SIRIA
(A. T., 88-89 e 91).
Sommario: Nome e limiti (p. 884); Divisioni politiche (p. 885); Geologia e morfologia (p. 885); Clima e idrografia (p. 887); Flora e vegetazione (p. 888); Fauna (p. 888); Popolazione e sua distribuzione (p. 888); Agricoltura e industrie (p. 889); Commercio e comunicazioni (p. 890); Finanze (p. 891). - storia: Siria preellenistica (p. 893); Siria ellenistica (p. 895); La Siria provincia romana (p. 899); La Siria in epoca musulmana (p. 902). - Arte (p. 903). - Tav. CLXIX-CLXXIV.
Nome e limiti. - La regione costiera e subcostiera del Mediterraneo orientale, a S. dell'Asia Minore, compare nella storia più antica col nome di Aram. Con la conquista assira dei paesi situati fra il Tigri e il Mediterraneo, dopo il sec. VIII a. C., il nome Assyria si estese a tutto il territorio dell'impero assiro, di cui la Siria stessa venne a far parte. Abbreviata in Syria (Συρία), la denominazione fu ben presto adottata dai Greci per designare il paese tra il Mediterraneo e il corso medio dell'Eufrate. Il nome arabo è ash-Shām, ma anche presso gli Orientali si è diffusa la denominazione europea.
I limiti della Siria come regione naturale non sono ben definiti verso l'interno. Approssimativamente si può indicare come limite settentrionale una linea tra il Golfo di Alessandretta e il punto più vicino dell'Eufrate, press'a poco dove questo è tagliato dal 37° parallelo; come limite orientale il corso medio del fiume fino ad Abū Kemāl e di qui una linea diretta fino ad ‛Aqabah, sul Mar Rosso, in modo da comprendere anche la Palestina e in parte gli altipiani a E. del Giordano.
Divisioni politiche. - Politicamente la maggior parte della Siria geografica è occupata dagli Stati del Levante, sotto mandato francese dal 15 aprile 1920, divisi dopo la riorganizzazione del 1930 nei seguenti stati o governatorati autonomi:
Il sangiaccato di Alessandretta, che fa parte della repubblica di Siria, gode di una certa autonomia.
I confini della Siria politica sono quasi interamente artificiali. Il confine settentrionale, con la Turchia, stabilito mediante varî accordi e definitivamente solo nel 1930, parte dal Mediterraneo poco a N. della città di Alessandretta, e con decorso press'a poco da O. a E. raggiunge il Tigri a Giazīrat Ibn ‛Omar seguendo per lungo tratto la ferrovia detta di Baghdād. Il Tigri segna quindi per una quarantina di chilometri il confine tra Siria e Turchia, e Siria e ‛Irāq; il limite tra questi due ultimi stati, definito con l'accordo franco-irāqeno del 3 luglio 1933, corre quasi interamente in pieno deserto.
Dal Tigri si dirige prima verso O. (in modo che il territorio siriano viene a formare un grande saliente a NE.), e poi verso S. fino all'Eufrate, che raggiunge poco a valle di Abū Kemāl. Di qui il confine prende la direzione di SO., mantenendosi rettilineo anche per un certo tratto fra Siria e Transgiordania. Il confine meridionale, con la Palestina e la Transgiordania, fu stabilito con accordi franco-inglesi, l'ultimo dei quali è del 1923; esso lascia alla Siria quasi tutto il Gebel Druso, segue poi il fiume al-Yarmūk e in parte il Lago di Tiberiade e il Giordano, forma quindi un saliente a N. del Bahr el-Chet e viene a terminare sul Mediterraneo al Rās en-Naqūrah.
Geologia e morfologia. - I caratteri complessivi del rilievo sono relativamente semplici e permettono di dividere la Siria in due parti:1. una fascia costiera larga 60-100 km., occupata da una doppia serie di massicci montuosi, allungati da S. a N., e da una fossa pure in direzione meridiana, che separa l'una serie dall'altra ma che non ha continuità idrografica; 2. un vasto altipiano orientale, inclinato da SO., dove raggiunge altezze massime di circa 1000 m., a NE., verso l'Eufrate (200-330 m. d'altezza), qua e là accidentato da rilievi stretti e lunghi e, verso SO., dal grande rigonfiamento vulcanico del Gebel Druso e da aspri campi di lava. Questa conformazione riflette da vicino i motivi tettonici della regione, poiché le masse montuose occidentali rappresentano degli horst e il solco intermedio un fossato tettonico, sprofondato tra faglie a decorso press'a poco meridiano, diretta continuazione della nota fossa del Mar Morto, mentre l'altipiano corrisponde a grandi vòlte di strati, suborizzontali nel complesso, ma dai quali si sopraelevano qua e là strette pieghe, dirette da sud-ovest a nord-est oppure da ovest a est.
Questa corrispondenza fra la tettonica e le grandi forme del suolo è certamente dovuta all'età recente della fase più importante delle dislocazioni, probabilmente pliocenica o anche in parte quaternaria. Non sembra davvero che la regione montuosa occidentale sia un paese intensamente piegato, come ha preteso qualche geologo moderno. L'età recente di importanti dislocazioni sembra poi confermata dal fatto che la Siria occidentale è regione di considerevole sismicità e più volte si sono ripetuti nei secoli terremoti disastrosi, con distruzione di intere città. I centri sismici principali sono nei dintorni di Antiochia e di Aleppo.
Nella Siria non affiora il basamento cristallino dell'Arabia; anzi i terreni pregiurassici, del resto mal conosciuti, sono poco estesi. Il Paleozoico è forse rappresentato nella catena costiera più settentrionale da quarziti e scisti grafitici, nonché da serpentine e gabbri (giurassici?), e poi da un piccolo affioramento di Carbonico nel Gebel ‛Abd el-‛Azīz (tra Eufrate e Tigri). Il Triassico, presente in varî punti della fossa del Mar Morto, non è stato finora riconosciuto in territorio siriano. Il Giurassico è invece importante, perché costituisce i nuclei dei massicci montuosi. Nel Libano e nell'Antilibano la serie giurassica è potente e comincia forse col Liassico, estendendosi fino al Kimmeridgiano, se non forse al Titonico; i terreni sono generalmente calcarei o dolomitici. Il Cretacico, ancor più potente, è il principale costituente delle montagne, meno che nella parte più settentrionale, ed è pure estesissimo nell'altipiano interno. L'Infracretacico è rappresentato in parte da depositi continentali detritici, cioè sabbie fini con resti di vegetali (Neocomiano), seguiti da marne e calcari marini e poi di nuovo da depositi continentali. Il Cenomaniano e il Turoniano comprendono una pila uniforme, alta 500-1000 m., di calcari e dolomie, talora con intercalazioni selcifere. Il Senoniano è rappresentato essenzialmente da calcari cretosi bianchi nella zona montuosa occidentale, da calcari a lastre, calcari marnosi con intercalazioni di selce e fosfati, marne gessose nella zona interna dove è estesissimo.
L'Eocene e l'Oligocene, ancor poco conosciuti e diffusi qua e là, in affioramenti non molto estesi nella regione montuosa e assai più largamente rappresentati nella parte meridionale dell'altipiano, hanno facies e potenza assai diversa da luogo a luogo, in conseguenza di deformazioni e sollevamenti avvenuti durante questi periodi. Si tratta per lo più di calcari nummulitici o coralligeni o brecciosi, e anche di calcari cretosi. Il Miocene è estesissimo, specialmente nell'altipiano desertico; pur esso è rappresentato da calcari cretosi, a Lepidocicline e Miogipsine, e verso la costa da conglomerati, calcari a lithotamni, molasse e gessi. Infine il Pliocene e il Quaternario, ripartiti un po' dovunque, spesso mal separabili, sono rappresentati da argille azzurre marine (Laodicea) e più ancora da conglomerati e marne lacustri il primo, e il secondo da arenarie calcaree (tipo panchina) passanti a conglomerati, presso la costa, e da dune, alluvioni, detriti, terre rosse, ecc., verso l'interno.
Le rocce effusive consistono in basalti, che formano grandi espandimenti e innumerevoli coni, specialmente nella parte sud-occidentale dell'altipiano. Le eruzioni avvennero alla fine del Pliocene e nel Quaternario, per numerose fratture orientate da NNO. a SSE.
La duplice serie dei massicci è rotta trasversalmente da depressioni in parte tettoniche e in parte erosive, che permettono alle acque del fossato mediano di scaricarsi verso il mare, e alle linee di comunicazione di allacciare la costa con la regione interna. Si determinano così quattro sezioni principali, di cui la più meridionale resta quasi interamente fuori della Siria politica e costituisce gli altipiani della Palestina (600-700 m.) e della Transgiordania (700-1000 m.), separati dalla profonda fossa del Mar Morto e del Giordano (Ghōr). La sezione seguente, a N. della stretta valle del Leitani, è formata dai massicci gemelli del Libano e dell'Antilibano, le montagne più alte della Siria. Il primo raggiunge presto altezze superiori a 2000 m. e culmina a m. 3089 nella al-Qurnat as-Sawdā'. È una muraglia calcarea lunga 170 km. e larga fino a 45 km., ripidissima sul fossato, dal lato orientale, e con declivî nel complesso più moderati, a scaglioni successivi, verso il Mediterraneo.
La zona più alta (Giuva), dove affiorano i terreni giurassici, è un seguito di groppe e di altipiani deserti costellati di doline. La costa, con andamento più o meno rettilineo, è raggiunta in molti tratti da speroni della montagna, che formano promontorî rocciosi, accompagnati da scogli; strette e allungate sono le zone costiere alluvionali. Analoghi caratteri presenta tutta la costa siriana, fino al Golfo di Alessandretta, solo che le pianure costiere possono assumere qua e là estensione maggiore.
Dall'altra parte del fossato mediano, altezze poco minori raggiunge l'Antilibano, che è diviso in due masse dalla profonda valle del Barada, in parte corrispondente a una depressione tettonica. A S. sta la compatta e imponente montagna dell'Hermon (2814 m.); a N. l'Antilibano (Talat Musa, m. 2623) diviene sempre più tabulare e uniforme, in pari tempo allargandosi e orientandosi sempre più verso NE. Come nel Libano, il grande sviluppo dei calcari provoca un accentuato carsismo. Il fossato mediano, tra Libano e Antilibano, prende il nome di al-Biqā‛ (Coelesyria degli antichi) ed è una larga valle pianeggiante e alluvionata, a doppia pendenza (spartiacque presso Baalbek a circa 1100 m.), limitata da fratture parallele. Verso N. le acque sono raccolte dall'Oronte e la valle si raccorda con la piana di Homs (Hims, v.; 500 m.); a S. è percorsa dal Leitani, ma è poi chiusa da collinette pietrose che impediscono al fiume di scendere nel Ghōr e lo obbligano ad aprirsi una strada al mare verso occidente.
A N. della profonda insellatura segnata dal Nahr el-Kebīr meridionale, alla quale corrisponde un valico appena più alto di 500 m. che permette facile passaggio alla ferrovia Tripoli-Homs, le montagne diventano più basse e come forme si potrebbero spesso dire piuttosto altipiani, mentre la fossa perde la sua profondità. Verso la costa il Gebel Ansāryyeh, o Massiccio degli ‛Alawiti mantiene la direzione meridiana e culmina a 1568 m., per terminare bruscamente a N. su una nuova depressione trasversale (Nahr el-Kebīr settentrionale). Il fossato si fa indeciso, confondendosi dapprima con le pianure o i bacini di Ḥomṣ e di Ḥamāh; ma poi riprende netto con l'innalzarsi, a oriente, del Gebel Zāwiyeh (930 m.), dirimpetto alla parte più settentrionale del Gebel Anṣāriyyeh. La fossa è qui un bacino allungato, detto Ghāb, dal fondo piano e inondato nell'inverno dall'Oronte, fiume che stabilisce la continuità idrografica con la al-Biqā‛ settentrionale, attraversando con una gola l'altipiano calcareo di Ḥamāh.
Procedendo ancora verso settentrione, oltre il parallelo di Laodicea, nuovi elementi litologici e tettonici vengono a far parte delle masse montuose. Il motivo tettonico, dominante più a S., dei massicci fagliati con andamento meridiano, va passando sempre più a pieghe, che risentono l'influenza delle prossime catene del Tauro, alle cui pieghe tendono a ricongiungersi. Le direttrici tettoniche e orografiche vanno orientandosi verso NE. e compaiono grandi masse di gabbri e serpentine, le quali fanno forse parte di una coltre carreggiata. Lungo il mare, il Gebel Akva culmina a m. 1768; seguono, di là dall'Oronte, disposti a formare una vera catena leggermente arcuata, il Kizil Dāgh, m. 1836, l'Amano, m. 2266 (il nome Elma Dāgh si riferisce soltanto a una sua parte), e il Ghiaur Dāgh, questo già fuori dei limiti politici della Siria. Questi tratti della catena sono separati da facili passi. Dal lato orientale, l'arco montuoso scende ripido su una largha e profonda fossa (in parte utilizzata dall'Oronte per raggiungere il mare), la quale si allarga presso Antiochia in un vasto bacino alluvionato, che porta il Lago d'Amuk, residuo di più estesa regione lacustre. Ma non si tratta più di un semplice fossato tra faglie parallele; gli strati sono qui nettamente piegati e accennano a un'ampia sinclinale. Basse e poco unite sono le montagne del lato orientale (Kurd Dāgh e Gebel Sim‛ān, m. 869), in parte simili a quelle costiere, ma per lo più calcaree e aride.
La regione degli altipiani interni, steppici e desertici, può distinguersi in due parti, di cui quella tra i massicci montuosi e l'Eufrate prende il nome locale di Shāmiyyah, e l'altra rientra nella Mesopotamia, estendendosi tra l'Eufrate e il Tigri (Giazīrah). Le regioni più settentrionali della Shāmiyyah, calcaree (Miocene o Cretacico superiore), a linee tabulari o mollemente ondulate, solcate da uadi numerosi, racchiudono bacini chiusi, parzialmente occupati da paludi o da laghi salati; qua e là compaiono piccole masse basaltiche. L'altipiano è troncato dalla valle dell'Eufrate, con una balza alta fino a 100 m. Più a S. l'altipiano è percorso da una serie di rilievi stretti e allungati, diretti da SO. a NE., più o meno collegati all'Antilibano, spesso dissimmetrici, e dei quali il maggiore è il Gebel ash-Sharqī (m. 1404). Ancora più a S. riprendono gli altipiani tabulari, che si innalzano fino a 800-1000 m. verso il confine. A oriente (Ḥamād) sono più uniformi che nella Siria settentrionale e veramente desertici (Deserto Siriano); gli uadi, più rari, sono talvolta smembrati in collane di piccoli bacini chiusi: a occidente invece potenti colate di basalto coprono un'area di 33 q. e rendono assai vario il paesaggio. Il Gebel Druso è una grande massa basaltica ovale, alta sino a 1839 m., cioè 800-1000 m. sulla base, disseminata di coni vulcanici. Gli altri campi di lava o coni si innalzano generalmente di poco dalla superficie dell'altipiano. Sono talora asprissimi campi di lave nude e scure, come il Leggja e il Dīret eṭ-Ṭulūl, più o meno dispersi di conetti, oppure grandi distese di pietre angolose ricoperte da una specie di vernice nera; ma all'O. del Gebel Druso, cioè nel Ḥaurān, l'alterazione delle lave ha dato origine a un suolo fertile, buon produttore di grano.
Nella Giazīrah siriana si continuano gli altipiani calcarei e tabulari della Shāmiyyāh (200-500 m.), percorsi da una linea di rilievi stretti e allungati, in direzione E.-O. (‛Abd el-‛Azīz, m. 800; Gebel Singiār, m. 1600).
Clima e idrografia. - Il rapido decrescere delle piogge e l'aumentare dell'escursione, diurna e annua, della temperatura dalla costa verso l'interno sono i fatti più importanti che caratterizzano le condizioni climatiche della Siria. La presenza di una zona continua di rilievi presso la costa contribuisce a rendere termicamente più moderato e inoltre più piovoso il clima della fascia occidentale, mentre si aggiunge al fatto dell'allontanamento del mare a rendere eccessivo e arido il clima dell'interno. La regione strettamente costiera gode di un clima mediterraneo tipico, con estati non troppo calde e inverni mitissimi, e piogge dovunque sufficienti (Alessandretta circa 600 mm. all'anno, Beirut 900), ma concentrate nel periodo novembre-aprile, tranne nel versante costiero dell'Amaos. A Beirut la temperatura media del mese più caldo (l'agosto) è di 27°,4, quella del mese più freddo (il gennaio) di 13°,1. Verso N. però, anche sulla costa, l'escursione annua aumenta. L'umidità dell'aria nelle stazioni costiere si mantiene assai uniforme durante tutto l'anno e può essere anche maggiore nell'estate, ciò che rende il caldo mal sopportabile. Durante il periodo piovoso sono frequenti forti temporali; se ne verificano però anche nel periodo asciutto.
Considerevoli modificazioni apporta naturalmente l'altitudine: diminuzione della temperatura e aumento delle piogge, che verso i 1000 m. superano assai il metro annuo (Giazzīn, a 890 m. d'altezza, riceve circa 1400 mm.). La neve è abbondante sulle montagne più elevate, anche al di là del fossato (Antilibano), e nelle doline delle sommità può conservarsi tutto l'anno, benché non si raggiunga il limite climatico delle nevi persistenti. Del resto quasi ogni anno nevica in tutto il territorio fino a 150-200 m. d'altezza, mentre sulla costa la neve è fenomeno eccezionale.
Gl'influssi mediterranei superano il fossato mediano e raggiungono, sempre più attenuati s'intende, le montagne del fianco orientale. Al di là di queste, le piogge scendono sotto i 500 mm. all'anno e si passa rapidamente a un tipo di clima subdesertico, cui E. De Martonne ha dato appunto il nome di clima siriano, transizione fra il tipo mediterraneo e quello propriamente desertico della parte più interna della Shāmiyyah. La temperatura media va aumentando verso oriente, ma soprattutto aumentano le massime. L'escursione annua, di 14° a Beirut, è di quasi 19° a Ksara nella al-Biqā‛, e di 23°,1 a Palmira, di 26°,4 a Giarāblus sull'Eufrate. Il termometro sale nell'estate fino a 45°. Le piogge sono ancora di 200-250 mm. nella parte settentrionale e occidentale della Shāmiyyah, ma durante sei mesi o più la secchezza è assoluta: nella parte meridionale, cioè nel vero e proprio Deserto Siriaco le precipitazioni non arrivano a 100 mm. all'anno (Palmira 80 mm.), tranne nel Gebel Druso e nelle sue adiacenze, dove cadono piogge sufficienti alle coltivazioni invernali. La nebulosità, già minima sulla costa, è nulla o quasi in questa zona interna. Nella Giazīrah siriana, dove pure le temperature sono molto elevate, cadono 100-250 mm. di piogge, e assai di più nell'angolo di NE., avvicinandosi alle montagne del ‛Irāq.
La Siria è solcata dovunque da una rete di alvei fluviali e torrentizî, fitta nelle regioni montuose, più rada negli altipiani steppici e desertici dell'interno. Ma gli alvei della zona secca, ereditati da un passato maggiormente piovoso, sono oggi attivi soltanto in casi eccezionali. Nelle stesse regioni umide, d'altra parte, solo piccola parte dei corsi ha acque perenni, a causa della concentrazione delle piogge in un periodo ben definito dell'anno e dell'estensione delle masse calcaree fessurate che assorbono con grande facilità le acque superficiali. Acque perenni possono quindi avere soltanto quei corsi alimentati da sorgenti abbondanti. Queste sono però numerose.
Nella regione costiera le imponenti masse calcaree del Cenomaniano e del Giurassico costituiscono importanti serbatoi d'acqua, anche perché i calcari giurassici affiorano nelle zone più elevate e quindi più nevose o piovose. Alcune sorgenti, come quelle dell'Ibrāhīm o del L. Yammūneh nel Libano settentrionale, scaturiscono al contatto fra il Cenomaniano e l'Infracretacico poco permeabile. Altre, come le più grosse sorgenti che alimentano l'Oronte nella al-Biqā‛ settentrionale, vengono a giorno dai massicci calcarei lungo il limite delle alluvioni impermeabili. Analoghe a queste ultime, e cioè sorgenti di sfioramento, sono le acque che fuoriescono dai calcari giurassici al limite della copertura impermeabile infracretacica, o dai calcari cenomaniani coperti dal Senoniano o dall'Eocenico. Queste acque possono essere salienti, come a Sidone e a Tiro; anzi lungo tutta la costa meridionale sgorgano grosse sorgenti sottomarine. Nella steppa predesertica si traggono poi acque abbastanza abbondanti dai pozzi nel calcare cretoso, superficialmente alterato e fessurato. Anche nelle zone a piogge molto scarse (100-250 mm.) si trovano pozzi relativamente numerosi e anche piccole sorgenti calde o tiepide, spesso solforose o saline (dintorni di Palmira). Falde acquee, non però abbondanti, hanno rivelato, in pieno deserto, i pozzi in roccia costruiti per l'approvvigionamento delle stazioni di sorveglianza dell'oleodotto Kirkük-Tripoli. Altre falde acquee si trovano poi nelle alluvioni dei bacini chiusi della regione interna.
Brevi e precipitosi sono i corsi d'acqua dei massicci costieri; quelli del versante occidentale versano direttamente al mare, mentre a E. sono tributarî dell'Oronte o del Leitani. Il versante meridionale dell'Hermon, l'altipiano del Haurān e il Gebel Druso mandano però le loro acque al Giordano. L'Oronte si può dire l'unico vero fiume siriano (a parte l'Eufrate), con acque assai abbondanti durante tutto l'anno, per quanto con divario notevole tra lo stato di magra del periodo estivo-autunnale (circa 30 mc. al secondo) e quello di piena primaverile (100-230 mc. al secondo).
Nella Giazīrah la rete idrografica è tributaria dell'Eufrate e quindi del Golfo Persico. Ma le acque di questo fiume, come quelle dei suoi affluenti di sinistra (Belīkh, Khābūr) provengono dalle montagne a N. del territorio siriano. All'uscita da questo, l'Eufrate ha una portata di magra, assai costante, di circa 220 mc. al secondo. Alla destra del fiume esistono letti fluviali, ma essi portano acqua solo eccezionalmente. Le piccole conche chiuse in cui sono in parte trasformati gli alvei della regione desertica si riempiono di acqua stagnante dopo le piogge invernali, acqua che scompare rapidamente per evaporazione. D'altra parte negli altipiani della Shāmiyyah esistono vasti bacini chiusi, nelle cui zone più depresse si formano paludi temporanee o permanenti, fornite di malaria, e anche stagni salati, dei quali il maggiore è quello di Gebbul, a SE. di Aleppo. I principali bacini idrograficamente chiusi sono quelli di Damasco (8150 kmq.) e di Aleppo (1700 kmq.). Al primo giungono le acque del versante orientale dell'Antilibano, per mezzo del Barada e del Nahr al-‛Awaǵ, i quali finiscono per impaludare (dopo essere stati impoveriti dall'irrigazione) negli stagni di al-‛Ateibah ed el-Higiāneh. Il bacino di Aleppo è percorso dal Quwaiq, che impaluda negli stagni di Madek. Veri e proprî laghi sono però ben rari nella Siria; lo stesso Lago d'Antiochia, o d'Amuk, è profondo solo 2 m. e circondato da zone palustri. Il Lago di Ḥomṣ è artificiale, essendo le acque sostenute, fin dall'antichità, per mezzo di una diga.
