Reed, Sir Carol
Regista cinematografico inglese, nato a Putney (Londra) il 30 dicembre 1906 e morto a Londra il 25 aprile 1976. La perizia tecnica, l'abilità di narratore, l'impeccabile senso del ritmo sono le doti emerse nelle sue opere, tra le più significative del cinema inglese, in cui affiorano con forza il robusto senso del dramma, la costruzione della suspense e dell'intrigo, la descrizione visiva, a volte realistica e a volte allucinata, di ambienti urbani in cui l'individuo è spesso in lotta con la Storia o in fuga dai condizionamenti sociali.
Il successo delle sue opere va attribuito oltre che a un sicuro mestiere, a collaborazioni felici come quelle con il direttore della fotografia Robert Krasker e con lo scrittore e sceneggiatore Graham Greene, mentre nel suo film più celebre, The third man (1949; Il terzo uomo), le qualità del regista sono esaltate dalla presenza di Orson Welles. Ottenne per tre anni consecutivi il premio della British Academy come miglior regista grazie a Odd man out (1947; Fuggiasco), a The fallen idol (1948; Idolo infranto) e a The third man. Quest'ultimo ricevette inoltre la Palma d'oro al Festival di Cannes, mentre Oliver! (1968), commedia musicale tratta da Oliver Twist di Ch. Dick-ens, ottenne, nel 1969, sei Oscar, tra cui quello per il miglior film e per la regia. Nel 1952 gli era stato conferito il titolo di Sir.
Figlio illegittimo dell'attore e produttore Sir Herbert Beerbohn Tree, iniziò a lavorare per il teatro nel 1923 prima come attore e regista, poi come consulente di E. Wallace nell'adattamento dei suoi romanzi polizieschi. Nel 1927 Wallace entrò nel consiglio di amministrazione della casa di produzione British Lion, e R. lo seguì come assistente. Alla morte di Wallace, nel 1932, fu assunto dall'Associated Talking Pictures (poi Ealing Studios) come aiuto regista. Il suo debutto nella regia cinematografica avvenne nel 1935, con Midshipman easy, un film di ambientazione storica e di carattere avventuroso cui seguirono, durante gli anni Trenta, commedie e melodrammi sociali i cui tratti distintivi sono la precisione nel descrivere gli ambienti, la sottile ironia e il gusto dell'intreccio: da It happened in Paris (1935), sceneggiato anche da John Huston, a Laburnum Grove (1936), da una pièce di J.B. Priestley, fino a Talk of the devil (1936), in cui emerge l'abilità di R. nel creare un clima da thriller, e Bank holiday (1938; Fiamme di passione), che gli diede piena notorietà e in cui la costruzione corale di microstorie, improntata a un tono di realismo documentario, assume i risvolti di un melodramma sociale incentrato sulle vicende della piccola borghesia inglese in vacanza. Diresse quindi The stars look down (1939; E le stelle stanno a guardare), dal romanzo di A.J. Cronin, un film di denuncia sociale sul conflitto tra minatori e padronato che assume un ritmo serrato, caratteristico delle migliori opere del regista; Night train to Munich, noto anche come Gestapo (1940), che prefigura le atmosfere di suspense su sfondo bellico, in un intrigo di fuga e spionaggio, che sarebbero tornate nel suo cinema del dopoguerra, e segnò l'inizio della collaborazione di R. con gli sceneggiatori Sidney Gilliat e Frank Laudner, continuata con Kipps (1941), da H.G. Wells, e The young Mr. Pitt (1942). Nel 1942 R. venne nominato direttore dell'Army Cinematograph Service, carica che ricoprì per tre anni, e grazie alla quale realizzò un mediometraggio di propaganda, The new lot (1943). Il documentario ebbe un tale successo da spingere R. a trarne un lungometraggio di finzione, The way ahead (1944; La via della gloria). Sceneggiato da Eric Ambler e Peter Ustinov, il film, sull'educazione alle durezze della vita militare di un gruppo di civili scanzonati, accorda i toni amari e ironici al ritmo delle azioni belliche.
