SISMOLOGIA
. È il nome introdotto e divulgato per designare la scienza che studia i terremoti e i fenomeni connessi, indicati appunto genericamente come fenomeni sismici.
Tali fenomeni, molto frequenti, come è noto, in tutto il bacino del Mediterraneo, attirarono ben presto l'attenzione degli studiosi dell'età classica, i quali ricercarono anche le cause dei terremoti e ne escogitarono varie spiegazioni. E il problema affaticò le menti di dotti e scienziati insigni nel Medioevo e nell'età moderna, ma per lungo tempo tutte le ipotesi affacciate mancavano, per verità, di qualsiasi soddisfacente fondamento, per difetto di studî e osservazioni sistematiche. Se ne fa cenno alla voce terremoti. Come scienza vera e propria la sismologia non risale più in là della metà del sec. XIX: la teoria tettonica dell'origine dei sismi, che, trovando conferma nelle osservazioni dirette e nello studio della distribuzione geografica delle aree sismiche, ha veramente inaugurato l'epoca scientifica della sismologia, si può dire risalga a Edoardo Suess, che ne ha gettato le basi nelle sue ricerche sui terremoti dell'Austria pubblicate nel 1873.
Si può dire che la scienza sismologica abbia proceduto con indagini su quattro campi diversi, ma fra loro connessi: ricerche statistiche, dirette alla elaborazione di cataloghi sismici generali o locali; studî monografici su singoli terremoti; osservazioni strumentali mediante apparecchi sismici e ricerche sulle leggi della propagazione delle onde sismiche; studî sulla distribuzione geografica dei terremoti e carte sismiche. Precursori nei tentativi di stabilire cataloghi di terremoti si hanno già nel secolo XVII e nel secolo XVIII; si possono citare a tal proposito opere come quella generale di M. Bonito (Terra tremante, 1691), quella del celebre medico G. Baglivi sui terremoti italiani, in occasione del grande terremoto romano del 1703, quella di A. Mongitore sui terremoti della Sicilia (1743), inoltre le liste annuali raccolte da Gay-Lussac e Arago a partire dall'anno 1818.
Nel sec. XIX una pietra miliare è rappresentata dai cataloghi di R. Mallet (1853-55; catalogo generale dei terremoti fino al 1843), e di A. Perrey (ricerche storiche e liste di terremoti in parecchi scritti dal 1843 al 1872); seguono le opere di M. S. De Rossi, G. Mercalli, M. Baratta, De Montessus de Ballore, ecc.
Gli studî monografici su grandi catastrofi sismiche si possono far cominciare da quelli promossi dalla R. Accademia delle scienze di Napoli sul terremoto del 1783 (Istoria dei fenomeni del terremoto avvenuto nelle Calabrie, ecc.); celebre è rimasta anche la monografia di R. Mallet sul grande terremoto del 1857 in Basilicata (Londra 1862); seguono numerosi studî monografici di L. Palmieri, F. Denza, M. S. De Rossi, O. Silvestri, G. Giovannozzi, A. Issel, G. Mercalli, M. Baratta, ecc., per citar solo nomi di Italiani, cui sarebbero da porsi accanto quelli d'Inglesi, Francesi, Giapponesi. Alcune monografie, come quella di M. Baratta sul terremoto calabro-siculo del 1908, si possono considerare classiche.
Connesse con le ricerche statistiche e gli studî monografici sono le indagini sulla periodicità dei terremoti, sulla loro distribuzione stagionale, mensile, ecc., che hanno tuttavia dato scarsi risultati.
Per i primi saggi di carte sismiche si può risalire anche al sec. XVII, avendosene già due o tre relative al grande terremoto garganico del 1627, che indicano, per quanto in modo assai sommario, l'entità dei danni arrecati; ma queste e altre dei secoli successivi fino ai primi decennî del sec. XIX non hanno affatto carattere scientifico. Bisogna infatti arrivare al 1828 per trovare una prima proposta (Egen) di una scala atta a indicare, sia pure in modo empirico, l'entità dei danni arrecati dai terremoti: più tardi altre scale si sostituirono a questa prima (De Rossi, 1877; De Rossi-Forel, 1883; Mercalli, 1897; Omori, 1902; Cancani, 1903) e in base a queste si poterono costruire carte indicanti mediante curve (isosiste) la distribuzione e la diversa entità dei danni. Ancora più tardi si cominciano a costruire carte della distribuzione geografica, sia dei terremoti, sia delle aree sismiche, per territorî molto estesi o anche per tutto il globo: Omori, Baratta, De Montessus de Ballore sono i fondatori della geografia sismologica.
