SINGOLARITÀ
. Nella matematica un ente si dice singolare, in relazione a qualche suo carattere, quando questo non competa alla totalità (o alla maggioranza) degli enti della classe cui l'ente considerato è supposto appartenere (anche se tale appartenenza sia in qualche modo sottintesa).
Singolarità, in questo senso, si presentano principalmente per le funzioni di una o più variabili, e quindi per le curve, particolarmente le algebriche (o per le superficie e le varietà a più dimensioni). La considerazione delle singolarità delle funzioni trova, di solito, volta a volta, il suo posto naturale nello studio delle funzioni stesse: pertanto qui se ne discorrerà brevemente, dando invece più spazio alle singolarità delle curve (che più facilmente capita di incontrare) e dedicando qualche rapido cenno alle singolarità delle superficie.
1. Quando si considerano le funzioni (di una variabile) conviene distinguere le funzioni analitiche (o di variabile complessa) dalle funzioni di variabile reale (v. funzione), e analoga distinzione converrà fare parlando delle relative singolarità. Si parlerà qui delle singolarità delle funzioni di variabile complessa, che hanno la massima importanza per lo studio (successivo) delle singolarità delle curve algebriche; le singolarità delle funzioni di variabile reale (per quello che si potrà dirne in questo articolo) figureranno in una con le singolarità delle curve reali loro immagini.
Per parlare, nel modo più chiaro, di punti singolari, occorre ricordare la definizione di funzione analitica secondo Weierstrass, di suo elemento e di relativa continuazione analitica (v. funzione, n. 33). Si consideri una serie di potenze, di x − α, che converga in un certo cerchio (di convergenza) di centro α e di raggio (di convergenza) ρ. Entro questo cerchio si ha allora la funzione di x
Se β è un punto interno al detto cerchio, la y (x) può essere sviluppata anche secondo le potenze di x − β. Poiché il nuovo cerchio di convergenza può uscire (e, nei casi comuni, esce) dal cerchio primitivo, il secondo sviluppo, nella nuova regione, costituisce un prolungamento analitico del primo. Così si può procedere, e prolungare la funzione, inizialmente data, lungo una linea, partente dal punto α, sulla quale si possono immaginare disposti (più o meno vicini) i successivi centri α, β, γ, . . . dei varî sviluppi. Tutti gli sviluppi, che in tal modo si possono ottenere, costituiscono, nel loro insieme, la funzione analitica, di cui essi sono gli elementi: in un punto x la funzione analitica ammette come valori quelli che risultano dai suoi possibili sviluppi in serie, cioè quelli che sono assunti dai suoi elementi. Pertanto la funzione risulterà polidroma o monodroma secondo che sia possibile ritornare a un punto α, lungo una linea chiusa l, pervenendo a un prolungamento analitico diverso o no dall'elemento di partenza. Quando la linea l sia obbligata a restare entro un'area A, potremo parlare di funzione polidroma o monodroma entro l'area stessa.
Per giustificare la definizione riferita si aggiunga che tutte le funzioni abituali sono funzioni analitiche nel senso di Weierstrass.
Si consideri ora una linea l che parta dal punto α, in relazione al quale è dato un primo elemento della funzione, y = Σan (x−α)n; e si supponga che il prolungamento analitico dell'elemento, fatto lungo la l, si arresti a un punto σ: noi diremo che questo punto σ è singolare per l'elemento dato lungo la linea data.
Lasciando poi da parte il particolare elemento di partenza e la particolare linea lungo cui si fa il prolungamento analitico, diremo che il punto σ considerato è singolare per la funzione.
I punti singolari possono essere isolati, oppure essere punti limiti (v. insieme) di altri punti singolari, riuscendo talvolta a formare delle intere linee, tutte di punti singolari. Nei casi abituali, di cui solo ci occuperemo, si presentano però punti singolari isolati, o punti limiti di un aggregato numerabile di punti singolari. Di quest'ultimo tipo è, ad es., il punto x = o per la funzione
Un particolare riguardo si deve avere per il punto x = ∞. Risulta infatti chiaro che non è possibile ottenere per una funzione uno sviluppo procedente per le potenze di x − ∞. D'altra parte è comodo considerare le funzioni rispetto al gruppo delle trasformazioni proiettive sull'una o sull'altra variabile, x o y: pertanto si dice che il punto x = ∞ è regolare e singolare (per un certo elemento) secondo che sia tale il punto x′ = o per l'elemento stesso concepito come funzione della variabile x′ = 1/x. Potendosi così portare il punto all'infinito in un punto al finito, di questi soli ci occuperemo.
