sire (siri nel Fiore)
Con il valore di " signore " questo gallicismo ricorre di frequente nella lingua del tempo per rivolgersi in forma allocutiva o appellativa a chi ha potere e signoria su un territorio. Con questo significato proprio, in D. compare solo in Pg XV 97 tu se' sire de la villa / del cui nome ne' dei fu tanta lite, con riferimento a Pisistrato, tiranno di Atene; ha invece il valore estensivo di " primo e più potente cittadino " nell'accenno a Provenzan Salvani, sire di Siena (XI 112), e questo perché il Salvani, pur esercitando nella sua città una preponderanza personale per la sua autorità di capo della Parte ghibellina, non ne fu mai signore nel senso tecnico-politico del vocabolo.
In una similitudine, s. sottolinea la superiorità di Omero sugli altri poeti: If IV 87 colui... / che vien dinanzi ai tre sì come sire / ... è Omero poeta sovrano.
Nel Fiore e in una lirica ipoteticamente attribuita a D. compare come titolo rispettoso dato a personaggi eminenti: in Rime dubbie XXIV 9 l'autore si rivolge a Puccio Bellondi, destinatario del sonetto, con l'appellativo di d'ogni virtù sire; in Fiore CXIX 5 è ricordato 'l buon siri / Guiglielmo... di Santo Amor (la -i finale per sicilianismo; in rima con adiri, martiri, giri); e così CLXXV 9. In CLXXXVI 4 il mi' sire vale " mio marito ".
In due esempi sostituisce il titolo di ‛ signore ' (v.), frequentemente attribuito ad Amore: Vn XX 4 6 Falli natura quand'è amorosa, / Amor per sire e 'l cor per sua magione; e così in Fiore LXXXV 9.
Col significato di " signore ", e quindi con implicito riferimento alla sua sovrana onnipotenza, è attribuito a Dio: l'alto sire (If XXIX 56, Pg XV 112), l'altissimo sire (Vn VI 2), l'etterno sire (XXXI 10 23), giusto sire (Pg XIX 125), glorioso sire (Vn XXII 1), sire de la cortesia (XLII 3).
In alcuni casi il vocabolo si arricchisce di una sfumatura dottrinaria in quanto è inserito in contesti più o meno direttamente allusivi a Dio quale causa efficiente della creazione. Questa complessità semantica è già percepibile in Vn XIX 7 16 Angelo clama in divino intelletto / e dice: " Sire, nel mondo si vede / maraviglia... ", e in Cv II Voi che 'ntendendo 16 un soave penser... se ne gia / molte fiate a' pie' del nostro sire; diventa più evidente nel commento secondo il senso letterale che della canzone si dà, in VII 5 questo pensiero... se ne gìa spesse volte a' piedi del sire di costoro a cu' io parlo [cioè dei Troni], ch'è Iddio; è ulteriormente sottolineata nel passo del Paradiso in cui è enunciata la dottrina che Dio creò gli angeli, i corpi celesti e la materia informe come d'arco tricordo tre saette (XXIX 24): le tre essenze che compongono l'universo (le forme pure degli angeli, la materia pura dei quattro elementi, la materia e forma insieme congiunte) sono 'l triforme effetto del suo sire, proprio perché ne l'esser suo raggiò insieme tutto / sanza distinzïone in essordire (v. 28). Lo stesso tema era stato affrontato in XIII 54 Ciò che non more e ciò che può morire / non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro sire; qui, anzi, l'implicazione concettuale è ancor più complessa in quanto l'idea è il Verbo, la seconda persona della Trinità, che il nostro sire, il Padre, genera ab aeterno, contemplando e intendendo sé stesso.