Quanto ai primi apparecchi per registrare i sismi, senza risalire agli strumenti adottati già 1800 anni fa in Cina per conservare, sia pure in modo rudimentale, la traccia della direzione di un terremoto, si può affermare che nel sec. XVIII fanno la loro apparizione i primi sismografi (v.) a pendolo, dei quali si considera inventore l'italiano Bina; un altro italiano, Nicola Cirillo, iniziava nel 1731 regolari osservazioni pendolari. Più tardi gli strumenti si moltiplicano e si perfezionano; ma un vero progresso poté realizzarsi soltanto quando si crearono organizzazioni nazionali e internazionali con lo scopo di raccogliere le osservazioni strumentali, eseguite, fin dove è possibile, con metodi e apparecchi comparabili nei loro risultati. In Italia si deve a M. S. De Rossi la fondazione, avvenuta nel 1873, del Bollettino del Vulcanismo italiano, che raccoglieva anche tutte le osservazioni delle stazioni sismiche; nel 1879 fu fondato l'Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica e nello stesso anno sorse la Società sismologica giapponese. Si può dire che queste istituzioni abbiano servito di modello a tutte le organizzazioni similari di altri paesi. Per opera del Milne, l'Associazione britannica per il progresso delle scienze promosse poi l'istituzione d'una rete mondiale d'osservatorî sismici muniti del medesimo sismografo (pendolo orizzontale Milne) e finalmente nel 1895 furono gettate le basi dell'Associazione sismologica internazionale, alla quale sin dai primissimi anni del sec. XX si sono affiliati tutti i paesi interessati.
Questi fatti segnano i progressi più decisivi nel campo della sismologia sperimentale.
Oggi la sismologia come scienza si può considerare suddivisa nei seguenti rami:
1. la sismologia fisica che indaga il terremoto nei suoi dati fisici; applica alle vibrazioni del suolo le leggi dell'elasticità e dell'acustica e dà le norme per costruire apparecchi adatti all'analisi di tali vibrazioni;
2. la sismologia geologica che studia la distribuzione dei terremoti nello spazio, ossia nelle diverse regioni della Terra; la loro relazione con il rilievo terrestre, con le grandi linee orotettoniche, con la morfologia subacquea, col vulcanismo, ecc.;
3. la sismologia storica che si occupa dei terremoti nel tempo; ossia dei singoli terremoti avvenuti per il passato; ne studia gli effetti, i documenti; li cataloga; ne raccoglie le notizie bibliografiche.
Per gli strumenti registratori, v. sismografo; diamo invece qui uno sguardo ai principali problemi di sismologia fisica. Per altri argomenti, v. terremoto.
Premessa. - La teoria dell'elasticità ha dimostrato che quando si genera un urto in un corpo elastico, omogeneo e isotropo, si originano in esso due specie di vibrazioni: longitudinali e trasversali.
Le vibrazioni longitudinali, come reazione alla compressione, si originano per la tendenza che hanno i corpi elastici a conservare il loro volume. Esse si realizzano mediante compressioni e rarefazioni del mezzo in cui si propagano; e lo spostamento della particella vibrante avviene nella direzione della loro propagazione, onde il loro nome. Tali, sono, ad esempio, le onde sonore che si propagano nell'aria.
Le vibrazioni trasversali, come reazione alla deformazione, si hanno per la tendenza dei corpi elastici a conservare la loro forma. Esse si realizzano mediante spostamenti delle particelle vibranti in direzione normale alla direzione di propagazione, di qui il loro nome. Tali sono le vibrazioni dell'etere per effetto dell'energia termica, luminosa ed elettrica.
La velocità di propagazione delle vibrazioni longitudinali nei corpi elastici omogenei ed isotropi è data dalla formula:
in cui F è il modulo di elasticità di trazione del mezzo in cui si propagano le vibrazioni; ρ è la densità specifica del mezzo stesso; σ il coefficiente di Poisson.
Nella teoria dell'elasticità si dimostra che la surriferita formula si può esprimere più brevemente così:
in cui λ compendia l'espressione
e μ è il modulo di rigidità, che si può esprimere in funzione di E e di σ con la formula
Ciò premesso, è facile dimostrare l'eguaglianza delle due espressioni
onde la trasformazione abbreviata della formula.
La velocità delle vibrazioni trasversali è data dalla formula:
in cui i simboli hanno gli stessi significati precedentemente detti. E poiché, come si è accennato,
può scriversi μ (modulo di rigidità) così la surriferita formula si può abbreviare in √μ/ρ.
Stabilendo un rapporto tra le formule delle due velocità, ritenendo λ = μ quando σ = 1/4 (come avviene per la maggior parte dei corpi) si ha:
ossia V1 = 1,73 V2. Il che ci dice che, con molta approssimazione, per uno stesso mezzo la velocità delle vibrazioni longitudinali, è quasi doppia di quella delle vibrazioni trasversali.
