SINDBAD (Sindibād) il Marinaio
Eroe di un ciclo di racconti leggendarî di viaggi, che compaiono inclusi nella raccolta novellistica araba delle Mille e una notte (v.; notti 536-566 nelle edizioni egiziane e di Calcutta), ma originariamente dovettero esserne indipendenti. La cornice generale del racconto rappresenta un facchino nella Baghdād di Hārūn ar-Rashīd, il quale in un giorno di calura si sofferma, stanco dal carico, dinnanzi alla porta d'un sontuoso palazzo, e lì si lagna della sua sorte e della disuguaglianza delle fortune umane. Il padrone di casa, che si chiama come lui Sindibād, lo sente, lo fa entrare, lo rifocilla, e a lui e agli altri amici convitati prende a narrare in sette giorni consecutivi la storia dei sette suoi meravigliosi viaggi transmarini, dei disagi e dei pericoli in essi affrontati prima di raggiungere il tranquillo benessere di cui ora gode.
In ognuno di questi sette viaggi l'inizio e la fine sono quasi identici: S., ricco e irrequieto, è tentato dal demone dell'avventura, parte da al-Baṣrah con le sue mercanzie su una nave, la nave per tempesta o altro accidente naufraga, ed egli viene ben presto a trovarsi solo in un'isola. Superate volta a volta le avventure che gli occorrono, egli ritrova sempre una nave (che in un caso è quella stessa su cui si era imbarcato e che quella volta lo aveva dimenticato addormentato a terra), sulla quale, ricco dei beni trovati o guadagnatisi nella precedente avventura, fa ritorno ad al-Baṣrah e a Baghdād. Queste avventure sono tra le più svariate: nel primo viaggio egli vede le cavalle del re dell'isola, Mihragiān, esposte per essere coperte dal cavallo marino; nel secondo, si lega al grande uccello ar-Rukhkh e da esso è depositato nella valle dei diamanti, che gl'indigeni colgono lanciandovi dall'alto pezzi di carne fresca, raccolta poi e trasportata a volo dagli uccelli con i diamanti appiccicati; nel terzo, capita con alcuni compagni superstiti alla casa di un mostro monocolo che li cattura, ne divora alcuni, ed è poi da loro accecato; seguono altre avventure contro un serpente. Nel quarto viaggio, si trova nell'isola dei nudi, che dànno ai suoi compagni un cibo che rimbestialisce; salvato dai raccoglitori di pepe, è condotto al paese di questi, insegna al re l'arte di fabbricare le selle, sposa un'indigena, ma, premortagli la moglie, è calato vivo secondo l'uso del luogo in un sotterraneo pieno di cadaveri, donde riesce con uno stratagemma a fuggire. Nel quinto, cade in balia del veglio marino, che lo obbliga a portarlo in giro a cavalcioni sul suo collo, sinché S. non lo ubbriaca e lo uccide; raccolto da una nave, giunge all'isola delle scimmie dove si arricchisce con le noci di cocco. Il sesto viaggio lo porta all'isola dell'ambra, e, dopo una fortunosa traversata su un fiume sotterraneo, egli giunge a un re che lo onora e rimanda con doni al califfo Hārūn ar-Rashīd. Col settimo viaggio, infine, egli giunge su una zattera di legno di sandalo al paese di un mercante che gli dà in moglie la figliola, e con lei e con le ricchezze acquistate, dopo un volo mal finito con i demoniaci abitanti del luogo, s'imbarca definitivamente per la patria.
Due elementi chiaramente giustapposti contraddistinguono tutta questa materia: il primo e più vistoso è quello meraviglioso e romanzesco, a cui si devono ad es. le mirabilia dell'uccello ar-Rukhkh, del mostro antropofago, del veglio marino, degli uomini volanti; ma a questo se ne intreccia un altro, geografico, che dal meraviglioso è ricacciato nell'ombra, ma che l'indagine scientifica ha rimesso in valore: l'eco delle esperienze dei viaggiatori e commercianti musulmani dell'alto Medioevo, all'epoca della grande floridezza commerciale di al-Baṣrah, si ripercuote nelle notizie disseminate nei racconti, sui prodotti, i climi, i costumi dei paesi toccati da S.; questi, spogliati di tutto il contorno fantastico, sono abbastanza identificabili con territorî dell'Oceano Indiano, l'India stessa, Ceylon, forse l'Arcipelago Malese. Le notizie sulle spezie che ivi S. trova (il pepe, la cannella, l'aloe), le perle e l'ambra, quelle sull'uso della sepoltura dei vedovi e delle vedove, e altri numerosi accenni rispondono indubbiamente a osservazioni reali, sebbene sia arrischiato, oltre la generale localizzazione che abbiamo accennata, tentare sulla loro base più precise identificazioni. E del pari incerte permangono in molti punti le fonti della parte più propriamente fantastica, per quanto in alcuni casi, come in quello del mostro antropofago e del cibo che imbestia, i paralleli con la leggenda omerica siano sorprendenti, e abbiano fatto avanzare l'ipotesi molto ardita di una versione o rifacimento prosastico arabo dell'Odissea che qui il compilatore musulmano può avere utilizzato. Ciò che sembra assodato è che a base dei "viaggi di S.", quali noi possediamo, sia stata un'opera di storie e avventure marine, connesse principalmente con l'India e l'Oceano Indiano: le "meraviglie dell'India" (‛Agiā'ib al-Hind) raccolte sulla metà del sec. X d. C. dal capitano persiano di mare Buzurg ibn Shahriyār (il testo arabo di questo scritto è stato edito da P.A. v. d. Lith, Leida 1883, ed era già stato tradotto in francese da L.-M. Devic, Parigi 1878). Alcune delle "storie" contenute in quest'opera sarebbero poi state riprese, ingegnosamente rifuse e contaminate con altro materiale, e inquadrate nella cornice unitaria e nella divisione in sette viaggi verso il sec. XI o XII d. C. Non pare di poter arrivare più tardi di questa data, anche tenendo conto della lingua, che non è quella delle parti più popolareggianti e moderne delle Mille e una notte. Grazie all'abilità letteraria della composizione, che riesce quasi sempre a tener vivo l'interesse e in alcuni punti raggiunge vera efficacia drammatica, i viaggi di S. hanno goduto meritata fama in Oriente e in Occidente, dove furono fatti conoscere per la prima volta dalla traduzione francese.
Ediz. e traduz.: Oltre che in quelle complete delle Mille e una notte (per cui vedi la voce relativa), i viaggi sono stati anche stampati e tradotti a parte, soprattutto a uso scolastico; v. per es. l'ediz. di L. Machuel, Algeri 1920; e la trad. francese di È. Montet, Parigi 1930.
Bibl.: Quella sino ai primi anni del sec. XX, è registrata in V. Chauvin, Bibliographie des ouvrages arabes ou relatifs aux Arabes, ecc., VII, Liegi 1903, pp. 1-29. Vedi inoltre E. Littmann, nel vol. VI della sua versione delle Mille e una notte, Lipsia 1928, pp. 747-748; É. Montet, Le conte dans l'Orient musulman, 1930.