sinistrese
Il sinistrese è stato definito
una invenzione linguistica, collettiva e spontanea, di rapida e facile comunicazione, intesa a coprire la mancanza di idee generali e di prospettive per il futuro che è dell’intera nazione e forse della intera civiltà industriale e di definire in qualche modo, di etichettare, chi pensa di stare a sinistra, di militare nei partiti e nei movimenti della sinistra, vecchia e nuova, anche se non sa bene in cosa esattamente consista (Bocca 1977: 7)
Questa definizione, anche se non ha alcuna pretesa scientifica ed è palesemente polemica, coglie le caratteristiche fondamentali della varietà dell’italiano che caratterizzò, dalla fine degli anni Sessanta a tutti gli anni Settanta del Novecento, le produzioni linguistiche dei gruppi di sinistra, in particolare dei gruppi giovanili e alternativi alla sinistra parlamentare. A indurre la creazione di una varietà ben definita di lingua furono alcuni dei tratti indicati da Giorgio Bocca: la rapidità e la facilità di comunicazione, che si concretizzano nell’emissione ripetuta e ravvicinata di messaggi sugli stessi argomenti (la repressione, le rivendicazioni sindacali, la solidarietà con i popoli oppressi da una dittatura) e comportano quasi inevitabilmente un linguaggio stereotipato, a livello sia lessicale che sintattico che della struttura espositiva.
Vi è poi la funzione di coprire «la mancanza di idee generali e di prospettive per il futuro», che può voler dire il tentativo di ridurre la realtà a degli schemi prefissati e quindi già conosciuti e dominati. In questo caso, l’uso di parole generiche e, ancora una volta, stereotipe fornisce risposte semplificate a problemi complessi, favorendo un risparmio di energia rispetto a un’analisi più precisa e articolata (Violi 1977: 86).
Infine, l’intenzione «di definire in qualche modo, di etichettare, chi pensa di stare a sinistra, di militare nei partiti e nei movimenti della sinistra, vecchia e nuova, anche se non sa bene in cosa esattamente consista» riconosce il valore di segnale di coesione di gruppo e di strumento di appartenenza che il sinistrese ha avuto.
Il sinistrese trovò realizzazione nella comunicazione politica orale, soprattutto nelle assemblee, ma anche nei cortei, attraverso gli ➔ slogan, in forme alternative di comunicazione scritta (volantini, giornalini ciclostilati, manifesti murali), in organi di stampa, anche diversi tra loro, espressione dei movimenti di contestazione (in primis «Lotta continua» e «Il manifesto»). Non fu una varietà monolitica, come non fu monolitico l’insieme dei movimenti che trovarono nel sinistrese lo strumento più adatto per la loro comunicazione politica. Fu una varietà transitoria: terminata, indicativamente negli anni Ottanta, la stagione della contestazione giovanile e ideologica come movimento dal largo seguito, le consuetudini linguistiche rappresentate dall’etichetta sinistrese andarono scemando, restando appannaggio residuale di pochi gruppi minoritari. In particolare, nel campo della comunicazione giovanile, se negli anni Settanta il sinistrese fu una delle forme linguistiche di riferimento (al punto da impedire l’esistenza di altri tipi di linguaggio giovanile), con gli anni Ottanta a fungere da forma di riferimento per la comunicazione tra giovani fu il cosiddetto linguaggio giovanile, che in quegli anni ebbe una decisa espansione (➔ giovanile, linguaggio).
Il Sessantotto rinnovò i modi della comunicazione politica e ne allargò gli ambiti: è di quel periodo lo sviluppo dell’assemblea come momento di discussione collettiva delle decisioni politiche, la diffusione di mezzi di comunicazione rapidi e poco costosi come il volantino, il manifesto scritto a mano (il cosiddetto ta ze bao), le scritte murali, l’ampio utilizzo, nella lingua parlata e corale, degli slogan ritmati.
