sinestesia
La sinestesia (dal gr. sýn «con, assieme» e aisthánomai «percepisco, comprendo»; quindi «percepisco assieme») è un procedimento retorico (➔ retorica), per lo più con effetto metaforico (➔ metafora), che consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse.
In italiano, come in tutte le altre lingue europee, sono comuni espressioni o sintagmi basati su tale procedimento: in voce ruvida, profumo dolce, colore caldo, ad es., i due termini rinviano a sensazioni di tipo diverso come rispettivamente l’udito e il tatto, l’olfatto e il gusto, la vista e il tatto. Questi accostamenti creano un senso di straniamento, con un effetto tipico di figure retoriche non solo come la metafora ma, per certi aspetti, anche l’ossimoro (in quanto le parole risultano inconciliabili dal punto di vista sensoriale; Mortara Garavelli 199710).
Ben noto fin dall’antichità (Tempesti 1991), il fenomeno non era classificato tra i tecnicismi discorsivi ma rinviava a una specifica esperienza mentale di tipo multisensoriale, consistente nella capacità di interpretare una sensazione determinata in termini di una sensazione di altra fonte. Così, Pitagora associava numeri e suoni e Aristotele confrontava gusti, colori e suoni con il tatto. Le sinestesie si presentano con una certa ricorrenza in molti autori antichi come una variante della metafora: si pensi, ad es., ai tacita lumina (gli «sguardi silenziosi») di Virgilio.
La sinestesia penetra presto presso gli autori in lingua italiana. ➔ Dante ne fa largo uso fin dall’esordio del I canto della Commedia («mi ripegneva là dove il sol tace»: Inf. I, 60; «I’ venni in luogo d’ogni luce muto»: Inf. V, 28) per inserirle poi fittamente nel Paradiso. La tecnica è ben nota anche a ➔ Francesco Petrarca, ad es. nel celebre verso «Chiare, fresche et dolci acque» (Canz. CXXVI, 1), con l’aggettivo dolce ormai entrato saldamente nella pratica letteraria italiana (è infatti una sinestesia anche l’espressione dolce stil novo).
Perché la sinestesia diventi un artificio consapevole, occorre però attendere l’Ottocento e soprattutto l’insorgere di un nuovo modo di intendere la poesia, probabilmente sotto la spinta della musica romantica e della sua poetica. Così ➔ Ugo Foscolo si serve della sinestesia in toni classicheggianti e di riferimento petrarchesco: «mentr’io sentia dai crin d’oro commosse / spirar d’ambrosia l’aure innamorate» (“E tu nei carmi avrai perenne vita”, vv. 13-14).
La sinestesia è preminente in ➔ Giacomo Leopardi, ad es. nel primo verso de “La sera del dì di festa”, dove riprende l’aggettivo dolce («Dolce e chiara è la notte e senza vento»), o in molti altri canti con molteplici varianti, ora di stampo tradizionale e antico, ora più inedite e moderne («cieco il tuono / per le atri nubi»: “Alla primavera”, vv. 82-83; «sospiro acerbo dei provetti giorni»: “Il passero solitario”, v. 21; «d’affannosa / dolcezza palpitando»: “Il sogno”, vv. 82-83; «su la tacita aurora»: “La vita solitaria”, v. 57; «sussurrando al vento / i viali colorati»: “Le ricordanze”, vv. 15-16; «alle tacenti stelle»: “Aspasia”, v. 5; «gli oscuri / silenzi della tomba»: “Sopra un bassorilievo antico sepolcrale”, vv. 39-40; «corre il baglior della funerea lava»: “La ginestra”, v. 286).
Dopo l’esperienza simbolista di Charles Baudelaire (che elegge la sinestesia a tema centrale della sua poetica), la figura si inserisce stabilmente nella ricerca di ‘armonica corrispondenza’ dei poeti del secondo Ottocento e di inizio Novecento italiano.
