sineddoche
Tradizionalmente considerata un tropo, la sineddoche (dal gr. synekdokhḗ, da syn «con, insieme» e ekdékhomai «ricevo, prendo», che i latini traducono con conceptio, intellectio) è una figura retorica che consiste nel sovvertimento del significato proprio di una parola (o di un segmento discorsivo) in uno figurato, per effetto dell’estensione o riduzione del significato stesso a quello di un’altra parola, per via di inferenze di tipo quantitativo.
In altre parole, la sineddoche è un processo attraverso il quale una parola o segmento discorsivo ne sostituisce un altro per effetto di contiguità, cioè di vicinanza tra i due, in quanto esiste una relazione inferenziale che può essere loro assegnata sulla base di precise conoscenze enciclopediche.
Per questo, il tropo è spesso avvicinato e confuso con la ➔ metonimia, dalla quale invece si differenzia per il tipo di relazione, che nel caso della sineddoche è sostitutiva (non si tratta della relazione causa-effetto o contenente-contenuto, ma della relazione tutto-parte, specie-genere e singolare-plurale). Così in
(1) avere trenta primavere
(2) tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui (Dante, Par. XVII, 58-59)
(3) l’italiano ama le vacanze al mare
primavere sostituisce anni (relazione parte-tutto), pane sta al posto di cibo (relazione specie-genere) e l’italiano va inteso come gli italiani.
L’idea della sineddoche era stata colta dall’antichità classica quando, come nella pseudo-ciceroniana Retorica a Erennio, si traduce la parola greca con intellectio («comprensione») e si osserva: «la sineddoche si ha quando tutto l’oggetto si fa conoscere da una piccola parte, o la parte dal tutto» (IV, 33, 44). Cicerone nel De oratore (III, 62, 168) aggiunge l’idea dello scambio del singolare col plurale, nei quali casi «una parola va intesa non alla lettera ma a senso». Quintiliano nell’Institutio oratoria (VIII, 6, 19-20) allunga la lista, proponendo nel contempo acute osservazioni stilistiche relative all’uso della sineddoche, più libero nei poeti che nei prosatori:
la sineddoche può invece rendere vario il discorso così da farci comprendere più cose come una sola, il tutto con una parte, il genere con la specie, ciò che segue con ciò che precede, o tutto il contrario di questo, e il suo uso è più libero per i poeti che per gli oratori. La prosa, infatti, come potrà accettare “punta” al posto di spada e “tetto” al posto di casa, così non accetterà “poppa” al posto di nave né “abete” al posto di tavolette; e ancora, come accetterà “ferro” invece di spada, non così farà per “quadrupede” invece di cavallo.
Il medioevo riprese la nozione fissata dall’antichità, tendendo però a identificarla con la metonimia e a considerarla un caso specifico di sostituzione parte-tutto/tutto-parte, come nell’Ars versificatoria di Matteo di Vendôme (XI sec.; cfr. Faral 1962: 175-176). Così in ➔ Dante, dove la sineddoche si piega, al pari della metonimia, a particolari usi espressivi e metrico-ritmici:
(4) e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore
(Vita nova XXVI, 12-13)
dove labbia è sineddoche per volto (parte-tutto) e non metonimia (cosa che non si inquadrerebbe stilisticamente nelle scelte del sonetto).
Nella Commedia si ricorre spesso a sineddoche sconfinanti nella metonimia, ancora in riferimento al corpo umano: oltre a labbia, poppa «petto», barba «viso», fronte «capo», tempie «testa», gote «viso», ciglia «occhi», palme «le mani di Cristo».
Si inaugura così un particolare stile ‘sineddochico’ che ➔ Francesco Petrarca rende maturo soprattutto evocando Laura con continui riferimenti parte-tutto: «i capei d’oro», «oro i capelli», «i begli occhi», «la bella man», «il bel viso», «due trecce bionde», «fronte più che il ciel serena», «le faville», ecc.
La discussione sulla sineddoche si rianima a partire dagli inizi dell’Ottocento. Pierre Fontanier, nelle sue Figures du discours la definisce tropo «di connessione», tale che, formandosi un insieme del nome di un oggetto con quello di un altro, l’idea dell’uno evoca l’idea dell’altro perché vi è compreso (come quando si chiama il volto labbra). E la distingue in sineddoche della parte, del tutto, della materia (come ferro per spada), del numero (l’uomo per gli uomini), del genere (quadrupede per leone), della specie (le rose per tutti i fiori; i pini per tutti gli alberi), di astrazione (il cuore per il sentimento), dell’individuo (➔ antonomasia; Fontanier 1827).