2. Nello studio delle funzioni di variabile complessa i punti singolari hanno la massima importanza, specie perché la loro natura e la loro distribuzione valgono a caratterizzare la funzione e anche a definirla numericamente. Pertanto occorre classificare i punti singolari.
I punti singolari si sogliono distinguere in tre tipi: poli, punti critici o di diramazione, punti singolari essenziali.
Si chiama polo un punto che sia singolare per la y (x) ma non per la inversa y′ = 1/y. Se x = α è un polo, esiste un esponente intero e positivo r tale che la y • (x − α)r sia regolare in α. Questo numero r si dice ordine del polo.
La distinzione dei residui punti singolari in punti critici e punti singolari essenziali, è legata direttamente al concetto di prolungamento analitico. Si consideri un punto singolare α, e sia y1 = Σan (x−β)n un elemento della funzione analitica definito in relazione a un centro β collocato in un intorno di α che escluda altri punti singolari. Si faccia ora descrivere a β un cammino chiuso l che avvolga α, ad es. una circonferenza di raggio abbastanza piccolo. Se questo cammino l muta l'elemento o ramo y1 in un altro y2 = Σbn (x−β)n diverso dal precedente, allora diciamo che il punto α è punto di diramazione, o punto critico.
Si aggiunga che i punti di diramazione si distinguono in punti algebrici e non algebrici: si dice che un punto di diramazione è algebrico quando un giro chiuso intorno ad esso porti un ramo, y1, successivamente in un numero finito, ν, di rami, per modo che nel suo intorno si ha una funzione polidroma a ν determinazioni. Ad es., il punto x = 0 è di diramazione algebrica per la funzione y = √x, che nel suo intorno assume i due valori corrispondenti ai due segni del radicale, mentre non è di diramazione algebrica per la funzione y = log x, in quanto ogni giro intorno ad esso aumenta il logaritmo di 2 πi.
Se un punto α è critico algebrico, a ν determinazioni, si possono considerare le funzioni simmetriche elementari (somme, somme dei prodotti a coppie, somme dei prodotti a terne, . . .prodotto di tutti) dei ν rami, le quali risultano funzioni uniformi, regolari in α, qualora non si sovrapponga un polo o una singolarità essenziale.
In sostanza, dunque, si dice che un punto singolare è un polo quando la relativa singolarità si può eliminare moltiplicando per una potenza (intera e positiva) di x − α, e che è un punto critico algebrico, quando la singolarità si può eliminare con un procedimento di uniformizzazione, consistente nel prendere le funzioni simmetriche; nei casi residui si dice che il punto è singolare essenziale, non essendo eliminabile con i procedimenti elementari indicati.
Naturalmente può accadere che le varie specie di singolarità vengano a sovrapporsi: ad es., per la funzione y = 1/√x lo zero è a un tempo polo e punto critico algebrico.
Si noti che, mentre in un punto regolare è finita tanto la funzione quanto qualsiasi sua derivata, nei punti singolari qualcuna delle derivate manca o è infinita.
Ciò premesso, le funzioni risultano caratterizzate dalle loro singolarità in base ai seguenti teoremi: una funzione, definita in tutto il piano della variabile complessa x, che non abbia punti singolari, è una costante; una funzione, che abbia solo singolarità polari, è una funzione razionale, il cui ordine uguaglia la somma degli ordini dei poli; una funzione che abbia un solo polo all'infinito, è un polinomio; una funzione razionale è definita, a meno di una costante moltiplicativa, dai suoi zeri e dai suoi poli; una funzione dotata soltanto di singolarità polari e di punti critici algebrici è una funzione algebrica, cioè è legata alla x da un'equazione algebrica
dove f è simbolo di polinomio.
A meglio chiarire la portata di questo ultimo teorema, si aggiunga che poli e punti critici devono essere in numero finito, in quanto sussiste quest'altro teorema: se un punto è punto limite di punti singolari, esso è punto singolare essenziale.