➔ Giosuè Carducci («va l’aspro odor de i vini»: “San Martino”, v. 7), ➔ Giovanni Pascoli («La Chioccetta per l’aia azzurra / va col suo pigolio di stelle»: “Il gelsomino notturno”, vv. 15-16), ➔ Gabriele D’Annunzio («L’aspro vin di giovinezza brilla ed arde»: “Canto dell’ospite” VI, v. 5; «ne l’ombra i fonti parlano segreti; / rare sgorgan le stelle, ad una ad una»: “Hortus conclusus”, vv. 34-35; «Fresche le mie parole nella sera»: “La sera fiesolana”, v. 1; «La luce copre abissi di silenzio»: “Furit aestus”, v. 9; «In ogni sostanza si tace / la luce e il silenzio risplende»: “Undulna”, vv. 85-86) e Guido Gozzano («Odore d’ombra! Odore di passato!»: “La Signorina Felicita ovvero La Felicità” I, v. 28; «Bacio lunare, fra le nubi chiare», ivi, VII, v. 49) infittiscono le loro poesie di nuove forme sinestetiche sino a diventare per le avanguardie futuristiche (si pensi a Filippo Tommaso Marinetti) un dichiarato programma di poesia.
La lezione dei futuristi viene accolta in profondità da altre esperienze poetiche che ad essa si richiamano o che in qualche modo evocano, come in Enrico Cavacchioli («In questo bivacco crepuscolare, che riposa, / si sentirebbe cadere anche la luce di una stella»: “Bivacco”, in Cavalcando il sole, vv. 9-10), in Dino Campana («La grande luce mediterranea s’è fusa in pietra di cenere», “Genova”, in Canti orfici V, vv. 22-23) o in Arturo Onofri («Ecco il ritmo frenetico del sangue / quando gli azzurri tuonano a distesa», anepigrafe, in Terrestrità del sole, vv. 1-2).
➔ Eugenio Montale (Rosiello 1963) fa della sinestesia una tecnica privilegiata nella forma usuale dell’aggettivazione («Quanto, marine, queste fredde luci parlano a chi straziato vi fuggiva»: “Riviere”, in Ossi di seppia, vv. 38-39; «Le fumate / morbide che risalgono una valle»: “Notizie dall’Amiata, in Le occasioni, vv. 5-6), del sintagma con di («le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità»: “I limoni”, in Ossi di seppia, vv. 48-49; «Forse un mattino andando in un’aria di vetro»: anepigrafe, in Ossi di seppia, v. 1), della frase relativa («la mente indaga accorda disunisce / nel profumo che dilaga»: “I limoni”, in Ossi di seppia, vv. 31-32) o dell’intera frase («le tue parole iridavano come le scaglie / della triglia moribonda»: “Dora Markus”, in Le occasioni I, vv. 14-15; «Punge il suono d’una / giga crudele»: “Nel sonno”, in La bufera e altro, vv. 9-10).
La sinestesia entra così nell’esperienza ermetica e ne fanno uso sia Giuseppe Ungaretti («Da voi, pensosi innanzi tempo, / troppo presto / tutta la luce vana fu bevuta», “Memoria d’Ofelia d’Alba”, in Sentimento del tempo, vv. 1-2) sia Salvatore Quasimodo («all’urlo nero / della madre che andava incontro al figlio»: “Alle fronde dei salici”, in Con il piede straniero sopra il cuore, vv. 5-6).
Nel secondo dopoguerra la sinestesia si dispone al gusto provocatorio di una poesia descrittiva e sociale (come in ➔ Pier Paolo Pasolini: «Benché radi brillavano / i fanali di una luce stridula»: “Correvo nel crepuscolo fangoso”, in Poesie inedite, vv. 30-31; «prende a soffiare un’aria, lieve, disperata, / che incendia la pelle di dolcezza»: “Il pianto dell’escavatrice”, in Le ceneri di Gramsci IV, vv. 65-66) o intima e disperata (come in Amelia Rosselli: «la speranza è un danno forse definitivo / le monete risuonano crude / nel marmo della mano»: “I fiori vengono in dono e poi si dilatano”, in Documento, vv. 11-12).
Oggi, la sinestesia è incoraggiata dalle strumentazioni elettroniche che, collegando linguaggi diversi (ad es., visivo e auditivo), le offrono inedite possibilità di realizzazione: si pensi alla diffusa espressione ci sentiamo per e-mail.
Mortara Garavelli, Bice (199710), Manuale di retorica, Milano, Bompiani (1a ed. 1988).
Rosiello, Luigi (1963), Le sinestesie nell’opera di Montale, «Rendiconti» 7, pp. 1-19.
Tempesti, Anna Maria (1991), Sinestesia: storia del termine e della figura retorica, «Studi e ricerche dell’Istituto di civiltà classica, cristiana e medievale dell’Università di Genova» 8, pp. 131-176.