DORIA, Sinibaldo
Nacque a Genova il 21 sett. 1664 da Giovan Battista e Benedetta Spinola. Sin da adolescente fu avviato alla carriera ecclesiastica: già nel 1677 gli fu data in beneficio l'abbazia di S. Fruttuoso di Capodimonte (promontorio di Portofino). Fu inviato a Roma a studiare al Collegio Romano, da dove si trasferì per laurearsi dottore utriusque iuris all'università di Siena nel 1688.
Ritornato a Roma, divenne referendario di entrambe le Segnature nella Curia di Alessandro VIII (1690), che nello stesso anno lo designò vicegovernatore di Tivoli. Qui divenne governatore sotto Innocenzo XII e dovette fronteggiare nel 1691 una pestilenza proveniente da Napoli. La buona amministrazione di Tivoli e l'accortezza mostrata nelle difficili circostanze dell'epidemia valsero al D. la nomea di amministratore coscienzioso. Divenne così in rapida successione governatore di Fano, vicelegato di Ferrara, governatore di Montalto, quindi di Ascoli e infine di Macerata. Nel 1706 fu designato vicelegato di Avignone: un importante passo in avanti nella sua carriera, ma anche un incarico molto difficile a causa della guerra di successione spagnola.
Il viaggio alla volta di Avignone fu lungo e difficile. Nel settembre 1706 il D. era a Genova, dove fu raggiunto dalle istruzioni del cardinale F. Paolucci; il 6 novembre era ad Avignone. I compiti del D. prevedevano la riorganizzazione amministrativa della città e del Contado Venassino e la trasmissione di notizie e plichi segreti da Parigi e dalla Spagna. 1 due compiti furono eseguiti con molta difficoltà: le vicende di guerra interrompevano continuamente i contatti con Roma e il vicelegato era spesso affidato al suo solo buon senso.
Sul piano interno il D., che era a capo della giustizia, delle finanze e dell'amministrazione del Contado Venassino, doveva in primo luogo riorganizzare il tribunale, l'ospedale e l'arsenale di Avignone, nonché interessarsi dello stato dell'archivio (che egli trovò "roso dai topi", come si legge nella sua relazione del 1711, Legazione di Avignone 84, cc. 7-15) e delle designazioni alle varie cariche. Di fatto l'estrema povertà, dovuta alla guerra, costrinse il vicelegato ad agire con circospezione, anche per la contrapposizione fra Avignone e il Contado e per le pressioni francesi.
In particolare i rapporti con la Francia non erano dei migliori: nel Contado Venassino erano in aumento i delitti contro le persone e il patrimonio e i vicini intendenti francesi accusavano il D. di ospitare e tollerare ladri e soprattutto falsari (ibid. 83, cc. 397 s.). Le lamentele degli intendenti e le proteste del D. erano solo uno degli aspetti delle tensioni con la Francia. Luigi XIV gravava i mercanti di Avignone con dazi e gabelle: nel 1707 furono obbligati a portare le loro stoffe in Linguadoca, nel 1708 furono raddoppiati i dazi sui trasporti fluviali, nel 1711 fu imposta una nuova gabella sulle stoffe. Inoltre il D. non riuscì a risolvere le questioni di confine sul fiume Durance, nonostante i continui richiami da Roma, che temeva minacciati i propri privilegi sul trasporto di merci (ibid. 179, c. 234). Infine la Francia presentava la minaccia di "contagio" calvinista, specie a partire dalla vicina Montpellier.
Sul piano esterno il D. fu coinvolto in tutti gli aspetti della guerra: suo compito precipuo era la stesura di una relazione possibilmente mensile delle vicende in terra di Francia (con particolare attenzione all'assedio di Tolone del 1707) e l'ospitalità di prelati in movimento da e verso la Spagna. Quest'ultima attività gli procurò anche alcuni fastidi con la Francia, che accusò Benedetto Sala, vescovo di Barcellona e ospite del D., di diffondere in Spagna informazioni riservate (ibid. 83, cc. 390 s.). Soprattutto il D. dovette interessarsi, nell'estate del 1708, della leva di 3.000 soldati adeguatamente armati da inviare in Romagna.
La Francia e l'arcivescovo di Avignone non gradivano assolutamente questa leva, temendo diserzioni e susseguenti saccheggi. Inoltre, quando infine il D. riuscì a sormontare l'opposizione locale e a raccogliere gli uomini, dovette risolvere il problema della spedizione di queste truppe. Per intercessione del nunzio in Francia ottenne infine che gli uomini fossero imbarcati a Marsiglia su quattro galere pontificie e alcune navi francesi. La spedizione fu intercettata dalla flotta inglese, che catturò una nave e 100 soldati, e ostacolata dal mal tempo: due navi dovettero rifugiarsi a Genova e a Savona. Nel settembre 1708 solamente 500 soldati riuscirono a sbarcare a Civitavecchia; gran parte degli altri era di nuovo ad Avignone nel gennaio 1709 in attesa di essere congedata. Nel frattempo il D. si trovava con un arsenale fornitissimo (almeno 2.000 spade e 2.000 fucili), oberato di debiti e con un crescente scontento interno: la S. Sede avrebbe voluto infatti far saldare i debiti al Contado Venassino, mentre i rappresentanti di questo volevano che fossero pagati dalla città di Avignone.
