FIESCHI, Sinibaldo
Ultimogenito di Gian Luigi il Vecchio del ramo di Torriglia della potente famiglia ligure, conte di Lavagna, principe di Valditaro, e di Caterina Del Carretto dei marchesi del Finale, nacque probabilmente a Genova attorno al 1485.
Ereditò nel 1520 tutti i marchesati, i feudi, i privilegi (tra cui quello di conte palatino e quello di batter moneta) che erano stati prima del padre e poi, in rapida successione, dei fratelli maggiori, Girolamo (morto nel 1513) e Scipione (morto nel 1520). Un altro fratello Ottobono, aveva abbracciato la carriera ecclesiastica ed era vescovo di Mondovì.
Prima del 1512 il F. non appare se non occasionalmente con precoce funzione di rappresentanza, data l'importanza della sua famiglia e il ruolo guida del padre, capo della nobiltà vecchia ed arbitro nel giuoco delle fazioni e delle alleanze nella Genova della fine del sec. XIV e dell'inizio del XVI.
Il primo incarico personale del F. fu una ambasceria al pontefice Giulio II alla fine del 1512. Infatti, in seguito alla decisione di restaurare il governo dei Medici in Firenze presa dal congresso di Mantova, il papa aveva chiesto a Genova, tramite Nicolò Doria, pronti accordi con la nuova Signoria fiorentina. L'8 novembre furono scelti i quattro ambasciatori, con equilibrata rappresentanza delle fazioni e dei gruppi di potere nella Genova del momento: col F. erano Luigi Fregoso (della famiglia dell'allora doge Giano), Giovan Battista Doria e Quilico Cavallo.
Le istruzioni, consegnate agli ambasciatori il 25 novembre, contenevano due punti: la piena disponibilità di Genova all'accordo con Firenze e, come contropartita, la richiesta di aiuti papali alla città, impegnata nell'assedio della Lanterna, più consistenti delle cinque galee già inviate, inadeguate contro probabili rinforzi francesi. Dato l'orientamento filofrancese dei Fieschi, la presenza del F. in una ambasceria con simile richiesta appare decisamente ambigua, tanto da suggerire piuttosto una funzione di controllo sulla situazione internazionale e sulle posizioni delle singole parti in causa, affidata al F. da parte della famiglia e del clan piuttosto che una posizione dissonante del F.: anche se forse proprio queste esperienze maturarono in lui una concezione meno feudale e più moderna della politica, fatta di diplomazia e di mediazioni piuttosto che di esercizio della forza e dei privilegi, e preparavano il grande politico e l'equilibrato mediatore degli anni a venire.
Nell'immediato, tuttavia, dopo il ritorno da Roma nel febbraio 1513, il F. era incalzato da altri eventi familiari e costretto a rispondere con violenza alla violenza. Nella primavera 1513 la notizia della nuova discesa di Luigi XII in Italia provocò a Genova tensioni e timori: il doge Giano Fregoso sospettava, non senza motivo, accordi segreti del Fieschi e degli Adorno col re. Dopo una animata seduta in palazzo pubblico, Girolamo Fieschi fu assalito e ucciso dai fratelli del doge. Il F. e il fratello Ottobono lasciarono precipitosamente la città e si diressero verso Castelletto d'Orba per unirsi agli Adorno, mentre gli avversari sottoponevano a saccheggio il loro palazzo. Il giorno successivo il F. e Ottobono rientravano vittoriosi in città insieme agli Adorno, appoggiati dal mare dall'arrivo della flotta francese.
La morte di Girolamo fu vendicata con la cattura e la pubblica esecuzione di Zaccaria Fregoso fratello del doge; il nuovo doge Antoniotto Adorno emanò immediatamente un editto per il recupero dei beni sottratti dal palazzo di via Lata. Il dogato di Antoniotto Adorno e la rivalsa dei Fieschi furono però di brevissima durata: la sconfitta francese di Novara il 6 giugno 1513 consentiva il ritorno di Ottaviano Fregoso, sostenuto dalla Spagna.
Insieme col fratello Ottobono e con gli Adorno, il F., a capo di molti uomini, nella notte tra il 16 e il 17 giugno lasciava Genova per il castello di Montoggio, operando una scelta caldeggiata anche da molti esponenti della sua fazione per evitare un nuovo conflitto civile, di fronte alla riconosciuta superiorità delle forze avversarie. Nel mese successivo il F. affiancò il fratello Scipione nella battaglia di Compiano contro il conte di Lando, che pretendeva competenze giuridiche sulla cittadina appenninica di Varese Ligure, possesso dei Fieschi.
