SIRO
– Le origini di Siro sono ignote per cronologia e per estrazione familiare. L’anno della sua nascita potrebbe trovare collocazione nell’ultimo ventennio dell’XI secolo.
Per quello che riguarda il casato non ha alcun fondamento la sua appartenenza alla nobile famiglia genovese dei Porco o Porcelli, affermata da un filone storiografico locale a partire dal tardo XIX secolo (Grassi, 1886, pp. 725 s.) e ben diffusa. Essa è basata sulla scorretta interpretazione del manoscritto del Registro della Curia arcivescovile di Genova, manoscritto che è copia, databile tra XII e XIII secolo e non scevra di errori, di altro precedente (Calleri, 1995; Polonio, 2002, p. 32).
Siro entrò in luce solo nel 1130, e la sua prima manifestazione fu di alto livello. Tra luglio e agosto del 1130 papa Innocenzo II fu ospitato a Genova; era in fuga da Roma e diretto in Francia dopo un’ambigua duplice elezione al soglio da cui era uscito anche Anacleto II, al momento più saldo in sede. La città ligure costituiva per il pontefice in esilio uno dei pochi appoggi italici, ma era scossa da travagli interni dai forti risvolti ecclesiastici, tanto è vero che la sede vescovile vacava da un anno. Durante il soggiorno di Innocenzo, e certo alla sua ombra anche se i dettagli restano oscuri, la crisi si chiuse e Siro fu il nuovo presule.
La consacrazione ebbe un carattere anomalo: secondo la prassi canonica avrebbe dovuto effettuarla il metropolita arcivescovo di Milano, al momento avverso a Innocenzo; Siro seguì in Francia il papa che a Saint-Gilles lo consacrò di persona.
Tutta la rapida vicenda e alcuni caratteri poi rilevabili nella personalità e nell’azione dell’uomo inducono a supporlo estraneo alla città, forse giuntovi proprio al seguito del pontefice. Il titolo cardinalizio, a volte menzionato sulla scorta della Cronaca di Iacopo da Varazze (Iacopo..., a cura di G. Monleone, 1941, II, pp. 219 s., 331 s.) e privo di riscontri per gli anni del vescovado, potrebbe essere stato effettivo, poi decaduto dopo l’assunzione in cattedra secondo una prassi al tempo non insolita.
Unico in tutta la serie dei presuli genovesi, Siro richiamò nel nome un protovescovo di cui si ignora persino la cronologia esatta, ma che ha tanta rilevanza nella memoria genovese da essere venerato quale santo e patrono della sede episcopale; per di più tale denominazione era estranea agli usi locali in tempi di scarsa adesione all’onomastica santorale. La singolare coincidenza suggerisce la possibilità che il nome fosse frutto di un mutamento e di una scelta compiuti sotto l’ala di Innocenzo in base a un progetto già ventilato nel 1130 e aggiornato a tempi di più solida posizione, in seguito maturati.
In effetti tre anni più tardi Siro fu al centro di un altro evento saliente, questo molto raro. Il 20 marzo 1133 Innocenzo II staccò la diocesi di Genova dalla metropoli milanese e la eresse in arcidiocesi; il 25 maggio successivo confermò l’iniziativa con l’aggiunta di alcuni dettagli calzanti con le devozioni e gli interessi genovesi. Il vescovo divenne dunque arcivescovo, onorato con insegne e attributi adeguati.
La novità fu sollecitata da condizionamenti storici generali (si è appena accennato allo scisma interno alla Chiesa, cui si accompagnavano altri complessi intrecci politici e religiosi), ma fu anche frutto di una fase di generale riorganizzazione delle strutture diocesane e di una pronta comprensione da parte del papa della potenzialità insita nelle città di mare, anche nella prospettiva dei contatti mediterranei. Per Genova fu punto di arrivo di un accelerato fenomeno di crescita, in cui gli aspetti ecclesiastici e civili si collegavano, con reciproco vantaggio; fu inoltre riferimento vistoso nella stretta sintonia tra la città e la Sede romana, rilevabile lungo il XII secolo e, con passaggi più o meno significativi, nei restanti secoli medievali.
