Sinistra
Nello spazio politico della competizione elettorale, del posizionamento parlamentare e dell'autocollocazione dei cittadini, la s. esiste e si contrappone in maniera sufficientemente chiara alla destra in tutti i regimi politici. Più complesso è, invece, il discorso sulle caratteristiche distintive della sinistra. Gli studiosi francesi hanno classicamente contrapposto l'ordine della destra al movimento della s., la conservazione della destra al cambiamento della sinistra. Sono criteri che G. Sartori definisce vaghi e troppo relativistici. Una volta esposte le tre stipulazioni a fondamento della s., "primo, che partiti ed elettori marxisti sono di sinistra per definizione; secondo, che dove non esistono partiti del genere possiamo fare ricorso a un criterio supplementare, cioè la discriminazione a favore dei meno abbienti; terzo, che quest'ultimo criterio non si applica ai partiti la cui ideologia sia contraria al marxismo, anche se essi chiedono cambiamenti e esprimono una protesta degli strati inferiori", Sartori conclude che 'sinistra' "è poco più di un conglomerato ideologico" (1982, pp. 145-46), affermazione che assume maggior valore dopo la crisi terminale del marxismo. Dal canto suo, N. Bobbio ritiene che esista un criterio sufficientemente chiaro per identificare e caratterizzare "le dottrine e i movimenti che si sono chiamati 'sinistra'. Il criterio è l'egualitarismo" e Bobbio precisa che esso deve essere inteso "non come l'utopia di una società in cui tutti sono eguali in tutto ma come tendenza, da un lato, a esaltare più ciò che rende gli uomini eguali che ciò che li rende diseguali, dall'altro, in sede pratica, a favorire le politiche che mirano a rendere più eguali i diseguali" (1994, 20044, p. 134).
Sartori non condivide la posizione di Bobbio poiché, a suo modo di vedere, l'eguaglianza caratterizza non la s., ma, fin dal tempo dell'Atene classica, la democrazia. Tutti i cittadini sono tali, in una democrazia, proprio poiché sono eguali in termini di godimento dei diritti civili e politici e, comunque, debbono essere considerati a questa stregua effettivamente eguali. Sartori ha certamente ragione, ma, una volta stabilita, riconosciuta, difesa e promossa l'eguaglianza davanti alla legge, Bobbio guarda oltre, vale a dire agli obiettivi che la s. persegue e si propone di conseguire seguendo la 'stella polare' dell'eguaglianza. Il successo di una strategia dell'eguaglianza dipenderà dalla capacità della s. di proporre, formulare ed eseguire politiche pubbliche adeguate. Spesso chi sostiene che non c'è (più) differenza fra destra e s. afferma, al tempo stesso, che chiunque governi, destra o s., finirà per attuare, più o meno, le stesse politiche. I dati, storici e contingenti, dicono altrimenti e rivelano che laddove i partiti di s., come nelle democrazie dell'Europa centro-settentrionale, hanno governato abbastanza a lungo e abbastanza di frequente le disuguaglianze sociali ed economiche sono, in effetti, alquanto più contenute.
Nel periodo che va dalla rivoluzione bolscevica (1917) alla caduta del muro di Berlino (1989), la grande difficoltà della s., anche intesa come concetto che definisce un'entità sufficientemente omogenea, è consistita nell'esistenza di due s.: una s. democratica composta dai partiti socialdemocratici che vincevano le elezioni e andavano al governo, cercando un difficile equilibrio fra libertà e perseguimento di politiche egualitarie, e una s. non democratica rappresentata dai comunisti che avevano conquistato il potere nell'Unione Sovietica, nell'Europa orientale e in alcuni Paesi asiatici, che sacrificavano la libertà a politiche che, in definitiva, non riuscirono neppure a essere compiutamente egualitarie dando troppo spesso vita a una nuova classe, la nomenklatura, e, oltre tutto, attribuendole non facilmente giustificabili privilegi. Venuta meno, in qualche modo, la distinzione 'socialdemocrazie/comunismi' (anche se non del tutto, perché di comunisti al potere ne rimangono non pochi e in situazioni di enorme importanza, come la Cina), hanno fatto la loro comparsa altre distinzioni, in particolare quella fra vecchia e nuova sinistra. In verità, laddove non esistevano partiti comunisti, la vecchia s. venne identificata con i partiti socialdemocratici tradizionali, soprattutto con quelli strettamente collegati ai sindacati, e la nuova s. con una varietà di gruppi e di movimenti più interessati ai diritti, in special modo ai diritti delle donne e a quelli delle minoranze, e all'autorealizzazione personale piuttosto che alla difesa dei posti di lavoro e alla stabilità dei prezzi. L'esistenza di priorità diverse e, talora, divergenti spiega la frammentazione e la conflittualità della s. in non pochi sistemi politici europei e negli Stati Uniti.