Dopo la morte di Scipione avvenuta all'inizio del 1520 in Massa, il F., rimasto l'unico figlio vivente di Gian Luigi, insieme col vescovo Ottobono, raccolse tutte le eredità, in feudi e cariche, che erano state del padre e dei fratelli: signore, dunque, di uno dei più grandi Stati feudali d'Italia, che andava da Genova a La Spezia spingendosi nell'entroterra appenninico oltre i confini attuali della Liguria, con migliaia di sudditi, da cui attingeva milizie fedeli e ben addestrate. Era inoltre proprietario di castelli e fortezze dotati di una invidiabile artiglieria e del palazzo di Genova, dominante la città dalla collina di Carignano che, già regale all'epoca di Gian Luigi, il F. provvide a difendere, ingrandire ed impreziosire ulteriormente, nonché a dotare di una splendida biblioteca, affidata al dotto amico umanista P. Pansa, ospite fisso del suo mecenatismo e poi pedagogo dei figli. Aveva prestigiosamente sposato la nipote di papa Sisto IV, Maria di Bartolomeo Grosso Della Rovere, la quale gli diede numerosa figliolanza, che il F. estenderà con due figli naturali: Camillo, da Clementina di Torriglia, e Giulio. In queste condizioni di potenza e prestigio, il F. non poteva certo abdicare al ruolo cui storia cittadina, epopea familiare, formazione personale lo destinavano, tanto più in un momento in cui il modificarsi dello scenario europeo veniva a coinvolgere inevitabilmente Genova.
Dopo l'elezione imperiale di Carlo V e lo scoppio del conflitto franco-asburgico Carlo V e Leone X, alleati, progettarono la riconquista di Milano e di Genova con l'aiuto dei fuorusciti. Nel maggio 1522, occupata Milano e sconfitti i Francesi alla Bicocca, due eserciti spagnoli puntarono su Genova, affiancati dagli Adorno e dai Fieschi: accanto a Ferdinando Francesco d'Avalos, lungo la Val Polcevera, scendeva Gerolamo Adorno e accanto a Prospero Colonna, lungo la Val Bisagno, il F. con il fratello Ottobono. Dopo l'inutile tentativo di Ottaviano Fregoso di trattare la resa, il 30 maggio 1522 la città fu presa e sottoposta a memorabile saccheggio, distinguendosi in esso per ferocia i montanari dei Fieschi, senza che la flotta di Andrea Doria, preposta dal Fregoso alla difesa dal mare, potesse intervenire.
Ma l'elezione ducale di Antoniotto (II) Adorno, voluta dalla Spagna e accettata dal F., non riuscì a garantire autonomia alla città, umiliata dal sacco subito e dal prepotente ambasciatore spagnolo Lope de Soria, che esercitava di fatto il potere. E certo il F. non dovette gradire, dopo tutto il sostegno personale fornito alla Spagna, di dover ricorrere ad insistenze e alla mediazione del governo cittadino per ottenere da Carlo V la ratifica dei suoi privilegi feudali: infatti, nelle istruzioni del 25 luglio 1523 a Martino Centurione, inviato a Carlo V per chiedere aiuti per la città prostrata dal saccheggio e la conferma dei privilegi genovesi, il doge Adorno e il Senato raccomandarono la pratica del F., che, "benché sia persona tale che non bisognassi di nostro suffragio" (Ciasca, p. 93), aveva lasciato capire l'opportunità della sollecitazione. La ratifica avvenne poi in tutti i termini richiesti e con dichiarazioni di grande riconoscenza al F. da parte di Carlo V.
Negli anni seguenti, dopo che la pace del 1526 sembrava aver assicurato a Genova una maggiore indipendenza, la Lega di Cognac, voluta da Clemente VII per controbilanciare il troppo invadente potere imperiale, riportò la città al centro del conflitto, anche se in un campo di alleanze internazionali mutate. Dopo l'attacco dei Francesi per terra e per mare (con Andrea Doria in quel momento assentista di galee di Francia), il 19 ag. 1527 Cesare Fregoso entrava in città e costringeva alla resa Antoniotto Adorno, ultimo doge "perpetuo".Il F. si oppose con tanta autorità alla nomina ducale del Fregoso che Francesco I optò per la nomina a governatore del milanese Teodoro Trivulzio. Sembra che il consiglio sia venuto da Andrea Doria: ma certo il F. condivideva la scelta, poiché il Trivulzio era da tempo legato ai Fieschi.
Proprio da questa scelta comune sembra iniziare il sodalizio tra i due uomini più insigni di Genova in questo momento, anche se il F. rappresentava in certo senso il passato e il Doria il futuro, come si verrà precisando nei mesi e negli anni immediatamente successivi. Sarà infatti il Doria il geniale e fortunato protagonista dell'ennesimo, ma definitivo, cambio di fronte di Genova.
L'accordo col F. funzionò perfettamente: mentre il Doria, il 9 sett. 1528, si presentava con la flotta davanti a Genova, il F. faceva scendere dai castelli di Montoggio e dell'Appennino, i contingenti armati dei suoi montanari, che il 13 settembre si impadronivano della città. Subito dopo, il Doria per mare ed il F. via terra, attaccavano Savona che, debolmente difesa dalla guarnigione francese, fu costretta alla resa e alla definitiva sottomissione. Ritornato a Genova, il Doria continuò ad avere nel F. il più autorevole e fido collaboratore anche nella delicata gestione della politica interna, volta a delineare la nuova costituzione: quella riforma delle leggi del 1528, sulla quale si sarebbe fondata la Repubblica aristocratica genovese fino alla sua fine.