Nel Novecento, per Lausberg (1969) la sineddoche consiste in «uno spostamento della denominazione della cosa che si intende sul piano del contenuto concettuale», secondo un processo in cui il significato si sposta secondo due direttrici specifiche:
(a) locus a maiore ad minus «dal più al meno»: il tutto per la parte; il genere per la specie; il plurale per il singolare; il prodotto finito per la materia grezza;
(b) locus a minore ad maius «dal meno al più»: la parte per il tutto; la specie per il genere; il singolare per il plurale.
Nell’ultimo quarto del Novecento, la discussione sulla distinzione tra metonimia e sineddoche si è rianimata intorno a fondamenti logici e semiotici (Eco 1984). Ad es., la differenza tra (5) e (6)
(5) bere una bottiglia [metonimia contenente-contenuto]
(6) bere uno champagne [sineddoche d’individuo]
si regge sulla differenza tra intensione (l’insieme di tratti che possono essere attribuiti a un’entità: la bottiglia è un contenitore per liquidi e quindi, se la si beve, si beve il liquido che contiene) ed estensione (l’insieme delle entità che hanno la stessa comprensione (se si beve champagne si beve un vino dalle particolari caratteristiche). Nel primo caso, la metonimia ‘sta per’ i caratteri che definiscono il nome (bottiglia sta per liquido); nel secondo, la sineddoche è ‘simbolo dei’ caratteri che sono inclusi nella denotazione del nome e possono essere estesi (Henry 1971).
Si distinguono di solito la sineddoche generalizzante, che procede dal più al meno, e la sineddoche particolarizzante, che procede dal meno al più. Il primo tipo indica il tropo che si esercita su un concetto più generale come simbolo del concetto che vi si può includere:
(a) il tutto per la parte: leggere la Commedia di Dante (per leggere pagine della …):
(7) sonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore (Eugenio Montale, “Corno inglese”, vv. 16-18)
(b) il genere per la specie: quadrupede; bipede; mortale;
(c) il plurale per il singolare: oggi è difficile trovare i Manzoni della letteratura;
(d) la materia per il prodotto: i sacri bronzi (per le campane); il ferro (per la spada).
Il secondo tipo si ha quando il concetto più particolare è simbolo di quello che lo include:
(a) la parte per il tutto: essere un asso del pedale [per della bicicletta]; tetto (per casa);
(b) la specie per il genere: dacci oggi il nostro pane quotidiano (per cibo);
(8) la peste [per malattia] colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie uniformi, confuse, senza principio né fine (Calvino 1993: 67)
(c) il singolare per il plurale: un profumo per la donna e l’uomo d’oggi (per donne e uomini);
(9) seguendo la moda la donna e anche l’uomo [per donne e uomini] si mettono nelle condizioni dei fachiri, cioè respingono il dolore (Ennio Flaiano 1988: 391; cfr. Mortara Garavelli 1993: 47)
Nell’italiano contemporaneo, la sineddoche sembra rivitalizzarsi, come altre figure retoriche, in funzione dei nuovi circuiti simbolici connessi alla società mediatica globalizzata.
Calvino, Italo (1993), Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondadori (1a ed. Milano, Garzanti, 1988).
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, a cura di F. Cancelli, in Id., Tutte le opere, Milano, Mondadori, 33 voll., vol. 32°.
Cicerone, Marco Tullio (1994), Dell’oratore, a cura di E. Narducci, Milano, Rizzoli.
Flaiano, Ennio (1988), Diario degli errori, in Id., Opere. Scritti postumi, introduzione di M. Corti & A. Longoni, Milano, Bompiani.
Fontanier, Pierre (1827), Des figures du discours autres que les tropes, Paris, Maire-Nyon (rist. Les figures du discours, Paris, Flammarion, 1971).
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Eco, Umberto (1984), Metafora e semiosi, in Id., Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, pp. 141-198.
Faral, Edmond (1962), Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle. Recherches et documents sur la technique littéraire du Moyen âge, Paris, Champion (1ª ed. 1924).
Henry, Albert (1971), Métonymie et métaphore, Paris, Klincksieck (trad. it. Metonimia e metafora, Torino, Einaudi, 1975).
Lausberg, Heinrich (1969), Elementi di retorica, Bologna, il Mulino (ed. orig. Elemente der literarischen Rhetorik, München, Max Hueber Verlag, 1949).
Mortara Garavelli, Bice (1993), Le figure retoriche. Effetti speciali della lingua, Milano, Bompiani.