3. Mentre nell'intorno di un punto regolare, x = α, una funzione y (x) ammette lo sviluppo in serie di potenze di x − α, un tale sviluppo viene meno per l'intorno di un punto singolare. Tuttavia resta qualcosa di analogo. Anzitutto nell'intorno di un punto singolare isolato, interno a un campo di monodromia, la funzione y (x) ammette uno sviluppo, detto del Laurent (v.), procedente per le potenze positive e negative di x−α, cioè del tipo
Nel caso particolare che il punto sia un polo d'ordine r, allora i termini di esponente negativo restano in numero finito, e il massimo loro esponente dà l'ordine del polo. Il complesso dei termini negativi dà la caratteristica del polo, per modo che due funzioni che abbiano lo stesso polo con la stessa caratteristica dànno, per differenza, una funzione regolare (nel punto α).
Nell'intorno di un punto critico algebrico, ove un ramo della y (x) venga permutato (ciclicamente) con altri ν − 1 rami della funzione stessa, è possibile rappresentare il complesso di tutti questi ν rami mediante un unico sviluppo (del Puiseux) procedente per le potenze intere (e positive) di (x − α)l/ν, per modo che resta definito un ramo, superlineare, d'ordine ν.
A questo proposito si noti che una funzione algebrica y (x) definita da una equazione algebrica f (x, y) = 0 di genere p (v. curve, n. 6), nella quale y figuri al grado n, ammette, in generale, 2 n + 2 p − 2 punti critici, di diramazione d'ordine 2, che sono le ascisse dei punti di contatto delle tangenti che alla curva, rappresentata da quell'equazione, si possono condurre parallelamente all'asse y. Fra queste tangenti vanno incluse anche le rette che passino per eventuali cuspidi (ordinarie) della f. Se la detta tangente è a contatto bipunto, allora si ha un ramo del secondo ordine, se invece si ha una tangente di flesso (a contatto tripunto) allora si ha un ramo del terzo ordine; in generale un ramo d'ordine ν proviene da una tangente che abbia un contatto ν − punto, e il relativo punto critico conta per ν − 1 nel gruppp dei 2 n + 2 p − 2 punti critici accennati.
4. I punti singolari, qualunque sia la loro natura, hanno la proprietà di definire il cerchio di convergenza di ogni elemento Σan (x − α)n della funzione, relativo a un punto α regolare, giacché sul contorno di un tale cerchio esiste sempre almeno un punto singolare. Il raggio di convergenza è dunque la distanza, dal centro α, del prossimo punto singolare.
5. Da un altro punto di vista si differenziano nettamente i punti singolari essenziali dagli altri punti singolari, siano essi poli o punti critici algebrici. In un polo la funzione ha un valore ben determinato, sia pur esso il valore ∞, tanto che la funzione inversa 1/y ha il valore, ben determinato, 0, per modo che quando si tende al polo, in qualunque direzione, si ha un limite unico e definito per la funzione. Anche in un punto critico algebrico si ha un valore determinato per la funzione; anzi questo valore è finito (in generale) ed è lo stesso per due o più elementi della funzione. Invece quando la x tenda a un punto α singolare essenziale, il valore y (x) può tendere a valori diversi, secondo il cammino seguito per giungere ad α; e precisamente sussiste il seguente teorema del Picard: Nell'intorno di un punto singolare essenziale (isolato come tale) una funzione monodroma y (x) assume qualunque valore finito o infinito, con esclusione al massimo di due valori.
Esempio caratteristico è offerto dal punto all'infinito per le funzioni ellittiche, che sono doppiamente periodiche (v. funzione, n. 46): nell'intorno di questo punto all'infinito cadono infinite maglie della rete dei parallelogrammi dei periodi e, poiché in ogni maglia la funzione assume qualunque valore, si verifica il teorema.
6. Per lo studio delle singolarità delle curve conviene cominciare dalle singolarità delle curve algebriche, luogo dei punti del piano le cui coordinate (cartesiane) x e y soddisfano un'equazione algebrica
dove f è un polinomio di un certo grado n:
Generalmente i coefficienti aik sono numeri reali, e si intende considerare i valori reali di x e y che soddisfano la (1), risultando così la curva f un qualche cosa di effettivamente disegnabile come una linea; ma talvolta conviene anche considerare valori complessi, passando nel campo proprio dell'algebra (e della teoria delle funzioni): quello che allora si perde di visibilità diretta si guadagna ampiamente in semplicità e chiarezza di concetti.
