte di riforma, avanzate da C. Vivante, per tutelare l'autonomia e il contenuto delle società e dirette a limitare l'impiego del capitale sociale nell'acquisto di partecipazioni (società a catena) e soprattutto quelle dirette a reprimere l'assurda situazione di società, che senza esercitare una propria attività, possiedono azioni di altre società ed emettano poi proprie azioni (società finanziarie), vanno approvate anche dal punto di vista economico. Lungi dall'ostacolare il soddisfacimento di esigenze della tecnica produttiva, esse varrebbero a eliminare manovre prettamente speculative che discreditano la formazione dei gruppi. La scienza giuridica italiana ha ormai ben visto i problemi che attendono sistemazione nella materia dei sindacati industriali. È ormai definitivamente superata la questione della liceità. Si approfondisce la natura del vincolo del cartello, a seconda che esista o no un organo accentratore (cartello e consorzio: Ascarelli); si ricerca un elemento che accomuni cartelli e gruppi (Salandra); si cerca di sceverare le formazioni fittizie di società da quelle reali nella costituzione dei gruppi (Dominedò); si precisano i rapporti fra società madre e società figlia (Messineo, Ferri), ecc. Non vi è dubbio che, con la collaborazione degli economisti e dei giuristi, si potrà relativamente presto pervenire alla sistemazione organica di queste forme nuovissime di organizzazione economica.
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