Flora e vegetazione. - La flora e la vegetazione della Siria risentono profondamente delle condizioni climatiche e della posizione geografica del territorio nel quale si trovano zone a vegetazione bene sviluppata e zone invece di straordinaria aridità e quasi desertiche.
Il litorale presenta la caratteristica vegetazione mediterranea, con arbusti e alberi sempreverdi a foglie spesse e coriacee che resistono al calore e alla siccità: la flora presenta analogie con quella delle coste orientali spagnole, dell'Africa settentrionale (Marocco, Algeria, Tunisia) e della Sicilia; qui crescono il Pinus pinea, l'olivo, il limone, gli aranci, il mirto, il lentisco, e poi nei campi numerose specie di tulipani e di anemoni; a Beirut si trova anche il Ficus sicomorus, che è un elemento della flora africana.
Negli altipiani interni e nelle montagne del Libano, specialmente nelle pendici del versante orientale, cresce una vegetazione steppica con arbusti spinosi grigiastri, labiate aromatiche e numerose carduacee, alcune delle quali resistono al calore e alla siccità estiva in pieno deserto,
Sui declivî dei monti si trovano i residui degli antichi boschi, che sono stati distrutti dalla mano dell'uomo: qui crescono soprattutto conifere e particolarmente cedri (Cedrus deodara, che vive pure nel Himālaya occidentale, e C. Libani), cipressi (Cupressus horizontalis), pini (Pinus laricio) e Juniperus foetidissima.
Nella regione del Giordano, ove la Siria si collega con la Palestina, crescono piante schiettamente africane che appartengono ai dominî floristici della Nubia e dell'Abissinia, come Calotropis procera, Trichodesma africana: sulle sponde del Lago di Tiberiade cresce il papiro.
Fauna. - La fauna siriana include elementi proprî alla fauna dell'Oriente mediterraneo e ha strette affinità con la fauna della Palestina e con quella anatolica. Tra i Mammiferi citeremo varî pipistrelli dei generi Rhinolopus e Plecotus, la procavia siriaca, varie specie di crocidura, di Erinaceus, capre, gazzelle, varie specie di martore, cani, qualche viverra, la iena, il tasso, varie volpi. L'avifauna è abbastanza ricca con molte specie di tordi, motacille, silvie, emberize, gufi, civette, falchi, e altri Trampolieri, Gallinacei, Rapaci, ecc.
I Rettili annoverano varie specie di Ofidî dei generi Vipera, Coluber, Tropidonotus, Torbophis, di Sauri tra i quali varie lacerte, varani, gechi, il camaleonte, l'agama; di Cheloni quali la Testudo ibera e varie altre specie, l'Emys, ecc. Fra gli Anfibî citeremo il Pelobates syriacus, la raganella di Savigny, il Bufo viridis e varî Tritoni e Salamandre. Ricca la fauna entomologica specialmente con numerose specie di Lepidotteri, Imenotteri, Ditteri, Coleotteri e Ortotteri. Ben rappresentati gli Aracnidi con molte specie di Ragni, Scorpioni e Acari e la fauna di Molluschi terrestri molto varia e interessante.
Popolazione e sua distribuzione. - La popolazione della Siria appare molto scarsa in relazione alla vastità del territorio; non si deve dimenticare però che gran parte della regione interna è quasi disabitata. È certo che il paese potrebbe mantenere una popolazione più numerosa, eccetto nel Libano, con lo sfruttamento di tutte le terre coltivabili e il miglioramento delle pratiche agricole e dell'irrigazione. La forte emigrazione e le carestie della guerra mondiale produssero in certe plaghe una diminuzione di popolazione, ma questa si è di nuovo accresciuta dopo l'istituzione del mandato francese, essendo gl'indigeni molto prolifici, pur senza tener conto dell'immigrazione di Armeni e di quella recente, del resto numericamente modesta, di Assiro-Caldei della Mesopotamia.
La densità di popolazione riferita alla regione abitabile ed effettivamente abitata (kmq. 111.650) è, secondo statistiche della fine del 1934, la seguente: Libano 91 ab. per kmq., Laodicea 51, Siria 21, Gebel Druso 9,6. La densità nel Libano appare altissima, considerando che il paese è fortemente montuoso. Ciò spiega l'intensa emigrazione, diretta principalmente verso l'America. La popolazione vi è fitta fino a 1500 m., anche nella media montagna, sul versante marittimo, abitata dai Maroniti; fitta anche nella al-Biqā‛, dove i villaggi stanno di preferenza sulle conoidi al piede della montagna. Anche nel Gebel Anṣāriyyeh, abitato dagli ‛Alawiti, la popolazione è assai densa e regolarmente distribuita. I villaggì salgono fin sulle sommità a 1200-1500 m. Invece nelle montagne costiere più settentrionali la popolazione si concentra alla base dei due versanti, lasciando quasi spopolata la zona media e alta.
Nel territorio della repubblica siriaca la popolazione è ancora abbastanza fitta, ma in discreta parte urbana, nella zona più occidentale, cioè nei dintorni d'Aleppo e lungo l'Oronte, al piede dell'Antilibano, e anche nel Ḥaurān. Più a oriente i centri abitati sono quasi esclusivamente sui fiumi principali, Eufrate, Khābūr e Tigri, e ai piedi dei rilievi. Nel deserto sono poche oasi, di cui la più importante è Palmira. I Beduini nomadi delle steppe predesertiche si calcolano a circa 350.000 (secondo altri dati 200.000). Presso l'alto commissario è stato costituito un apposito servizio, che ha in programma il loro collocamento in villaggi predesertici; per ora è stata iniziata un'opera di assistenza, soprattutto igienica. Nel Gebel Druso, che i Drusi occuparono nel sec. XVIII e hanno più fittamente popolato con nuove immigrazioni nel 1860, si alternano tratti di lave assolutamente sterili e quindi disabitati con zone aventi una discreta popolazione rurale.
La Siria possiede alcune grandi città: Damasco, Aleppo e Beirut superano 150.000 ab., Ḥoms (Ḥimṣ) supera i 50.000, e altre quattro o cinque ne hanno più di 20.000. Sono tutte nella regione occidentale; il maggior centro dell'interno è Deir ez-Zōr, sull'Eufrate, con circa 12.000 ab.
La Siria è un vasto e complesso musaico di popolazioni e di religioni. Caratteristica dell'etnografia è la presenza di gruppi religiosi, cristiani o musulmani dissidenti, che, raccolti in nuclei assai compatti, formano delle vere unità etniche. Sono fra questi i Maroniti, i Drusi, gli ‛Alawiti (per i quali vedi alle singole voci). L'arabo è la lingua di grandissima parte degli abitanti ed è anche la lingua ufficiale insieme con il francese. Nella Siria del N. è ancora diffuso il turco, che nel sangiaccato dì Alessandretta costituisce una terza lingua ufficiale. Un certo numero di Curdi si trova poi nei villaggi della Giazīrah, e colonie di Circassi del caucaso sono stabilite ai margini del deserto, soprattutto verso il Ḥaurān, ma più numerosi di questi sono gli armeni, immigrati negli ultimi anni per sottrarsi al regime turco. Nella Siria, forse più che la diversità di lingua e d'origine, ha però importanza la diversità di religione, poiché i varî gruppi religiosí serbano una gelosa autonomia culturale. Si contano nel paese almeno una ventina di confessioni, senza tener conto delle varie chiese protestanti e delle sfumature minori. I musulmani costituiscono più dei 3/5 della popolazione, in prevalenza Sunniti, poi Sciiti. Non si posseggono dati statistici precisi e recenti; riferendosi a una popolazione totale di 2.630.000 abitanti, i musulmani sono circa 1.650.000. Numerosi sono anche i seguaci di religioni derivate dall'islamismo, particolarmente i Drusi (110.000) e gli ‛Alawiti (o Nosairi, 340.000), accantonati i primi nel Ḥaurān e nel Gebel Druso, i secondi nel Gebel Zāwiyeh. I cristiani riuniscono forse 1/4 della popolazione siriana, ma sono molto suddivisi. Tra i seguaci di riti cattolici, i Maroniti costituiscono il gruppo più numeroso (circa 200.000), stabilito nel Libano; seguono i Melchiti uniti (o greco-cattolici, circa 80.000), mentre i rimanenti gruppi di cristiani uniti alla Chiesa di Roma sono numericamente poco importanti. Degli altri cristiani sono numerosi i greco-ortodossi (circa 150.000), assai meno gli Armeni gregoriani (30.000), pochi i giacobiti, i nestoriani, i protestanti. Gli Ebrei, che vivono sopra tutto nelle città maggiori, sono circa 17.000.
Come si è detto, l'emigrazione è intensa, specialmente dal Libano, tanto che i Siriani all'estero si stimano circa 700.000. Il fenomeno è però considerevolmente diminuito negli ultimi anni (1926, quasi 15.000 emigrati; 1929, circa 8000; 1932, solo 2324).
Nella popolazione sedentaria siriana l'istruzione è relativamente diffusa. Nel Libano sa leggere il 46% degli abitanti, nella Repubblica di Siria il 28%, tra gli ‛Alawiti il 31%, nel Gebel Druso però soltanto il 6%. L'insegnamento secondario è impartito in tutte le principali città e quello superiore in tre università (araba a Damasco, francese e americana a Beirut). La lingua francese è la lingua estera più conosciuta, specialmente fra gl'intellettuali e i commercianti; sulla costa è però diffuso anche l'italiano.
Agricoltura e industrie. - Perduta in gran parte l'antica importanza commerciale, la Siria rimane un paese quasi esclusivamente agricolo. La stessa agricoltura ebbe però momenti di maggiore prosperità; sotto la dominazione turca lo sfruttamento del suolo si ridusse a poco a poco ai bisogni immediati della diminuita popolazione. Nell'ultimo quindicennio l'agricoltura siriana ha cominciato a risollevarsi, anche per le provvidenze della potenza mandataria; i progressi non potevano a ogni modo essere troppo rapidi, per il persistere di alcuni fattori sfavorevoli, come la miseria del coltivatore indigeno e la sua ignoranza di pratiche agricole che non siano quelle antiche e tradizionali, la trascuratezza nella quale erano lasciate le opere d'irrigazione. Il suolo è però fertile ed esistono possibilità di un'assai più larga irrigazione, sì che i rendimenti e l'estensione stessa delle superficie coltivate potrebbero subire un aumento considerevole. Il problema dell'acqua è, per molta parte della regione, essenziale allo sviluppo agricolo. Nelle annate particolarmente scarse di piogge i raccolti si fanno minimi; nel 1931 e nel 1932 la siccità, insieme ai rigori dell'inverno 1932-33, ha ridotto i raccolti a meno della metà del normale in vaste regioni, provocando inoltre una forte mortalità del bestiame. Alcuni lavori per la migliore utilizzazione delle acque fluviali - che fanno parte di un piano di lavori pubblici e di riforme profonde elaborato in questi ultimi anni - sono già iniziati; ad es., la sopraelevazione della diga del Lago di Ḥoms, il quale, si calcola, permetterà l'irrigazione di ha. 14.000 di nuove terre. Si progetta anche di captare le grosse sorgenti del Lago Yammuneh e di condurne le acque nella al-Biqā‛, e si pensa pure di bonificare alcune zone paludose, non escluso il Lago di Antiochia. Nelle regioni predesertiche, dove mancano corsi d'acqua perenni, si studia il modo di utilizzare mediante pozzi a elevazione meccanica la falda freatica, alla quale del resto attingono già le norie indigene.
S'intende che la regione veramente importante per l'agricoltura siriana è quella occidentale, più umida, fino al piede orientale dei massicci montuosi della serie interna, dove giungono le acque delle montagne a fertilizzare il terreno, che già qui riceve piogge ridotte. Tipica è a questo proposito la verdissima oasi di Damasco, mantenuta mediante irrigazione con le acque del fiume Barada, che viene dall'Antilibano. L'altipiano interno è in massima parte un vero deserto oppure una steppa atta soltanto al pascolo; le coltivazioni vi sono limitate ad alcune oasi, a zone lungo l'Eufrate e i suoi principali affluenti e alla parte più settentrionale della Giazīrah. La superficie coltivata della Siria rappresenta quindi appena il 7% dell'intero territorio, calcolandosi in ha. 1.486.000; ma è forse un po' meno della metà della terra coltivabile.
La superficie coltivata è dedicata per circa 88% ai seminativi. Nel 1933 le colture cerealicole occupavano ha. 883.000, e ciò indica la loro grande importanza per l'agricoltura siriana. Il grano e l'orzo dànno i prodotti più abbondanti (in media circa 3.650.000 quintali ciascuno); anzi la produzione di altri cereali è modestissima (sorgo, mais, avena, riso, sesamo). Grano e orzo, colture invernali, sono diffusi in tutto il paese, sia in pianura sia in montagna; la grande zona granaria è però costituita dalla al-Biqā‛ meridionale e più ancora dal Ḥaurān, dove i campi uniformi e sconfinati del frumento si stendono sulla fertile terra vulcanica.
Modesta è la produzione delle patate (circa 450.000 q. all'anno), che si ha specialmente nelle zone montuose. Hanno maggiore importanza, in rapporto alla alimentazione indigena, varie leguminose e gli ortaggi (specialmente cipolle, cocomeri, meloni, ecc.), che sono coltivati sopra tutto nei giardini irrigui delle piane costiere e delle oasi interne; sulla costa si potranno utilmente coltivare come primizie, ben più di quanto si faccia attualmente.
Le colture arboree occupavano nel 1934 ha. 181.000, cioè circa il 12% del terreno coltivato. L'olivo è tra esse al primo posto, e dà una produzione di 100-150.000 q. annui di olio, con forti oscillazioni da un anno all'altro. È diffuso, come la vite e il fico, in tutta la zona occidentale, ed arriva fino a 1000 m. d'altezza. Gli oliveti migliori si trovano sulle pendici del Libano. La vite dà uve fresche o secche, e anche vini eccellenti, dove predomina la popolazione cristiana, ma si tratta di vini poco resistenti che debbono essere consumati sul posto. Il gelso è diffuso dovunque, ma è particolarmente coltivato nelle parti basse del Libano. La sua coltura è andata però diminuendo, sostituita da altre più redditizie.
Svariatissimi sono gli alberi fruttiferi che allignano in Siria; accanto a quelli tipicamente mediterranei e a quelli dei paesi temperati dell'Europa, ne prosperano alcuni subtropicali o tropicali, come il dattero e il banano, che va diffondendosi sul litorale. Il fico è uno degli alberi più diffusi e abbondanti, meno il mandorlo, l'albicocco, il melograno, il carrubo, che prosperano soprattutto nei giardini della costa. In quelli di Damasco è particolarmente abbondante l'albicocco, i cui prodotti vengono anche esportati verso l'Egitto. Nel Libano è diffuso il noce, nei dintorni di Aleppo il pistacchio. Importanza maggiore, per il contributo dato all'esportazione, ha la coltura degli agrumi e specialmente dell'arancio, con una produzione di circa 400.000 q. annui, dovuta alla regione costiera. L'abbondanza della frutta potrebbe alimentare un'importante industria di conserve alimentari, oggi ancora agli inizi.
Delle colture industriali hanno importanza soltanto il cotone e il tabacco, essendo le altre, come la canna da zucchero, la canapa, il ricino, ancora molto limitate. Il cotone è coltivato in Siria da lungo tempo e la sua coltura ha avuto momenti di notevole prosperità; decaduta negli ultimi decennî, ha attraversato vicissitudini varie dopo l'occupazione francese. Gli esperimenti condotti permettono però di affermare che la coltura del cotone si adatta molto bene alle condizioni locali sulla costa, nella al-Biqā‛ e lungo l'Eufrate, e potrebbe divenire ben redditizia. Nei dintorni di Aleppo è possibile anche la coltura senza irrigazione. Il tabacco è coltivato specialmente nel Libano, nei dintorni di Giubail e nella regione di Laodicea (circa 36.000 q. annui).
Tra i prodotti vegetali coltivati o spontanei di minore importanza sono da ricordare il sommacco, la vallonea, l'indaco, l'henné, l'alfa, ecc.
I boschi della Siria sono ormai ristretti alle sole montagne più settentrionali, soprattutto per l'inconsulta distruzione operata sotto il regime turco. La superficie da essi occupata si calcola in ha. 329.000, cioè solo l'1,6% dell'intero territorio. Nel Libano, scomparsi praticamente del tutto i boschi di cedri, si trovano solo boschetti di cipresso e di pino d'Aleppo.
Estesissimi sono i pascoli, ma adatti solo per animali di poche esigenze, non soltanto nella regione stepposa predesertica, dove un tappeto verde poco duraturo si stabilisce in seguito alle piogge invernali, ma pure sulle montagne più umide, essendo il suolo generalmente calcareo e fessurato, sì da assorbire rapidamente le acque di pioggia. Tuttavia si ritiene che l'attuale patrimonio zootecnico sia suscettibile di aumento, specialmente con l'attuazione di misure sanitarie.
Gli asini e i muli (132.000 nel 1933) prevalgono sui cavalli (45.000); questi ultimi sono però di ottime razze e la loro vendita costituisce una importante risorsa per il beduino del deserto. Il cammello (81.000) è caratteristico della regione interna e viene anche adoperato, ai margini del deserto, nei lavori agricoli. Nelle zone coltivate sono diffusi buoi da lavoro e vacche da latte (in complesso 462.000 bovini), ma buone razze si hanno solo nel Libano e nell'oasi di Damasco. I bufali (13.000) trovano condizioni adatte nelle zone paludose della al-Biqā‛ e del Ghāb. Pecore (1.780.000) e capre (1.660.000) sono gli animali meglio adattati ai magri pascoli siriani e sono quindi gli animali d'allevamento più diffusi e più numerosi. La pecora siriana non dà buona carne, consumata tuttavia comunemente dagli indigeni, ma la sua lana è apprezzata (circa 50.000 q. all'anno). I maiali, essendo il paese in prevalenza musulmano, sono scarsissimi (7000). Invece è abbondante il pollame, che dà cospicua produzione di uova.
La pesca, marittima o d'acqua dolce, ha importanza molto limitata. La pesca marittima, anche quella delle spugne, potrebbe però divenire occupazione redditizia se esercitata razionalmente.
La Siria non è molto ricca di minerali utili, a parte i materiali da costruzione, come i calcari, in varietà numerose, anche marmoree, e i basalti. Prodotti minerali di qualche importanza sono attualmente il sale, diffuso in tutta la zona arida e particolarmente estratto a Giabbul presso Aleppo, e il bitume di Giudea, che si trova nel Libano. Si hanno però indizî di parecchi minerali metallici nella regione settentrionale, cioè nelle montagne dell'arco dell'Amano. I minerali di ferro sono i più diffusi, per quanto in piccoli giacimenti, spesso manganesiferi; piccoli depositi lenticolari di siderite e limonite possiede anche il Libano. In relazione alle rocce serpentinose, nel territorio dì Alessandretta e nella parte più settentrionale del Gebel Anṣāriyyeh, si hanno giacimenti di cromo, già sfruttati poi abbandonati. Indizî di minerale di rame si presentano associati con le stesse rocce, e se ne hanno pure per il piombo, lo zinco, il manganese e l'oro (Antiochia). Nella regione interna si trova zolfo (Palmira). Manca il carbon fossile e le ligniti del Libano sono di qualità scadente perché piritose. Promettenti sono invece gli indizî di idrocarburi, specialmente nella Giazīradh, ma la ricerca è per il momento proibita. Va invece ricordato che attraverso la Siria passa un ramo dell'oleodotto per il petrolio irakiano. L'oleodotto parte da Kirkūk, entra in territorio siriano nelle vicinanze di Abū Kemāl, attraversa il deserto da E. a O., raggiungendo Palmira e Ḥomṣ, quindi Tripoli, dove termina. Qui è in corso l'istallazione di una grande raffineria. La grandiosa opera è stata inaugurata nel gennaio del 1935.
D'importanza minima, nel complesso, è l'industria siriana. D'altronde un vero sviluppo industriale troverebbe ostacoli nella mancanza del carbone e nella modesta risorsa di energia idrica (il cui sfruttamento è poco più che iniziato). L'industria siriana ha in gran parte carattere di artigianato o addirittura di lavoro domestico; però sono sorti nei centri maggiori alcuni opifici modernamente attrezzati. Delle industrie alimentari, le più importanti sono quella molitoria, concentrata soprattutto nelle città, e l'oleificio (Libano); assai più modeste quella enologica (Libano) e delle conserve di frutta (Damasco). Le industrie siriane più sviluppate sono però le tessili, particolarmente quella della seta (filande moderne a Beirut e Alessandretta, e molte piccole nel Libano e in qualche altra città, tessitorie ad Aleppo, Damasco, Ḥomṣ, Ḥamāh); il cotonificio dispone di buoni stabilimenti a Tripoli e a Damasco. Seta intessuta d'oro e d'argento, scialli, veli sono prodotti caratteristici del paese, insieme a merletti e ricami; sono apprezzati anche i tappeti, che hanno i maggiori centri di lavorazione ad Antiochia, Aleppo e Damasco. Numerose sono le manifatture di tabacchi, le concerie e tintorie; nei principali centri non mancano saponifici, fabbriche di cordami, distillerie di essenze di fiori (queste ultime potrebbero essere molto aumentate). Oggetti di lusso e d'ornamento, spesso di fine gusto e di buona fattura, sono di lavorazione antica e tradizionale. Damasco è il centro dell'oreficeria e dell'ebanisteria; a Beirut si fabbricano mobili laccati e si lavora la madreperla, Ḥomṣ ha rinomanza per la selleria, oggetti di rame per uso domestico si lavorano un po' dovunque.
Nel Libano ha importanza l'industria turistica e alberghiera. Molti luoghi di villeggiatura nella media montagna, fino a 1500 m. d'altezza, richiamano nel periodo estivo ricchi Siriani ed Europei residenti nel paese, oltre a non pochi Egiziani. Negli ultimi anni si è notata una certa decrescenza, ma senza dubbio a questa speciale attività economica può essere riservato un ottimo avvenire.
