sintesi
In generale, ogni forma conoscitiva che, partendo da elementi singoli, giunga a una conclusione unitaria, in contrapposizione all’analisi, la quale studia un complesso unico di realtà scindendolo nei suoi singoli costituenti. Rinviando alla voce analisi/sintesi (➔) per la trattazione dell’aspetto metodologico, ci si sofferma qui sulla s. in quanto unificazione del molteplice operata dalla coscienza.
Aristotele adoperò per primo il termine s. (assieme a συμπλοκή) nella formula σύνϑεσις νοημάτων, per designare il nesso predicativo che unisce i due termini del giudizio, congiungendo un soggetto a un predicato mediante la copula. E all’uso aristotelico si riallacciò Kant quando si pose il problema di giustificare, a fronte della critica scettica di Hume, la validità del processo conoscitivo individuando appunto nell’idea di congiunzione del molteplice empirico la chiave risolutiva. Kant chiama in generale s. ogni forma di unificazione del molteplice operata dalla coscienza, e la definisce in generale come «l’atto di unire diverse rappresentazioni e comprendere la loro unità in un’unica conoscenza». Questa accezione generale viene poi a specificarsi a seconda delle caratteristiche del materiale che viene sintetizzato. Si ha così la s. dell’immaginazione, che unisce immediatamente nella consapevolezza un complesso di dati empirici, mentre s. pura è quella che interviene soltanto a priori, come la s. costituita dall’unità delle categorie. La s. dell’immaginazione è d’altronde preceduta da quella anche più elementare dell’apprensione, e seguita da quella della ricognizione, grazie alla quale è riconosciuto nella sua identità, attraverso la durata del tempo, il complesso fenomenico appreso dal senso e riprodotto dall’immaginazione. Kant distingue inoltre una s. intellettuale, che si limita a unificare un molteplice soltanto pensato, e una s. figurata (o speciosa), che unifica il molteplice dell’intuizione sensibile; quest’ultimo tipo di s., fondamentale per la dottrina dello schematismo, è in realtà una s. dell’immaginazione, vista come «facoltà di determinare a priori la sensibilità». Ma il più importante uso kantiano del termine s. riguarda la sua concezione della s. a priori. Quest’ultima presuppone terminologicamente la distinzione dei giudizi analitici a priori, propri della conoscenza deduttiva (intrinsecamente necessaria, ma in cui il predicato è già implicito nel soggetto), dai giudizi sintetici a posteriori, propri della conoscenza induttiva (che accresce col predicato il contenuto ideale del soggetto, ma per l’empiricità sperimentale di tale aggiunta non possiede mai valore universale e necessario). La s. a priori riunisce invece il carattere di novità e fecondità, proprio della s. induttiva, con quello di necessità aprioristica, proprio dell’analisi deduttiva, e si realizza in forza dell’unione della necessità e universalità trascendentale delle categorie con i dati empirici che esse informano nell’esperienza. Queste s. trascendentali a priori costituiscono quindi la possibilità di qualunque tipo di conoscenza, e trovano il loro principio nell’appercezione pura dell’Io penso.
Alla concezione kantiana si sono ricollegati filosofi come Galluppi – che ha tuttavia invertito il rapporto analisi-s. – e Rosmini – che ha definito «s. primitiva» l’unione del contenuto sensibile con l’idea dell’essere. Una diversa accezione del termine si è invece delineata nell’ambito dell’idealismo postkantiano, che ha finito per intendere la s. come il momento conclusivo della triade dialettica, in cui si realizza la conciliazione di quella tesi e quell’antitesi che nelle antinomie kantiane costituivano invece una contraddizioneinsuperabile. Avviata da Fichte, tale accezione è adottata da Schelling, mentre Hegel la critica esplicitamente (in quanto espressione inadeguata, che «conduce facilmente daccapo alla rappresentazione di un’unità estrinseca […] di tali che sono in sé e per sé separati») e preferisce piuttosto parlare, con riferimento a quello stesso concetto, di unità o identità degli opposti. In ogni caso, tale significato si conserva nella filosofia di Gentile, il quale peraltro, per la sua impostazione soggettivistica, interpreta come «autosintesi» la s. dialettica in cui si realizza l’attività spirituale. Nel sistema crociano torna invece il concetto kantiano della «s. a priori», ma non nel senso esclusivamente gnoseologico, bensì in quello più lato di operazione con cui ogni forma dello spirito, rendendosi esplicita, riduce a propria materia la forma che la precede, nel processo ideale e storico. Va infine ricordata la rielaborazione in chiave fenomenologica del concetto di s. che fu operata da Husserl, il quale se ne serve per spiegare la «costituzione» delle oggettività coscienziali, e da Merleau-Ponty, che, in aperta polemica con la tradizione kantiana, tenta di fondare la s. intellettuale su una più originaria «s. corporale».