L'equazione f (x, y) = 0 definisce la y come funzione analitica polidroma di x, y = y (x), il cui numero di determinazioni uguaglia il grado con cui y figura nella f, grado che è sempre minore o uguale all'ordine della curva f. Se P è un punto generico della curva f (cioè ad esclusione al massimo di un numero finito di punti) allora capita che il ramo della curva passante per P definisce un elemento della suddetta funzione analitica y (x), in quanto il ramo stesso può essere rappresentato mediante uno sviluppo in serie (di Taylor)
che, arrestato ai primi m + 1 termini, offre una curva (parabola d'ordine m) che rappresenta il ramo di curva con una approssimazione tanto maggiore quanto è maggiore m. Per m = 1 si ha la tangente.
Un tale sviluppo si ha sempre per quei punti per cui sia ∂f/∂y ≠ 0. Ma anche per i punti, in cui risulta ∂f/∂y = 0, l'eccezione è, il più delle volte, solo apparente, perché si tratta di punti regolarissimi per la curva, ma in cui la tangente è parallela all'asse delle y; e basta allora scambiare gli assi di riferimento. Ma ciò non riesce a nessun vantaggio se, nel punto P, è anche ∂f/∂x = 0.
Si dice dunque singolare un punto della curva f, per cui accada che si annullino contemporaneamente le due derivate parziali, sia rispetto ad x che rispetto ad y.
Il possedere un punto singolare è una singolarità per la curva f, nel senso che, presi in modo generico i coefficienti della relativa equazione, si ha una curva sprovvista di punti siffatti; si hanno invece singolarità quando si abbia una curva generale rispetto alla sua classe, cioè quando si scriva fra le coordinate plückeriane u e v delle rette del piano (v. coordinate, n. 19), un'equazione, algebrica con coefficienti generici F (u, v) = 0 e si calcoli poi l'equazione f (x, y) = 0 della curva inviluppata dalle rette soddisfacenti alla F = 0.
Quando si voglia procedere ad uno studio dei punti singolari, conviene supporre un tale punto collocato nell'origine delle coordinate. Riprendendo allora l'equazione della f nella sua forma
si ha che il passaggio di f per l'origine O porta anzitutto che sia a00 = 0; inoltre l'annullamento (in O) delle derivate parziali ∂f/∂x = 0, ∂f/∂y = 0, porta che sia anche a10 = a0 = 0, cioè, complessivamente, l'equazione della curva f deve cominciare con i termini di secondo grado. Se nell'equazione di f i primi termini (effettivamente esistenti) hanno il grado r, allora accade che le rette generiche y = mx (passanti per O) hanno, nel punto singolare O, r intersezioni riunite: un tale punto si dice r-plo ("erruplo"). I punti singolari più semplici sono quelli per cui r ha il minimo valore, cioè r = 2. Da questi punti doppî conviene cominciare.
7. Nello studio di un punto r-plo (collocato nell'origine) ha la massima importanza il complesso dei termini di grado più basso (r), che, uguagliato a zero, dà un gruppo di r rette (per O) dette tangenti principali, o brevemente tangenti, che hanno, con la curva data, r + 1 (almeno) intersezioni riunite nell'origine, mentre ogni altra retta ne ha solo r.
Consideriamo in particolare il caso dei punti doppî: allora i coefficienti angolari m delle tangenti sono le radici dell'equazione
Secondo che il discriminante di questa equazione è positivo, nullo o negativo, il punto singolare prende il nome di nodo, cuspide, punto isolato: segniamo qui sotto la figura delle tre singolarità relativa alle tre cubiche
Per il nodo la curva passa due volte con due rami; nella cuspide si ha che il movimento descrittore della curva si inverte di senso (la cuspide si chiama, talvolta, alla francese, punto di regresso); nel punto isolato accade che la curva passa doppiamente con due rami immaginarî (coniugati) che hanno come unico punto reale l'origine. Si noti che l'annullamento del discriminante porta, in generale, che la curva abbia una cuspide propriamente detta; ma in casi particolari si possono presentare complicazioni ulteriori che alterano completamente la forma della curva nell'intorno del punto. Capita certo una cuspide quando l'unica tangente principale definita dalla (4) dà una retta che ha con la curva non più di tre intersezioni riunite in O.
