SIRACUSA
(gr. Συϱάϰουσαι, lat. Syracusae, Syracusa; arabo Saraqūsa; Caesaraugusta nei docc. medievali)
Città costiera della Sicilia sudorientale, capoluogo di provincia, sita sull'isola di Ortigia e sul litorale adiacente.Sede di insediamenti dalla media età del Bronzo (sec. 14° a.C.), S. fu fondata nel 734-733 a.C. da coloni greci di Corinto nell'isola di Ortigia. La città si espanse sulla terraferma con i quartieri di Acradina, Tyche e Neapoli, circoscritti nel 402-401 a.C., con la terrazza dell'Epipoli, dalla cinta muraria di Dionigi II, lunga km 31 e facente capo al castello Eurialo, utilizzato parzialmente anche in età bizantina.Dopo la conquista romana nel 212 a.C. furono abbandonate le mura dionigiane e l'Epipoli, ma gli altri quartieri, circondati da mura, sopravvissero, pur se con variazioni nella perimetrazione e nella densità abitativa. Nel Medioevo S. rimase capitale dell'isola durante le dominazioni franca (476-534), testimoniata da fosse terragne in contrada Fusco, e bizantina (535-878), che arricchì la città di edifici monumentali (Agnello, 1990). Il rango metropolitano fu conservato sino alla conquista musulmana della città nell'878, raffigurata nel codice madrileno della Synopsis historiarum di Giovanni Skilitze (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 26-2). Da allora S. si restrinse nell'isola di Ortigia sino alla fine del 19° secolo.Gli Arabi distrussero la città e deportarono la popolazione. Dal 962 è attestato un nuovo insediamento, musulmano e cristiano (Gabrieli, 1978-1979). Lotte fra fazioni islamiche portarono a un'ulteriore devastazione urbana nel 1027 (Annales Siculi). Negli anni 1038-1040 S. tornò in possesso dei Bizantini per merito del generale Giorgio Maniace, il quale provvide a fortificarla. Nella città non sono stati sinora identificati edifici, mura o strati archeologici di età musulmana. Dal punto di vista urbanistico dubbia appare l'attribuzione a matrice islamica del tracciato viario del quartiere di Resalibera, mentre il resto del tessuto urbano continuò a ricalcare e ricalca in buona parte ancor oggi quello greco, risalente al sec. 6° a.C., che era costituito da un reticolato di platéiai e stenopói intersecantisi ortogonalmente e avente come assi principali le od. via Dione e via Roma (Agnello, 1978). I musulmani riutilizzarono fortificazioni ed edifici di epoca bizantina, per es. le chiese, com'è attestato dall'iscrizione araba apposta sul muro meridionale del tempio di Apollo. Dell'arte islamica si conservano reperti epigrafici e anepigrafi, quali iscrizioni, monete, gettoni di pasta vitrea, gioielli, ceramiche, mosaici, vetri e bronzi (Ragona, 1966; Agnello, 1978-1979).I Normanni conquistarono S. nel 1085. Nel 1093 venne ricostituita la diocesi e si avviò un vasto programma edilizio. Furono restaurati edifici antichi (cattedrale, S. Giovanni Evangelista) e furono costruite nuove chiese (S. Nicolò dei Cordari, S. Tommaso Apostolo, S. Martino Vescovo, S. Lucia al Sepolcro). Si tratta in prevalenza di basiliche con una o tre navate e coronamento di absidi semicircolari. Nella cattedrale - l'ex tempio di Atena, periptero esastilo, trasformato nel sec. 6° in chiesa bizantina a tre navate con la chiusura degli intercolunni del peristilio e il taglio nella cella di arcate a centro pieno - la ristrutturazione che comportò la sopraelevazione del muro della navata centrale è probabilmente posteriore al sisma del 1169 ed è pertanto attribuibile al vescovo inglese Riccardo Palmer (1157-1183), cui la tradizione (Scobar, 1520) ascrisse la ricopertura dei muri dell'esedra con affreschi e della cattedra e del coro con mosaici, di cui restano quattro formelle simili a quelle dei plutei dell'ambone della cattedrale di Salerno (Agnello, 