I Dodici riformatori della leggi, incaricati di stendere il testo sul modello di quello già avviato nel 1527 dal precedente magistrato di Balia, quasi a sancire il riconoscimento del binomio del Doria e del F. al vertice dello Stato, riconobbero loro un ruolo di garanti del nuovo ordinamento attraverso la nomina a sindacatori perpetui ed altri privilegi (esenzioni fiscali, pensioni annue, seggi dominanti in Senato).
In tal modo il F. vedeva trasformato in elemento di stabilità del regime quel potere personale di cui i Fieschi avevano sempre goduto: e se una studiatissima gradualità degli onori privilegiava il Doria, del ruolo comprimario del F. fanno fede le due ambascerie a lui affidate come plenipontenziario della Repubblica nel corso del 1529: la prima, il 3 marzo, a Carlo V, per l'istituzione appunto della nuova Repubblica e per ottenere la conferma dei privilegi genovesi, nonché rifornimenti di grani di Sicilia e aiuti finanziari (e, nella circostanza, il F. fu trattenuto fino a luglio a Barcellona e ricoperto di onori dallo stesso Carlo V); la seconda, l'11 dicembre, a Bologna, per firmare la lega con Clemente VII e Carlo V.
Il trattato di alleanza fu firmato dal F. il 23 dicembre; ma poi, sempre come plenipotenziario della Repubblica, dovette sottoporre all'imperatore l'indisponibiltà economica di Genova, "esausta e in pubblico e in privato" (come recita l'istruzione affidatagli), a qualsiasi concorso in spese di guerra. Inoltre il F. doveva ottenere da Carlo V il riconoscimento della giurisdizione di Genova su Novi, Ovada, Gavi e Voltaggio e la rinuncia del duca di Milano Francesco Sforza a qualsiasi pretesa di signoria su Genova, nonché il diritto dei Genovesi a negoziare in tutto lo Stato di Milano.
Anche dopo il ritorno del F. a Genova, nel gennaio 1530, la formula binominale di garanzia offerta dal Doria e da lui alla nuova Repubblica dell'"unione" resse ottimamente, nonostante gli inevitabili malumori dei nobili aggregati negli "alberghi" e, sopra tutto, degli esclusi: tanto che il Doria, alla morte di F., avvenuta a Genova tra la fine del 1531 e prima del 15 febbr. 1532, l'avrebbe riprodotta con Adamo Centurione.
In quel palazzo - da dove, defunto, ricoperto di panni d'oro, era stato trasferito in duomo per ricevervi esequie regali - lasciava la moglie e sette ancor giovanissimi figli, affidati all'educazione degli amici umanisti; figli trascinati, tutti i maschi tranne uno, a morte tragica e precoce dalla congiura di Gian Luigi. Le tre femmine, Camilla, Caterina e Claudia, avrebbero sposato rispettivamente Nicolò Doria di Gerolamo, Baldassare Cibo e Battista Fieschi fu Andrea; dei quattro maschi, Gian Luigi, Girolamo, Ottobono, Scipione, morti i primi tre nella congiura o per conseguenza della stessa (Girolamo decapitato nel castello di Montoggio, dove si era arreso dopo quaranta giorni di assedio, e Ottobono cinque anni dopo catturato a Porto Ercole e ucciso) sopravvisse solo Scipione: trasferitosi in Francia senza essere riuscito a recuperare se non in minima parte i beni familiari, sposò Alfonsina di Roberto Strozzi e continuò la discendenza del F. fino alle soglie del sec. XVIII.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civica Berio, m r CF bis 2, 6 (giàD bis 4, 3, 14): P. De Franchi, Orationes; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, ad Indicem; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi,a cura di R. Ciasca,Roma 1951, I, pp. 85,93, 107 ss., 117-122; F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova [1646], pp. 88 s., 122-127; I.Bonfadio, Annali della Rep. di Genova, Brescia 1759, pp. 67, 73, 75, 107; N.Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1833, III, p. 6; A.Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1854, II, p. 696; M. G. Canale, Nuova storia della Repubblica di Genova, Firenze 1864, pp. 363 ss.;L. Staffetti, Il Libro di ricordi della famiglia Cybo, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, XXXVIII (1910), pp. 69, 266, 273, 315; C.Bornate, La visita di Ludovico Sforza a Genova, Novara 1919, p.18;Id., I Fieschi commendatari dell'abbazia di Sannazzaro Sesia, in Arch. d. Soc. vercellese di st. e arte, XI (1920), p. 17; V.Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, LXIII (1934), 4, p. 160; C.Costantini, La Repubblica di Genova, Torino 1978, pp. 16, 18, 37-40; E.Grendi, A. Doria uomo del Rinascimento, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, XCIII (1979), 1, pp. 103, 112.