Questa serie di innovazioni nei modi della comunicazione politica favorì, soprattutto nei primi anni della cosiddetta contestazione, lo sviluppo della creatività linguistica (come attuazione dello slogan del Maggio francese «l’immaginazione al potere»). La creatività si esprime soprattutto nella dimensione ludica di buona parte della prima produzione linguistica dei movimenti di contestazione, nella quale avevano grande spazio il comico, l’umorismo, i giochi di parole (soprattutto nella produzione di slogan paronomastici come «le mozioni uccidono l’emozione», «il fitto vi fotte», «la truppa difende la trippa di chi ha troppo»; slogan ritmati come «fascisti borghesi / ancora pochi mesi», ma anche, con rima decisamente più rara, «chi gioca a ping pong / spara sui vietcong»; chiasmi come «le riserve imposte al piacere eccitano il piacere di vivere senza riserve», «mancare di immaginazione significa non immaginare ciò che manca»).
I movimenti di contestazione non poterono abbandonare il fondo tradizionale del lessico politico (sia quello legato alla tradizione liberale e democratica sia quello che fa riferimento alla tradizione marxista). Su questa base si innestarono due tipi di innovazione: da una parte il mutamento semantico e la riformulazione dei contesti nei quali vengono inserite le parole della tradizione; dall’altra la creazione di parole nuove (➔ neologismi).
La contestualizzazione delle parole tradizionali nel nuovo dominio della politica di contestazione avviene grazie a diversi procedimenti: innanzitutto attraverso la variazione semantica rispetto agli usi tradizionali, realizzata con l’aggiunta di determinazioni (in genere aggettivi) ai termini tradizionali: antifascismo militante («lotta concreta contro il neofascismo, consistente anche nell’impedire con la violenza ai suoi esponenti ogni attività politica pubblica») si differenzia dal valore semantico tradizionale, più astratto, di antifascismo (con una specificazione semantica analoga a quella che entra in gioco in manifestazione militante e solidarietà militante). In altri casi la contestualizzazione avviene per un processo contrario a quello appena descritto, cioè con l’assolutizzazione di un’accezione specifica di una parola, che inizialmente veniva espressa non da una sola parola, ma da un sintagma: movimento assunse il valore di «complesso di forze e di gruppi che si collocano in posizione alternativa rispetto alla politica tradizionale», dopo una fase nella quale la parola, tradizionale nel lessico politico, aveva assunto, almeno in nuce, il nuovo significato nei sintagmi movimento studentesco e movimento degli studenti; analogamente autonomia («area nella quale confluiscono esponenti dei movimenti della sinistra extraparlamentare o sinistra rivoluzionaria in opposizione alla sinistra riformista», secondo un’autodefinizione) si formò per antonomasia da autonomia operaia. Ma anche contestazione, parola ormai del lessico comune per indicare «la protesta studentesca iniziata nel 1967-68», fu creata in base allo stesso processo.
Solo alcune parole del lessico politico tradizionale (➔ politica, linguaggio della) furono assunte nel discorso dei gruppi di contestazione con chiari segnali di polemica presa di distanza, quali le virgolette (uomini politici «democratici»), precisazioni lessicali (docenti cosiddetti democratici), sottolineature lessicali dell’appartenenza a un universo ideologico diverso da quello dell’emittente (democrazia borghese, legalità borghese, libertà borghese).
Diverso, quasi opposto, il fenomeno che si verifica nel campo della tradizione lessicale marxista: a questo proposito avviene un massiccio recupero di tale lessico, sia per quel che riguarda le parole marxiste allora più diffuse nel discorso politico della sinistra (borghesia, capitale, proletario, classe, revisionismo), sia per quel che riguarda parole più specifiche, soprattutto nel settore dell’economia politica, che fino ad allora avevano avuto una circolazione piuttosto ristretta (saggio di profitto, accumulazione capitalistica, massimizzazione del profitto, rapporti di produzione).
All’uso con modalità particolari del lessico politico preesistente si accompagna la creazione di nuove parole politiche, soprattutto per mezzo dei processi di ➔ derivazione tramite ➔ prefissi (soprattutto contro-, anti-, extra-, ecc.) e ➔ suffissi (ampiamente produttivi -izzazione, -izzare, -ismo, -ista). Alcuni di questi elementi derivativi erano tipici dei movimenti di contestazione: tra questi il prefisso contro- (controcorso, controscuola, controgiustizia, controinformazione, controstampa, contronatale), la cui semantica era particolarmente congeniale al carattere contestativo dell’attività dei gruppi che utilizzavano il sinistrese.