Su questa situazione già tesa si innestarono le continue piene del Rodano (nel marzo 1711 Avignone rimase isolata per otto giorni) e una assoluta penuria di grani fra il 1709 e il 1710- In un primo tempo il D. cercò di acquistare cereali in Francia, spendendo nel 1709 parte del bilancio del 1710, ma gli intendenti francesi bloccarono ben presto ogni possibilità di acquisto. Non restava che l'attesa spasmodica di soccorsi da Roma: un primo convoglio arrivò nel luglio 1709, quando già erano scoppiate alcune sommosse, un secondo fu intercettato dalla flotta inglese. Quando la carestia ebbe termine nell'aprile 1710, si lasciò dietro una pesante eredità di morte ed epidemie, diffuse in tutto il Meridione della Francia. Agli inizi del 1711 il tono delle lettere del D. alla segreteria di Stato si fece molto duro: la città e il Contado erano stremati ed oberati di debiti; non si poteva richiedere loro alcunché, al contrario era necessario un solido aiuto romano. Il 15 luglio 1711 il D. seppe di essere stato nominato commendatore dell'ospedale di S. Spirito in Roma e di dover rientrare. Nell'agosto lasciava la città di Avignone.
Rientrato in Roma, fu ordinato suddiacono, diacono e presbitero nell'ottobrenovembre 1711 e promosso vescovo di Patrasso il 18 dicembre, con concessione di mantenere i benefici dell'abbazia di S. Fruttuoso e di S. Maria da Gallinara (Albenga). Da questo momento l'attività del D. fu tutta romana, sin quasi alla sua morte.
Nel 1721 divenne maestro di Camera di Innocenzo XIII. Ebbe una momentanea eclisse sotto Benedetto XIII, che tuttavia lo fece consultore del S. Offizio e datario della Penitenzeria. Raggiunse il massimo della sua influenza sotto Clemente XII: maestro di Camera del nuovo pontefice (1730), ottenne la porpora cardinalizia il 24 sett. 1731 con il titolo di S. Girolamo degli Schiavoni e fu ascritto alle congregazioni del Sacro Concilio, dei Vescovi e dei Regolari, della Fabbrica di S. Pietro.
Nel frattempo era stato spostato all'arcidiocesi di Benevento (1731) per normalizzare lo stato diocesano dopo le malversazioni del cardinale Niccolò Coscia; ma questi, fuggito a Napoli, gli sobillò contro la popolazione. La città di Napoli inviò proteste scritte alla corte imperiale, alla quale si rivolse anche il Giannone, come narra nella sua autobiografia, per lamentare l'invio di un arcivescovo "forestiere". A Benevento scoppiò una sommossa e dalla cattedrale furono tolti gli stemmi del D.: di fronte al continuare dell'agitazione, Roma mandò delle truppe in soccorso dell'arcivescovo. Infine il Coscia fu arrestato, gli animi calmati, ma il D. non riuscì a godere lungamente dello stato di pace: morì a Benevento il 2 dic. 1733 dopo ventisei mesi di turbolento governo diocesano.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Processus Datariae 88, ff. 83-85; Ibid., Segreto di Stato, Legazione di Avignone 80-84, 170, 179-80; Ibid., Lettere di cardinali, voll. 90A, 91; Ibid., Nunziatura di Francia 219-20; Prima diocesana synodus sanctae Beneventanae Ecclesiae ab ill.mo et rev.mo ... D. Sinibaldo ab Auria archiepiscopo, Beneventi 1731; Secunda diocesana synodus sanctae Beneventanae Ecclesiae ab ill.mo et rev.mo ... D. Sinibaldo ab Auria archiepiscopo, Beneventi 1732; P. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, a cura di S. Bertelli, Milano 1960, pp. 185-90; M. Guarnacci, Vitae et res gestae pontificum Romanorum..., II, Romae 1751, cc. 633-36; L. Cardella, Memorie stor. dei cardinali di S.R.C., VIII, Roma 1794, pp. 253 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, III, Venezia 1845, pp. 132 s.; [V. Pacifici], Tivoli dal 1595 al 1744 nella storia di F. A. Lolli, in Atti e mem. della Società tiburtina di storia e d'arte, VIII (1928), p. 332; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, p. 717; H. Kramer, Habsburg und Roma in den Jahren 1708-1709, Innsbruck 1936, pp. 47-50; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica ..., V, Patavii 1952, p. 309; VI, ibid. 1958, p. 6; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-eccle s., XIX, p. 218; F. Petrucci, Coscia, Niccolò, in Diz. biogr. degli italiani, XXX, Roma 1984, pp. 6-12.