1964). A Palmer si deve il braccio-reliquiario argenteo di s. Marziano nel Tesoro del Duomo di Messina (Mauceri, 1923-1924); alla sua iniziativa è stata attribuita la croce dipinta di S. Lucia al Sepolcro, di stile bizantineggiante, ma forse di fattura locale (Andaloro, 1995), e potrebbe ascriversi anche il candeliere in bronzo di foggia sassone con precisi riferimenti alla scuola di Canterbury, ma forgiato forse in Sicilia alla fine del sec. 12° (Siracusa, Mus. Naz. di Palazzo Bellomo; Guastella, 1995). Del palazzo Vescovile nulla rimane di età normanna.Poiché la resa della città araba era avvenuta a condizioni, il sistema difensivo non fu eliminato. Eretto nel 1141, forse sui resti di una rocca preesistente, un castello, diroccato dal terremoto del 1542, si ergeva nella zona dell'istmo, da cui si controllava l'accesso alla città. Danneggiato gravemente dal sisma del 1169, esso non era stato ancora riedificato nel 1190, dato che nell'Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium, composta in tale anno, Ugo Falcando invitò i Siracusani a munire di fortificazioni la zona dell'istmo, per difendersi dagli Svevi. Il castello (dall'icnografia rettangolare con una torre rotonda nell'angolo nordorientale) risulta ricostruito nel 1196, all'esterno della cinta di mura medievale, e il suo restauro può quindi attribuirsi al normanno Tancredi re di Sicilia (1189-1194; Agnello, 1995).Nel 1194 Enrico VI di Hohenstaufen (1169-1197) conquistò la città, difesa dai Pisani, i quali vi si reinsediarono nel 1199, approfittando della minorità di Federico II. Tuttavia nel 1204 il corsaro genovese Alamanno Costa strappò nuovamente S. ai Pisani, governandola con il titolo di conte. Di questo periodo rimane solo una rappresentazione grafica coeva negli Annali di Caffaro, troppo stilizzata per lasciar desumere altro che si trattava di una città fortificata, circondata dal mare e munita di arsenale.La destituzione di Alamanno nel 1221 si inquadrò nell'opera di ripristino del demanio intrapresa da Federico II (v.) dopo l'incoronazione imperiale. Nel 1231 erano attestati due fondaci demaniali, cioè magazzini destinati alla conservazione di derrate alimentari. Numerosi e ben dotati erano i monasteri, tra cui, per es., quelli di S. Maria, fondato in età normanna, e di S. Maria di Montevergine, dei quali oggi sopravvive poco. Demolita alcuni anni fa l'ala sveva del palazzo Landolina-Bonanno, resti dell'epoca rimangono nell'arcivescovado e nel piano terreno di palazzo Bellomo, risalente probabilmente al periodo di Manfredi.L'edificio più significativo e meglio conservato è castel Maniace, un mastio quadrato di m 51 di lato, con mura spesse m 3,60 e alte oggi m 18 ca. - l'esistenza di un piano superiore è attestata da un disegno acquerellato eseguito nel 1664 dal pittore Willem Schellinks (Schellinks, 1983) - con torri circolari agli angoli. Esso era designato nelle fonti come palatium, cioè residenza imperiale fortificata destinata a scopi civili, mentre il castello militare, indicato come castrum, era quello collocato sull'istmo. Castel Maniace fu edificato probabilmente dopo la ribellione guelfa del 1232 e prima del 1239, ed è perciò il più antico dei castelli federiciani costruiti ex novo, dopo l'esperienza della crociata (Agnello, 1935a). Primo edificio visibile a chi accedeva, via mare, nel regno di Sicilia da meridione, il castello costituiva un condensato di ideologia imperiale atto a impressionare forestieri e visitatori, analogamente alla porta di Capua, sita all'estremità settentrionale del regno. Il significato simbolico attribuito all'illustrazione del Teatrum imperialis palacii di Palermo nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (Berna, Burgerbibl., 120 II, c. 142r) venne