Commercio e comunicazioni. - Per molti secoli, nell'antichità e nel Medioevo, la Siria ha costituito il punto d'incrocio di gran parte del commercio tra l'Asia e l'Europa. L'importanza della situazione geografica è rapidamente diminuita con lo sviluppo del commercio oceanico, né sarà possibile farla risorgere che in piccola parte con lo sviluppo delle vie rotabili attraverso il deserto. Sebbene il commercio di transito non possa più costituire che una risorsa secondaria, numerosi sono i Siriani occupati nel commercio. Dalla Siria si ha tuttora una forte corrente di riesportazione verso la Palestina.
Il carattere più spiccato degli scambî con l'estero è sempre stato una forte sproporzione tra esportazioni e importazioni; le prime non raggiungono, per valore, nemmeno i 2/5 delle seconde. La sproporzione si è anzi accentuata negli ultimi anni con la crisi generale e lo sfavorevole andamento dei raccolti agricoli. Nel 1929, anno di maggiore prosperità, le esportazioni furono di lire siriane 34.237.000, le importazioni di 72.998.000, e nel 1932 sono state rispettivamente di 17.125.000 e 48.500.000 lire siriane; la differenza si è ancora accresciuta nel 1933. Tuttavia il paese è relativamente ricco e prospero, poiché a colmare il disavanzo della bilancia commerciale concorrono fortemente le rimesse degli emigrati, i proventi del turismo e le spese della potenza mandataria per l'amministrazione e le forze militari.
Quanto si è detto sulle risorse agricole e industriali della Siria, lascia facilmente comprendere quali siano le principali categorie di merci esportate o importate. Tra le prime prevalgono le materie tessili e altri prodotti grezzi vegetali o animali, tra le seconde, oltre ad alcuni generi alimentari, predominano i tessuti di ogni genere, e poi gli oggetti metallici, macchine, veicoli, prodotti chimici, ecc. Le esportazioni siriane sono dirette soprattutto verso gli stati finitimi Turchia e Palestina, e verso la Francia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l'Italia e l'Egitto; ma da un anno all'altro variano fortemente le correnti del traffico. La principale fornitrice della Siria è la Francia, seguita dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti, dall'Italia e dalla Turchia. L'Italia esporta in Siria molto più di quanto importi (45,6 milioni di lire italiane contro 12,2 nel 1932); le principali merci fornite dall'Italia alla Siria consistono in tessuti di ogni genere e cappelli, conserve alimentari, automobili, apparecchi elettrici, ecc.
Nella parte più popolata e più prospera della Siria, cioè nella zona occidentale, si presentano difficili condizioni naturali per le comunicazioni, a causa dell'andamento meridiano dei rilievi e della loro compattezza. Ciò vale specialmente per il Libano, dove le comunicazioni sono ostacolate anche in senso nord-sud dalle frequenti gole torrentizie; tuttavia è proprio in questa regione che la rete stradale è più sviluppata, tanto da poterla dire ottima, in relazione al più fitto popolamento e all'economia più progredita.
Le ferrovie sono ben lontane da costituire una vera rete; misurano complessivamente 950 km. di lunghezza e sono esercitate da tre diverse compagnie. Beirut è congiunta con Damasco mediante una ferrovia a scartamento ridotto, che supera il Libano a quasi 1500 m. d'altezza con un tratto a cremagliera. Tripoli è congiunta a Ḥomṣ da una ferrovia che passa tra il Libano e il Gebel Anṣāriyyeh. Per la Siria passa un tratto della cosiddetta ferrovia di Baghdād, destinata a congiungere l'Europa con il Golfo Persico, ma non ancora del tutto compiuta. Consta di due rami che partono da Aleppo, uno verso la Turchia e l'Occidente, l'altro verso oriente. Quest'ultimo segue per lungo tratto il confine turco-siriano (gl'impianti rimangono però in territorio turco) e giunge a Nasībīn, proseguendo poi sino al confine col ‛Irāq. Al ramo occidentale è congiunto, mediante un breve tronco ferroviario lungo la costa, il porto di Alessandretta; la comunicazione tra questo e Aleppo risulta quindi molto lunga e per circa metà percorso in territorio turco. Una linea ferroviaria corre poi da N. a S., utilizzando in parte il fossato mediano, da Aleppo per Ḥamāh e Ḥomṣ a congiungersi con la Beirut-Damasco. A Damasco s'inizia la ferrovia del Ḥigiāz, la quale corre in territorio siriano fino a Der‛ā; di qui si stacca una linea per Ḥaifā, in Palestina.
Al momento dell'occupazione francese poche erano le vere strade; vi erano invece numerose piste, utilizzabili nella buona stagione anche da autoveicoli. Queste sono state migliorate e sono state aperte o ben sistemate numerose strade per circa 5000 km. di lunghezza. La rete stradale collega oggi tra loro tutti i centri principali fino alla regione predesertica, ed è in parte percorsa da pubblici servizî automobilistici. Attraverso il deserto un'ottima pista congiunge Damasco con Baghdād, per Palmira; tanto su questa che sulla pista Aleppo-Deir ez-Zōr corrono pure autoservizî regolari.
L'unico grande porto della Siria, abbastanza ben attrezzato, è Beirut; vi si stanno compiendo lavori di ingrandimento e nel 1934 vi è stata aperta una zona franca. Il porto di Beirut ebbe un movimento di 2.320.000 tonn. di navi (entrate o uscite) nel 1933. Segue per importanza Tripoli, che ha fatto progressi sensibili, favorito dalla linea ferroviaria per Ḥoms e ora dalla terminazione dell'oleodotto. Alessandretta è il porto della Siria settentrionale, con movimento non molto inferiore a quello di Tripoli. Laodicea ha già importanza molto minore e i rimanenti piccoli porti hanno un movimento insignificante.
Una linea aerea settimanale collega Marsiglia con Beirut, Damasco e Baghdād.
Nel 1932 la Siria possedeva 197 uffici postali, 128 uffici telegrafici (4345 km. di fili telegrafici) e 99 uffici telefonici (3118 apparecchi).
Finanze. - Con ordinanza del 28 gennaio 1921, n. 662, le finanze della Siria furono divise in due gruppi, quello dei singoli stati del Levante sotto mandato francese e quello riguardante gli interessi comuni. Varî bilanci autonomi, sempre dell'amministrazione comune (delle entrate da ripartire, dei fondi ausiliarî, dei capitoli condizionati da trattati internazionali, dei dazî, ecc.), furono pure istituiti secondo le necessità a partire dallo stesso anno 1921, ma nel 1930 tutti erano già stati aboliti.
I singoli stati hanno poi bilanci proprî, sottoposti al controllo e all'approvazione dell'alto commissario. Le entrate e le spese di questi bilanci riunite insieme sono state (in milioni di lire siriane):
Le imposte dirette e indirette costituiscono il maggior cespite di entrata dei bilanci degli stati e le maggiori spese sono quelle per i lavori pubblici, per l'amministrazione della giustizia e la sicurezza, e per l'istruzione pubblica.
Va ricordato inoltre che la Francia ha contribuito con notevoli somme. Complessivamente gli stati siriani hanno assunto l'8,41 o dell'intero debito ottomano, cioè 10,8 milioni di lire sterline.
L'unità monetaria è la sterlina siriana divisa in 100 piastre (i piastra = 20 centesimi di franco francese) cambiabile a Parigi al cambio fisso di 1 sterlina = 20 franchi e la circolazione è composta di biglietti di banca emessi dalla Banca di Siria sotto il controllo del Tesoro francese.
Al 1° gennaio 1934 i biglietti in circolazione ammontavano a 12.935.000 sterline siriane. In alcune parti del paese circolano ancora le monete turche d'anteguerra.
Bibl.: Un'estesa biblografia riguardante gli scritti di geologia e geografia fisica della Siria si trova nel volume: L. Dubertret, Ch. Combier, A. Keller, Études sur les États du Lévant sous mandat français (fasc. speciale della Rev. de géogr. phys. et de géol. dynam., Parigi 1933), il quale contiene anche importanti studî riassuntivi sulla geologia, l'idrografia e il clima della regione.
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Carte: Il Bureau topographique des troupes françaises du Lévant (Beirut) e il Service Géographique de l'Armée hanno pubblicato numerose e buone carte della Siria. A partire dal 1925 si è iniziata la costruzione di una carta regolare al 50.000, della quale sono usciti alcuni fogli. Sono state pubblicate una carta dimostrativa al 200.000, tratta in massima parte dalla vecchia carta turca, una carta al 500.000 in 9 fogli e una al milionesimo (nuova ediz. 1932, in 2 fogli). Alla Soc. Franç. de Cartographie si debbono alcune carte di geografia economica al milionesimo (Parigi 1932); una carta geologica alla stessa scala, costruita da L. Dubertret, capo del servizio geologico in Siria, è annessa al vol. sopra citato di L. Dubertret, Ch. Combier, A. Keller.
Storia.
Siria preellenistica. - Il carattere della storia della Siria è determinato in primo luogo dalla situazione geografica del paese, sul punto d'incrocio delle vie tra il Mediterraneo e la Valle dei Due Fiumi e quindi dell'India, e tra l'Asia Minore e l'Egitto. La Siria ha subito quindi l'azione delle civiltà della Mesopotamia e dell'Occidente, dell'Asia Minore e dell'Egitto. Infatti nella civiltà siriana, molto composita e complicata per il continuo apporto di elementi spesso eterogenei tra loro, troviamo echi profondi e perduranti delle civiltà sumera, babilonese, assira, micrasiatica (segnatamente hattica e hittita), occidentale (minoica, cicladica, elladica), egiziana (di quasi tutti i periodi, anche per il fatto che i Siriani sono sempre emigrati volentieri in Egitto), aramaica e della Palestina. I grandi imperi che si formarono intorno alla Siria, come sarebbero quelli degli Hittiti e dei Mitanni, l'impero d'Egitto, l'impero babilonese e assiro hanno avuto durante tutta la lunga storia preellenistica della Siria grande parte nel plasmare i destini politici del paese. E con l'azione politica andava di pari passo l'influsso della civiltà. La Siria settentrionale stava tutta sotto l'azione della civiltà micrasiatica, mentre nella Siria meridionale era preponderante la civiltà egiziana. Lungo il corso dell'Eufrate si espandeva la civiltà dei Sumeri, dei Babilonesi e degli Assiri. Per non breve tempo gli Hittiti, gli Egiziani in parte e gli Assiri in tutto tennero il paese sotto il loro dominio. Con tutto ciò però la Siria ha saputo imprimere alla sua civiltà un'impronta inconfondibile, che acquistò maggior risalto quando gli Aramei conquistarono lentamente il paese e gl'impressero o reimpressero carattere nettamente semitico, mentre nel periodo anteriore il carattere hurrita era ancora alquanto cospicuo accanto a quello amurrita. Gli Amurru (o Cananei) vi avevano però diffuso qua e là importanti correnti di semitismo occidentale.
La struttura politica della Siria fu molto simile a quella degli altri paesi dell'Asia occidentale antica: un gran numero di piccoli stati con una grande città come capitale, i quali continuamente si fanno la guerra tra loro, allo scopo di acquistare la preponderanza politica, e dei quali qualcuno, più abile o più fortunato, riesce a formare uno stato grande che consta di stati vassalli, per esser poi assorbito a sua volta da qualcuno dei grandi imperi confinanti. Ma nessun principe siriano riuscì a vincere l'atomismo tenace e l'individualismo inestirpabile della popolazione: la Siria non formò mai uno stato unitario e se immediatamente avanti al suo assorbimento nel vasto impero di Alessandro il Macedone ebbe amministrazione unitaria, questa essa dovette agli stranieri, agli Assiri, ai Babilonesi e ai Persiani. Essendo essa il paese dell'atomismo politico per eccellenza, nella storia dell'Asia occidentale antica ebbe parte più passiva che attiva: subì la storia e non la fece. Furono le altre nazioni che le fecero subire i loro imperialismi, ma la Siria stessa non fu affatto una nazione imperiale. Essa non amministrò e non controllò mai nessun'altra nazione. La Siria fu per lungo tempo agognata dall'Egitto che voleva tenersi aperta la via verso l'Asia Minore, fornitrice di metalli e di altre importanti materie prime, e dagli Hittiti, perché rappresentava la via di passaggio verso il mezzogiorno, ricco e di progredita civiltà. D'altronde essa sbarrava all'impero degli Assiri e degli Urartei l'accesso al Mediterraneo e costituiva la testa di ponte della via commerciale tra questo mare e l'India e perciò dovette cedere infine ai colpi reiterati degli Assiri e acconciarsi a divenire una parte dell'impero di Ninive.
Alla molteplicità degl'influssi politici subiti dalla Siria corrisponde la complessità etnica del paese. Micrasiatici, Hurriti, Hittiti, Egiziani, Assiri, Babilonesi, Aramei e Occidentali, e soprattutto Amurriti, costituiscono l'antica popolazione del paese. Nei tempi storici essa divenne sempre più semitica ed è rimasta tale fino al giorno d'oggi. Numerose furono anche le lingue che vi si parlarono: la hurrita, la hittita, l'amurrita, l'aramaica ed altre ancora. Non meno ricca è stata la Siria di alfabeti: il cananeo, il cuneiforme babilonese, il cuneiforme di Ugarit, il geroglifico hittita e almeno ancora un altro alfabeto vi erano in voga.
Le fonti per la sua storia fino alla conquista da parte di Alessandro il Macedone sono le iscrizioni sumero-accade, le egiziane, le aramaiche, le hittite, le hurrite, le babilonesi. Qualche informazione ci dànno inoltre l'Antico Testamento e gli autori greci.
La menzione più antica del paese si trova in un'iscrizione di Lugalzaggisi di Uruk, il quale riuscì ad estendere il suo impero fino alle sponde del Mediterraneo. La civiltà sumera deve avere esercitato in questo periodo della predominanza sumera nell'Asia occidentale non debole azione anche sulla Siria. Notizie più precise troviamo nelle iscrizioni di Sargon di Agade (forse anteriore al 2528). Questo potentissimo monarca semitico conquistò tutto il territorio fino al Mare Superiore, vale a dire il Mediterraneo, e si poté annettere le terre di Mari, di Yarmuti lungo il mare, e di Ibla, che dovrebbe esser stato il territorio alla foce dell'Oronte. Il suo regno arrivava fino alla "selva dei cedri" e "alla montagna dell'argento" ossia l'Amano. Gudea di Lagash fa menzione della "montagna dei cedri" e di Urshu (forse Rhosos). Già in questo periodo più antico la Siria porta il nome di Amurru, scritto con gli ideogrammi KUR MAR. TU (KI). Narām-Sin della stessa dinastia di Agade ebbe tra i suoi avversarî in guerra anche un certo Khuwanuwash, il quale era re di Amurru. Più tardi pervenne fino alla sponda del Mediterraneo il re assiro Shamshi-Adad I (1880-60) e vi eresse una stele in ricordo della sua conquista. A settentrione l'impero degli Hittiti stava allora formandosi e fece sentire il suo peso già in questi secoli. Infatti Khattushilish I e Murshilish I agognarono al possesso dell'importante città di Khalpa (Aleppo) e quest'ultimo re riuscì anzi a prenderla. Maggiore intraprendenza cominciarono però a dimostrare a mezzogiorno gli Egiziani. Non sappiamo ancora con precisione quale sia stato il primo faraone a metter piede in Siria, ma sappiamo per certo che già Tutmose I era padrone di tutta la Siria, avendo egli per confine dei suoi dominî a settentrione l'Eufrate. Il dominio egiziano in Siria va riportato dunque per lo meno all'anno 1530 a. C. Ma la Siria poco dopo certamente si ribellò al dominio egiziano, sicché Tutmose III (1504-1451) dovette sottomettere di nuovo tutto il paese al suo potere. Nell'anno trentatreesimo del suo regno, egli penetrò in Naharina dopo aver preso le città di Qadesh, Qatna, Aleppo e Carchemish. Nell'anno seguente egli penetrò nello stato di Nukhashshe, vicino a Ḥamāt, mentre nell'anno trentacinquesimo dovette recarsi di nuovo combattendo in Naharina e riportò vittorie nel paese di Tikhshi e Ara'na. Tre anni dopo egli intraprese una nuova campagna in Nukhashshe. Nel quarantaduesimo anno scoppiò una nuova ribellione in Naharina che il re sedò, distruggendo in pari tempo le città di Tunip e Qadesh. Amenofi II (1450-1405) dovette soffocare subito al principio del suo regno una ribellione: egli passò l'Oronte e pervenne al paese di Niy. Nel terzo anno del suo regno ebbe a guerreggiare nel paese di Tikhshi e sottomise ben ventiquattro principi siriani ribelli, tra i quali erano anche quelli di Qadesh, Aleppo, Niy, Tunip e Qatna. Sotto il suo successore Tutmose IV gli Hittiti cominciano di nuovo a puntare verso la Siria settentrionale. Per conservare la sua predominanza nel paese il faraone si allea con Artatama di Mitanni, minacciato non meno del faraone dall'avanzata hittita. L'impero di Khatti cerca continuamente, sia con azioni guerresche sia con abili manovre diplomatiche, d'infiltrarsi in Siria e avanzare verso il confine dell'impero egiziano. L'Egitto non è sempre in grado di opporre valida resistenza alla pressione hittita, ma distratto da problemi di politica interna cerca di mantenere la sua antica posizione, barcamenandosi tra i diversi piccoli stati della Siria senza prestare loro aiuto militare. È questo il cosiddetto periodo delle lettere di Tell el-‛Amārnah. Esse ci permettono di gettare uno sguardo sulle condizioni politiche della Siria di quel tempo. Posizione centrale nel paese occupava allora lo stato di Amurru. A oriente dell'Oronte si stendeva Nukhashshe, mentre a occidente del fiume era Barga. Più a settentrione era Niya e già in parte nell'Asia Minore era Kummukh. Città importanti con proprio territorio erano segnatamente Aleppo e Carchemish sull'Eufrate. Sulla costa della Siria settentrionale un centro ragguardevole era la città di Ugarit (Rās Shamrah), composita di popolazione, di religione, di influssi culturali, ricca di lingue e di alfabeti, una piccola Siria in miniatura. L'avanzata degli Hittiti si delinea ora sempre meglio. Tudkhaliyash II di Khatti distrugge Aleppo, la quale si era alleata con Khanigalbat sulla sponda orientale dell'Eufrate. Khattushilish II conquista tanto Aleppo, alleata ora di Mitanni, quanto Nukhashshe. Più fortunato è stato però Shuppiluliumash (circa 1395-1355), il quale, in lotta con Tushratta di Mitanni e coi principi siriani, riesce a sottomettere tutta la Siria settentrionale. A Carchemish egli pone sul trono Biyashshilish e ad Aleppo egli installa quale re suo figlio Telipinush. Immediatamente in contatto col territorio hittita sono gli stati più o meno indipendenti di Kinza (Qadesh) e Amurru. Più a mezzogiorno vengono gli stati siriani che sono vassalli del faraone. Il re di Khatti prende ancora verso la fine del suo regno Amki, il territorio tra il Libano e l'Antilibano. Il regno di Murshilish II (dal 1337) vide un ulteriore aumento del potere hittita in Siria. Questo re dovette sedare bensì anzitutto una rivolta e sottomettere di nuovo Carchemish e Aleppo, ma poté ridurre il regno di Amurru a suo stato vassallo. La Siria settentrionale era dunque ora completamente hittita, e tale essa restò per quasi un secolo. Appena sotto Seti I l'Egitto si ridestò dal letargo nel quale sembrava essere caduto. Infatti questo faraone penetrò nella Siria settentrionale e vi conquistò la città di Qadesh; in ricordo della sua vittoria egli vi fece erigere una stele. Egitto e Khatti erano di nuovo in piedi uno contro l'altro armati e combattevano per la Siria. Sotto Ramesse II si venne perciò alla battaglia di Qadesh (1295), dalla quale l'Egitto uscì quasi sconfitto, senza subire però perdite territoriali. Lo stesso faraone combatté negli anni successivi del suo regno in Amurru, dove prese la città di Dapura in Naharina. Sotto Ramesse III, circa nell'anno 1200, i cosiddetti Popoli del Mare invadono la Siria distruggendo le città e uccidendone gli abitanti e mandano a pezzi l'impero degli Hittiti. Appena riavutosi dal colpo tremendo, il faraone intraprende una spedizione in Siria e arriva fino all'Oronte. Gl'invasori sono sconfitti, ma il confine egiziano in Siria deve essere riportato verso mezzogiorno e arriva ora soltanto fino a Sumur (Simyra). Il potere dell'Egitto nella Siria svanisce sempre più e in luogo dell'impero di Khatti subentrano piccoli stati, prima sotto dinasti hittiti, poi sotto potentati aramei, quando la nuova schiatta semitica degli Aramei avanza sempre più dall'Eufrate e preme sempre più con la sua civiltà e con la sua lingua nel paese: la Siria si aramaizza quasi completamente e soltanto al confine settentrionale si mantengono ancora stati hittiti o micrasiatici. Ma ora si affaccia all'orizzonte politico del paese una nuova nazione che vuole aprirsi la strada verso il Mediterraneo: l'Assiria.
