SISIFO (Σίσυϕος)
Figlio di Eolo, re di Tessaglia, capostipite delle genti eoliche, e di Enarete. Fu re di Efira ed è celebre per l'ingegnosa abilità e l'ingannevole astuzia: gli si attribuiscono la costruzione della città di Corinto e l'istituzione dei giochi sull'Istmo (Hom., Il., vi, 152; Apollod., Bibl., i, 9, 3). Con Merope, una delle Pleiadi, generò fra gli altri Glauco, da cui nacque poi Bellerofonte. Fu soggetto di drammi dei tre maggiori tragici greci e dell'ateniese Critia, ma ne restano soltanto i titoli e pochi versi (Aisch., fr. 225-234; Soph., fr. 505; Eur., fr. 673 s.; Krit., fr. i, ed. Nauck) sicché se ne ignorano le trame ed è impossibile riconoscerne gli influssi sull'arte figurata.
Per la furberia fu contrapposto ad Autolico, ch'era stato ammaestrato dal padre Hermes ad esercitare impunemente il mestiere di ladro di bestiame grazie al trucco di rendere irriconoscibili i bovini altrui, mutandone il colore del pelo. Ancora più astuto, S. aveva impresso a fuoco il suo nome sotto gli zoccoli d'ogni capo della sua mandria: poté così seguire fino alla dimora d'Autolico i buoi sottratti ed ottenerne la restituzione. Della visita approfittò inoltre per sedurre Anticlea, figlia del padrone di casa e già destinata a sposare Laerte: dopo queste nozze nacque Odisseo, in realtà figlio di S. ed erede della sua scaltrezza; ma i testi non concordano sui particolari dell'episodio erotico. Secondo una versione ne fu complice lo stesso Autolico, a tal segno presuntuoso ed infatuato d'ammirazione per il suo vincitore, da desiderare che le loro virtù si fondessero in un discendente comune; secondo un'altra, S. volle ancora umiliare il tracotante ladrone dopo averlo svergognato (Hom., Od., xix, 394 ss.; xxiv, 333 s.; Soph., Phil., 417, 1311; Schol. Lykophr., 344; Schol. Soph., Ai., 190); né dovevano mancare nel teatro varianti tragiche e comiche sullo svolgimento dell'episodio, come sembra provare la rappresentazione, per noi enigmatica, del cratere di Monaco n. 3268, da cui ha tratto il nome di Pittore di S. (v. sisiphos). Accanto alla scena delle nozze di Anticlea vi è raffigurato un vecchio, che mostra una foglia con iscritto per esteso il nome di S., sia questa l'orma dei bovini, il sỳmbolon, cioè la tessera hospitalis, oppure la rivelazione del seduttore.
Un làgynos ellenistico nel museo di Berlino, firmato da Dionysios e simile per tecnica e stile alle cosiddette coppe megaresi, rappresenta a rilievo quattro momenti dell'avventura di S. presso Autolico, forse sotto l'influsso del dramma satiresco di Euripide intitolato a quest'ultimo: i nomi ascritti assicurano l'identità dei personaggi.
Ma S. è famoso soprattutto come uno dei grandi dannati nell'al di là, per la pena rimasta proverbiale e che ha suscitato in ogni tempo l'estro di artisti e di scrittori. Anche alla morte egli tentò d'ingannare i numi, vietando alla moglie di apprestargli i riti funebri e così procurandosi un pretesto per risalire nel mondo dei vivi a sollecitarne la celebrazione e sfuggire per sempre all'Ade. (Schol., Il., vi, 153; Theogn., 703 ss.; Soph., Phil., 624 s.). Del resto già prima, per sottrarsi al comune destino umano, aveva incatenato Thanatos, liberato in definitiva da Ares. Per uno o per la somma dei suoi peccati fu condannato a spingere in eterno su per un'erta un greve masso, che nel raggiungere la vetta precipitava di nuovo a valle sicché la pena non avesse mai fine né soste (Hom., Od., xi, 593 ss.).