Punti doppî (e non più che doppî) sorgono generalmente in un punto generico P di una superficie, quando questa si seghi col piano tangente in P: e si ha ivi un punto isolato nel caso, che risponde alla più comune esperienza, in cui la superficie nell'intorno del punto di contatto sia tutta da una parte del piano tangente (come accade con una sfera); negli altri casi si ha nodo o cuspide. I tre casi si presentano su una superficie di rotazione generata da una curva che presenti verso l'asse di rotazione tanto concavità quanto convessità: per un punto in cui la linea generatrice presenta concavità si ha la sezione con punto isolato; in un punto in cui la detta linea presenti convessità si ha un nodo; in un punto intermedio di passaggio, in cui la curva generatrice ha un flesso, si ha per la sezione una cuspide.
Le singolarità indicate si considerano come le singolarità elementari per le curve algebriche, e vale la pena di esaminarle un po' meglio dal punto di vista funzionale. Si è già detto che nell'intorno di un suo punto regolare una curva algebrica è rappresentabile mediante uno sviluppo in serie di Taylor. Qualcosa di analogo accade anche per l'intorno di un punto doppio. Precisamente, nell'intorno di un nodo i due rami della curva sono rappresentabili mediante una coppia di sviluppi in serie di Taylor; invece nell'intorno di una cuspide un tale sviluppo è impossibile (in quanto la relativa ascissa è un punto critico di diramazione per la funzione algebrica definita dalla curva); tuttavia è possibile rappresentare ancora la curva nell'intorno della cuspide mediante uno sviluppo in serie, che risulta unico ma procede per le potenze di x½ (sviluppo del Puiseux).
8. Le singolarità delle curve hanno importanza per la valutazione delle loro intersezioni, e per quella dei cosiddetti caratteri plückeriani, cioè il numero delle tangenti alla curva uscenti da un punto generico del suo piano (classe della curva) e il numero dei flessi.
Ora un punto doppio assorbe due intersezioni della f con una curva ϕ che vi passi semplicemente, con tangente diversa dalle tangenti principali, e ne assorbe 4 se anche la ϕ ha un punto doppio, con tangenti principali diverse da quelle della f.
Indicati poi con n, m, d, k, i, rispettivamente l'ordine della f, la classe, il numero dei punti doppî (non cuspidi) quello delle cuspidi e quello dei flessi, si ha (v. curve, n. 6)
Si noti che una trasformazione per dualità, quale ad esempio è data dalla polarità rispetto a una conica, muta l'ordine nella classe, un punto doppio a tangenti distinte in una tangente doppia, con punti di contatto reali e distinti o immaginari secondo che si tratti di un nodo o di un punto isolato, e muta una cuspide in un flesso. Pertanto accanto alle formule indicate valgono anche le formule duali.
9. Quando - pur restando nel campo algebrico - si considerino singolarità più complesse delle singolarità elementari, si possono avere due intendimenti diversi. Anzitutto quello di eliminare tali singolarità complesse, nel senso che si desidera trasformare la curva f in un'altra a essa equivalente (rispetto al gruppo delle trasformazioni birazionali delle curve o rispetto a quello, più ristretto, delle trasformazioni birazionali dello spazio ambiente; v. geometria, n. 34) che sia sprovvista di singolarità, o, almeno, dotata di singolarità di un determinato tipo; in secondo luogo per conoscere le singolarità in loro stesse.
Col primo intendimento lo studio delle singolarità delle curve piane è presto esaurito; sussistono infatti i teoremi seguenti: Data una qualunque curva piana (algebrica) C, esiste sempre (nel nostro spazio tridimensionale) una curva sghemba K, a essa birazionalmente identica, sprovvista di punti singolari (cioè tali da dare per proiezione, da centri generici, punti singolari). Anzi la curva data C può essere considerata come la proiezione della K da un punto dello spazio per cui non passino infinite corde di K. Data la C, esiste sempre una C′, pure piana, a essa birazionalmente identica, dotata solo di punti doppî a tangenti distinte (la C′ è la proiezione della K da un punto generico dello spazio). Data la C, esiste sempre una trasformazione cremoniana (cioè birazionale) del piano che trasforma la C in una C′, dotata solo di punti multipli a tangenti distinte.