Già il re assiro Adad-narāri I riuscì ad arrivare in una sua incursione fino a Carchemish. Il grande conquistatore Tiglatpileser I (1115-1100) svolge per intero il piano politico assiro in Siria, invade la Fenicia, la occupa tutta e arriva alla sponda del Mediterraneo nel quale egli naviga lungo la costa del paese. Egli sconfigge anche i principi hittiti della Siria settentrionale i quali gli portano in tributo legname di cedro. Sotto Ashshur-rabū II tutta la Siria va bensì di nuovo perduta, ma Assurnazirpal II (883-859) svolge di nuovo in pieno il piano di conquista. A Carchemish egli si fa rendere omaggio da parte di Sangara, poi proseguendo invade il territorio di Lubarna di Khattin, raggiunge la città capitale di Kunulua. Poi, dopo aver ricevuto il tributo di altri principi, raggiunge l'Oronte, indi marcia verso il Libano e il grande mare di Amurru, sulla cui sponda sacrifica ai suoi dei e lustra le sue armi. Molti principi della Siria e della Fenicia gli rendono omaggio e gli portano il loro tributo. Sulla via di ritorno sale sull'Amano e vi fa erigere una stele e tagliare alberi. Ancora maggiore importanza ha la Siria durante il regno di Salmanassar III (859-824). Questo potente re assiro intraprese molte campagne in Siria, anzitutto allo scopo d'infrangere le alleanze e coalizioni dei numerosi piccoli stati siriani e aramaici che di comune accordo cercavano di liberarsi dal pesante giogo assiro, e poi per procacciarsi il legname necessario per le sue costruzioni di palazzi e templi. Nella prima campagna il re si dirige verso Bīt-Adini e Gurgum, il cui re Mutallu manda tributi. Una coalizione nemica di Khani di Sam'al di Sapalulme di Khattin, di Akhuni di Bīt-Adini e di Sangara di Carchemish è sconfitta dal re presso Tibtibu. Ai piedi dell'Amano Salmanassar fa erigere una stele di vittoria. Poi egli varca l'Oronte, arriva presso la fortezza di Alimush in Khattin, dove incontra un altro esercito della stessa coalizione, alla quale avevano ancora aderito alcuni altri principi, come quelli di Que, Khilukki e Buranate di Yasbuqi. Ma anche questo esercito è rotto. Il re assiro sottomette le città di Khattin e raggiunge infine il mare. Mentre fa ritorno verso oriente, Arame e Gusi riconoscono la sua supremazia. Nel prossimo anno egli regola i conti con Bīt-Adini. Assedia il re Akhuni in Tarbusip e prende molte sue città e fortezze. Poi si rivolge contro Carchemish e ne prende molte città e fortezze. Oramai la coalizione nemica è infranta, e i principi di Carchemish Khattin, Sam'al, Agusi e Kummukh acconsentono a pagare tributi e rendere omaggio al re di Assiria. Nel 856 Salmanassar riesce a sottomettere Bīt-Adini, le cui città più importanti egli popola con coloni assiri conferendo a esse nomi teofori assiri. Nell'anno seguente il re prende la fortezza di Shitamrat sull'Eufrate e la sua guarnigione egli deporta in Assiria. Nell'anno 853 Salmanassar intraprende una campagna verso l'Oronte, dopo aver ricevuto il tributo di tutti i re della Siria settentrionale. Egli marcia contro Aleppo, dove compie i sacrifici al dio della città. Indi si rivolge contro Irkhuleni di Ḥamāt e perviene a Qarqaru sull'Oronte. Qui egli incontra la coalizione siriana: Irkhuleni, i re di Khatti e della sponda del mare, Adadidri di Damasco, Achab d'Israele, truppe di Que e Musri e di altri paesi. Ma la coalizione è sconfitta, e Salmanassar raggiunge il mare. Nel prossimo anno si registra una nuova campagna contro il Carchemish e Arame di Agusi. Nell'848 il re assiro guerreggia contro Ḥamāt e dodici re del paese di Khatti dell'antica coalizione di Qarqaru. Nell'845 avviene ancora una ribellione di dodici re del mare superiore (Mediterraneo), senza una netta decisione. Nell'841 il re si dirige contro Damasco, nella quale occasione le città fenicie gli mandano il tributo. Khaza'ilu di Damasco impernia la sua difesa sull'Antilibano o sull'Hermon, ma è costretto a fuggire. Gli Assiri penetrano nel Ḥaurān e raggiungono indi il mare alla foce del Nahr el-Kelb, dove il re fa intagliare una sua imagine nella roccia (per la storia di Damasco, v. questa voce). Salmanassar salì sull'Amano ancora sette volte per ritirarne il legno necessario per i suoi edifici. Nell'anno 831 il generale assiro Dayyān-Ashshur soffoca in Kunulua una ribellione indigena contro Lubarna II di Khattin, vi fa uccidere molte persone e installa un nuovo re. Alcune iscrizioni in lingua aramaica trovate a Sam'al (v.) ci forniscono qualche notizia sulla storia di questa importante città della Siria settentrionale nella quale l'elemento aramaico acquista sempre maggior potere. Il re, Khayyā, si sottomise probabilmente proprio in questo tempo al re assiro. Nuove campagne militari in Siria intraprese anche il re Adad-nirāri III (809-782), il quale raggiunse il Mediterraneo. Sotto Salmanassar IV e Ashshur-dān III (781-754) si hanno campagne presso Damasco, Arpad, Khatarikka, il paese dei cedri ed altre regioni della Siria. In questo tempo, secondo un'iscrizione del re Zakir di Ḥamāt e La‛sh, i re di Damasco, di Gushi, di Que, di Unqi, di Sam'al e di Melid assediarono la sua fortezza di Khazrak, ma furono ributtati: Zakir era senza dubbio un alleato del re assiro. Ashshur-nirāri VI (753-747) sottomette Amurru, tutto il paese di Khatti, tutta la costa e Damasco. Nel 750 egli conclude un trattato con Mati'ilu di Bīt-Agusi. Sotto Tiglatpileser III (745-727) la politica siriana dell'Assiria continua nelle stesse direttive. Il re intraprende una campagna contro Damasco e Arpad, durante la quale batte un esercito di Urarṭu (Armenia antica) che era venuto in aiuto di Mati'ilu. Arpad resiste però al re assiro per ben quattro anni, durante i quali Sarduris di Urarṭu tentò insieme con altri principi nordsiriani di disimpegnare la città. Ma Tiglatpileser li batté in Kummukh. Infine la fortezza cadde nelle mani degli Assiri e i principi siriani ritornarono sotto il giogo di prima. Tiglatpileser guerreggiò di nuovo in Siria nel 738. Egli distrusse la capitale di Unqi e ridusse il suo territorio a provincia assira. Oramai gli Assiri non si contentano più di fare degli stati conquistati territorî vassalli, ma cercano di assirizzare il paese per esser sicuri della obbedienza dei nuovi sudditi. Il re soffoca una ribellione di un certo Azriyau di Yaudi, cioè di Sam'al, e pone sul trono di questo paese Panammu, figlio del re Bar-Ṣur, ucciso da Azriyau. Panammu cadde al seguito del re di Assiria nel 733 davanti a Damasco. Parecchi Siriani furono deportati in Assiria e prigionieri stranieri furono stabiliti in Siria. Nel 732 avvenne la conquista di Damasco: quasi tutta la Siria è oramai una provincia assira. Soltanto Ḥamāt e Carchemish restano ancora indipendenti, ma pagano tributo all'Assiria. Sargon II (721-705) seda nell'anno 720 una rivolta di alcune città che si erano sollevate probabilmente per istigazione dell'Egitto. Ḥamāt diviene ora la sede di un governatore assiro. Nel 717 si decide anche la sorte di Carchemish, il cui re Pisiris si era alleato con Mita di Mushki in Asia Minore: anch'essa diviene una provincia assira, e il re vi fa trasportare coloni assiri. Nel 711 diventa assira anche Marqasi sotto Muttallu II di Gurgum. Nel 709 è la volta di Muttallu di Kummukh. Oramai non soltanto la Siria, ma anche le parti limitrofe dell'Asia Minore sono assire. Assira la Siria resta per circa un secolo, dal 709 al 612, alla caduta di Ninive, ed è amministrata da governatori assiri. Assurbanipal sottomette alla supremazia assira ancora Palmira, Tadmuru, e fa due campagne contro Damasco. Il re babilonese Nabopolassar arrivò dopo la caduta di Ninive nel 612 fino a Ruṣapu. Necho d'Egitto conquista nel 609 la Siria fino a Ḥamāt, ora che l'impero di Vinive era rovinato, ma la perde in conseguenza della sconfitta subita a Carchemish da parte dei Babilonesi. La Siria passò sotto il dominio di Babilonia. Nabuccodonosor II (605-562) sottomise varie città siriane che si erano sollevate contro il nuovo dominatore e raggiunse il Mediterraneo. Dopo la caduta di Babele nelle mani di Ciro di Persia (539) la Siria divenne una satrapia persiana, ed ebbe il nome di Abar Naharain. In conseguenza della battaglia d'Isso (333) essa divenne parte dell'impero di Alessandro il Macedone.
Bibl.: Della storia della Siria preellenistica trattano incidentalmente le storie dell'Asia occidentale antica, della Babilonia, dell'Assiria, degli Hittiti e dell'Egitto. Rimandando per tali storie alle voci rispettive, aggiungiamo: L. Halphen e Ph. Sagnac, Peuples et civilisations, I: Les premières civilisations, Parigi 1929, pp. 225-41, e 271-90. Una storia speciale della Siria preellenistica è quella di A. T. Olmstead, History of Palestine and Syria to the Macedonian conquest, New York-Londra 1931. Per l'epoca di Tell el-‛Amārnah, v. J. Baikie, The Amarna age, Londra 1926. V. inoltre A. Alt, Die syrische Staatenwelt von dem Einbruch der Assyrer, in Zeitsch. der deutschen morgenländischen Gesellschaft, LXXXVIII (1934), pp. 233-58; E. Forrer, Die Provinzeinteilung des assyrischen Reiches, Lipsia 1922; A. T. Clay, The empire of the Amorites, New Haven 1919; R. Dussaud, Topographie historique de la Syrie antiqua et médiévale, Parigi 1927; D. Diringer, Contributi alla storia della Siria settentironale. A proposito della popolazione di Ugarit, l'odierna Ras Šamrah, in Giornale della Soc. Asiatica Ital., n. s., III, pp. 94-113.
Siria ellenistica. - Le origini e lo sviluppo fino alla pace di Apamea (188 a. C.). - Alessandro Magno, conquistando l'Asia, aveva cercato di fondare il suo potere su un'associazione dell'elemento greco-macedonico con quello persiano, che vi stava fino allora dominatore. Perciò la sua politica in Siria, da lui occupata immediatamente dopo la battaglia di Isso, fu del tutto secondaria: la Siria diventò una satrapia. Ben diversa divenne invece la posizione della Siria dopo la sua morte. Se tra le cause del frazionamento del suo impero c'era appunto la superficialità e arbitrarietà del sistema macedonico-persiano tentato, ora la separazione dell'Egitto dal grosso dell'impero, che fu la prima netta espressione del moto di scissione, da un lato metteva in rilievo l'importanza del territorio siriaco confinante, per il suo valore strategico e commerciale, dall'altro lato prospettava la possibilità di contrapporre un sistema macedonico, che utilizzasse soprattutto le energie aramaiche predominanti in Siria, sia all'Egitto sia alle popolazioni iraniche solo fautrici di disordini nell'impero. Questo sforzo di organizzare uno stato in Asia con centro in Siria diventa ben presto consapevole nei Seleucidi, ma si nota già inconsapevole fin dalla morte di Alessandro e significa un'enorme rivoluzione storica. Dal periodo dell'impero hittita in poi (che del resto aveva il suo centro più a nord in Asia Minore) non si era più formato un grande stato in Siria, rimasta sempre preda contesa tra gl'imperi d'Oriente e l'Egitto. Ora la civiltà dell'Asia si sposta verso la Siria, su di un terreno, dove gli antichi contatti culturali e la diffusione degli agglomeramenti urbani (spesso con ordinamento civico di tipo fenicio non troppo distante dall'ellenico) facilitavano la mistione con i Greci. Si potrà perciò formare una cultura diversa, ma senza soluzioni eccessive di continuità, da quella delle città greche di Asia. Pertanto la Siria, come sarà tramite di civiltà orientali verso l'Occidente, sarà più ancora riplasmatrice di civiltà greca in Oriente, la quale anche nella più tarda reazione dell'elemento indigeno in età imperiale non perderà la sua efficacia e passerà attraverso i Siri agli Arabi.
Già Perdicca (v.) aveva posto a centro la Siria del suo governo nella vana lotta contro la volontà di autonomia di Tolomeo in Egitto (323-21): lui morto, sarà Eumene di Cardia (v.), suo erede materiale e spirituale nello sforzo di mantenere in piedi l'unità dell'impero di Alessandro, che si varrà della regione e soprattutto delle coste fenicie contro la coalizione dei suoi avversarî. Gli succedette (316) Antigono Monoftalmo, contro cui per altro si erse la pretesa di Tolomeo d'Egitto che gli venisse ceduta la Siria con la Fenicia. Che appunto principale causa al riardere della guerra fosse la contesa intorno al possesso della Siria e in particolare della metà meridionale di essa (quella che con termine non sempre d'identico valore si suole chiamare Celesiria), che poi Tolomeo riuscisse per breve tempo a insediarsi in Siria tra il 312-11, vittorioso di Demetrio Poliorcete a Gaza, ma solo dopo la rovina di Antigono nel 301 potesse saldamente tenere almeno la Celesiria in sue mani, sono tutti fatti che già definiscono la posizione che la Siria verrà assumendo nelle contese del periodo ellenistico. La Siria meridionale a sud di Damasco, come dicemmo, passò allora in potere di Tolomeo, e all'Egitto non sarà tolta che circa un secolo dopo. Essa costituiva per l'Egitto un centro portuario e commerciale di primo ordine, lo riforniva del legno mancante nel bacino del Nilo, era sbocco delle più importanti strade carovaniere, permetteva infine il predominio marinaro nel Mediterraneo orientale. Ma appunto perciò questo possesso poneva immediatamente contro Tolomeo il sovrano della nuova formazione politica che egli stesso aveva favorito contro Antigono, Seleuco.
Questi era stato capo dei paggi della guardia con Alessandro: aveva sposato per volontà sua una persiana, Apama, forse della famiglia reale, con un matrimonio che avrà durevoli conseguenze per la sua consuetudine con il mondo orientale. Divenuto comandante della cavalleria degli eteri di Perdicca, fu tra i generali che lo tradirono, favorendo perciò la politica di scissione di Tolomeo. Ne ebbe in definitiva la satrapia di Babilonia, che, vinto Eumene da Antigono, non riuscì a conservare contro quest'ultimo, che temeva la sua azione indipendente. Ma fuggito quindi in Egitto e diventato generale di Tolomeo, aveva potuto dopo la battaglia di Gaza ricuperare la sua satrapia. Sempre contando sull'appoggio o almeno sulla neutralità benevola di Tolomeo, aveva tenuto testa gli anni seguenti ai reiterati tentativi di Antigono di sloggiarlo, aveva anzi allargato il suo territorio (dove già dal 311 doveva aver assunto il titolo di re) con la Susiana e la Media: dal 311 comincia l'era seleucidica ufficiale nello stato siriaco. A un'espansione ulteriore in Oriente Seleuco rinunciava, cioè rinunciava ai piani di Alessandro Magno in India, e riconosceva - forse col cambio di un vassallaggio formale - la sovranità di Sandracotto sulla riva destra dell'Indo, la Gedrosia, l'Aracosia e la regione dei Parapamisadi (Hindu-Kusch). Poteva quindi riunire le sue forze e quelle di Lisimaco di Tracia - alleati assenti Cassandro e Tolomeo - per sconfiggere Antigono.
La vittoria, come aveva il suo limite a sud nell'occupazione della Siria meridionale per parte di Tolomeo, lo aveva a nord nell'occupazione dell'Asia Minore fino al Tauro per opera di Lisimaco. Ora Seleuco, per quanto avesse trovato la base della sua fortuna nelle satrapie orientali, in un ambiente che egli era riuscito indubbiamente a cattivarsi, era troppo macedonico per non puntare con le sue maggiori energie verso il Mediterraneo. Questo significava il trasferimento della capitale nella città di nuova fondazione in Siria, Antiochia sull'Oronte, mentre una seconda città destinata a simile fortuna, Seleucia di Pieria, vi era pure fondata. E in una politica mediterranea, per necessità contrastante con quella degli altri successori di Alessandro Magno, potevano più facilmente ravvivarsi le non mai del tutto spente tendenze a rinnovare l'impero unitario di Alessandro. Seleuco, che già forse dopo la battaglia di Isso si era fatto proclamare figlio di Apollo dall'oracolo di Didima, pari quindi ad Alessandro in dignità divina, inserirà la sua politica a danno dei vicini in un'aspirazione, che per un momento sembrò doversi tradurre in realtà, di restaurare lo stato di Alessandro. La sua aspirazione passerà ai successori, almeno fino ad Antioco III. La rivalità con Lisimaco più forse che con Tolomeo ebbe la prima conseguenza nell'appoggio che Seleuco assicurò al figlio di Antigono, Demetrio Poliorcete, che sul fondamento di una forte flotta, dei tesori di guerra e di poche città rimastegli, continuava a battersi. Del Poliorcete Seleuco, vedovo di Apama, da cui aveva avuto Antioco I, sposò la figlia Stratonice e in un secondo momento preparò una conciliazione tra di lui e Tolomeo. Ma la politica di Demetrio Poliorcete in fine si rivelava la vera rivale di quella seleucidica: Demetrio, padrone della Macedonia e della Grecia, non intendeva rinunciare ai suoi ultimi possessi di Asia, come ponte di passaggio per ulteriori conquiste. Nella nuova coalizione di Tolomeo, Lisimaco e Seleuco contro Demetrio del 296 a. C., Seleuco portava via all'avversario la Cilicia. La sua azione si precisava sempre più contrastata dalla Macedonia. Una vicenda familiare, l'amore per Stratonice del figlio Antioco a cui egli la cedeva in moglie, cooperava: Antioco era allontanato insieme con Stratonice quale reggente delle satrapie orientali al di là dell'Eufrate e poneva la sua sede a Seleucia sul Tigri.
Seleuco limitava la sua azione al Mediterraneo. Alcuni anni di tranquillità, che coincidono con l'apparente rinsaldarsi del potere di Demetrio in Macedonia, gli permettevano di organizzare il suo stato: nel 287, col suo implicito appoggio, Pirro e Lisimaco spossessavano della Macedonia Demetrio, che tentava di compensarsi sui possessi asiatici di Lisimaco e Seleuco, ma perdeva la partita ed era preso prigioniero da Seleuco (286). Lisimaco, padrone di uno stato che andava dall'Asia Minore alla Grecia, ridiventava, e a maggior ragione, il rivale più temuto. Seleuco giocava contro di lui e nello stesso tempo contro l'Egitto accogliendo l'esule Tolomeo Cerauno, figlio della ripudiata moglie di Tolomeo I, Euridice, pretendente di volta in volta al trono d'Egitto e a quello di Macedonia. Il malcontento serpeggiante contro Lisimaco in Asia fornì l'occasione.
A Corupedio in Lidia Lisimaco fu sconfitto e ucciso da Seleuco (281) che si trovava aperta la strada verso la Tracia e la Macedonia. Se egli fosse legalmente proclamato re di Macedonia è dubbio: dubbio perché è dubbio anche a chi spettava la nomina, se all'armata del vinto Lisimaco o all'armata siriaca vincitrice. Certo, come re di Macedonia, Seleuco passò i Dardanelli per occupare la terra nativa, quando da Tolomeo Cerauno disingannato nelle sue personali ambizioni fu assassinato (280).
L'occupazione per quanto fuggevole del trono macedonico per parte del Cerauno spezzava ogni possibilità di realizzare l'unione della Macedonia e della Siria: di più, già prima della morte di Seleuco, le città del Mar Nero confederatesi col dinasta del Ponto Mitridate Ctistes impedirono alla potenza seleucide d'insediarsi nel nord dell'Asia Minore, dove anche la Bitinia seppe del pari conservare la sua indipendenza. Paflagonia (in parte) e Pisidia risultano del pari autonome. Il regno di Antioco I si apriva appunto nell'ostilità della Bitinia collegata con Antigono Gonata, che ora ritentava l'avventura del padre verso l'Asia; e intanto le città greche dell'Asia Minore subornate dall'Egitto si ribellavano, e Pergamo già stava di fatto affermando la propria autonomia. L'invasione dei Galli nel 279, minacciando tutto il mondo greco, spingeva Antioco e Antigono Gonata a un accordo, che significava in pratica una suddivisione di zone di influenza, cioè limitava Antioco in Asia. Dove peraltro i Galli erano chiamati e fatti servire dai suoi rivali di Bitinia e del Ponto contro di lui. Nel 275 circa Antioco disfaceva i Galli, che, insediati da Nicomede nel nord della Frigia (la posteriore Galatia), continueranno però a dare disturbo a tutti i vicini.
Tolomeo II d'Egitto non aveva mancato di approfittare di questa situazione. Appoggiandosi sulle città greche dell'Asia Minore, aveva già intorno al 279 occupato per via di mare alcune città, tra cui Mileto. Nel 276, a quanto sembra, attaccava la Siria, ed era respinto; Antioco si era alleato col fratellastro di Tolomeo, che governava la Cirenaica, Maga, il quale sposò Apama figlia di Antioco. Dalla vittoria contro Tolomeo forse più che dalla vittoria contro i Galli Antioco ebbe il titolo di Sotere. Nel 274 circa l'Egitto riprendeva l'offensiva dalla parte del mare, ed estendeva, non seriamente contrastato, la sua occupazione del litorale dell'Asia Minore da Mileto al Calicadno in Cilicia per quasi tutte le città principali della costa. Esse completavano il predominio politico e commerciale dei Tolomei, consegnando nelle loro mani gli sbocchi più fiorenti del commercio asiatico e centri industriali e agricoli di prima importanza. Inoltre erano poste le basi della politica di amicizia col nascente stato di Pergamo, che diventerà tradizionale.
Negli anni delle lotte tra Tolomeo II e Antigono Gonata, Antioco I aveva potuto riaprirsi un qualche varco nell'Asia Minore; ma aveva nell'interno, fra l'altro, da dominare il conflitto con il primogenito, Seleuco, infine ucciso, e doveva combattere con Eumene (I) di Pergamo, e ne era sconfitto presso Sardi (262). L'anno stesso moriva. Il figlio successore, Antioco II, riprendendo, in collaborazione con Antigono Gonata e Rodi, la lotta contro l'Egitto poteva giovarsi anche - oltre probabilmente che del tracollo della potenza marinara tolemaica a Cos (258?) - della ribellione del governatore della Ionia egiziana, Tolomeo figlio di Lisimaco; e sapeva stroncare il tentativo autonomistico del proprio generale, Timarco, che era stato inviato a fomentare quella ribellione. In conclusione di oscure vicende, Antioco II cacciava gli Egiziani dalla Ionia, dalla Cilicia e dalla Pamfilia (non dalla Licia e forse nemmeno dalla Caria), riprendeva tutta la Fenicia a nord di Sidone, e accentuava una politica fortemente amichevole per le città greche del suo territorio. La sorella di Antioco Stratonice sposava il figlio di Antigono Gonata, Demetrio II.
Non sappiamo a quali calcoli precisamente Antioco II e Tolemeo II ubbidissero, ma il fatto è che poco dopo vediamo Antioco allontanare la moglie Laodice e i figli (tra cui il futuro Seleuco II Callinico) e sposare la figlia di Tolomeo Berenice con un dono nuziale d'incertissima interpretazione giuridica, che ci vien detto dovesse comprendere la Celesiria. Il risultato era che alla morte di Antioco II, di poco distante da quella di Tolomeo II (246), la lotta scoppiava tra la regina Berenice sostenuta dagli Egiziani e Laodice col figlio Seleuco. La lotta non cessò con l'assassinio di Berenice e suo figlio. Tolomeo III giunse a occupare Seleucia sul Tigri, si vantò di aver conquistato tutto il regno siriaco: in realtà Seleuco II aveva forze da opporgli nelle città greche e nei regni amici di Ponto e Cappadocia (di cui con ciò riconosceva l'indipendenza). Ma Tolomeo III, che manteneva la sua superiorità navale, anche se verosimilmente sconfitto ad Andro nel 246 da Antigono Gonata, rioccupava larghe zone delle coste dell'Asia Minore, e giungeva a occupare piazze forti della Tracia; doveva invece abbandonare tutta la Siria meridionale.