tenuto presente nella progettazione di castel Maniace, fornendone la chiave di lettura: la grande sala ipostila del piano terreno raffigura l'impero, costituito da venticinque stati che si iscrivono in altrettante crociere (Agnello, 1994; Maurici, 1995).Del periodo della dominazione angioina non rimane alcuna traccia. Dopo il Vespro, anche se ancora adoperato quale sede di convegni politici e diplomatici, castel Maniace assunse una funzione prevalentemente militare, rilevabile nelle fonti dalla denominazione castrum, e più precisamente 'castello interno' per distinguerlo dal 'castello esterno' all'ingresso della città. Quando quest'ultimo, dal 1326, cominciò a essere chiamato castello Marquet, dal nome del castellano Berenguer Marquet, si iniziò ad adoperare un nome proprio anche per indicare il maniero federiciano, designato con l'appellativo di 'torre di Maniace' (Nicola Speciale, Historia Sicula).Sotto i re aragonesi l'assegnazione di S. alla Camera reginale favorì lo sviluppo demografico. Nel 1374 furono censiti millesettecentocinquantacinque nuclei familiari e l'incremento continuò sino a raggiungere duemiladuecento nuclei nel 1505 (Cancila, 1993).Nel sec. 14° la ripresa edilizia interessò soprattutto gli edifici ecclesiastici. I monasteri di S. Benedetto, di S. Chiara, di S. Eustachio, di S. Maria, le chiese di Santa Croce, di S. Maria dell'Itria, di S. Giovanni f.l.m. costituiscono esempi di Gotico in cui prevalgono elementi stilistici locali, di ascendenza normanno-sveva. Le facciate sono contraddistinte da grandi arcate ogivali e da portali polistili con profondi strombi di fasci cordonati. Negli edifici del primo Trecento prevalse un Gotico arcaico, caratterizzato dalla severa nudità degli archi, con funzione prevalentemente statica. L'insicurezza generata dalle lotte feudali provocò la costruzione di residenze fortificate, come osteri e palazzi-torre. Tale era probabilmente il forte Casanova, edificato nel 1370 da Giacomo Alagona, utilizzato in seguito come prigione e crollato nel terremoto del 1693. Nei palazzi signorili il piano terreno mantenne sino alla fine del secolo un aspetto austero, imposto dalla necessità di difesa, mentre il piano nobile venne allietato dalla presenza di bifore e trifore, spesso di grande pregio artistico. Per es., nelle polifore di palazzo Mergulese (1397), poi Montalto, le decorazioni, con motivi a zig-zag e vegetali, ripetono moduli di tipo chiaramontano.Dopo il Vespro furono attivi laboratori di orafi e argentieri, di cui sono noti gli statuti. Nel sec. 14° artigiani locali, di tradizione siculo-musulmana, produssero una ceramica a invetriatura stannifera, dai colori predominanti giallo-blu e oro, con motivi zoomorfi o floreali stilizzati e stemmi blasonici.
Bibl.:
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Fonti edite. - A. Grabar, M. Manusakas, L'illustration du manuscrit de Skylitzès de la Bibliothèque nationale de Madrid, Venezia 1979; Annales Siculi, a cura di E. Pontieri, in RIS2, V, 1, 1925-1928, pp. 115-120; Annali Genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, a cura di L.T. Belgramo, C. Imperiale di Sant'Angelo (Fonti per la storia d'Italia, 11-14), Roma 1890-1929; Ugo Falcando, Epistola ad Petrum Panormitane ecclesie thesaurarium, a cura di G.B. Siragusa (Fonti per la storia d'Italia, 22), Roma 1897; Pietro da Eboli, Liber ad honorem Augusti, a cura di G.B. Siragusa, (Fonti per la storia d'Italia, 39), Roma 1906; Nicola Speciale, Historia Sicula (1282-1337), a cura di R. Gregorio, in Bibliotheca scriptorum qui res gestas sub Aragonum imperio retulere, Palermo 1791, I, p. 444; L.C. Scobar, Opuscula de rebus praeclaris Syracusanis, Venezia 1520; W. Schellinks, Viaggio al Sud, a cura di B. Aikema, Roma 1983.