Siro, vescovo-primo arcivescovo, fu protagonista ed elemento di collegamento in un complesso intreccio di interessi e poteri, e nel corso di un governo più che trentennale sviluppò un’attività che potrebbe essere definita di rifondazione.
Costante e innovativa fu la cura per gli ambienti ecclesiastici. Attento alla cattedrale, ne sostenne economicamente il capitolo; assecondò la riorganizzazione di chiese decadute; appoggiò la fondazione di nuovi istituti, specie se collegati a iniziative assistenziali; favorì le organizzazioni regolari portatrici di fermenti di riforma in sintonia con l’orientamento di Innocenzo II, ma fu sempre vigile nel salvaguardare i diritti del sistema d’ordine.
Con una autorità che gli veniva dalla nuova posizione istituzionale e anche dalla probabile origine esterna sciolta da rapporti vincolanti con l’ambiente in cui operava, egli presto puntò alla definizione dei rapporti sociali dell’episcopio e a un chiarimento della sua situazione economica. Alle indagini da lui volute, affidate a un capace economo peraltro riconosciuto anche dai consoli del Comune, non sfuggirono né personaggi di rango legati alla cattedra da vincoli di vassallaggio, né semplici lavoratori della terra; l’attenzione si rivolgeva ai beni fondiari e ai diritti di decima, estesi questi anche ai proventi del commercio marittimo, con il supporto di solide nozioni giuridiche e delle direttive papali. Le ricerche compiute nel tempo (si risalì indietro per più di due secoli) e sul completo territorio diocesano mediante ogni possibile attestazione (carte antiche e recenti, testimonianze orali, sentenze di magistrati) produssero la compilazione di un «libro di diritti» (il Registro della Curia cui si è sopra accennato) in cui venne raccolta la documentazione possibile sulla situazione temporale dell’episcopio «affinché il venir meno dei testimoni o la perdita dei documenti pubblici non consegni all’oblio le azioni compiute» (Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, a cura di L.T. Belgrano, 1862, pp. 3 s.).
All’inizio il lavoro recava la data di novembre 1143 e non fu limitato al recupero di situazioni pregresse, come testimoniano i numerosi documenti di cui il presule è attore (Il Registro della Curia arcivescovile di Genova, cit.; ll secondo Registro della Curia arcivescovile di Genova, a cura di L. Beretta - LT. Belgrano, 1887). Intorno alla metà del secolo Siro ottenne da Eugenio III la conferma apostolica per beni e diritti.
In tali iniziative pulsava la consapevolezza dei compiti arcivescovili e dell’importanza della relativa istituzione di fronte al mondo: del resto l’uomo era sostenuto oltre che dalla coscienza della propria funzione anche da profonda cultura, intuibile persino dalle scarse sottoscrizioni autografe oggi rimaste. È probabile che l’attività sollecitata a Genova dal primo arcivescovo si riflettesse anche nelle aree della Francia meridionale con cui correvano da tempo intensi rapporti commerciali (Menzinger, 2014, pp. 682-686).
Tutto ciò si evolvette in sintonia con il mondo laico. Forse per la prima volta dopo molti decenni il presule si trovò in totale corrispondenza con la città in una rara stagione di fervore, coesione interna, orgoglio civico. In anni in cui Genova raggiungeva la pienezza delle forme di governo autonomo, l’armonia tra i diversi aspetti della realtà urbana era fattiva. Da un lato la cattedrale cresceva in nuove fogge, splendide, a spese pubbliche; dall’altro il primo sigillo comunale, immediatamente successivo al marzo 1133, mostrava l’immagine della porta (simbolo della città) con la dicitura «civitas Ianuensis» e, di contro, la figura di s. Siro protovescovo circondata dalla leggenda «archiepiscopus Ianuensis», in ambigua e voluta imprecisione storica. La stessa elaborazione del libro di diritti ecclesiastico andava di pari passo con quella dei Libri iurium comunali, segnati da analogie per attenzione al documento, reciproci influssi, collaborazione dei medesimi notai (I Libri iurium della Repubblica di Genova..., a cura di D. Puncuh - A. Rovere, 1992, pp. 17-42).