Significativa anche la creazione di parole polirematiche (➔ polirematiche, parole) che con il tempo si sono insediate nel lessico comune italiano: strage di stato (inizialmente in specifico riferimento alla strage di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969), strategia della tensione (disegno politico attuato dalle forze conservatrici a partire dal 1969).
Come si vede, la creatività dei movimenti di contestazione, notevole nel campo della creazione di slogan, fu molto ridotta nel campo dell’innovazione lessicale. Si può rammentare un solo caso di neoformazione non inserita in serie derivative prevedibili: fanfascismo, parola coniata da «Lotta continua» nel 1971 in contrapposizione alla politica di Amintore Fanfani.
Nella definizione da cui si è preso l’avvio è sottolineato un effetto della rapidità e della ripetitività dei messaggi emessi nell’ambito della contestazione giovanile e dei movimenti alternativi: la stereotipia, che consiste nell’utilizzo pressoché automatico di espressioni ricorrenti, con la rinuncia a possibili sinonimi o perifrasi, con la conseguente riduzione del carico informativo delle parole (perché i contenuti semantici trasmessi sono altamente prevedibili, o perché la rinuncia alla varietà lessicale comporta un alto grado di genericità e indeterminatezza delle parole usate).
La stereotipia del sinistrese si realizza su diversi piani: quello delle locuzioni verbali (come portare avanti un discorso, farsi carico, prendere coscienza), quello della fissità dell’aggettivazione (la lotta è quasi sempre dura, il corteo combattivo, lo scontro duro, aggressivo, diretto, violento) o delle apposizioni (per es., boia attribuito agli avversari politici). Più in generale, la stereotipia è legata alla frequenza nell’uso di un nucleo fisso e ristretto di parole-chiave che, proprio a causa della loro continua reiterazione, risultano generiche: creatività, crescita politica, gestione, contraddizione, violenza, opportunismo, provocazione. Assumono l’aspetto di tic linguistici l’uso insistito, quando non ossessivo, di specifiche formule di raccordo o di ➔ intercalari (nella misura in cui, non a caso, al limite, al livello, a monte, ecc.), oppure di rafforzativi generici o riempitivi, come corretto, correttamente dialettico, dialetticamente, oggettivo, oggettivamente, reale (➔ slogan).
L’uso di un lessico che, per la sua ripetitività, ha scarso potere informativo si giustifica se diviene un mezzo di coesione di gruppo, uno strumento per tener vivo il legame fra chi emette il messaggio e chi lo riceve.
L’uso del sinistrese fu un forte simbolo di riconoscimento, di identificazione (dell’intero movimento di contestazione o, sempre più negli anni Settanta, di gruppi specifici; cfr. Cortelazzo 1979). Il sinistrese fu anche espressione di un senso di solidarietà tra persone con la stessa visione politica, uno strumento che comunica qualcosa solo per il fatto di essere utilizzato (il contenuto di molti comunicati o volantini di solidarietà era, per es., assolutamente prevedibile; ma l’obiettivo comunicativo non consisteva tanto in quello che veniva espresso, ma nel fatto che venisse emesso un messaggio su quel determinato argomento).
Fra le componenti del sinistrese vanno anche annoverate forme, soprattutto lessicali e retoriche, che fanno riferimento agli ambiti dell’emotività e dell’espressività, essenziali per favorire l’adesione e la condivisione da parte del maggior numero di persone alle azioni promosse dagli emittenti. La tendenza all’emotività non è egualmente distribuita nelle produzioni dei gruppi di contestazione, ma è un tratto distintivo particolare di alcuni gruppi (ad es. «Lotta continua»: Violi 1977).
