SINGARA (Singara, Σιγγάρα, τὰ Σίγγαρα)
Città della Mesopotamia, oggi Balad Sinǧar o Sinǧar nell'Iraq settentrionale, il cui nome compare in alcune fonti sin dal periodo tardo-assiro. E ubicata sulle falde meridionali del massiccio del Ǧebel Sinǧar. In età romana S. viene ricordata per la prima volta da Plinio (Nat. hist., v, 86) come capitale di una tribù araba, i Praetavi, non altrimenti nota. Conquistata temporaneamente nel 115 da Lusio Quieto (Dio Cass., LXVIII, 22, 2) e forse in occasione della spedizione di Lucio Vero, essa ebbe sicuramente con Settimio Severo una guarnigione stabile costituita da due legioni: la I Flavia e la I Parthica. La posizione lungo la principale direttrice tra il Tigri e l'Occidente, al crocevia con la strada più breve per Nisibis (cfr. i miliari di Traiano e Alessandro Severo rinvenuti nei pressi), rese S. un nodo cruciale del limes orientale. A causa di tale importanza strategica, la città, insignita in un periodo non esattamente precisabile del titolo di colonia Aurelia Septimia (batté comunque moneta sotto Gordiano III), fu a lungo oggetto di assedi e ripetutamente espugnata (Amm. Marc., XIX, 2, 8; 10, 9; XX, 6, 9). Nel 360 S. fu conquistata da Šābuhr II e gli abitanti e i soldati che la difendevano furono deportati in Persia (ibid., XX, 6, 1-9); tre anni dopo fu definitivamente ceduta ai Persiani (ibid., XXV, 7, 9). Successivamente essa conservò il carattere di città fortificata di confine: conquistata per un breve periodo da Maurizio nel 578 (Theophilus Sim., III, 16, 2), è ricordata per l'ultima volta nelle fonti bizantine come sede della famiglia di Khosrow II durante la rivolta di Bahrām Čubin nel 589-590 (Theophilus Sim., V, 4, I).
L'unica testimonianza nota è il circuito murario, in parte restaurato, ma di cui rimangono identificabili il percorso e alcuni tratti della fase più antica, ancora di datazione incerta per l'assenza di scavi estesi, ma probabilmente ascrivibile all'età severiana o dioclezianea.
Degli altri edifici antichi della città non rimane alcuna evidenza, anche per la continuità di vita del sito, il quale conobbe un periodo particolarmente florido tra il XII e il XIII sec. d.C.
Le fortificazioni racchiudono una stretta valle per una superficie complessiva di 17 ha, attraversata centralmente da un corso d'acqua a regime torrentizio; l'approvvigionamento idrico era comunque garantito da una sorgente perenne ubicata nell'area occidentale della città. Le mura, precedute da un fossato largo c.a m 15 e profondo c.a m 3, sono realizzate in opera cementizia con paramento in blocchi regolari di calcare dallo spessore complessivo superiore a m 3. Il circuito murario era movimentato da torri isolate, dalla pianta a forma di ferro di cavallo e alte almeno due piani, ubicate a distanza regolare (c.a m 80); a queste se ne aggiungevano due coppie dalla forma analoga, che sorvegliavano le uniche due porte note della città.
Bibl.: F. H. Weissbach, in RE, III, A, 1, 1927, cc. 232-233, s.v.; A Roman Milestone from Sinjar, in Sumer, VIII, 1952, p. 229; D. Oates, Studies in the Ancient History of Northern Iraq, Londra 1968, pp. 97-106; J. Lander, Roman Stone Fortifications (BAR, Int. S. 206), Oxford 1984, p. 226; S. Gregory, D. Kennedy, Sir Aurel Stein's Limes Report (BAR, Int. S. 272), I, Oxford 1985, pp. 6-21; D. Kennedy, D. Riley, Rome's Desert Frontier from the Air, Londra 1990, pp. 125-131.
(M Spanu)