Il protagonismo dell’arcivescovo spiccò in altre concrete situazioni di intesa. Nel settembre del 1158 Genova, all’erta di fronte al Barbarossa, provvedeva all’allargamento e al consolidamento della cinta muraria: mentre i cittadini, uomini e donne, trasportavano pietre e calcina, Siro impegnava arredi liturgici e oggetti personali per poter comprare altro materiale edilizio. Ancora, nel 1162 papa Alessandro III – anch’egli esule accolto dalla città con entusiasmo trionfale, arcivescovo e consoli in testa (Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant’Angelo,1890, p. 63) – elaborava con i consoli il modo di «esaltare» la Chiesa locale e il 25 marzo, prima della partenza, confermò e concesse vecchi e nuovi privilegi (Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, 1936, doc. 305). Lo strumento più eminente di esaltazione fu il conferimento al presule della funzione di legato transmarino, al tempo non puro titolo ma autorità aperta su orizzonti lontani. Il nuovo compito era legato non alla persona bensì all’istituzione, ma l’arcivescovo del momento impersonava e incoraggiava al meglio le aspirazioni papali e locali. Tutto ciò avveniva in un contesto in cui da tempo le forme di governo civile non concedevano parte attiva a colui che sedeva in cattedra se non in condizioni particolarissime ed estranee al potere effettivo: Siro non mancò di intervenire in un momento di ristagno decisionale restando al di fuori dell’azione politica ma stimolandone la ripresa (Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, cit., p. 37).
Nel 1163 Caffaro, annalista sincrono di linguaggio abitualmente asciutto, nel registrare la morte del presule si soffermò sui suoi valori etici in un ricordo di vera e propria celebrazione, convinto che Siro avesse raggiunto le gioie del Paradiso a fianco dell’omonimo antico predecessore «santissimo vescovo» e degli altri beati (pp. 74 s.).
Fonti e Bibl.: Il Registro della Curia arcivescovile di Genova..., a cura di L.T. Belgrano, in Atti della Società ligure di storia patria, II (1862), 2, pp. 1-407; Il secondo Registro della Curia arcivescovile di Genova..., a cura di L. Beretta - LT. Belgrano, ibid., XVIII (1887), pp. IX-541; Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant’Angelo, I, Roma 1890; Codice diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, I, Roma 1936; Iacopo da Varagine e la sua Cronaca di Genova dalle origini al MCCXCVII, I-III, a cura di G. Monleone, Roma 1941; I Libri iurium della Repubblica di Genova, Introduzione, a cura di D. Puncuh - A. Rovere, Genova 1992.
L. Grassi, S. II: ultimo vescovo e primo arcivescovo di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, XVII (1885), 2, pp. 707-728; M. Calleri, Per la storia del primo registro della curia arcivescovile di Genova. Il Manoscritto 1123 dell’Archivio storico del comune di Genova, ibid., n.s., XXXV (1995), 1, pp. 21-57; V. Polonio, Tra universalismo e localismo: costruzione di un sistema (569-1321), in Il cammino della Chiesa genovese dalle origini ai nostri giorni, a cura di D. Puncuh, Genova 1999 (anche in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXXIX (1999), 2, pp. 77-210, passim); Ead., Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, ad ind. ; S. Menzinger, Pagare per appartenere. Sfere di interscambio tra fiscalità ecclesiastica e laica in Francia meridionale e nell’Italia comunale (XII secolo), in Quaderni storici, CXLVII (2014), 3, pp. 673-708.