Non conquistata, la Siria tuttavia usciva battuta e umiliata nella pace del 241. Tanto più che le regioni orientali, su cui il dominio seleucidico già da tempo si faceva sentire sempre più debolmente, non avevano mancato di approfittare in pieno della situazione. Circa il 250 si staccava gradualmente, ma infine totalmente, la satrapia della Battriana e Sogdiana; poco dopo un Arsace, capo della tribù nomade dei Parni, iniziava la costituzione del futuro regno partico. La frantumazione dello stato minacciava di estendersi alla parte occidentale. Seleuco II aveva dovuto riconoscere l'autonomia al fratello Antioco Ierace mandato a governare l'Asia minore a nord del Tauro. Né più era riuscito a ritorglierla. Antioco Ierace si era alleato con Mitridate del Ponto e i Galati, e l'esercito di Seleuco II fu semidistrutto vicino ad Ancira. Ne conseguì anche un pullulare di dinasti minori (per es., Olimpico in Caria). L'alleanza coi Galati coinvolse Antioco Ierace nelle lotte di costoro contro lo stato di Pergamo, e ciò gli costò il regno. Attalo aiutato dai Tolomei e vittorioso nel 228, lo aveva cacciato al di là del Tauro, allargando il suo regno di altrettanto. Pergamo ora assumeva il compito di tutelare l'ellenismo in Asia. Ad Antioco Ierace non restò che di tentare di rifarsi contro il fratello, che stava combattendo contro i Parti, e si collegò, sembra, con Stratonice, moglie divorziata di Demetrio II, che ora viveva ad Antiochia. La ribellione preparata scoppiava, ma Seleuco, abbandonando la lotta contro i Parti, poteva domarla. E il figlio Seleuco III, succedutogli nel 226, rivolgeva la sua azione contro Attalo. Egli era sconfitto e ucciso, ma suo cugino Acheo, mentre assicurava la successione al minor fratello di Seleuco III, Antioco III (221 a. C.), riusciva pure a costringere Attalo a ritirarsi nei vecchi confini del regno, ricuperando l'Asia Minore già seleucidica.
Il sistema di governo del giovanissimo Antioco si fondò in origine sull'appoggio di Acheo in Asia Minore e dei fratelli Molone e Alessandro nelle satrapie della Media e della Persia. Il sistema fallì subito con Molone, che si ribellò. Antioco credette di poter ugualmente iniziare una spedizione contro l'Egitto per la solita Celesiria, quando la sconfitta di un suo generale lo costrinse a partire di persona contro Molone. Alla vittoria su di lui, che stragi di generali sospetti coronavano, corrispondeva però la ribellione di Acheo in Asia Minore. E tuttavia Antioco non abbandonava la già progettata spedizione contro l'Egitto, perché sapeva che Acheo non avrebbe mai potuto procedere contro di lui. La guerra, iniziata nel 219, aveva un primo anno favorevole per Antioco che occupava la Celesiria; ma nel 217 alla battaglia di Rafia le truppe indigene organizzate dall'Egitto sconfiggevano i Siriaci, e la pace era ristabilita sullo statu quo.
Antioco non cessava di essere uomo di iniziativa e di energia formidabili: intanto l'Egitto per la stessa importanza assunta dagli indigeni decadeva in seguito alla vittoria, e Filippo V di Macedonia era impegnato con i Romani. Antioco poteva liberarsi di Acheo, poi cercare nuovamente l'unità dell'impero a Oriente con una memorabile spedizione. Il regno di Armenia ridiventava nel 212 vassallo, e il re Serse riceveva in moglie la sorella di Antioco, Antiochide. Il re di Partia era ugualmente sottomesso come vassallo e il suo stato impiccolito; sottomesso infine Eutidemo di Battriana. Una marcia più oltre nella vallata di Cabul aveva solo valore dimostrativo. L'unità era apparente; i vari stati che si erano venuti costituendo permanevano; tuttavia una forza militare e finanziaria superiore si era imposta loro con un prestigio quale dopo Alessandro nessuno aveva avuto. La volontà di espansione di Antioco veniva a coincidere con quella di Filippo di Macedonia uscito indebolito, ma non fiaccato, con la pace di Fenice del 205. Un accordo tra i due delimitava la loro futura espansione ai danni dell'Egitto. Nel 202 Antioco invadeva la Siria meridionale e nel 200 o nel 198, battendo gli Egiziani al Panion ne assicurava il durevole possesso alla sua dinastia. Intanto però il suo accordo con Filippo si rivelava senza intrinseca solidità per le gelosie reciproche. Egitto, Pergamo, Rodi, Atene si volgevano a Roma, liberatasi dal pericolo di Cartagine, per aiuto. La loro maggiore ostilità era contro Filippo V padrone del mare, che era poi anche quello che interessava maggiormente i Romani. L'intervento romano significava a Cinoscefale la fine della potenza macedonica (197). Antioco non solo aveva lasciato fare, ma credette anzi di approfittarne conquistando nel 197 la costa dell'Asia Minore dalla Cilicia all'Ellesponto: nel 196 traversava i Dardanelli e cominciava la sottomissione della Tracia. Il programma di Seleuco I chiaramente riviveva, nonostante l'ostilità romana subito dichiarata. Il che significa non tanto che i Romani stavano per sopravvalutare il pericolo di uno stato siriaco così allargato e potente, quanto più veramente che Antioco non misurava la resistenza che avrebbe trovato in Roma. Gli Etoli e Annibale, rifugiatosi presso di lui, lo spingevano a guerra contro i Romani: gli Etoli promettevano la ribellione totale della Grecia. I calcoli di Antioco si facevano sempre peggiori se nel 192 egli entrava in Grecia con 10.000 uomini. Nel 191 alle Termopili i Romani lo schiacciavano. E i Romani con l'aiuto dei Rodî e di Pergamo sapevano anche presto strappargli la superiorità navale sull'Egeo, e troncavano l'ultima grande potenza navale che si potesse loro opporre con le due battaglie di Corico e di Mionneso, preludio al passaggio in Asia degli Scipioni. Nel 189 con la battaglia di Magnesia anche le forze di terra erano piegate dai Romani e dai Pergameni: nel 188 la pace di Apamea sanciva la fine del dominio seleucidico in Asia Minore, al di là del Tauro. Anche la flotta era ceduta, e Antioco doveva pagare ratealmente 15.000 talenti euboici. Il suo sistema di alleanze era distrutto. Le città greche dell'Asia Minore che erano già appartenute ad Attalo di Pergamo ed erano state ostili ai Romani durante la guerra, diventavano tributarie di Pergamo, le altre libere. Il resto del territorio era diviso tra Pergamo e Rodi (che riceveva la Caria a sud del Meandro e la Licia eccetto Telmesso).
La struttura dello stato seleucidico. - Dopo la sconfitta subita per opera dei Romani, che le toglie il rango di grande potenza mediterranea, la Siria non perde la sua floridezza. La conquista della Celesiria e il riassodato prestigio in Oriente con la crescente debolezza del vicino Egitto permettono per un certo tempo nuove fortune economiche: la Siria resta un grande stato, se non militarmente, economicamente. E tuttavia le forze che già nella prima fase della storia avevano travagliato la vita interna dello stato continuano ad agire. Sicché, a delineare ora la struttura di esso, si ha come una conferma dello sviluppo precedente e un avvio alla storia successiva.
Le civiltà su cui i Seleucidi ebbero a governare furono varie, né mai la loro politica fu legata a un appoggio sistematico a una sola civiltà. La cultura babilonese, forse anche per reazione allo zoroastrismo, fu particolarmente favorita, ed ebbe in età seleucidica una rinascita. A una politica di ellenizzazione del giudaismo, i Seleucidi si decideranno solo quando il contrasto con le esigenze teocratiche di esso apparirà troppo profondo. Antioco III si giovò di coloni giudei per colonie militari. Nel complesso però si può dire che la tragedia più profonda della vita di questo stato fu di essere portato più o meno consapevolmente a cercare la propria unità in un'estesa ellenizzazione, mentre d'altra parte questa stessa ellenizzazione con la creazione di tanti centri forniti di vita politica autonoma, come erano le poleis, finiva con l'essere anch'essa una forza disgregatrice. Certo la caratteristica più palese della politica dei Seleucidi è questo moltiplicarsi di fondazioni di città o di ellenizzamento di città preesistenti. La ricchezza delle regioni favoriva il moto. Lo stato seleucidico venne quindi a risultare di due parti ben distinte: la terra non organizzata a poleis, e quindi in sovranità diretta del re, e le poleis. Ma questa prima rozza distinzione richiama una quantità di problemi particolari, che qui si possono solo accennare. Innanzitutto la posizione giuridica e l'autonomia di fatto delle città non poté essere uguale in tutta la storia dello stato. Differente era in primo luogo la posizione di quelle città che già preesistevano, con diritti acquisiti, da quelle che venivano fondate: Seleucia di Pieria ebbe libertà solo nel 229 a. C. e dovette farsela confermare nel 109. Il problema è particolarmente delicato per le città dell'Asia Minore, che fornite di libertà precaria sotto i Persiani e sotto Alessandro Magno, dovettero però dalle proclamazioni successive durante le lotte dei diadochi acquistare il riconoscimento di sovranità assoluta, che i Seleucidi ebbero interesse ora a ribadire ora a limitare, non solo di fatto, ma anche di diritto. Indubbiamente talune delle città pagavano tributo ai re; altre erano delle colonie militari. Talune di esse (per es., le colonie militari) erano governate da funzionarî nominati dal re. La "terra regale" era costituita di villaggi e latifondi. I latifondi erano amministrati direttamente dal re attraverso suoi impiegati o erano ceduti in dono a grandi dello stato. Non si nota però mai in Siria la tendenza a una vera trasformazione feudale di queste concessioni, come in Egitto. I latifondi erano occupati da servi della gleba, che venivano ceduti con le terre stesse: il loro contributo era prevalentemente pagato in natura, a loro volta i concessionarî (se le terre non erano amministrate direttamente o non godevano immunità) pagavano allo stato. Le singole regioni pagavano tributi complessivi. Esistevano anche tasse personali (capitazione, tassa sul sale, auro coronario). Non è invece noto un sistema di monopolî paragonabile a quello dell'Egitto tolemaico. Tutto il territorio era diviso in satrapie, le satrapie a loro volta in eparchie, ciascuna con un governatore affiancato da un amministratore finanziario. I rapporti tra i due organi non sono ben noti. Una vasta catastazione regolava le tasse.
Una posizione a parte nel territorio dello stato avevano i templi. Certe volte essi rientravano nelle poleis, talaltra nella "terra reale". Ma questi sono i casi più semplici per templi di minore importanza. I templi più importanti costituivano dei piccoli stati nello stato, la cui posizione giuridica è imprecisa e certo non uniforme: secondo l'autorità di cui lo stato disponeva e secondo i momenti variavano dall'assoluta indipendenza alla dipendenza completa. Poiché questi templi erano dei fortissimi organismi economici, interesse dello stato era soprattutto il tassarli: in casi di grave bisogno e di conflitto, si giunge anche alla spoliazione, che deve essere eseguita a mano armata. Non è caso che questi tentativi di spoliazione si moltiplichino con Antioco III e poi con Antioco IV, che non solo hanno bisogni finanziarî forti, ma tendono anche accentuatamente all'ellenizzazione. La politica dei Seleucidi verso la Giudea, che provocò la rivolta dei Maccabei, diviene limpidissima appena si consideri che per essi il tempio di Gerusalemme era solo uno dei santuarî più potenti, che minavano la compagine dello stato.
Sostegno dello stato era il nucleo dell'esercito costituito dai Macedoni insediati in Asia, da cui teoricamente emanava l'autorità sovrana, anche se il diritto divino fosse in varia forma affermato nel culto dinastico e nel riportare l'origine della famiglia ad Apollo, nonché forse per un certo tempo agli Achemenidi. Nella cavalleria, già di per sé privilegiata, si mantenevano i privilegiati etairoi di origine macedonica: la fanteria manteneva l'ordinamento macedonico della falange come fondamentale. Accanto ai Macedoni, o riconosciuti per tali, stavano mercenarî ed eccezionalmente truppe indigene. Centro militare era Apamea vicino ad Antiochia. Gli elefanti avevano notevole importanza nella tattica. Nel complesso però, nonostante la vastità dello stato, i Seleucidi, per la scarsezza dell'elemento macedonico e in genere per la struttura dello stato, non riuscirono mai a costituire un grande esercito: la falange macedonica non ha mai superato nelle battaglie più decisive 20.000 uomini. I veterani erano insediati come riservisti in cleruchie ereditarie: essi pagavano le tasse, e il diritto di eredità era limitato. Della flotta seleucidica, che fu sempre nel sec. III decisamente inferiore alla tolemaica e anche alla macedonica, tanto da non riuscire mai ad allontanare i Tolomei dalle coste dell'Asia Minore, non conosciamo quasi la struttura.
Il re nonostante la sua accennata origine costituzionale dall'assemblea militare dei Macedoni, governava con il potere più assoluto entro il territorio della "terra reale". Egli era circondato da dignitarî di corte in vario rango: i più intimi sedevano attorno a lui in consiglio (sinedrio). Persone onorate col titolo di "aio" (τηοϕεύς), "allevato insieme" (σύντροϕος), "primo e particolarmente onorato amico", "primo amico", "onorato amico" e "amico" coprivano le alte cariche. Il più alto dignitario era il ministro degli affari (ὁ ἐπὶ τῶν πραγμάτων), naturalmente di grande autorità il ministro delle finanze (ὁ ἐπὶ τῶν προσόδων). Le satrapie orientali erano spesso affidate in complesso a un membro della famiglia imperiale, che stava al disopra dei singoli satrapi. Il culto dinastico, con particolare venerazione degli antenati regali del re vivente, ma comprendente anche il culto del re attuale, era organizzato per città e per regioni: i sacerdoti correlativi erano tenuti per alti dignitarî.
Nel complesso è facile scorgere che, tenuto conto del territorio di immensa possibilità economica e delle strutture sociali piuttosto statiche, la limitata compattezza dello stato seleucidico si conferma nel fortissimo decentramento provinciale e nella scarsa forza dell'esercito.
Dalla pace di Apamea alla riduzione della Siria a provincia romana. - La rotta di Magnesia ebbe immediato riflesso nella compagine del superstite stato. L'Armenia e la Sofene si resero indipendenti. Bitinia, Ponto e Cappadocia già indipendenti rafforzarono la loro posizione. Nel 187 a. C. Antioco III per restaurare la propria autorità in Oriente fece una nuova spedizione; ma nell'attaccare il tesoro di un tempio dell'Elimaide, fu ucciso.
Nella necessità di denaro a cui la sconfitta aveva ridotto la Siria, l'attacco ai santuarî per i tesori si confondeva sempre più con la tendenza a reprimere i centri religiosi indigeni. Il figlio successore di Antioco III, Seleuco IV, segnalerà il regno (troncato nel 175 a. C. dal ministro Eliodoro) da un lato con tentativi di amicarsi la Lega achea e Perseo re di Macedonia (a cui diede in moglie una figlia), dall'altro lato con il celebre tentativo di saccheggiare il tempio di Gerusalemme: tentativo al momento fallito.
Ma nella vita dello stato siriaco ormai l'agitazione giudaica prenderà sempre più un posto di prim'ordine. Non solo per i riflessi nella storia generale del mondo antico, in cui indubbiamente la restaurazione religiosa dei Maccabei ha l'importanza che spetta a uno dei fattori di quella situazione spirituale del giudaismo, entro cui germina il cristianesimo, ma anche più direttamente perché nella lotta in Palestina i Seleucidi esauriranno molte delle loro non abbondanti energie, e la ribellione da essi scatenata li travolgerà. Gli Ebrei erano stati nel complesso favorevoli al governo egiziano: passata la Palestina in mano ai Seleucidi, la tendenza favorevole ai Tolomei si venne più o meno a identificare con la corrente ortodossa in contrapposto alle correnti che tendevano a un'ellenizzazione della vita giudaica e vedevano un appoggio nei Seleucidi. S'intende che poi contese interne di natura politica o familiare complicavano i rapporti: e così, mentre la famiglia dei Tobiadi era ora nell'insieme alla testa del movimento ellenizzatore di contro agli Oniadi, che detenevano il sommo sacerdozio, un membro di essa, Ircano, sembra avere continuato le relazioni già amichevoli con i Tolomei proprie nel sec. III della sua famiglia.
Comunque sia, la morte di Seleuco IV non attenuava l'urto in Palestina. Il figlio maggiore (probabilmente), di Seleuco IV, Demetrio, era allora ostaggio a Roma; il minore - Antioco - ancora bambino. Come tutore e poi come correggente e infine (ucciso in maniera sospetta il bimbo Antioco) come unico sovrano restava Antioco IV Epifane, fratello di Seleuco IV, già ostaggio a Roma e che aveva poi risieduto a lungo in Atene. Strana personalità, passata dallo stoicismo all'epicureismo, con grossolanità e finezze contrastanti, Antioco IV era in fondo oppresso dall'incapacità di conciliare il modello romano, a cui si richiamava perfino nell'istituzione di edili ad Antiochia, e la cultura greca. Di contro agli Ebrei si decideva a trasformare Gerusalemme in una città greca dal nome di Antiochia. Il sommo sacerdote Onia (v.) era dapprima sostituito col fratello Jonathan, più incline all'ellenismo, poi da Menelao, non di famiglia sacerdotale e legato con i Tobiadi.
Intanto i contrasti tra Roma e la Macedonia facevano pensare possibile ad Antioco IV (forse provocato) di poter intervenire in Egitto senza essere ostacolato. Nel 169 un'invasione dell'Egitto ormai in dissolvimento riusciva senza difficoltà: da Alessandro Magno il caso non si era più ripetuto. A Menfi si faceva incoronare (come un papiro ha di recente confermato, Pap. Tebtunis III, 698) re d'Egitto. Ma in Alessandria si contrapponeva a Tolomeo VI deposto il fratello, il futuro Tolomeo Evergete II. Antioco IV preferì in definitiva abbandonare la sua pretesa al trono egiziano e lasciare i due re l'uno contro l'altro. L'accordo tra i due fratelli faceva ritornare l'anno dopo in Egitto Antioco IV: una seconda volta Menfi era occupata, e probabilmente nulla sarebbe più rimasto dello stato egiziano, se i Romani vincitori a Pidna col legato Popilio Lenate (che tracciava un cerchio intorno ad Antioco IV, imponendogli il "qui delibera") non avessero costretto il re di Siria a ritirarsi. L'Egitto passava di fatto sotto la tutela romana. Durante la guerra, gli Ebrei avevano continuato l'agitazione. Nel 169, sparsasi una voce che Antioco fosse morto, era avvenuta una ribellione, in conseguenza della quale Antioco IV era entrato nel Sancta Sanctorum del tempio di Gerusalemme e lo aveva saccheggiato. Dopo la vittoria trasformatasi in insuccesso per imposizione romana la tensione si accrebbe. Nel 167 Antioco fece l'estremo tentativo di trasformare il culto di Jahvè in quello di Zeus Olympios, mentre il tempio samaritano di Jahvè era trasformato in quello di Zeus Xenios (o Hellenios). La rivolta assumeva allora il più profondo carattere di rivendicazione religiosa sotto i Maccabei. Nel 165 Antioco IV marciava in Oriente per combattere contro i Parti; aveva anch'egli da lottare contro santuarî, i cui tesori cercava, e infine moriva nel 163 in Media.
In quegli anni di assenza del re, la lotta in Giudea si era fatta più serrata. Nel 164 il rappresentante del re, Lisia, tutore del giovane principe Antioco, riconosceva un compromesso, per cui (25 dicembre) il tempio era purificato e restituito al culto di Jahvè. Dopo la morte del re, la reazione dei Maccabei si accentuava. La Siria era travolta da lotte intestine. Demetrio, figlio di Seleuco, fuggiva dall'Italia, non senza favore di taluni ambienti senatorî, e sbarcava in Siria come pretendente: l'armata lo riconosceva sovrano. Il generale Timarco si dichiarava indipendente in Babilonia e Media. Ma Demetrio si rivelava immediatamente troppo energico per Roma: questa preferiva concludere un trattato che riconosceva di fatto uno stato giudaico, mentre in altro modo riconosceva Timarco. Il che non impediva a Demetrio di liberarsi di Timarco e di farsi infine riconoscere anche dai Romani nel 160. Non riusciva però a domare la ribellione dei Maccabei, anche se il capo più audace, Giuda, era ucciso.
C'erano del resto troppi stati intorno a Demetrio, il quale non trascurava d'intervenire nelle vicende dei vicini, che avevano interesse a farlo cadere. Il regno di Pergamo gli trovò un concorrente in un certo Alessandro Bala, dichiarato figlio di Antioco IV. Il senato romano nel 153-52, cambiando ancora una volta atteggiamento verso Demetrio, lo riconobbe. In Palestina i Maccabei dopo aver mercanteggiato tra i due avversarî, si decisero per Alessandro, da cui Jonathan Maccabeo fu riconosciuto sommo sacerdote. Forze di Egitto e probabilmente di Pergamo e di Cappadocia penetrarono in Siria a sostenere l'usurpatore. Demetrio cadde nel 150. Tolomeo VI Filometore diede ad Alessandro la figlia Cleopatra (Thea) in moglie. Un figlio di Demetrio, Demetrio II, si presentò però tosto in campo, con un'armata di mercenarî cretesi al comando di Lastene. La Giudea ne approfittò per allargare il proprio territorio. Tolomeo intervenne in favore del nuovo usurpatore, con l'intenzione d'imporre un predominio più solido ancora su tutta la Siria. Alessandro Bala era sconfitto e ucciso; però i piani egiziani erano parzialmente frustrati dalla successiva immediata morte di Tolomeo. Restava Demetrio II sovrano che sposava Cleopatra Thea (145). La rivolta dei Greci e Siriaci contro il governo di questi, che si sosteneva su mercenarî cretesi e su contingenti giudaici, prese sostanza nella proclamazione a sovrano d'un giovane figlio di Alessandro Bala, Antioco Theo (VI), sostenuto da un generale Trifone. Antioco VI teneva Antiochia, e Demetrio II era confinato a Seleucia sul Tigri. Per la Giudea la conseguenza era, venendo ora in aiuto di Antioco VI, di ottenere ulteriori allargamenti territoriali.