La considerazione delle trasformazioni cremoniane, e più precisamente delle trasformazioni quadratiche che ne generano il gruppo, permette anche lo studio delle singolarità dal secondo punto di vista, cioè lo studio della loro costituzione intima. Una trasformazione quadratica che abbia come fondamentale (isolato) un punto O, trasforma il suo intorno in una retta o, in modo che due curve passanti per O con una stessa tangente, dànno luogo a due curve passanti per un medesimo punto di o; perciò tale trasformazione rende proprî i punti che siano infinitamente vicini a O nell'intorno del prim'ordine (punti caratterizzati dal rapporto dei differenziali primi, dx e dy). Ora, un punto multiplo O, che non sia a tangenti distinte, può avere nel suo intorno del prim'ordine altri punti multipli, che diventano punti multipli proprî mediante una trasformazione quadratica. Ed anche questi punti possono avere nel loro intorno altri punti multipli, e così via.
La circostanza essenziale è che l'applicazione successiva delle trasformazioni quadratiche scioglie effettivamente la singolarità, in quanto da un punto multiplo non può sorgere che un numero finito di punti multipli provenienti dal suo intorno o dagli intorni dei punti multipli così successivamente ottenuti. Così una singolarità in generale appare come costituita da un insieme di punti multipli infinitamente vicini; e questi punti infinitamente vicini hanno una effettiva esistenza (analoga all'esistenza dei punti improprî per la geometria proiettiva): sono individuabili mediante coordinate, la loro esistenza è traducibile in condizioni differenziali, si comportano come punti multipli proprî, nel senso che un certo punto che sia multiplo per due curve, f e ψ, rispettivamente secondo r e secondo s, assorbe r•s delle loro intersezioni, così quando tale punto sia proprio, come quando questo punto sia infinitamente vicino a un punto proprio.
L'esempio più elementare di una singolarità costituita da punti multipli infinitamente vicini è offerta dal tacnodo, punto doppio cui è infinitamente vicino un altro punto doppio. Presenta un tacnodo nell'origine la curva
che, nell'intorno dell'origine, può essere approssimata dalla coppia di parabole y = x2, e y = − x2, entrambe tangenti all'asse delle x, che così dà la direzione del secondo punto doppio. Si ha, in generale, un tacnodo quando il punto doppio abbia le due tangenti coincidenti in una unica retta a contatto quadripunto (in questo senso il tacnodo risulta come un caso particolare della cuspide, pur differendone in modo essenziale da moltissimi punti di vista).
Mentre la trasformazione quadratica dà un mezzo, essenzialmente geometrico, per l'analisi delle singolarità, altri procedimenti esistono, per raggiungere lo stesso scopo, di carattere più analitico. I fatti essenziali, in questo ordine di idee, sono riuniti nel seguente teorema. Sia l'origine O un punto r-plo per la curva f. Quando x tende a zero, esistono r valori di y che tendono pure a zero (supposti gli assi orientati in modo generico). Ora se, entro il piano della variabile complessa x, il valore x descrive un cerchio entro il quale x = o sia unico punto non regolare, allora per questo giro gli r valori di y sopra considerati si permutano secondo una certa sostituzione, che si decompone in cicli (di un solo elemento per quei valori che tornano in loro stessi), i cui ordini dànno per somma r. Se un ciclo ha l'ordine ν, allora i ν valori di y che lo compongono costituiscono un ramo d'ordine ν, rappresentabile mediante uno sviluppo in serie di Puiseux procedente per le potenze di xl/ν. Nel caso particolare in cui sia ν = 1, si hanno rami lineari rappresentabili con sviluppi del Taylor.
Un punto r-plo a tangenti distinte dà luogo ad r rami lineari.
Dallo sviluppo di ciascun ramo (superlineare) si deducono le molteplicità dei suoi punti successivi; un punto poi avrà per la curva la molteplicità somma di quelle che a esso spetta in relazione ai singoli rami (lineari o superlineari) che lo contengano.
