Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Spronati dall’esempio monumentale delle nove Sinfonie di Beethoven, i sinfonisti dell’Ottocento si impegnano in un altissimo sforzo tecnico. Da allora, sia che si risolvano in costruzioni puramente sonore, sia che aspirino alla rappresentazione poetica di un contenuto programmatico oppure che assumano movenze folkloriche a testimonianza di un’identità nazionale, le opere sinfoniche diventano più espressive, più ricche dal punto di vista strumentale, più complesse negli schemi formali, caricandosi di valori ideali sconosciuti alle sinfonie dell’epoca classica.
Premessa
Alcuni caratteri comuni contraddistinguono la produzione sinfonica europea del XIX secolo: l’impianto in più movimenti già reso stabile nella sinfonia classica, l’impiego di mezzi quasi esclusivamente strumentali e le dimensioni considerevoli delle singole composizioni.
La mancanza di rigore nella ricezione ottocentesca della sinfonia classica – dei suoi criteri formali e di scrittura musicale – e il confronto con le poetiche del romanticismo introducono nel genere sinfonico alcune situazioni nuove, codificate in nuove denominazioni. L’allentarsi della rigidità strutturale conduce a soluzioni in cui prevale il gusto dell’articolazione formale in parte svincolata dai canoni tradizionali, un gusto spesso reso esplicito dal titolo di “fantasia sinfonica” (è ad esempio il caso della Symphonie fantastique di Hector Berlioz e della Sinfonia n. 4 di Robert Schumann). La tendenza a drammatizzare la sequenza dei movimenti della sinfonia, o ad attribuire loro valenze poetiche dichiarate in titoli o in descrizioni letterarie, favorisce l’attestarsi della cosiddetta “sinfonia a programma” e, verso la metà del secolo, l’affermarsi del poema sinfonico. L’emergere di strumenti solisti (come ad esempio nell’Aroldo in Italia di Berlioz) fa pensare a un ritorno all’antica sinfonica concertante.
Mentre l’aggiunta di parti vocali, sul modello della Nona sinfonia di Beethoven, determina – soprattutto in Francia – il tipo dell’“ode-sinfonia”.
In generale, a una consistente riduzione nel numero di sinfonie prodotte da ogni autore (è macroscopica la distanza, mai più colmata, tra le più di 100 sinfonie di Haydn e le nove sinfonie di Beethoven) corrisponde un incremento di impegno compositivo, che si fa tangibile nell’estensione della durata delle singole opere, nella conseguente complessità di sviluppo tematico, nel progressivo ampliamento dell’orchestra e nell’acquisizione di nuove tecniche strumentali. Già nel 1804 la Terza sinfonia di Beethoven raggiunge dimensioni eccezionali, raramente superate nella produzione della prima metà del secolo. Sono però soprattutto alcuni lavori di Franz Liszt (la Faust-Symphonie e la Dante Symphonie) e le sinfonie di Anton Bruckner e di Gustav Mahler a toccare vertici assoluti di durata e complessità. A fronte del gigantismo sinfonico nel secondo Ottocento si manifesta talvolta anche la tendenza a scrivere composizioni brevi e per organico orchestrale ridotto (esemplari la Petite symphonie di Charles Gounod o la Sinfonietta su temi russi di Nikolaj Rimskij-Korsakov); nonché l’impulso a sfuggire gli sviluppi tematici più elaborati, rifugiandosi in soluzioni formali prossime a quelle dall’antica suite (ne è un esempio la sinfonia Antar dello stesso Rimskij-Korsakov).
Parallelamente alle dimensioni, la produzione sinfonica maggiore dell’Ottocento va sviluppando anche le risorse del mezzo orchestrale. L’orchestra delle sinfonie di Beethoven è la stessa delle ultime sinfonie di Haydn (archi; flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni e trombe a coppie per i fiati; timpani per le percussioni). Beethoven vi aggiunge in via eccezionale qualche strumento: un terzo corno nella Terza sinfonia; l’ottavino, il controfagotto e tre tromboni nella Quinta; e, oltre a questi, due corni supplementari, grancassa, piatti, triangolo, voci soliste e coro nella Nona.