Il supplizio di S. era compreso nella Nèkyia dipinta da Polignoto nella Lesche dei Cnidi a Delfi (Paus., x, 31, 10). La più antica rappresentazione superstite è il rilievo di una metopa del fregio arcaico dallo Heraion alla foce del Sele (v.), dove il contenuto drammatico è reso con molta efficacia: un piccolo demone mostruoso, ispirato ad un tipo tardo-assiro, afferra alle spalle S., che col macigno è presso il culmine del pendio, e lo obbliga a lasciare la presa. Su dieci anfore e due volte su di una pelìke attica a figure nere, tutte relativamente tarde (ultimo venticinquennio del VI sec., salvo Monaco n. 1494 attribuita al Pittore dell'Altalena: J. D. Beazley, Black-fig., p. 308, n. 81; Jahrbuch, lxxiii, 1958, p. 50 s., fig. 2), lo schema della figura, volta a destra fra le divinità o altri personaggi dell'Ade, si ripete monotono e generalmente sciatto; vivace al contrario è il S. solo, nella migliore delle tre redazioni pressappoco coeve che ne abbiamo a figure rosse, al centro della coppa Louvre G 20 firmata da Epiktetos.
Il tema è svolto in un diverso linguaggio un secolo e mezzo più tardi su tre grandi anfore àpule a volute con scene dell'Oltretomba (Napoli n. 8166, Monaco n. 3297 e Karlsruhe B 4): nelle prime due accanto a S. riappare il dèmone del rilievo arcaico, trasformato in una Poina con scudiscio, e come tale si è interpretato (Zancani Montuoro) anche il presunto Orione al disopra di S. nella pittura parietale dell'Esquilino, relativa all'Ade e derivata, come tutto quel ciclo di illustrazioni dell'Odissea, da modelli italioti d'età ellenistica. È perciò probabile che il dèmone punitore di S., estraneo all'iconografia del soggetto nella Grecia propria, sia stato ideato al principio del VI sec. dall'arte occidentale ed abbia persistito nella tradizione italiota fino all'età romana senza diffondersi altrove (v. anche sisphe).
Bibl.: In generale: Wilisch, in Roscher, IV, 1909-15, c. 958 ss., 1915; E. Bethe, in Pauly-Wissowa, III A, 1929, c. 371 ss., s. v. Sisyphos. Anfora di Monaco n. 3268: Furtwängler-Reichhold, II, tav. 98 s., p. 201 ss.; A. D. Trendall, Frühital. Vasen, Lipsia 1938, tav. 19 s.; Brocca di Berlino: C. Robert, Hom. Becher, in 50. Berlin Winckelmannspr., 1890, p. 90; A. von Salis, Sisyphos, in Corolla Curtius, Stoccarda 1937, p. 161, tav. 58 ss.; K. Weitzmann, Anc. Book Illumination, Cambridge Mass. 1959, p. 68 fig. 75. Un primo elenco dei vasi in Wilisch, op. cit., p. 970 ss. (da escludere la coppa laconica con Prometeo). Vasi attici: E. Kunze, Arch. Schildbänder: Olympische Forsch., II, 1950, p. 110, nr. 2, cui sono da aggiungere le anfore di Leida XV i 59: J. D. Beazley, Black-fig., 1956, p. 371, n. 153; ed ex Coll. Robinson a Oxford, Missis.: id., ibid., p. 405, n. 19; Am. Journ. Arch., LX, 1956, p. 15, n. 16; la pelìke di Bologna (Pellegrini, Cat. V. F. n. 47), cfr. Journ. Hell. Stud., LXXI, 1951, p. 43, n. 43; coppa del Louvre: C. V. A., III, I b, tav. 11, 2, 3, 6; quella già Collezione Empedokles, ora n. 18722 nel Museo Naz. di Atene (J. D. Beazley, Red-fig., p. 117, n. i) ed i frammenti già Campana a Villa Giulia (id., ibid., p. 951, agg. a p. 104). La metopa del Sele: P. Zancani Montuoro, in Rend. Pont. Acc., XXXV, 1962-63, p. 67 ss.; id., in Atti e Mem. Società Magna Grecia, V, 1964, p. 60 ss., tav. XI. Anforoni àpuli di Monaco: Furtwängler-Reichhold, I, tav. 10; di Napoli: Monum. Ist., VIII, 1864-68, tav. IX; sono spesso riprodotti (bibl. in A. Rumpf, Malerei u. Zeichnung, p. 138); quello di Karlsruhe, C. V. A., tav. 61 ss., part. tav. 64, 2. Per la pittura dell'Esquilino: E. Langlotz, in Antike und Abendland, II, 1946, p. 137; A. Rumpf, op. cit., p. 160, ivi, n. 7 con bibl.