Ora si noti che la determinazione dei singoli rami, lineari o superlineari, con cui una curva data f passa per un suo punto singolare, O, si ottiene effettivamente con relativa semplicità, e in modo elementare, in base all'analisi dei coefficienti dei primi termini del polinomio f, con un procedimento dovuto a Newton, e perfezionato dal Cramer, che qui però non è possibile indicare.
10. Le cose dette per le curve algebriche hanno valore assai più generale di quel che non appaia per la restrizione della algebricità: infatti ogni curva definibile mediante un legame analitico F (x, y) = 0, ove F indica una funzione analitica regolare in un certo campo, può nell'intorno di un suo punto, a meno di infinitesimi di un ordine grande quanto si voglia, essere sostituita da una curva algebrica approssimante, che, a meno degli infinitesimi fissati, ha lo stesso comportamento della data.
Vanno, infine, ricordati per le curve reali, alcuni altri tipi di singolarità notevoli.
Punti angolosi: si hanno ove sia continua la curva ma discontinua la tangente. Tale è l'origine per la curva
avendosi che il limite di y/x è uguale a o oppure a −1, secondo che x tende a zero per valori positivi o negativi.
Punti d'arresto: si hanno quando un ramo di curva si arresta senza proseguire oltre. Tale è l'origine per la curva
Punti asintotici: si hanno quando la curva tenda a un tale punto facendo intorno ad esso infiniti giri. Tale è, in eoordinate polari, il polo (ρ = 0) per la spirale
11. Quando si passa dalle singolarità delle curve a quelle delle superficie, occorre fare una distinzione fondamentale fra punti singolari isolati e punti singolari costituenti intere linee. Naturalmente un punto appare come singolare per una superficie quando sia tale per ciascuna sezione piana che lo contenga; la qual cosa, in un certo senso, riduce le singolarità delle superficie a quelle delle curve piane. Ma si noti che la singolarità non può essere definita attraverso quello che accade per una sezione generica.
Fra i punti singolari isolati più notevoli si hanno i punti conici, nel cui intorno la superficie si presenta appunto come un cono. Precisamente se un punto conico è doppio, esso ammette un cono tangente del secondo ordine; se esso invece è r-plo, allora il cono tangente, che approssima la superficie nell'intorno, è un cono d'ordine r, che dal punto proietta una curva piana d'ordine r. Punti singolari per questa curva piana dànno luogo a ulteriori singolarità del punto conico.
Fra le linee singolari, luogo di punti singolari, meritano speciale considerazione la linea doppia, luogo di punti che sono doppî per sezioni generiche, e la linea cuspidale, luogo di punti che sono cuspidi per le sezioni generiche.
Per una curva doppia la superficie passa con due falde distinte; per una linea cuspidale essa passa con una falda unica, ma non lineare.
Tutte le superficie algebriche rigate (v. retta; superficie), appena il loro ordine sia maggiore di 2 (e non siano coni) ammettono una linea doppia, eventualmente cuspidale. In particolare la rigata costituita dalle tangenti a una curva gobba, ha tale curva come linea cuspidale.
Naturalmente sulle linee singolari di una superficie si possono presentare punti singolari che hanno una singolarità più complessa di quella che si presenta per i punti generici: così sopra una curva doppia, a falde distinte, si trovano, in generale, dei punti cuspidali, in cui si ha un solo piano tangente (anziché due) e le sezioni per tale punto presentano una cuspide, anziché un punto doppio a tangenti distinte.
La curva doppia presenta spesso dei punti tripli, per cui essa passa tre volte, e che sono tripli anche per la superficie.
Una superficie può anche presentare delle curve doppie (o multiple) infinitesime: ad esempio esistono dei punti doppî, tali che le sezioni per essi presentano un tacnodo; essi devono essere concepiti come un punto doppio, cui sia infinitamente vicina una curva doppia infinitesima, luogo dei secondi punti doppî che si trovano su ciascuna sezione piana.
Non è qui possibile entrare in ulteriori sviluppi per le singolarità delle superficie e, tanto meno, per le varietà pluridimensionali, che possono solo interessare il matematico che sia anche specialista dell'argomento.
Bibl.: Per le singolarità delle funzioni, v. la bibliografia della voce funzione; per le singolarità delle curve: F. Enriques e O. Chisini, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni, ecc., II-III, Bologna 1918-1923.