L’orchestra romantica tipo si completa nella seconda metà del secolo, con la stabilizzazione dei tromboni nella sezione degli ottoni, la triplicazione delle parti dei legni, l’ampliamento delle percussioni (raddoppio dei timpani da due a quattro e uso abituale di grancassa, piatti e triangolo) e con il conseguente incremento del numero degli archi. A partire dai lavori di Berlioz e di Liszt, l’estensione delle risorse coloristiche dell’orchestra, il perfezionamento di alcuni strumenti, l’utilizzo di tecniche particolari coincidono con la scoperta del timbro come fattore determinante dell’opera musicale.
Sinfonia e sinfonia a programma
Il piano generale della sinfonia romantica non si discosta in modo sostanziale da quello in quattro movimenti della sinfonia classica, articolato nella successione allegro-adagio-minuetto-allegro. Le eccezioni di maggior rilievo sono date dalla sostituzione del minuetto con lo scherzo – operata da Beethoven a partire dalla Seconda sinfonia (1802) e divenuta in seguito abituale – e dal possibile scambio di posizione tra i due movimenti centrali. La maggior parte dei sinfonisti si attiene rigorosamente a questo schema, tra di essi Franz Schubert (che scrive le proprie sinfonie tra il 1813 e il 1828), Felix Mendelssohn (1824-1842), Johannes Brahms (1875-1885), Antonín Dvorák (1865-1893) e Anton Bruckner (1863-1896). L’alternativa più consistente, che discende dalla Sesta sinfonia Pastorale di Beethoven (1808), è quella della sinfonia in cinque movimenti: la si ritrova ad esempio nella Symphonie fantastique di Berlioz (1830), nella Sinfonia n. 3 Renana di Robert Schumann (1850), nella Sinfonia n. 3 di Pëtr Il’ic Čiajkovskij (1875), nella Sinfonia n. 2 di Mahler (1894).
Tipica della sinfonia romantica è invece la tendenza alla creazione di percorsi motivici che attraversano i singoli movimenti, così che l’opera acquista l’aspetto di un ciclo di brani dipendenti l’uno dall’altro. Schumann ricorre al procedimento ciclico in tre delle sue quattro Sinfonie (n. 2, n. 3 e n. 4), Brahms lo utilizza in due Sinfonie (n. 2 e n. 3), César Franck nell’unica sua Sinfonia (1888), Čiajkovskij nella Sinfonia n. 5 (1888). La Sinfonia n. 4 di Schumann (1841-1851), in quattro movimenti da eseguirsi senza soluzioni di continuità, è un esempio emblematico della propensione all’unificazione della sinfonia attorno a un numero discreto di nuclei tematici: uno discende dal tema dell’introduzione lenta e si estende al secondo movimento e allo scherzo; l’altro coinvolge il primo e l’ultimo movimento.
Un ulteriore fattore di sviluppo della forma sinfonica è dato dal rafforzarsi nella sinfonia ottocentesca della componente programmatica. Schumann collega la Sinfonia n. 1 all’idea poetica della primavera (1841), mentre Mendelssohn affida le proprie impressioni di viaggio alle Sinfonie n. 3 Scozzese (1842) e n. 4 Italiana (1833), con tanto di inserti musicali originali. Ma è soprattutto Berlioz con la Symphonie fantastique (1830) e la sua prosecuzione Lélio ou Le retour à la vie (1831) a schiudere alla sinfonia a programma potenzialità drammatiche fino ad allora inedite e a fissare il prototipo della sinfonia ispirata a racconti di carattere autobiografico. Spetta invece a Liszt creare un punto d’incontro tra sinfonia a programma e soggetti della letteratura universale con due lavori come la Faust-Symphonie (da Goethe, 1854) e la Dante-Symphonie (dalle prime due cantiche della Divina Commedia, 1856). Soprattutto nella Faust-Symphonie Liszt caratterizza i personaggi di Goethe con tali arditezze melodiche e tale originalità nell’organizzazione generale dell’opera da suscitare grande ammirazione nei contemporanei.