Sul piano lessicale ricadono in questa categoria la preferenza, fra due sinonimi, di quello più espressivo (galera invece di prigione), particolarmente nella designazione degli avversari (scherani, sbirri, aguzzini invece di poliziotti o carcerieri) o l’uso di un’aggettivazione che fa riferimento alla sfera estetica o etica: bello / brutto, magnifico / schifoso, felice, esaltante, entusiasmante / noioso, triste, squallido, con una maggiore varietà al polo negativo (dove si possono aggiungere miserabile, infame, bestiale, sporco, lurido); il ricorso a espressioni iperboliche (ad es., in affermazioni come «i padroni ci mettono insieme a migliaia, a centinaia di migliaia, a milioni, per sfruttare il nostro lavoro e la nostra intelligenza», in cui l’iperbole si rivela nell’uso di cifre molto grandi) o ad altre forme superlative o più generalmente elative (ad es., aggettivi come terribile, spaventoso, terrificante, abissale, tremendo, esaltante, entusiasmante, splendido).
Va notato anche l’utilizzo espressivo di dentro invece di in (dentro il parlamento) e di all’interno di invece che entro, in e simili. Sul piano dei contenuti simbolici, valore analogo hanno il riferimento ai simboli più rappresentativi della sinistra, come la bandiera rossa o il canto dell’Internazionale; il richiamo a slogan in uso nelle manifestazioni; l’uso del nome di battesimo o addirittura del soprannome per designare i compagni, in particolare i militanti arrestati o uccisi («Dura da un anno / la triste odissea di Paolo e Daddo»).
Fa parte di questo quadro l’ampia diffusione dell’ingiuria, da sempre una caratteristica fondamentale del linguaggio polemico-rivoluzionario: può essere di due tipi, ideologica (servo dei padroni, fascista, sfruttatore, provocatore, opportunista, ecc.) e a-ideologica (porco, cane, e tutte le espressioni volgari). Questo secondo tipo di ingiuria (➔ insulti) si situa entro un più generale superamento della tradizionale interdizione linguistica (➔ tabu linguistico; ➔ parole oscene), che tocca prima di tutto le parole che riguardano la sfera del sesso e, secondariamente, quella degli escrementi, con tutti i derivati, in genere con valori metaforici («siamo sempre più incazzati / con governo e sindacati»; «merda ai baroni dell’Università, per molti di noi vuol dire arruffianarsi a leccare il culo a destra e a sinistra»).
Da una parte l’uso di un lessico tradizionale rideterminato semanticamente e di un lessico innovativo fatto di composti e sintagmi nuovi, spesso dal forte contenuto ideologico di diffusione interna ai gruppi, e dall’altra quello di un lessico generico e scarsamente informativo, pongono problemi di chiarezza e di comprensibilità dei testi prodotti dagli utenti del sinistrese.
Già all’inizio degli anni Settanta era emersa la consapevolezza, all’interno degli stessi movimenti di contestazione, dell’alto grado di ermeticità che avevano raggiunto i testi del movimento. D’altro canto c’era chi, come Franco Fortini, negli stessi anni rivendicava l’opportunità di usare un linguaggio rigoroso, ma non comprensibile a tutti, per un desiderio di selezionare il pubblico potenziale destinatario dei messaggi. Da questa prospettiva, l’interesse del parlante, o dello scrivente, non è quello di essere capito da tutti, ma solo dagli appartenenti al suo ambiente, da chi condivide la sua idea del mondo e della vita. Il risultato è una forte selezione del pubblico al quale il sinistrese si rivolge; una selezione in alcuni casi ricercata consapevolmente, in altri raggiunta inconsapevolmente e, probabilmente, contro le intenzioni.
Bocca, Giorgio (1977), Introduzione, in Flores D’Arcais, Paolo & Mughini, Giampiero, Il piccolo sinistrese illustrato, Milano, SugarCo, pp. 7-11.
Cortelazzo, Michele A. (a cura di) (1979), Il linguaggio dei movimenti di contestazione, Milano, ME/DI Sviluppo; Firenze, Giunti-Marzocco.
Violi, Patrizia (1977), I giornali dell’estrema sinistra, Milano, Garzanti.