Il dopoguerra vide la consacrazione del regista. Se Odd man out deve molto all'interpretazione di James Mason e alla fotografia espressionista di Krasker, porta comunque il segno inconfondibile di R. nella descrizione da incubo della Belfast labirintica e notturna in cui si muove il rivoluzionario irlandese braccato dalla polizia e tradito dai compagni di lotta, racchiudendo così nella 'forma' della fuga la metafora di un'ambiguità morale. A partire dal 1948 R. iniziò il fruttuoso rapporto con Greene, che adattò per il regista il suo racconto The fallen idol: il parossismo del montaggio (sono state rintracciate 1040 inquadrature) restituisce il punto di vista di un bambino che, volendo salvare l'idolatrato maggiordomo da un'accusa di omicidio, lo mette involontariamente nei guai. The third man fu anche il frutto di una serie di collaborazioni felici: infatti contribuirono al trionfo del film il soggetto originale e la sceneggiatura di Greene, la fotografia di Krasker (che ricevette un Oscar), i motivetti alla cetra di Anton Karas, scoperto da R. (o, secondo altri, dall'attore Trevor Howard) in un ristorante viennese, l'ambientazione nella Vienna del dopoguerra in macerie, e un'interpretazione assolutamente straordinaria degli attori, da Joseph Cotten ad Alida Valli, tra i quali giganteggia la figura di Orson Welles, che aveva accettato di recitare nel film per finanziare il suo Othello (1952; Otello), senza sapere che la popolarità del personaggio di Harry Lime, fulcro oscuro di questa vicenda di spionaggio, lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Si disse che Welles aveva collaborato alla regia del film, ma è un sospetto infondato, in realtà scrisse solo alcune battute del suo personaggio, un losco e cinico trafficante e criminale di guerra, dato per morto ma nominato continuamente, che appare improvvisamente solo dopo la metà del film, totalizzando sullo schermo una presenza di appena cinque minuti. Il film vortica così attorno a un vuoto, creando un'attesa che l'arrivo di Welles illumina nel dialogo sulla Gran ruota del Prater e nella scena dell'inseguimento finale. La cupa visionarietà di R. è esaltata in questo film in cui il tracciato di una città, i suoi sotterranei, le macerie, le linee di fuga che emergono e si intrecciano nel gioco tra personaggi e spazi, e si confondono nell'ambiguità tra verità e simulazione, creano un onirismo barocco squarciato da lampi realistici.
In seguito R. con The man between (1953; Accadde a Berlino) inseguì il ripetersi del successo precedente, limitandosi a riprodurne le atmosfere chiaroscurali e ambigue e fidando sull'introspezione psicologica impressa dalla recitazione di James Mason, mentre con The running man (1963; Un buon prezzo per morire) confezionò un thriller ben impaginato nelle immagini in Panavision e nei colori di Krasker. Gli anni successivi videro il regista impegnato in grandi produzioni in cui dispiegò esclusivamente la sua abilità tecnica, come nei melodrammi Trapeze (1956; Trapezio), con Gina Lollobrigida e Burt Lancaster nel ruolo di artisti circensi, The key (1958; La chiave), prodotto e sceneggiato da Carl Foreman dal romanzo di J. De Hartog, e The agony and the ecstasy (1965; Il tormento e l'estasi), tratto dal romanzo di I. Stone, con Charlton Heston che impersona Michelangelo.
Vale tuttavia la pena ricordare sia Our man in Havana (1959; Il nostro agente all'Avana), ancora tratto da Greene, con uno splendido Alec Guinness nel ruolo di un indolente agente segreto coinvolto in un intrigo spionistico paradossale che assume a poco a poco i contorni di un incubo, sia il musical Oliver!, in cui, nel ripercorrere le orme letterarie dei bassifondi dickensiani di Oliver Twist, si ritrova a tratti l'ossessione per i meandri labirintici e la trasfigurazione visionaria degli ambienti sociali tipici di R., il quale avrebbe poi confermato le sue doti di ironico narratore in due commedie dei primi anni Settanta: Flap (1970; Sergente Flep indiano ribelle) e Follow me! (1971; Detective privato… anche troppo). *
R.F. Moss, The films of Carol Reed, New York 1987; N. Wapshott, Carol Reed: a biography, New York 1994.