L’acquisizione alla sfera musicale di elementi nazionalistici (come ritmi e melodie tipici, procedimenti costruttivi o soggetti di tradizione popolare) è un’ulteriore occasione di sviluppo del genere sinfonico ottocentesco. In senso lato, radici nazionali si possono individuare anche nella sinfonia tedesca, tanto nello stile solenne, da chiesa, della Sinfonia della Riforma di Mendelssohn (1830) o della Renana di Schumann, quanto nell’impiego di motivi popolari di danza negli scherzi delle sinfonie di Bruckner e nell’importanza assunta dal canto popolare nelle prime sinfonie di Mahler. Ma quest’impostazione dà i frutti più consistenti nella sfera delle cosiddette scuole nazionali, in particolare boema e russa. Un’insolita commistione di elementi folklorici boemi e negro-americani si trova, ad esempio, nelle Sinfonie n. 8 (1889) e n. 9 Dal nuovo mondo (1893) di Dvorák. Mentre il sinfonismo russo ha i suoi punti di forza nelle tre Sinfonie di Aleksandr Borodin (1862-1887) e nelle Sinfonie n. 1 Sogni d’inverno (1866) e n. 2 Piccola Russia (1872) di Čiajkovskij.
Il poema sinfonico
La tendenza della sinfonia a programma a cercare ispirazione in soggetti di origine letteraria, pittorica, mitico-storica o naturalistica si realizza nel modo più completo nel poema sinfonico. Con questa denominazione a partire dalla metà del secolo viene designata una composizione sinfonica in un solo movimento, il cui svolgimento riflette liberamente gli intenti descrittivi dell’autore. L’antecedente più diretto del poema sinfonico è probabilmente l’ouverture da concerto, ossia una ouverture svincolata dalla funzione di introdurre un’opera o una rappresentazione drammatica. Ouvertures come il Sogno di una notte di mezza estate (da Shakespeare, 1826) e Le Ebridi (1833) di Mendelssohn, in quanto rappresentazione musicale essenziale di un’idea poetica, sottintendono ormai intenzioni prossime a quelle del poema sinfonico. Tanto che ancora Čiajkovskij usa il termine “ouverture” per designare brani a programma come Romeo e Giulietta (1869).
È però Liszt a dare avvio al genere del poema sinfonico nel periodo 1848-1849 con Ce qu’on entende sur la montagne (da Hugo) e Tasso, lamento e trionfo (da Byron). Lo stesso Liszt fissa i confini estetici del poema sinfonico nell’aspirazione romantica alla fusione delle arti: il nuovo genere deve essere il punto d’incontro privilegiato tra poesia e musica, e diventare quindi espressione di un’idea, piuttosto che pedissequa descrizione musicale di un programma letterario. Tra i poemi sinfonici di Liszt alcuni si ispirano ai poeti romantici francesi (Les préludes da Lamartine e Mazeppa da Hugo, 1854), altri a opere di Herder (Prometheus, 1855), Schiller (Die Ideale, 1857), Shakespeare (Hamlet, 1858), Nikolaus Lenau (Due episodi dal Faust, 1860).
Il modello lisztiano ha particolare fortuna fra i musicisti delle generazioni successive. Il boemo Bedrich Smetana se ne serve per cantare costumi, leggende ed epopea della sua terra nel ciclo di sei poemi sinfonici, riuniti sotto il titolo Ma Vlast (La mia patria, 1874-1879). In Russia il precedente lisztiano è ripreso con le opportune varianti nazionalistiche da Borodin (Nelle steppe dell’Asia centrale, 1880), Milij Balakirev (Tamara, 1883) e Rimskij-Korsakov (La grande Pasqua russa e Shéhérazade, dalle leggende delle Mille e una notte, 1888). In Francia il genere è coltivato soprattutto da Franck (con Les Eolides, 1876 e Il cacciatore maledetto, 1882) e da Camille Saint-Saëns (tra gli altri la celebre Danza macabra del 1874). Ed esemplari tardivi di poemi sinfonici concepiti secondo l’estetica romantica sono ancora quelli di Jan Sibelius, ispirati alle suggestive leggende finniche del ciclo del Kalevala: tra gli altri Una saga del 1892, Finlandia del 1906 e Tapiola del 1926.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento il genere del poema sinfonico raggiunge l’apice nella produzione di Richard Strauss, arricchendosi di volta in volta di sensuali fascinazioni sonore (Morte e trasfigurazione, 1894), di tratti giocosi (I tiri burloni Till Eulenspiegel, 1895), di implicazioni filosofiche (Così parlò Zarathustra, da Nietzsche, 1896). Brani come Don Juan (1888, da Lenau) e Don Quixote (1897, ispirato ad alcune vicende dell’eroe di Cervantes), per la ricchezza della scrittura orchestrale, la raffinata invenzione motivica e la complessità dell’elaborazione formale illustrano al massimo livello le conquiste del sinfonismo ottocentesco.