Ma Antioco VI, o meglio Trifone, diventato più forte cercava naturalmente di limitare l'espansione giudaica estesasi a Giaffa e Gazara. Jonathan cadeva ucciso. D'altro lato Trifone stesso, consapevole della sua forza, si sostituiva ad Antioco VI sul trono. Ora gli Ebrei aiutavano Demetrio II e ne ottenevano un riconoscimento, che equivaleva all'intera indipendenza: anche la guarnigione siriaca era fatta uscire da Gerusalemme. Nel 140 avveniva il riconoscimento popolare di Simone Maccabeo come legittimo sommo sacerdote. Intanto nel 141 i Parti avevano approfittato della situazione per invadere la Mesopotamia: in quell'anno entravano in Seleucia. Demetrio II, dopo i primi successi, era preso prigioniero (139) e tenuto come possibile pretendente dai Parti, che gli davano una figlia del re in moglie. Un fratello di Demetrio II, Antioco VII Sidete, si faceva allora innanzi come suo successore, e sposava perciò Cleopatra Thea come terzo marito. Trifone non poteva resistergli e doveva uccidersi. Per l'ultima volta si stabiliva in Siria uno stato relativamente forte: la Giudea, che invano cercava sostegno in Roma, lo provava immediatamente. Al rifiuto di pagare tributo per Giaffa, Gazara, ecc., Antioco VII assediava Gerusalemme e la costringeva a capitolare. Ma anche in Giudea egli non poteva premere la mano (manteneva l'Asmoneo Giovanni Ircano figlio di Simone nel sommo sacerdozio), perché i Parti padroni della Mesopotamia esigevano il suo intervento. Con la sua morte in battaglia nel 129 Babilonia era definitivamente perduta, cioè la Siria era definitivamente ridotta a piccolo stato senza importanza. La continuazione delle lotte dinastiche farà il resto, rafforzando anche in Siria tutte le energie particolaristiche accumulate nella storia millenaria.
Demetrio II, già lasciato libero dai Parti alla minaccia di Antioco VII, tornava ora in scena; ma l'Egitto gli contrapponeva un presunto figlio di Alessandro Bala, Alessandro II Zabinas. Demetrio II era ucciso (126-125 a. C.). A sua volta Alessandro Zabinas era eliminato nel 123-22 da Antioco VIII Eripo, figlio di Demetrio II e di Cleopatra Thea. Ma contro costui si ergeva Antioco IX Ciziceno, figlio di Antioco VII e della medesima Cleopatra. In Palestina Giovanni Ircano era sempre più un principe indipendente, che soggiogava Samaritani e Idumei. Le città greche di Siria agivano anch'esse spesso come indipendenti. La lotta fra Antioco VIII e Antioco IX rimase sempre irrisoluta: Antioco VIII si mantenne in Siria, Antioco IX conservò un qualche potere tra quelle città della Siria meridionale, con centro Damasco, che, come lo stato giudaico, non si fossero fatte indipendenti, o non si venissero allora ribellando, come gran parte delle città della costa fenicia. Antioco VIII stesso riconobbe l'autonomia della Commagene sotto il dinasta Mitridate, a cui diede in moglie una figlia Laodice. La Cilicia, in preda all'anarchia e ai pirati, richiederà presto l'intervento romano. La minima forza a cui i sovrani erano ridotti è dimostrata dalla contesa che appunto nella Siria meridionale si svolse tra Cleopatra III d'Egitto e Tolomeo Latiro, teoricamente alleati l'una di Antioco VIII e l'altro di Antioco IX, contesa che si svolse quasi indipendentemente dai due sovrani. Da questa lotta usciva solo rinsaldato il trono di Giudea di Alessandro Ianneo, che aveva assunto il titolo di re. Circa il 96 moriva ucciso Antioco VIII, i cui figli capeggiati da Seleuco VI assalirono Antioco IX, che rimase ucciso (95 a. C.). A sua volta Seleuco VI fu ucciso e di Antiochia s'impadronì Antioco X Eusebe figlio di Antioco IX, il quale sposò la matrigna Cleopatra Selene, già moglie di Tolomeo Latiro, poi di Antioco VIII e poi ancora di Antioco IX. Ad Antioco X si opposero i fratelli superstiti di Seleuco VI, di cui Antioco XI morì tosto e i due superstiti Filippo I e Demetrio III si suddivisero lo scarso territorio nella Siria meridionale.
Se Antioco X moriva andando a combattere contro i Parti (93-92 a. C.), che solo forse l'intervento romano nel 92 tratteneva dall'invadere la Siria, Demetrio III e Filippo I trovavano il modo di venire in conflitto. Demetrio III, più forte, padrone di Antiochia, dopo aver concluso, senza risultati palesi, una spedizione contro la Giudea, marciò contro il fratello padrone di Berea in Cirrestica e sostenuto da Parti e Arabi. Egli cadde prigioniero dei Parti. A sua volta Filippo ebbe ora ad affrontare la rivalità dell'ultimo fratello Antioco XII Dioniso, che, valendosi della dualità ormai inveterata tra le due Sirie, si fece riconoscere re a Damasco. Filippo sparisce tosto oscuramente dalla storia. Antioco XII fu ucciso (84 a. C.) in una guerra contro gli Arabi Nabatei, che, in concorrenza con gli Ebrei, tendevano verso Damasco. La Siria restava senza sovrani: donde il moltiplicarsi di dinasti locali, tra cui quelli di Emesa e di Calcide (tra Libano e Antilibano). Damasco fu occupata dai Nabatei. E l'Egitto era troppo impotente per approfittare della situazione, del resto seguita e favorita dai Romani. Lo stato di anarchia faceva sì che Tigrane re di Armenia era circa l'83 riconosciuto per re anche nella Siria da una parte della popolazione (non per esempio da Seleucia sull'Oriente). Ma con ciò la sorte della Siria si legava a quella di un sovrano cui la stessa espansione e più poi la parentela e l'alleanza con Mitridate VI del Ponto rendevano nemico dei Romani. Dei Seleucidi erano rimasti due figli di Antioco X e Cleopatra Selene: il maggiore di essi, Antioco XIII Asiatico, poteva ricuperare il trono paterno, mentre Lucullo invadeva l'Armenia (69).
Si comprende bene che nello stato di caos in cui la Siria si trovava, Antioco XIII non era destinato a durare a lungo. Gli Antiocheni, abituatisi più all'anarchia che all'indipendenza, furono ancora una volta i primi a manifestare il malcontento prodromo della fine. Un figlio di Filippo I, Filippo II, fu contrapposto a lui con l'appoggio di un emiro arabo, Aziz. Ma l'altro capo arabo, che era venuto in aiuto di Antioco XIlI, Sampsiceramo di Emesa si accordava con Aziz per eliminare i due rivali. Entrambi riuscirono a sfuggire, ma il trono era perduto. Pompeo nel 64 già alle porte della Siria era deciso per l'annessione a Roma. Antioco XIII fu messo a morte da Sampsiceramo. E Pompeo cominciò l'opera di riorganizzazione di una regione che, senza avere perduto del tutto la prosperità economica, che le veniva dalla sua situazione geografica, si era politicamente dissolta.
Bibl.: E. Bevan, The ohuse of Seleucus, Londra 1902; B. Niese, Geschichte der griechischen und makedonischen Staaten, Gotha 1893-1903; A. Bouché-Leclercq, Histoire des Séleucides, Parigi 1913-14; Ed. Meyer, Ursprung und Anfänge des Christentums, II, Berlino 1921; E. Meyer, Grenzender hell. Staaten in Kleinasien, Lipsia 1925; U. Kahrstedt, Syrische Territorien in hellenistischer Zeit, in Abhandlungen der Akad. Göttingen, XIX (1926); J. Beloch, Griechische Geschichte, IV, 2ª ed., Berlino 1926-28; M. Rostovtzeff, in Cambridge Ancient Historey, VII, 1928, p. 155 segg.; G. Corradi, Studi ellenistici, Torino 1929; W. W. Tarn, Hellenistic Civilisation, 2ª ed., Londra 1930; P. Zancan, Il monarcato ellenistico, Padova 1934, p. 49 segg. Per le monete, E. Babelon, Les Rois de Syrie, d'Arménie et de Commagène, Parigi 1890; E. T. Newel, The Seleucid mint of Antioch, in Amer. Journ. of Numism., LI (1917), p. 13 segg.
Tra le monografie posteriori alle opere generali citate, si cfr. M. Rostovtzeff, Progonoi, in Journ. Hell. Stud., LV (1935), p. 56 segg. (per il culto dinastico); W. Otto, Beiträge zur Seleukidengeschichte des 3. Jahrhunderts, in Abhandlungen bayer. Akad., 1928; id., Zur Geschichte der Zeit d. 6 Ptolomäers, ivi 1934 (e cfr. la recensione di F. Hampl, in Gnomon, 1936, p. 30 segg.).
La provincia romana. - La provincia romana di Siria, che Pompeo costituì nel 62 a. C., per quanto nominalmente estesa a oriente fino all'Eufrate, che nella pace coi Parti era stato riconosciuto come linea di confine tra i due stati, e a mezzogiorno fino ai limiti del deserto arabico, fu in realtà costituita da una molteplice varietà di territorî, di città, di stati, di cui alcuni erano effettivamente soggetti all'autorità di Roma e da essa direttamente governati, ma altri, e forse i più, riconoscevano soltanto formalmente la sovranità della repubblica, conservando i loro ordinamenti autonomi o i loro sovrani, come d'altronde era stato sotto gli ultimi re seleucidi.
Erano direttamente amministrati da Roma i territorî della Siria settentrionale, cui furono aggiunti per un certo tempo anche quelli della Cilicia orientale al di là dell'Amano, e che toccavano verso nord-est alla Commagene, il cui regno era stato da Pompeo confermato ad Antioco, riconosciuto vassallo di Roma: tali territorî comprendevano la bassa e media valle dell'Oronte con la capitale Antiochia, e le ricche città di Seleucia, Apamea, Laodicea, Cyrrhus, ecc., e toccavano l'Eufrate a Zeugma, punto principale di passaggio, già dall'epoca macedone e seleucidica, delle strade dirette alla Mesopotamia. Verso mezzogiorno, l'area della provincia si andava via via restringendo presso al mare, comprendendo la catena del Libano e la valle tra questa e l'Antilibano, e toccando il suo estremo al Monte Carmelo. Ma mentre qui le città fenicie della costa, Arado, Tiro, Sidone, conservavano l'autonomia di cui godevano da secoli, si consideravano d'altro lato come facenti parte della provincia stessa, e quindi come dipendenti dall'autorità del proconsole, gli stati, grandi e piccoli, che, si può dire, circondavano da ogni parte, verso terra, quei territorî: ché tutti questi stati avevano avuto il loro riconoscimento da parte di Roma, come quello già detto della Commagene, o avevano da Roma avuto o riavuto i loro sovrani: non uno comunque era rimasto fuori dalla soggezione a Roma. Pompeo stesso aveva reintegrato Sampsiceramo a Emesa, Tolomeo a Calcide; aveva restituito Damasco al re dei Nabatei; aveva riconosciuto Ircano sommo sacerdote ed "etnarca" della Giudea, dalla quale aveva d'altro canto distaccato la Samaria e la Decapoli.
La ricchezza dei territorî direttamente sottoposti, ma più ancora l'importanza politica e commerciale che alla provincia davano le sue particolari funzioni di sbocco delle vie carovaniere della Mesopotamia e del lontano Oriente, di base di difesa e di offesa contro il regno dei Parti, infine di dominio del Mediterraneo orientale, fecero subito del governo della Siria uno dei più importanti governi provinciali. Come aveva il meno possibile mutato la compagine politica degli stati, clienti prima del regno seleucidico e ora di Roma, così egualmente Pompeo si astenne dall'attuare radicali modifiche nell'amministrazione civile e religiosa del paese.
Il compito principale che incombeva ai Romani era quello di dare al paese la pace che la debolezza dei re seleucidi aveva da tempo e seriamente compromesso. Il compito era invero tutt'altro che facile: poiché si trattava all'interno di tenere a freno la natura degli stessi Siriani, spiriti insofferenti di autorità, e la irreducibile intransigenza verso la cultura pagana e occidentale dei Giudei, e all'esterno di far fronte sia alle incursioni dei nomadi del deserto sia, più ancora, alla pressione e alla costante insanabile inimicizia con Roma del confinante stato partico, a cui si dovette la sconfitta di M. Crasso, governatore e depredatore della Siria, a Carre (53 a. C.), solo parzialmente vendicata dal successore di lui C. Cassio (51 a. C.). Gli abitanti della provincia furono in generale ostili a Pompeo durante la guerra civile, e l'anno della battaglia di Farsalo fu da varie città della Siria, a cominciare da Antiochia e da Laodicea, assunto come l'inizio di una nuova era: il vincitore fu accolto favorevolmente nella provincia quando l'attraversò nel 47 per recarsi dall'Egitto nel Ponto.
È noto come Cesare si preparasse alla grande spedizione in Oriente contro i Parti, quando cadde ucciso nel 44. Al principio di quest'anno era in Siria l'ultimo dei pompeiani, Cecilio Basso, che, sostenuto dai Parti, aveva battuto i generali di Cesare. Dolabella, a cui il senato aveva affidato il governo della provincia dopo la morte del dittatore, si apprestava a combattere contro di lui, quando fu prevenuto da Cassio. Questi, battuto Cecilio Basso e i generali di Cesare, e impadronitosi delle quattro legioni mandate da Cleopatra per sostenere Dolabella, assediò questi in Laodicea, costringendolo a darsi la morte. Quindi, dopo avere estorto denaro ai Giudei ed avere imposto, in varie città della Siria, piccoli tiranni, abbandonò la regione per raggiungere Bruto a Smirne.
Dopo Filippi la Siria fu, insieme con le altre provincie orientali, di Antonio, il quale non lasciò in Siria buona traccia del suo governo. Venutovi una prima volta nel 41, volle a modo suo dare una sistemazione ai piccoli stati vassalli, creando nemici scontenti, più che facendosi amici devoti. Poi, lasciata la Siria per l'Egitto, affidò il governo della provincia a Decidio Saxa. I Parti invasero il territorio romano, e mentre Labieno, militando con essi, si volgeva verso l'Asia, il re Orode si diresse verso la Siria: Decidio Saxa fu sconfitto, e tutta la provincia, comprese le città maggiori, cadde in potere dei Parti. Antonio si vide costretto a intervenire: inviò un nuovo esercito al comando di Publio Ventidio Basio, che, sconfitto prima Labieno, batté ai passi dell'Amano le truppe partiche, riconquistando tutta la Siria (39): l'anno dopo i Parti tornarono a invadere la provincia, ma furono di nuovo decisamente sconfitti presso Gindaro.
Per il momento il pericolo partico era allontanato, e della tregua approfittò Antonio anche per ordinare a suo modo le provincie orientali, delle quali egli sognava fare piccoli regni vassalli sotto la sua signoria: la Siria fu divisa in due parti, l'una, la meridionale, assegnata a Cleopatra e al figlio da lei avuto da Cesare, Cesarione, l'altra, comprendente la Fenicia settentrionale, la Siria settentrionale e la Cilicia, data a Tolomeo Filadelfo, il figlio di Cleopatra e di Antonio.
Nell'ordinamento augusteo la Siria, che oltre alla Siria vera e propria comprendeva la Cilicia, la Panfilia e Cipro, che ne vennero poi successivamente distaccate, fu compresa tra le provincie imperiali: l'efficienza dell'esercito, che vi era stanziato, composto di tre legioni: la III Gallica, la VI Ferrata, la X Fretensis, cui forse gia fin d'ora, o comunque certamente fin dai primi anni del regno di Tiberio, se ne aggiunse una quarta, la XII Fulminata, più naturalmente le truppe ausiliarie, la parte di baluardo dell'impero che questo esercito era chiamato a sostenere di contro ai Parti e ai Nabatei, facevano del governo della Siria il più alto governo delle provincie imperiali, affidato di solito a legati di rango consolare, al temine della loro carriera.
Nel 20 Augusto stesso si recò in Oriente, e in Siria diede un assetto alle città e agli stati clienti. Le città fenicie riacquistarono la loro libertà, e particolare favore ricevette Berito (Beirut). Il regno di Giudea, dato ad Erode, fu accresciuto del paese dei Drusi e della Transgiordania; furono riconosciuti o ricostituiti i principati di Emesa, Abila, Arca, Palmira: tutti come lo stesso re di Giudea, posti sotto l'alta dipendenza del governatore della Siria. Antioco continuava d'altro canto a regnare nella Commagene. Ma la natura stessa di questi piccoli stati, e la funzione che nel pensiero dell'imperatore e dei suoi successori essi erano chiamati a svolgere, faceva sì che essi fossero facilmente soggetti a mutamenti. Così, mentre la Commagene, morto Antioco nel 17, veniva incorporata senz'altro alla provincia della Siria (in pari tempo si formava anche l'altra vicina provincia della Cappadocia), variazioni subiva, già sotto Augusto, il regno di Giudea, spartito fra varî tetrarchi dopo la morte di Erode il Grande; una delle tetrarchie, quella dell'Iturea, veniva anch'essa annessa alla provincia alla morte di Filippo.
I mutamenti proseguono ancora per tutto il primo secolo, e non solo nella Giudea, che era il più importante di questi regni, ma altresì nella Commagene, ridata da Caligola al figlio di Antioco, e riannessa definitivamente alla Siria da Vespasiano nel 73, e nei minori principati di Abila, da Claudio dato dapprima alla Giudea, e poi reintegrato da lui stesso alla provincia romana, di Calcide, dapprima ricostituito a stato indipendente, poi annesso alla Giudea, e da Domiziano aggregato alla provincia, al pari di quello di Emesa; Damasco, restituita da Caligola al re dei Nabatei, fu da Claudio ricondotta sotto la diretta autorità del governatore romano. Con i Flavî questo continuo travaglio ebbe, si può dire, una prima sosta: l'ultimo risultato di esso fu comunque quello che fatalmente doveva essere: un ingrandimento e un rafforzamento dei territorî direttamente dipendenti da Roma: sia di quelli che già formavano la provincia di Siria, sia degli altri che sotto Vespasiano vennero a formare la Giudea, dopo la sconfitta degli Ebrei provincia indipendente sotto un legato imperiale, o ad accrescere la Cilicia, aumentata di quella parte orientale della regione che era stata prima riunita alla Siria. L'unico stato che continuava a godere della sua indipendenza era quello di Palmira, quasi punto neutro d'incontro fra Roma e il regno dei Parti. Il rafforzamento del dominio romano costituiva per questo regno un freno a iniziative troppo ardite: nel primo secolo non si ha notizia di assalti e di invasioni della Siria da parte dei Parti, se non forse al tempo di Vespasiano. La Siria rimaneva tuttavia la principale base di operazione, ogni volta che Roma intendeva prendere le armi contro il grande vicino: così sotto Nerone, in occasione delle spedizioni di Corbulone, così egualmente quando Traiano mosse alla conquista della Mesopotamia. La costituzione, sotto Traiano, delle nuove provincie orientali, Mesopotamia, Assiria, Arabia, modificano il carattere della Siria, non più, come prima, provincia di confine: ma il mutamento è soltanto provvisorio: ché le due prime vengono, come è noto, abbandonate da Adriano, e la terza può proteggere soltanto la parte meridionale della Siria.
Tuttavia il regno di Adriano segna un momento di particolare favore per lo sviluppo civile della provincia, contrassegnato sia dall'accresciuto decoro delle città (Tiro, Damasco, Samosata ricevono il titolo di metropoli), sia soprattutto dall'effettiva soggezione di Palmira (v.).
Per circa mezzo secolo nessuna minaccia venne più dall'esterno alla Siria. Solo nel 161, scoppiata nuovamente la guerra fra Roma e i Parti, questi tornano a invadere la Siria, battendone il governatore Attidio Corneliano. Lucio Vero assume il comando degli eserciti contro i Parti, ma solo nominalmente: il comando effettivo è nelle mani dei governatori delle due provincie di confine, la Cappadocia e la Siria: e tra i due la parte principale spetta sempre al secondo, Avidio Cassio: è a questi soprattutto che torna il merito della condotta vittoriosa della campagna, ed è lui che vagheggia l'idea di rivestirsi della porpora imperiale: segno dell'importanza del governo della Siria e della potenza di chi lo detiene. Pochi anni dopo l'aspirazione di Avidio Cassio si concreta in Pescennio Nigro, acclamato al trono dalle sue legioni: la durezza della lotta dovuta sostenere contro di lui consiglia Settimio Severo a sminuire il potere del legato di Siria, dividendo in due la provincia: circa il 194 egli fa di questa due provincie distinte: la Coelesyria, o Syria Maior, a settentrione, la Syria Phoenice a mezzogiorno; e mentre il centro di questa fu stabilito a Berito, il rango di metropoli della Celesiria passò, per breve tempo tuttavia, da Antiochia a Laodicea, insignita del rango di colonia iuris italici.
L'avvento al trono imperiale della dinastia dei re-sacerdoti di Emesa è l'indice, e nello stesso tempo la decisiva conferma di un nuovo orientamento dell'impero, nel quale la Siria ha necessariamente una parte importante. E mentre la cultura e la religione siriane si diffondono largamente a Roma e nell'Occidente, la Siria d'altro canto vede più che mai stretti i suoi legami con l'impero. La costituzione a provincia della Mesopotamia settentrionale alleggerisce in parte dalla pressione dei Persiani, succeduti ai Parti, il confine della Siria, ma non così che essi non possano nuovamente, scendendo più a sud, tornare a minacciare la pace della provincia nel 231, nel 242. Dieci anni dopo Sapore I ripete l'assalto: Gallieno ha da combattere in Occidente, e l'Oriente resta alla mercé del re persiano, che nel 256 riesce a impadronirsi di Antiochia.
Sistemate le cose di Occidente, Valeriano viene personalmente a combattere contro i Persiani; ma vicino a Edessa i Romani sono sconfitti e lo stesso imperatore fatto prigioniero (260). Ora sono gli stessi principi di Palmira, Odenato, Vaballato e la madre di questi Zenobia, che si levano a difesa dell'impero e ne assumono l'autorità, fino a quando Aureliano, assediando la città e conducendo prigioniera Zenobia, ricostituisce l'unità dell'impero (272).
Di grande importanza per la vita della provincia appare il regno di Diocleziano, non solo per le azioni militari da lui compiute contro gli Arabi del sud-est e contro i Persiani nella Mesopotamia, quanto soprattutto per le vigili cure che egli rivolse al confine fortificato della Siria, al quale rimase legato il suo nome. Non pare che nella riorganizzazione amministrativa dell'impero le due provincie della Siria, quali erano state ordinate da Settimio Severo, subissero mutamenti sostanziali: una ulteriore divisione di esse avvenne soltanto quando Costanzo II, dei distretti nord-orientali della Celesiria, creò la Augusta Euphratensis.
Nessuno speciale riguardo ha per la Siria il regno di Costantino. Con il successore Costanzo, e poi con Giuliano, nella ripresa delle guerre contro i Persiani, essa diviene invece nuovamente la base di partenza per le operazioni al di là dell'Eufrate.