Da ultimo, anche se non è opportuno dare eccessivo credito a una distinzione chiaramente polemica nel suo intento, si confronterebbero due s.: la prima tecnocratica, per lo più identificata ancora con le socialdemocrazie classiche; la seconda, partecipazionista e popolare, identificata con partiti talvolta discendenti da frange dissenzienti di partiti comunisti tradizionali, e con movimenti di estrema s. di vario tipo, all'interno e nei dintorni della eterogenea galassia no global e new global (alcuni dei quali nient'affatto alieni dall'uso della violenza). Al proposito, la previsione di Sartori è fortemente critica e pessimistica: "una sinistra liberata dall'ingabbiamento marxista potrebbe essere una sinistra più intelligente e sensata di quella che abbiamo conosciuto. Ma una sinistra senza più ancoraggio, disancorata dal marxismo, può anche essere una sinistra che ce lo fa rimpiangere" (1993, p. 320). La diversificazione delle istanze e delle rappresentanze del variegato mondo della s., per di più disancorata da una ideologia condivisa, costituisce il maggiore ostacolo, non soltanto alla conquista e al mantenimento del potere politico, ma anche a una definizione che voglia, pur partendo dalla ricerca dell'eguaglianza, andare oltre, offrendone una visione più articolata e arricchita.
Indubbiamente, nelle democrazie occidentali la s. postmarxista ha incontrato enormi difficoltà politiche, programmatiche e strategiche, peraltro, palesatesi nel 20° sec. già negli anni Settanta, ovvero alquanto prima del crollo del comunismo sovietico. In particolare, nel corso degli anni Ottanta e fino alla metà degli anni Novanta, una serie di ripetute sconfitte elettorali subite dai democratici negli Stati Uniti, dai laburisti in Gran Bretagna, dai socialdemocratici in Germania, dalla s. cosiddetta plurale in Francia, dalla s. italiana a opera di S. Berlusconi e dai socialisti spagnoli, fece addirittura sorgere l'interrogativo What is left?, con il suo intraducibile gioco di parole ("Che cosa è rimasto?" e "Che cosa è sinistra?"), ponendo in maniera urgente il compito di reinventare la sinistra (Reinventing the left, 1994). Le tendenze elettorali, come è del tutto fisiologico in democrazia, possono essere rovesciate. Cosicché, anche a riprova che, a ogni buon conto, continuano, persino dopo le sconfitte, a esistere organizzazioni ed elettorati che si collocano a s., altre tendenze hanno riportato al governo dei rispettivi Paesi non pochi partiti di s.: laburisti inglesi, centrosinistra italiano, socialisti francesi, socialdemocratici tedeschi, socialisti spagnoli. Ma il problema di che cosa è sinistra? dal punto di vista delle politiche sembra rimasto in parte irrisolto, in parte, maggiore, molto controverso.
Laddove Bobbio suggerisce come criterio distintivo/definitorio della s. un obiettivo degno di essere perseguito prioritariamente, l'eguaglianza, altri autori (per tutti Esping-Andersen 1985, Przeworski 1985) hanno piuttosto sottolineato un altro elemento, un mezzo piuttosto che un fine, dando probabilmente per scontato che 'sinistra' è perseguire la riduzione delle disuguaglianze con politiche di solidarietà. In estrema sintesi, la sinistra crede nell'intervento pubblico per governare e guidare una società e il suo sistema economico e vi fa consapevole e deliberato ricorso. Al proposito, è ancora una volta Sartori che esprime il suo aspro dissenso: "Quanto all'interventismo dei pubblici poteri la discussione verte oramai, per tutti, su quando è meglio intervenire e quando no, in che modo e su che cosa. Nella sua distintività l'interventismo di sinistra fallisce; e nella sua indistintività non è più di sinistra" (1993, p. 319). In verità, entrambe le affermazioni sono controverse e controvertibili. Da un lato, quanto alla distintività dell'interventismo di s., sembra difficile negare che una peculiare combinazione di keynesismo nella gestione della politica economica e di welfare nell'offerta di politiche sociali abbia positivamente caratterizzato la s., in special modo nei sistemi politici scandinavi e di alcuni Paesi dell'Europa centro-settentrionale dove ha potuto governare per un certo periodo di tempo in maniera ininterrotta. Dall'altro lato, è semmai la destra che si è, talvolta, appropriata di una modica dose di keynesismo e di welfare, con l'obiettivo di tenere basse le tensioni sociopolitiche e di mantenere il potere di governo.
Tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21° molto è cambiato, anche in seguito all'approfondirsi del processo di unificazione europea e al tumultuoso affermarsi della globalizzazione. Le due grandi ricette di s. hanno subito pesanti aggressioni dai fenomeni in corso e hanno dovuto essere riformulate. Almeno dal punto di vista mediatico e senza sottovalutarne l'apporto ai ripetuti successi elettorali dei laburisti inglesi (nel 1997 e nel 2001, meno nel 2005), la riformulazione di maggior successo va sotto il nome di terza via (Giddens 1998). Tuttavia, se la modalità più semplice e più efficace per individuare la s. e definire che cosa effettivamente sia consiste nel guardare come agiscono i partiti di s. al governo, allora la difesa e la riformulazione del keynesismo e del welfare continuano a costituire i tratti caratterizzanti della s. anche all'inizio del 21° secolo. Le parole di Giddens risultano ancora più significative poiché si tratta dell'autore che più di chiunque altro ha argomentato la necessità di 'andare oltre': "lo stato non dovrebbe dominare né i mercati né la società civile, per quanto abbia la necessità di regolare e intervenire in entrambi" (2001, p. 6). In sostanza, la s. non ha rinunciato a utilizzare gli strumenti della politica e, quindi, anche quelli delle istituzioni dello Stato, in special modo la burocrazia, per intervenire nell'economia e nella società. Laddove la destra sembra disponibile ad affidare tutto, sviluppo economico e 'giustizia' sociale, al mercato, spesso 'sregolamentato', la s. ritiene che la politica debba assegnare regole al mercato e debba intervenire sistematicamente, ancorché in maniera flessibile, non soltanto per ristabilire le condizioni per una competizione equa e senza indebiti vantaggi, ma anche per offrire eguaglianza di opportunità ed, eventualmente, per raddrizzare gli esiti più sgradevoli e più ingiusti che qualsiasi mercato finisce inevitabilmente per produrre.
In conclusione, la s. crede che la politica, come ha efficacemente scritto G. Esping-Andersen (1985), non soltanto possa, ma qualche volta debba ergersi a contraltare del mercato. Le difficoltà della s. contemporanea sembrano dovute essenzialmente all'impossibilità per i singoli sistemi politici e i loro governi di s. di controllare il ciclo economico investito dal vento della globalizzazione e di mantenere un complesso e assai spesso costoso sistema di welfare a fronte della diversificazione sociale e della concorrenza internazionale. Per quanto i problemi del welfare siano spesso la conseguenza del suo successo, la s. appare alla ricerca di una soluzione che combini egualitarismo e solidarietà senza deprimere le spinte al cambiamento e anche senza comprimere la dinamica del mercato.
In questo contesto, probabilmente, è opportuno collocare, insieme a quella dell'eguaglianza, l'altra grande promessa-obiettivo della s.: il progresso. L'idea di progresso non soltanto ha accompagnato la s. nel corso della sua storia a partire dalla Rivoluzione francese, ma la ha altresì innervata a fronte del tradizionalismo, dello scetticismo ovvero del realismo della destra, fino a spingerla al tentativo, che settori non marginali della s. socialdemocratica e i governi comunisti dell'Europa orientale e dell'Unione Sovietica hanno effettuato, di pianificare l'economia. La fiducia della s. nel progresso non è mai stata cieca, anche se qualche volta è stata ingenua ed eccessiva. Le dure lezioni della politica hanno temperato quella fiducia. Nonostante ciò, è giusto sottolineare che la s. continua, in definitiva, a essere precipuamente caratterizzata dalla fiducia che la politica, vale a dire quel potere che i cittadini attribuiscono ai governanti in libere elezioni e che i governanti, progressisti, sono messi in grado di utilizzare, riuscirà a costruire un mondo più giusto, meno diseguale, migliore.
bibliografia
M. Cacciari, E. Fachinelli, P. Flores d'Arcais et al., Il concetto di sinistra, Milano 1982.
G. Sartori, Teoria dei partiti e caso italiano, Milano 1982.
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A. Przeworski, Capitalism and social democracy, Cambridge-Paris 1985.
G. Pasquino, Una certa idea della sinistra, Milano 1987.
G. Sartori, Democrazia: cosa è, Milano 1993.
N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma 1994, 20044.
Reinventing the left, ed. D. Miliband, Cambridge 1994 (trad. it. Milano 1996).
A. Giddens, The third way: the renewal of social democracy, Cambridge 1998 (trad. it. Milano 2001).
The global third way debate, ed. A. Giddens, Cambridge 2001.