Letteratura critica. - E. Mauceri, Su alcuni pittori vissuti in Siracusa nel Rinascimento, L'Arte 7, 1904, pp. 161-167; S. Sanpere y Miquel, Los cuatrocentistas catalanos, Barcelona 1906; E. Mauceri, Documenti inediti intorno alla pittura siracusana del secolo XV, Archivio storico siciliano, n.s., 40, 1915, pp. 147-153; id., Il tesoro del Duomo di Messina, BArte, n.s., 3, 1923-1924, pp. 7-20; G. Agnello, L'architettura sveva in Sicilia, Roma 1935a (rist. anast., Siracusa 1986); id., Bibliografia di Paolo Orsi, Archivio storico per la Calabria e la Lucania 5, 1935b, 3-4, pp. 353-489; S. Bottari, Il ''maestro di S. Martino'', Siculorum Gymnasium, n.s., 2, 1949, pp. 169-185; id., Opere inedite o poco note dei musei di Catania e Siracusa, Emporium 110, 1949, pp. 202-220; id., Un pittore siciliano del Quattrocento: Marco Costanzo, BArte, s. IV, 36, 1951, pp. 124-129; id., Echi di Antoniazzo e di Cristoforo Scacco nella pittura siciliana del '400, La giara 2, 1953, 1, pp. 99-114; id., Riflessi di cultura spagnola nella pittura siciliana della prima metà del '400 (Gaspare da Pesaro e Giaimo Sanchez), "Actas del V Congreso de Historia de la Corona de Aragón, Zaragoza 1953", Zaragoza 1953, V, pp. 265-274; R. Longhi, Frammento siciliano, Paragone 4, 1953, 47, pp. 3-44; G. Vigni, G. Carandente, Antonello e la pittura del Quattrocento in Sicilia, cat., Venezia 1953; S. Bottari, La pittura del Quattrocento in Sicilia, Messina-Firenze 1954; S.L. Agnello, Il sarcofago di Giovanni Cardinas ed il suo documento, Archivio storico siracusano 8, 1962, pp. 147-148; G. Agnello, Siracusa nel Medioevo e nel Rinascimento, Caltanissetta-Roma 1964; A. Ragona, La ceramica della Sicilia arabo-normanna, Rassegna dell'istruzione artistica 2, 1966, pp. 11-26; S. Bottari, Ancora sul ''maestro di San Martino'', in Studi in onore di Carmelina Naselli, Catania 1968, II, pp. 19-32; G. Agnello, L'architettura aragonese-catalana in Italia, Palermo 1969; id., Gli antichi stalli corali del Duomo di Siracusa, AC 59, 1971, pp. 174-181; G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l'architettura siciliana del Trecento, Palermo 1972; F. Bologna, Napoli e le rotte mediterranee della pittura da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, Napoli 1977; S.L. Agnello, Osservazioni sul primo impianto urbano di Siracusa, Cronache di archeologia 17, 1978, pp. 152-158; F. Gabrieli, Principio e fine di Siracusa araba, Archivio storico siracusano, n.s., 5, 1978-1979, pp. 207-220; G.M. Agnello, Epigrafi arabiche a Siracusa, ivi, pp. 221-236; s. III, 2, 1988, pp. 89-90; A. Ragona, La maiolica siciliana del secolo XV, in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, Roma 1981, pp. 91-97; F. Campagna Cicala, Per la scultura lignea del Quattrocento in Sicilia, ivi, pp. 101-112; id., Iacobello?, Madonna col Bambino in trono con due angeli musicanti, in Antonello da Messina, Roma 1982, pp. 214-216; V. Abbate, Revisione di Antonello il Panormita, B.C.A. Sicilia 14, 1982, pp. 39-68; G. Bellafiore, Architettura in Sicilia, 1415-1535, Palermo 1984; F. Campagna Cicala, Ignoto sec. XV, Madonna in trono allattante il Bambino, Siracusa, Arcivescovado, in Opere d'arte restaurate 1980-1985, Messina 1986, pp. 30-36; id., La pittura in Sicilia nel Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano, 1987, pp.478-487; L. Dufour, Siracusa, città e fortificazioni, Palermo 1987; T. Pugliatti, La pittura del Cinquecento in Sicilia, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano, 1987, pp. 515-526; S.L. Agnello, Siracusa in età bizantina, in Siracusa bizantina, Siracusa 1990, pp. 47-74; G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nelle età islamica e normanna 827-1194, Palermo 1990; L. Dufour, Atlante storico della Sicilia, Palermo 1992; F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia dai Bizantini ai Normanni, Palermo 1992; R. Cancila, Feudalità e territorio in Sicilia: un'indagine prosopografica, Clio 29, 1993, pp. 409-444; G. Agnello, La Sicilia ed Augusta in età sveva, in G. Agnello, L. Trigilia, La spada e l'altare, Siracusa 1994, pp. 9-96; G. Barbera, Palazzo Bellomo, Palermo 1994; G. Agnello, Il castello Maniace di Siracusa: funzione e simbologia, Le dimore storiche 11, 1995, 1, pp. 13-15; C. Guastella, Il candeliere in bronzo di Siracusa, in Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona. Arti figurative e suntuarie, a cura di M. Andaloro, cat. (Palermo 1994-1995), Palermo 1995, pp. 293-294; S.A. Alberti, Siracusa. Il castello Maniace, ivi, pp. 377-381; M. Andaloro, La croce dipinta di Siracusa e l'orizzonte bizantino-mediterraneo, ivi, pp. 475-480; F. Maurici, La Sicilia di Federico II. Città, castelli, casali, Palermo 1995; Da Antonello a Paladino. Pittori messinesi nel Siracusano dal XV al XVIII, Palermo 1996; F. Campagna Cicala, Ignoto inizio sec. XVI, ivi, pp. 57-58.