La presenza di Giuliano ad Antiochia e le sue affermazioni di fede pagana dànno luogo nella città, dove il cristianesimo aveva trovato fin dagl'inizî della predicazione apostolica fervidi seguaci, ma dove non meno tenaci erano i fedeli della vecchia religione, a tumulti, nei quali si mescolano tuttavia motivi d'ordine economico e sociale: ché la diminuzione dei commerci, i danni apportati dalle guerre, i tributi imposti per il mantenimento delle truppe alle popolazioni avevano diffuso fra queste miseria e malcontento.
Al principio del sec. V nella Notitia dignitatum la Siria ci appare divisa in cinque provincie: la Fenicia e la Siria I, sotto dei consulares, la Fenicia Libanensis, l'Augusta Euphratensis, la Siria Salutaris o II sotto dei praesides, tutte dipendenti dalla diocesi dell'Oriente. Dalla stessa Notitia rileviamo che la guarnigione era costituita ormai soltanto di truppe a cavallo, le uniche adatte alla sua difesa, formate da equites Illyriciani, da indigenae, cioè Arabi, e da varî corpi ausiliari, distribuiti soprattutto lungo il limes.
Per tutto il sec. V la minaccia dei Persiani ai confini fu relativamente non grave; ma nel secolo seguente essa si fa di nuovo pressante, al pari di quella degli Arabi dalla parte di sud-est: e assalti persiani ed arabi si ripetono insistentemente soprattutto dopo l'avvento di Giustiniano: circa lo stesso tempo, nel 526 e nel 528, due terremoti arrecano danni gravissimi ad Antiochia, che nell'occasione cambiò il suo nome in quello di Theupolis, o città di Dio. Il 19 aprile 531 una grave sconfitta riportava l'esercito bizantino presso Callinico sull'Eufrate. Nel 540 Cosroe I invade ancora la Siria, distruggendo Sura, incendiando Berea (Aleppo) e Antiochia; l'anno dopo esso è respinto da Belisario: la pace definitiva non fu tuttavia fermata che nel 562. Pur tra i disordini delle guerre Giustiniano non tralasciò tuttavia di migliorare le condizioni della provincia, rafforzando ancora le difese del limes, restaurando fortezze e città (Antiochia e Palmira), riaprendo strade, costruendo chiese e monasteri: egli creò ancora una nuova provincia, che chiamò Teodoriade, comprendente i distretti della costa settentrionale, con Laodicea. Sul principio del sec. VII Cosroe II torna ad invadere la Siria, invano respinto prima da Maurizio, poi da Eraclio: ma la pace segnata con lui dall'impero nel 630 non apporta la tranquillità alla regione, in cui quattro anni dopo entreranno gli Arabi: con la battaglia di Gabita sul fiume al-Yarmūk del 20 agosto 636 essi ne rimangono definitivamente padroni.
All'importanza politica e militare risponde quella che la Siria ebbe non meno grande e operante, nel campo culturale, artistico e religioso. La Siria si mantiene, come nell'età precedente, un paese d'intensa attività spirituale, e soprattutto un ardente crogiuolo di idee e di sentimenti: in essa due mondi diversi venivano a toccarsi e a incontrarsi; tale incontro si verificava d'altronde in un ambiente e su un fondo etnico quale quello semitico, dall'animo ardente e dalla mente pronta, incline alla speculazione e al misticismo, facile assimilatore e nello stesso tempo conservatore tenace. Il più intenso commercio non solo di prodotti, ma di idee, il più stretto contatto che la conquista e l'unità romana portarono fra i popoli del Mediterraneo e delle regioni che, pur non affacciandosi su di esso, gravitavano tuttavia fatalmente sulle sue rive: e d'altro canto la sicurezza e la pace, che Roma poté dare alla provincia stessa, non poterono naturalmente non riuscire propizie a quell'attività e a quella elaborazione culturale che nella Siria si era già avviata nel periodo ellenistico: di qui la parte veramente decisiva che la provincia ebbe nella formazione di quella cultura romano-cristiana che costituirà l'immenso imperituro patrimonio, tramandato dall'antichità al mondo medievale e moderno.
Conviene subito infatti notare che nella Siria, come in tutti gli altri paesi di lingua e di civiltà greca, Roma non tentò mai di sostituire a queste la sua propria civiltà e la sua lingua: essa, continuando l'opera iniziata dai conquistatori macedoni e dai Seleucidi, si fece come essi a promuovere e a diffondere l'ellenismo, e, mediante l'azione di questo, a inserire nella civiltà occidentale le tribù semitiche. La conquista romana non segna perciò nello sviluppo civile della regione una frattura o una soluzione, ma una continuazione e un'intensificazione; essa dà vita a quel dualismo dell'impero, che appare soprattutto dal secondo secolo d. C. in poi: cioè a quella doppia anima di esso, occidentale e orientale, latina e greca allo stesso tempo. Sennonché quest'opera di ellenizzazione che Roma compie ha due elementi che la diversificano da quella esercitata dai dominatori precedenti, e che la rendono più accetta insieme e più feconda. Da un lato si dimostra, in confronto del patrimonio culturale e spirituale dei popoli su cui si esercita, più tollerante e accogliente: di qui il rispetto delle autonomie cittadine, la conferma e talvolta l'aumento dei privilegi dei grandi santuarî e dei loro re sacerdoti; la considerazione, fino all'assimilazione, dei culti proprî delle tribù e delle città; la tolleranza dell'uso della lingua. D'altro lato, accanto e insieme con la civiltà greca, essa reca la civiltà e la cultura sua propria: non l'impone, ma inevitabilmente ne fa sentire l'influenza. Poche provincie ebbero meno della Siria colonie di veterani e di cittadini romani: tre sole se ne ricordano; Berito, Eliopoli e Tolemaide: ché le altre città che più tardi portano il titolo di colonia lo hanno solamente come titolo di onore e per i privilegi che esso recava con sé. L'immigrazione d' Italici come commercianti e pubblicani fu intensa subito dopo il momento della conquista, ma venne meno assai presto e fu rapidamente riassorbita; l'esercito fu, dopo il secondo secolo, formato esclusivamente di elementi locali; pur tuttavia funzionarî, magistrati, ufficiali e gli stessi soldati, per quanto orientali, non poterono non essere altrettanti strumenti di diffusione dell'idea romana: onde come i principi di Palmira sentirono ad un certo momento l'ambizione della porpora imperiale, così, in grado più umile, soldati legionarî e ausiliarî volevano parlare il latino, che era la lingua ufficiale dell'esercito, e sembravano accrescere l'autorità e la venerazione dei loro dei vestendoli alla romana.
Dall'azione e dalla fusione dei tre elementi, semitico, greco e romano, nasce in Siria quella cultura, che soprattutto dal sec. III in poi, con l'avvento al trono della dinastia siroafricana dei Severi, si diffonde largamente a Roma e di qui in tutto l'Occidente.
All'interno furono composte e fatte sparire le rivalità tra città e stati, e la popolazione, facilmente incline alla rivolta, fu tenuta a freno dalle legioni romane, stabilite presso le città, nel cuore della provincia. Sul confine e sulle piste del deserto il compito della difesa fu costantemente affidato alle milizie ausiliarie, reclutate sul posto. Ad esse si aggiungevano milizie irregolari o locali, come quelle di Palmira.
Il confine fortificato fu costituito fondamentalmente da un sistema di strade, guarnite di castelli, appoggiato per quanto possibile a dorsi di monti o di colline o al corso dell'Eufrate.
Nell'alto impero, lungo la destra di questo, esso si stendeva da Samosata fino ad Anah a valle di Dura, ma dopo l'invasione sassanide la parte più bassa del fiume fu perduta, e il confine si arrestb alla confluenza con l'Eufrate del Khābür, il cui corso servì a sua volta di appoggio al limes della Mesopotamia. Le stazioni lungo l'Eufrate, e in particolare i punti più frequentati di transito come Zeugma e Sura, erano congiunte alle città della Siria mediante strade; la più importante di queste, dal punto di vista della difesa, era la strata Diocletiana (così detta da chi le diede la sua organizzazione definitiva) che da Sura andava a Palmira, e di qui a Damasco, donde scendeva verso mezzogiorno a Bostra. Essa non era una sola strada, ma un fascio di più strade, parallele ha loro, e congiunte da strade trasversali, le quali a loro volta si spingevano nel cuore del deserto a tenere i punti d'acqua e di rifornimento. Con questi, e con il suo stesso corso gettato trasversalmente al deserto, la strada dominava le vie di transumananza delle popolazioni nomadi, e insieme le vie del commercio carovaniero. Ai margini occidentali della hammāda, in assoluta prossimità dei territorî agricoli della Siria settentrionale e della valle dell'Oronte, era infine stesa un'altra serie di posti fortificati. Le vie del deserto continuavano nella provincia a congiungere fra loro i centri più importanti: le strade di grande comunicazione erano quelle dirette da nord a sud che collegavano: la prima verso oriente, le città carovaniere dell'orlo del deserto (Damasco, Gerasa, Filadelfia); la seconda, Antiochia con i porti della Fenicia e della Palestina.
Difese esterne e migliorate condizioni di viabilità intensificarono e portarono al massimo sviluppo quella che anche prima dei Romani era stata la maggiore fonte di ricchezza della Siria, il commercio carovaniero, cui d'altro lato la pace e l'unità di tutto il bacino del Mediterraneo offrivano più ampio campo di espansione. Dalla Persia, dall'India, dai lontani paesi dell'Oriente estremo, esso portava alle coste della Siria e della Fenicia i prodotti ricercati sui mercati di Roma e dell'Occidente: seta, droghe, profumi. Le iscrizioni di Gerasa, di Palmira, di Dura, che, come Petra e Bostra nell'Arabia, vissero e fiorirono di questo commercio, ci istruiscono sulla sua organizzazione. I prodotti, giunti alle città della Siria e ai porti della Fenicia, erano dispersi per tutto l'impero dai Siriani stessi, che si erano riversati nei porti e nei centri commerciali dell'Occidente e dell'Italia in particolare, londando in ognuno di questi loro fondachi o piazze di commercio: e via via che le legioni romane avevano esteso il loro dominio ai paesi del settentrione e del centro dell'Europa, i commercianti siriani le avevano seguite: in Gallia, in Germania, in Dacia.
Questi commercianti non solo trafficavano merci che loro recavano le carovane provenienti dall'Oriente, ma altresì quelle che producevano l'industria e l'agricoltura del paese. Fiorenti industrie della Fenicia erano quelle della tessitura, sia di stoffe di lana comuni e di lusso, cui la materia prima era offerta dai ricchi greggi delle tribù del deserto, sia della seta, che veniva dalla Cina; della lavorazione dei metalli (bronzo e oro), e soprattutto del vetro e della tintoria in porpora, i cui prodotti erano universalmente apprezzati. L'agricoltura, già da prima fiorente nelle regioni più felici, quali la Siria settentrionale e la valle fra il Libano e l'Antilibano, si avvantaggiò grandemente da un lato delle opere idrauliche, in cui i Romani erano maestri, e per le quali poterono essere proficuamente sfruttate zone per l'innanzi, e ancora oggi, incolte, d'altro lato dalla regolamentazione e dalla fissazione al suolo di alcune delle tribù nomadi dell'orlo occidentale del deserto. Roma seppe non solo sfruttare le risorse già in atto, come le foreste del Libano, di proprietà imperiale, o intensificare lo sviluppo agricolo delle terre già favorite dalle condizioni del suolo e del clima, ma anche trarre frutto da quelle, come la regione oggi deserta e sassosa dell'Hauran che sembravano condannate alla sterilità. Vino, olio, frutta e cereali erano i prodotti che si traevano principalmente da queste regioni. La proprietà agricola era soprattutto in mano di grandi proprietarî, fra i quali si contavano i maggiori santuarî e gl'imperatori, quali eredi dei Seleucidi, ma nessuna prova sicura abbiamo del sistema del colonato: il lavoro era affidato a piccoli affittuarî o ad operai presi a mercede. Non mancava tuttavia accanto al latifondo anche la piccola proprietà, rappresentata in prevalenza dai veterani.
Fiorente fu lo sviluppo dell'arte nella regione (v. avanti), che diede a Traiano il suo grande architetto Apollodoro di Damasco, ed efficace fu la parte avuta da essa nella produzione letteraria. Nell'elaborazione del pensiero di questo periodo la sua letteratura fu naturalmente in prevalenza di lingua greca e di spirito ellenico: di essa si ricordano scrittori (Luciano di Samosata, Taziano e Giamblico), eruditi (Pausania di Damasco), retori (Teodoro di Gadara, Massimo di Tiro, Libanio, Giovanni Crisostomo), filosofi (Filodemo di Gadara, Posidonio di Apamea, Nicola di Damasco, Porfirio di Tiro, ecc.): ma non manca uno storico che al greco preferì il latino, Ammiano Marcellino; né può dimenticarsi la viva parte avuta nell'elaborazione del diritto romano dalla scuola che Roma fondò a Berito, e dalla quale uscirono Papiniano e Ulpiano.
Dove Roma soprattutto ricevette più che diede, fu nel campo religioso: né poteva essere diversamente in un paese, come la Siria, che era tutto un fervore di fedi, le più diverse e le più particolaristiche, ma tutte sostanzialmente indirizzate al concetto monoteistico della divinità. Sono noti i grandi santuarî di Baal ad Eliopoli e a Doliche, del Sole a Emesa, della dea di Ierapoli, che Greci e Romani assimilarono a Zeus, ad Artemide, alla dea Siria. Nello scadimento del paganesimo occidentale furono queste le divinità che, per il contenuto mistico o spirituale del loro culto, e per quella tendenza monoteistica che avevano in sé, tentarono di rinvigorirne la resistenza, e si diffusero pertanto a Roma e nell'Occidente. L'opera loro fu tuttavia vana di fronte all'avanzata del cristianesimo, che pure in Siria ebbe dalla predicazione di Pietro e di Paolo rapidissima diffusione e fioritura magnifica di martiri, di dottori, di monaci.
Quando le invasioni persiane portarono nella regione le loro rovine, quando gli Arabi islamici la sommersero, la Siria, abitata dai Semiti, colonizzata dai Greci, ma soprattutto fecondata da Roma, aveva ormai assolto degnamente la sua missione.
Bibl.: Th. Mommsen, Le provincie romane da Cesare a Diocleziano, trad. ital. di E. De Ruggiero, Roma 1887-1890; M. Rostovzvev, Storia economica e sociale dell'impero romano, trad. ital., Firenze 1933; id., Le Syrie romaine, in Rev. histor., 1935, p. i segg.; F. Cumont, in Cambridge History, XII, Cambridge 1936; A. Poidebard, La trace de Rome dans le désert de Syrie. Le limes de Trajan à la conquête arabe. Recherches aériennes (1925-1931), Parigi 1932. V. anche le riviste Syria e Berytus, passim.
Epoca musulmana. - L'infiltrazione di elementi arabi in Siria attraverso il limes del deserto siro-arabico, risale al sec. II a. C., e si mantenne in modeste proporzioni fino all'epoca di Maometto, senza alterare gran che la compagine etnica e sociale del paese. Il gran movimento di conquista, scatenatosi poco dopo la morte del profeta, condusse invece a un decisivo e duraturo rivolgimento, iniziando per la Siria una nuova epoca della sua storia. Rapida e relativamente agevole, sotto il comando di Khālid ibn al-Walīd, fu l'avanzata araba che, dopo le vittorie di Aǵnādain e Fiḥl in Palestina (635), spezzò definitivamente alla battaglia dello Yarmūk (20 agosto 636) la resistenza bizantina; già nel settembre 635 aveva capitolato Damasco. La resa di Gerusalemme nel 638 e di Cesarea nel 640 completarono la sottomissione ai vincitori della Siria e della Palestina, che in quell'epoca, come in molte altre della loro storia, ebbero comuni vicende e furono considerate come una sola unità politico-geografica.
Gli Arabi divisero la Siria in quattro dipartimenti militari (giund) di Damasco, Ḥims (Emesa), Palestina e Giordano, cui poco dopo si aggiunse un quinto, di Qinnasrīn, per la Siria settentrionale; giacché per i primi decennî l'occupazione araba nel paese ebbe carattere essenzialmente militare, e attività quasi esclusivamente fiscale (v. arabi: Storia). Le tribù vincitrici venute dalla penisola campeggiavano in armi nel paese, limitandosi, attraverso il governo, a esigere il tributo della popolazione e a riscuotere il soldo o pensione militare che la rudimentale organizzazione dello stato islamico loro riservava. Ma la Siria era destinata ad acquistare presto una sua fisionomia, e ad avere una parte di primissimo piano nella fase più antica e gloriosa dell'impero arabo per mezzo della dinastia degli Omayyadi, ascesa al califfato col governatore della Siria Mu‛āwiyah ibn Abī Sufyān. La definitiva vittoria di questo sul legittimo califfo ‛Alī, dopo movimentate vicende, portò allo stabilimento della capitale dell'impero a Damasco, e diede per un secolo alla Siria arabizzata l'egemonia dell'impero (v. arabi; omayyadi).
I califfi omayyadi risiedettero tutti, salvo l'ultimo, in Siria, promovendone, a partire soprattutto da ‛Abd al-Malik (685-705) l'arabizzamento anche culturale e amministrativo, svolgendo una politica nel complesso tollerante verso l'elemento cristiano; mentre le grandi conquiste a Oriente e Occidente davano al trono di Damasco uno splendore e una potenza rimasti insuperati nella storia dell'Islām. Ma rivalità e debolezze interne, malcontento di sudditi, fermenti religiosi e malessere economico minavano la stabilità della monarchia unitaria arabo-omayyade, che dalla Siria irraggiava la sua luce sul mondo islamico in formazione; a metà del sec. VIII d. C. la rivoluzione ‛abbāside venendo dalla Persia distruggeva la dinastia omayyade, riportava la sede del califfato islamico nel ‛Irāq, a Kūfah e poi a Baghdād, e poneva così fine alla posizione di preminenza della Siria entro l'impero (750 d. C.).
Sotto il dominio ‛abbāside, essa non fu che una provincia, tenuta d'occhio per le sue velleità di ritorno al passato e di devozione alla casa omayyade, in cui nome dei pretendenti tentarono a più riprese sterili rivolte. Le restava l'importanza della sua posizione geografica, di confine dell'impero islamico con Bisanzio, e punto di partenza delle spedizioni e guerriglie annue che gli ‛Abbāsidi continuarono contro i Bizantini. La diretta sovranità del califfato di Baghdād sulla Siria si interrompe nella seconda metà del secolo IX con lo stabilirsi colà del potere praticamente indipendente dei Ţūlūnidi, riprende per breve tempo nel sec. X, e scompare definitivamente con l'affermarsi in Siria degli Ikhshīditi d'Egitto e dei loro rivali, sostenuti da Baghdād ma di fatto anche essi indipendenti, i Ḥamdānidi di Aleppo (seconda metà secolo X), la brillante dinastia araba che contenne a nord la controffensiva bizantina e fu centro animatore di cultura e di poesia. Ogni legame anche formale con Baghdād è poi spezzato dalla conquista che della Siria fanno sulla fine del sec. X gli eretici Fātimidi d'Egitto, pur non arrivando a frenare la parziale avanzata di Niceforo Foca, Giovanni Zimisce e Basilio II nelle provincie settentrionali, e la decomposizione politica del paese, che tende a frazionarsi, con l'aiuto dell'anarchia beduina, in piccoli principati indipendenti. Nemmeno l'ondata dei Turchi selgiuchidi nel sec. XI riesce a frenare tale processo di disintegrazione, e a ridare unità politica alla Siria, giungendo solo a sostituire a molte delle precedenti dinastie locali altri emirati di fatto autonomi, fondati da ufficiali selgiuchidi (atābeg); i principali fra questi, al momento dell'arrivo dei crociati, sono quelli di Aleppo e di Damasco.
Le spedizioni dei crociati hanno in un primo momento facile ragione dell'anarchia musulmana, e, dalla conquista di Antiochia (1098) a quella di Gerusalemme (1099), alla conquista della costa fenicia (1109-1110) con Tiro (1124), inseriscono nella compagine ormai nettamente islamizzata e arabizzata, già in parte turchizzata della Siria e Palestina, l'effimera creazione del regno franco, a sua volta feudalmente frazionato nei quattro stati di Edessa, di Antiochia, di Tripoli e di Gerusalemme (v. crociate). Ma già alla morte di Baldovino II (1131) si sviluppa, guidata da forti personalità politiche e guerriere, la controffensiva dell'Islām. L'atābeg zangide Nūr ad-dīn da Aleppo passa a Damasco, invano assediata più volte dai re latini; un suo ufficiale, Ṣalāḥ ad-dīn (v. saladino) compie a suo profitto quella conquista dell'Egitto ai Fātimidi in estinzione, che i Franchi avevano tentato inutilmente, e partendo dall'Egitto risale la Palestina e la Siria, si sostituisce a Damasco agli eredi di Nūr ad-dīn, e oppone alla progrediente anarchia franca la restaurata unità politico-militare di un saldo organismo musulmano (riconquista di Gerusalemme, 1187, terza crociata). Gli Ayyūbiti successori di Saladino (morto nel 1193) continuarono con alterne vicende la lotta contro il declinante regno latino, ma la definitiva liquidazione della parentesi franca in Siria e Palestina è dovuta ai sultani mamelucchi, a loro volta succeduti in Egitto, sulla metà del sec. XIII, agli Ayyūbiti. È del 1291 la caduta di Acri, delle altre città della costa, ultima quella di ‛Athlīth, con cui sparisce l'ultimo vestigio politico dell'avventura dei crociati, e la Siria, tornata politicamente del tutto musulmana, si riunisce alla Palestina e all'Egitto sotto il sultanato dei Mamelucchi.
Col dominio mamelucco cessò quasi totalmente per la Siria il rigoglio di vita sociale, intellettuale ed economica che vi avevano apportato le signorie franche, e la culturalmente feconda lotta bisecolare fra Oriente islamico ed Occidente cristiano, svoltasi sul suo suolo. Il paese, diviso amministrativamente in sei governatorati, i cui prefetti erano di frequente avvicendati dai sultani del Cairo, ricadde nell'anarchia feudale, e soffrì gravemente dell'invasione dei Mongoli di Ghāzān, che nel 1299 occupò Damasco, ma nel 1303 fu sconfitto a Marǵ aṣ-Ṣuffar e costretto a ritirarsi. Nel 1401 fu la volta di Tamerlano, che saccheggiò radicalmente Aleppo e Damasco. Mentre per tutto il sec. XV si andava indebolendo il potere dei Mamelucchi egiziani, si formava a nord la vigorosa nuova potenza osmanlia, che non tardò a rivolgere il suo sguardo alla Siria. Selīm I, vista ormai matura la situazione, tentò l'impresa, e la vittoria di Marǵ Dābiq a N. di Aleppo (24 agosto 1516) sul sultano Qāngüh al-Ghūrī gli diede quasi senza ulteriore resistenza tutto intero il paese, destinato a restare per quattro secoli legato alle sorti dell'impero ottomano.
Il dominio turco segna l'epoca della maggior decadenza economica e spirituale della Siria: abbandonata a sé stessa e allo sfruttamento di avidi governatori dal governo di Costantinopoli, che ne curava solo le esazioni fiscali e le possibilità strategiche verso l'Egitto e l'Arabia, essa cadde in preda a un profondo imbarbarimento, da cui invano cercarono sollevarla i conati d'indipendenza nazionale dell'emiro Fakhr ad-dīn sul principio del sec. XVII, e nel secolo seguente, di Ḍāhir signore di Acri (1750-1775). L'uno e l'altro movimento, se ebbero inizialmente facile giuoco sulla Porta nel far leva sulle scarse forze a disposizione dell'autorità centrale di fronte alla feudale organizzazione del paese, fallirono poi dinnanzi all'incapacità dell'elemento arabo indigeno a creare un saldo fronte unico contro il dominio straniero. Il sec. XVIII vede la rapida scorreria napoleonica, cui Giazzār Pascià resiste valorosamente assediato in Acri, e, nel 1831-33, la vittoriosa campagna di Ibrāhīm pascià figlio di Moḥammed ‛Alī, che ancora una volta riconduce l'Egitto alla conquista della Siria. Ma la gelosia inglese non permise agli Egiziani di conservare a lungo la conquista, e nel 1840 la Siria ritornava sotto il dominio turco.
Nella seconda metà del sec. XIX si fece acuto il problema della convivenza di musulmani e cristiani del Libano, che ebbe la sanguinosa sua crisi nei massacri del 1860; in seguito ad essi, e all'intervento militare della Francia, il Libano cristiano ebbe una sua autonomia amministrativa. Ma la politica di violenta turchizzazione intrapresa alla fine del secolo da ‛Abd ul-Ḥamīd, e continuata, nonostante le speranze dei Siriani, dai Giovani Turchi che nel 907 salirono al governo dell'impero, ebbe per effetto di ravvicinare e fondere in un unico nazionalismo le comunità musulmane e cristiane della Siria. Nella difesa della loro lingua e cultura araba, nell'attivata vita economica, nel forte contributo dato all'emigrazione, specie verso l'America Meridionale, il livello intellettuale del paese si sollevava frattanto notevolmente, ponendosi con l'Egitto all'avanguardia della rinascita spirituale dell'arabismo moderno.
La guerra mondiale, che segnò il calvario dei patrioti siriani, perseguitati sanguinosamente dal governatore turco Gemāl Pascià, si concluse per la Siria con la liberazione del giogo ottomano. Il 1° ottobre 1918, crollato il fronte turco di Palestina sotto i colpi di Allenby, l'emiro Faiṣal, figlio del re Ḥusain del Ḥigiāz, faceva il suo ingresso a Damasco, accompagnato dal col. Lawrence, e cercava organizzare la Siria in monarchia araba, di cui si faceva proclamare re (marzo 1920). Ma sin dal 1916, con l'accordo Sykes-Picot, la Francia aveva provveduto ad assicurarsi il controllo della Siria, nella futura sistemazione della pace; disperse le forze di Faisal a Khān Maisalūn, i Francesi entravano alla loro volta in Damasco il 25 luglio, e obbligavano Faiṣal a sgombrare. Il trattato di Sèvres (10 agosto 1920) sanzionava il distacco della Siria dalla Turchia, ma insieme preannunciava il regime di mandato, che il 24 luglio 1922 la Società delle nazioni conferiva ufficialmente alla Francia. Questa divideva il paese (dal 1° gennaio 1925) in quattro stati: 1. Siria vera e propria (dal 1930 repubblica) con capitale Damasco e il sangiaccato autonomo di Alessandretta; 2. stato degli ‛Alawiti (dal 1930 governatorato autonomo di Lādhiqiyyah o Lattakié); 3. stato (dal 1930 governatorato) del Gebel Druso; 4. stato del Gran Libano (dal 1926 repubblica libanese). Il tutto sotto il controllo di un'unico alto commissario residente a Beirut.
L'opera civilizzatrice, economica e culturale svolta dalla potenza mandataria in Siria durante il quindicennio è stata notevolissima, ma non si può dire abbia calmato l'irrequieta insoddisfazione politica dei Siriani. L'evoluta coscienza nazionale e l'esempio del vicino Irāq fanno sentire sempre più vivo il desiderio dell'indipendenza assoluta, e, nonostante ogni divergenza etnica e religiosa, dell'unità, che i Siriani ritengono volutamente ostacolata dalla Francia con la quadripartizione politico-amministrativa. Nel 1925-26 una violenta rivolta antifrancese, tra i cui capi principali era il druso al-Aṭrash, scoppiò nel Gebel Druso, e si estese a Damasco; ma fu duramente repressa (bombardamento di Damasco, ottobre 1925). Trascorso un decennio (inverno 1936), minacciosi fermenti sembrano tornare a scuotere la Siria anelante alla completa libertà ed autonomia, che una notevole corrente vorrebbe realizzata sotto la forma monarchica.
Bibl.: H. Lammers, La Syrie, précis historique, voll. 2, Beirut 1921. In particolare per l'epoca omayyade. J. Wellhausen, Das arabische Reich und sein Sturz, Berlino 190; per il periodo delle crociate, l'ultima trattazione è. R. Grousset, Histoire des Croisades et du royaume franç. de Jérusalem, Parigi 1934-35, voll. 2; per l'epoca mamelucca, M. Gaudefroy Demombynes, La Syrie à l'époque des Mamelouks, Parigi 1923; R. Dussaud, Topographie historique de la Syrie antique et médiévale, ivi 1927; per il dopoguerra, E. Rabbath, L'évolution politique de la Syrie sous le Mandat, 1928; rivista Oriente moderno, 1921 e segg.
Arte antica. - Le prime influenze artistiche giunsero nella regione siriaca dall'Egitto (attraverso la Palestina e Biblo) e dalla Mesopotamia e diedero inizio a varie correnti, diversissime tra di loro, di cui solo un esiguo numero di monumenti, per di più dispersi in varie regioni, è noto: fenici nel sud, siro-hittiti nel nord.
Molto più notevole fu l'influenza esercitata, dopo la conquista d'Alessandria e sotto la dominazione seleucida, dall'arte ellenistica. Antiochia divenne, con Efeso e Alessandria, una delle capitali di quell'arte che si doveva poi diffondere per quasi tutto il mondo mediterraneo. Gli scavi di Antiochia, appena all'inizio, quelli di Apamea, già più progrediti, promettono importanti risultati. Ma è ancora troppo presto per parlare di ciò che poteva essere l'arte siriaca all'epoca seleucida e definire come l'arte ellenistica siriaca si distinguesse dalle vicine scuole d'Egitto e d'Asia. Le differenze che alcune menti brillanti hanno voluto stabilire, essendo piuttosto il frutto dell'intuizione e basandosi sullo studio di monumenti molto posteriori, potrebbero essere annullate dal risultato degli scavi.
L'arte siriaca dell'età romana è più nota; nelle grandi città le rovine sono scomparse o sono state trasformate. A Damasco il grande tempio è divenuto prima chiesa, poi moschea. Ma le rovine di Baalbek (v. eliopoli di siria) e di Palmira richiamano da tempo l'ammirazione dei viaggiatori. Vi si nota una mirabile tecnica della costruzione, una forma impressionante dovuta all'ampiezza delle proporzioni e alla smisurata grandezza del materiale: il muro di sostegno della grande terrazza, a Baalbek, è celebre per le fondamenta di pietra di perfetta muratura, con blocchi alti e larghi dai 4 ai 5 m., e lunghi dai 10 ai 20 m.
Le forme rivelano da un lato la persistenza della tradizione ellenistica e di quella orientale, che anzi tende a riaffermarsi con maggior vigore, soprattutto nell'esuberanza della decorazione plastica ma d'altro lato anche un'innegabile influenza romana, nella sapienza della tecnica costruttiva e nel largo uso dell'arco, della vòlta e della cupola, per cui si giunge a soluzioni architettoniche quanto mai ardite e originali, che sembrano i lontani precedenti dell'architettura barocca (tempio detto di Venere a Baalbek).
D'altra parte la fusione di elementi ellenistici e orientali non assume dovunque le stesse proporzioni. Palmira, come era da prevedere, risente maggiore l'influsso orientale che la regione di Antiochia e dà luogo, soprattutto nel campo della scultura, a un'arte sua propria. Ai confini dell'Arabia, specie nel paese dei Nabatei ove non è giunta la civiltà ellenistica, domina l'influsso orientale, come, ad es., nelle singolari architetture rupestri di Petra (v.).
Un elemento importante della decorazione siriaca è costituito dai pavimenti a musaico, arte che pare assumesse, all'epoca romana in questa regione, come in tutto l'impero romano, un notevole sviluppo. In Siria si distingue per la bellezza del disegno, la dovizia dei motivi, e spesso, per lo splendore dei colori.
Gli scavi di Apamea hanno fornito notevoli esemplari.
Le esplorazioni di Dura-Europo (vedi App.) hanno invece fornito copiosi monumenti della pittura, nella decorazione parietale di templi pagani, di una chiesa cristiana e di una sinagoga ebraica.
Periodo paleocristiano. - La Siria e le regioni vicine, Palestina e Mesopotania, hanno influito molto sulla formazione e sull'evoluzione dell'arte cristiana a cominciare dal sec. IV, sia nel campo dell'architettura sia in quello dell'iconografia. Le magnifiche costruzioni erette sotto Costantino e i suoi successori a Gerusalemme, Betlemme, Antiochia, Damasco, fornivano modelli che, data l'affluenza dei pellegrini, non potevano mancare di dare origine a imitazioni nelle diverse parti del mondo cristiano.
In tutta la regione (Siria, Palestina, Mesopotamia Settentrionale) l'architettura religiosa, sviluppata dal sec. IV alla metà del VII, presenta un comune carattere: gli edifizi sono di pietra, costruiti a grandi conci (talvolta di formato minore), e con una perfezione che ha sfidato i secoli. In un gran numero di città o villaggi che furono distrutti dalle invasioni persiane ed arabe del secolo VII, le chiese hanno resistito agl'incendî e sono andate in rovina per l'azione dei terremoti o perché devastate per trarne materiali da costruzione. Alcune sono ancora conservate in modo meraviglioso.
Se si considera il tipo di questi edifici, si trovano forme diverse, e bisogna guardarsi dal fare classificazioni topografiche rigorose. Nel nord della Siria predomina la pianta basilicale, in genere a tre navate separate da colonne monoliti, meno di frequente da pilastri quadrati, che sostengono ampie arcate. La copertura è ordinariamente di legname: ma il catino dell'abside è sempre di pietra. L'abside è abbastanza spesso sostituita da un presbiterio rettangolare: anche se essa è circolare, all'interno, al di fuori quasi sempre è rettilinea, nascondendosi la sua curva nello spessore del muro o negli annessi. In genere il presbiterio è fiancheggiato da due vani quadrati che si aprono all'estremità delle navate laterali: sono i pastophoria ricordati anche nelle Costituzioni apostoliche. Talvolta uno di questi vani è sostituito da una piccola abside: e ciò portò poi all'adozione delle absidi laterali, secondo un uso divenuto generale a cominciare dal sec. VI. Spesso sui lati nord e sud (poiché le chiese sono sempre rigorosamente orientate) vi sono delle porte laterali, riparate da un portichetto a colonne. Sul davanti, invece dell'atrio così frequente nell'Occidente, v'è un vasto portico che spesso s'apre tra due torri quadrate. Queste torri possono anche essere poste nella parte posteriore dell'edificio ed erigersi al disopra dei pastophoria, incorniciando l'abside. Disposizioni che furono imitate fedelmente dai campanili dell'epoca romanica, nei quali è lecito riconoscere una derivazione delle torri siriache.
La decorazione esterna è sobria. Spesso uno zoccolo più largo forma all'edificio un basamento imponente. Al disopra si erge il perfetto paramento talvolta ornato da pilastri o da colonne addossate (soprattutto nel contorno delle absidi), divisi da strisce rilevate che circondano la centina delle finestre, collegandole a mezza altezza: decorazione veramente caratteristica di queste regioni. La bellezza degli edifici risulta dalla perfezione della costruzione, dalla grandezza e dalla forza dei materiali, dall'armonia delle proporzioni, che possono essere espresse matematicamente da semplici rapporti (1:2; 2:3; 3:4) dal carattere logico delle combinazioni: nessun elemento v'è inutile; nessun ornamento superfluo, nulla che non abbia una sua ragione di essere, facile a venir rilevata. Capolavoro di questa architettura è il grande santuario, mirabilmente conservato, di San Simeone Stilita Qal‛at Sim‛ān tra Antiochia e Aleppo.
Nelle località situate più a sud e specialmente nella Transgiordania, essendo più raro il legname, gli edifizî presentano un aspetto differente. Le coperture a tetto sono sostituite da coperture piatte a grandi lastre, sostenute da muri paralleli elevati sopra file di arcate. Queste, se fossero disposte secondo l'asse, dovendo essere assai ravvicinate, avrebbero formato navate troppo strette; furono invece costrutte in senso trasversale, dando all'arcata centrale un'apertura maggiore, in modo da avere una navata mediana più larga. Le chiese di questo genere sono corte e quasi quadrate. Altri edifici, di forma allungata, hanno una sola navata: i muri laterali sono collegati da una serie di archi paralleli che sostengono la copertura di lastre. Tutte queste costruzioni sono relativamente basse e di aspetto tozzo. Un'altra soluzione del medesimo problema consiste nell'impiego della cupola.
In Siria e in Palestina si sono scoperti e si vanno scoprendo molti pavimenti di musaico. Alcuni risalgono al sec. IV e V, ma la maggior parte, benché sia stata considerata più antica, appartiene al sec. VI. Vi fu allora in tutta la regione un periodo di notevole sviluppo di quest'arte, poi bruscamente interrotto dalle invasioni persiane ed arabe. La sola città di Mādabā, a nord-est del Mar Morto, ha fornito una copiosissima serie di musaici, fra i quali figura la famosa carta della Palestina (v. itinerarî, XX, p. 5).
Il repertorio dei musaici è per lo più di ornamenti. Il grande pannello di Gerusalemme, oggi al museo di Istanbul, con una figura di Orfeo che incanta gli animali, simbolo di Gesù Cristo, è un'eccezione. Di solito non si trovano che combinazioni geometriche, intrecci, ghirlande di foglie a cui sono mescolati uccelli o animali, piccole scene di caccia o della vita familiare. Un motivo particolarmente frequente è quello dei rami di vite, che sorgendo da vasi, si sviluppano in girari, in cui sono inseriti quegli ornati. Questo genere, che fu in voga specialmente nel sec. VI, ricorda la decorazione del famoso calice detto "di Antiochia". Fra gli esemplari di musaici siriaci, uno dei più completi e meglio conservati è quello che il Renan ha riportato da Qabr Hirām, presso Tiro, per il museo del Louvre. Risale all'anno 576. Recentemente sono stati scoperti notevoli pavimenti di musaico alla basilica della Moltiplicazione dei pani presso il Lago di Genezaret, e sotto la pavimentazione attuale della basilica della Natività a Betlemme.
I musaici dei pavimenti, per il loro carattere decorativo, non possono illuminarci sull'iconografia dei musaici o delle pitture che decoravano le pareti delle chiese. Queste, lo sappiamo da testimonianze sicure (per es., quella di Coricio che descrive la chiesa di San Sergio a Gaza), presentavano spesso immagini, in cui si svolgevano i principali avvenimenti della vita di Cristo. Nessuna di queste decorazioni è rimasta. Ma ci si può fare un'idea, se non dell'insieme, almeno di un buon numero di particolari da diversi oggetti, quali placche d'avorio scolpite, piatti d' argento sbalzato, miniature di manoscritti (specialmente del celebre evangelario siriaco di Rābbūla, dell'anno 586, ora nella Biblioteca Laureziana di Firenze), infine dalle εὐλογια e dalle ampolle (v. ampolla) di metallo che i pellegrini portavano a casa come ricordo e dove figuravano i grandi misteri commemorati nei santuarî di Terrasanta: Natività, Battesimo, Le sante donne al Sepolcro (Risurrezione), Ascensione. I tesori di Monza e di Bobbio conservano collezioni importanti di questi oggettini. Ad essi si possono aggiungere turiboli, braccialetti, anelli, gli "encolpia" in breve una serie abbastanza numerosa di oggetti diversi, in cui ritroviamo la medesima successione di scene evangeliche. Vi si vede per così dire un ciclo ridotto della vita di Cristo, ispirato certamente dalle immagini che si vedevano nelle chiese. Un ciclo molto più vasto, molto particolareggiato e pieno di piccoli episodî, è offerto dalle colonne del ciborio di San Marco di Venezia, che (soltanto le anteriori) provengono dalla Siria e risalgono al sec. VI.
Tutte queste immagini ci mostrano un'arte a tendenze realistiche e concrete, un'arte narrativa, di carattere popolare, che spesso s'ispirava a fonti apocrife e molto diversa da ciò che offre a Roma la pittura cristiana primitiva. Che quest'arte siriaca dei secoli V e VI abbia le sue radici in Oriente, è stato provato recentemente dalla scoperta fatta a Dura-Europo (v. dura-europo, App.) di pitture cristiane anteriori alla metà del sec. III, dove sono dei motivi che Roma allora ignorava (il Cristo che cammina sulle acque, le Sante Donne al Sepolcro) e che sono raffigurati con lo stesso spirito realistico quale si osserva nei monumenti del sec. VI.
Periodo musulmano e medievale. - Nel penetrare in Siria e nella Palestina, gli Arabi non vi portarono un'architettura propria. I loro primi monumenti sono adattamenti o imitazioni di edifici cristiani. La Qubbat aṣ-ṣakhrā' (cosiddetta Moschea di ‛Omar) a Gerusalemme, costruita tra il 687 ed il 690 da ‛Abd al-Malik e più volte restaurata in seguito, è un edificio ottagonale a doppio porticato concentrico, la cui concezione, se non il modello, è stata offerta da chiese come quelle di Ezra, di Bosra, del monte Garizim. La vicina moschea di al-Aqṣā, risalente alla medesima epoca, e rifatta in seguito, si servì di un'antica basilica di Giustiniano. La grande moschea di Damasco, pure ricostruita parecchie volte, è un'antica chiesa di S. Giovanni Battista trasformata nel 708 dal califfo al-Walīd. Questi tre monumenti furono decorati da artisti cristiani, di origine siriaca o bizantina, con magnifici musaici, tra cui quelli di Damasco sono stati scopertî recentemente. Poiché l'islamismo proibiva la rappresentazione della figura umana, quei musaici presentano soltanto motivi decorativi, in parte di origine antica (a Gerusalemme). A Damasco, essi offrono soprattutto architetture e paesaggi meravigliosi. Sono tutti assai ricchi e mostrano un'abilità raffinata. La grande moschea di Aleppo, più tarda (sec. X), conserva ancora la pianta basilicale. Nella stessa città la moschea ‛Alawiyyah (sec. XII) è un'antica chiesa che ha ancora capitelli dell'epoca di Giustiniano. In tutti questi edifici l'elemento principale musulmano consiste nel minareto, che deriva dalla torre quadrata: minareti della Fidanzata e di Gesù a Damasco, della grande moschea di Aleppo, di Ramleh, ecc. In quest'ultimo è pure sensibile l'influsso dell'architettura dei crociati. Tutti si distaccano nettamente dal minareto turco, che farà la sua comparsa nella Siria più tardi, e si riavvicinano alle forme egiziane.
Un altro elemento veramente arabo consiste nell'ornamentazione geometrica a intrecci, sempre più diffusa, e che tradusse nella pietra motivi tolti all'arte dell'arazzo del passamano, del ricamo, arti caratteristiche di un popolo nomade. Questa decorazione, applicata sull'edificio a guisa di velario, verrà poi portata dai Selgiuchidi nell'Asia Minore, donde passerà nell'architettura ottomana. Ma nella Siria del secolo XII e XIII essa conserva il carattere di franchezza e grandiosità che le è proprio. La stessa decorazione fu usata anche nelle arti del metallo, del legno, della ceramica.
Accanto agli edifici religiosi, bisogna menzionare le costruzioni militari: castelli eretti nel deserto per vigilare le strade carovaniere o le oasi, come i due castelli di Qaṣr al-Ḥair (risalenti il grande al sec. VIII, il piccolo ad epoca più antica); fortificazioni e cittadelle nelle città, generalmente più recenti (dei secoli XII e XIII, talvolta con restauri posteriori), di cui i migliori esemplari sono offerti dalla Porta di Damasco a Gerusalemme, la cittadella di Damasco, e soprattutto quella di Aleppo (v. aleppo).
Dopo la conquista turca, l'architettura e la decorazione nella Siria risentono dell'influsso della scuola ottomana, continuata sino ai giorni nostri. Risalgono a quest'epoca, oltre alle moschee di tipo turco, un grande numero di costruzioni di utilità pubblica, come i khān o caravanserragli, bagni, fontane, ecc. Si noti anche il lusso delle abitazioni private, spesso di aspetto esteriore modesto, ma decorate all'interno con una ricchezza straordinaria. Il palazzo Azem a Damasco, sede dell'Istituto francese, ne è uno dei più begli esemplari.
La Siria offre accanto ai monumenti antichi, pagani e cristiani, e a quelli musulmani, un grande numero di edifici dell'epoca delle Crociate. Questi sono di due tipi: chiese e opere militari. Forse la maggior parte delle chiese è stata trasformata in moschee, quando scomparvero i principati franchi: le cattedrali di Beirut, di Ebron, di Ramleh, di Tortosa (oggi tolta al culto), Sebaste (oggi in rovina), la chiesa di Nābulus, ecc. Altre chiese sono state distrutte. Alcune sono state conservate e ancor oggi servono al culto cristiano: S. Anna di Gerusalemme, S. Giovanni di Giubail, senza contare il S. Sepolcro, restaurato e quasi interamente rifatto dai crociati. Le chiese più antiche dipendono dalla scuola romanica dell'Occidente, le più recenti da quella gotica. Gioielli di questa architettura sono la cattedrale di Tortosa e la Cappella del Krak dei Cavalieri. Ancora più importanti sono le rovine dei castelli e delle fortezze lasciate in tutti i punti della Siria dai crociati dei secoli XII e XIII. Le loro costruzioni sono giustamente considerate i modelli più meravigliosi di architettura militare del Medioevo. Ispirandosi al tempo stesso alle tradizioni orientali, bizantine e occidentali, essi costruirono fortezze, in cui la potenza corrisponde alla bellezza, e che a loro volta hanno influito assai sull'architettura militare dell'Occidente. Basterà citare i castelli di Tripoli, di Saona (Ṣahyūn), di Castelbianco (Safita) e specialmente le due grandiose fortezze di Margat e del Krak dei Cavalieri, di cui l'ultima è in uno stato perfetto di conservazione.
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