Vibrazioni sismiche e loro velocità. - Partendo da queste premesse i sismologi hanno affrontato lo studio fisico delle vibrazioni prodotte da una scossa sismica nella massa del nostro pianeta, particolarmente per ciò che riguarda la loro velocità negli strati terrestri. Soltanto lo studio dei sismogrammi poteva illuminare il problema e confermare se tale applicazione fosse stata legittima e quindi feconda di risultati.
Per sismogramma (fig.1) si intende la rappresentazione grafica delle vibrazioni del suolo data dagli apparecchi sismici mediante registrazione su carta affumicata o su carta fotografica.
Allo studio della sismologia sono riusciti particolarmente utili i sismogrammi per scosse lontane, i cosiddetti telesismi, la cui registrazione dura spesso due, tre ore e anche più.
Nei grafici dei telesismi (fig. 1) si rilevano appunto, a partire dall'inizio della registrazione, due forme differenti di vibrazioni che sono tanto più distinte fra loro, o meglio, si seguono con tanta maggior differenza di tempo quanto più lontano è l'epicentro, ossia il punto della superficie terrestre donde si irradia l'urto sismico.
Le prime vibrazioni (P), per lo più molto regolari, sono di periodo breve e di piccola ampiezza; e furono chiamate primi tremiti (primae undae); le seconde vibrazioni (S) sono più irregolari, di periodo più lungo e di ampiezza maggiore; e furono dette secondi tremiti (secundae undae). I sismologi non hanno tardato ad attribuire i primi tremiti a vibrazioni longitudinali provocate negli strati terrestri dall'urto sismico, e i secondi tremiti a vibrazioni trasversali. Gli studî successivi hanno confermato tale attribuzione, almeno nelle linee generali.
Necessitava innanzi tutto studiare la velocità di tali vibrazioni negli strati della terra; notarne il rapporto e rilevare se ci fossero stati o no riscontri con la teoria dell'elasticità. Ma tale studio ha presentato una notevole difficoltà per il fatto che i sismologi che affrontarono il problema non erano d'accordo sul tragitto percorso dalle vibrazioni sismiche. Non era ben chiaro se le vibrazioni sismiche longitudinali e trasversali avessero viaggiato negli strati superficiali della terra o negli strati profondi.
Si distinse perciò una velocità apparente (Vp Vs) calcolata col supporre che le vibrazioni si propagassero lungo l'arco della superficie terrestre, ed una velocità reale (Ωp, Ωs) ritenendo invece che la propagazione avvenisse lungo linee che si approfondano tanto più verso il centro della terra quanto più emergono lontano dall'epicentro.
Gli studî sulla velocità apparente rivelarono che questa, sia per le vibrazioni longitudinali e sia per quelle trasversali, cresce con la distanza dall'epicentro sismico, ossia dalla zona donde irradia l'urto.
Diamo qui una tabella riassuntiva dei valori della velocità apparente delle due categorie di vibrazioni a distanze crescenti dall'epicentro fino ai 13.000 km., oltre la quale distanza è difficile che si abbiano registrazioni nitide negli apparecchi.
Lo studio della velocità apparente delle vibrazioni sismiche fu potentemente coadiuvato dalla costruzione delle curve cosiddette odocrone (o odografe, come furono chiamate per il passato) le quali si tracciano Col metodo delle coordinate cartesiane. Sulle ordinate si indicano i minuti secondi impiegati dalle vibrazioni a percorrere le distanze dall'epicentro al punto d'osservazione; sulle ascisse si fissano i chilometri percorsi. Si hanno così per le vibrazioni longitudinali e trasversali due curve (P e S nella fig. 2) che fanno comprendere l'aumento della loro velocità apparente lungo gli archi terrestri.
Dai dati esposti si rileva pure che la velocità media apparente delle onde longitudinali è 9,1 km./sec. e quella delle onde trasversali è 5,5 km./sec. Il loro rapporto è 1,65 in discreto accordo con la teoria dell'elasticità, secondo i risultati esposti innanzi.
L'aumento di velocità delle vibrazioni sismiche col crescere della distanza dall'origine, fin da quando fu rilevata, non trovava una spiegazione sufficiente.
Nell'ipotesi che tali vibrazioni avessero viaggiato soltanto lungo gli strati superiori della terra, il moto accelerato era inspiegabile. Né valeva l'ipotesi che col crescere delle distanze, le vibrazioni sismiche avessero viaggiato per strati, pur litosferici, ma più profondi, e quindi nelle rocce cristallino-azoiche (Omori) lungo la discontinuità della litosfera con la pirosfera.
Si pensò appunto di sperimentare quale potesse essere la velocità delle vibrazioni meccaniche nelle rocce che formano la litosfera. Si sottomisero perciò la maggior parte delle rocce al cimento per determinare i loro moduli di elasticità per ricavare poi dalle formule surriferite i valori delle velocità delle vibrazioni longitudinali nelle rocce.
Le misure eseguite da Nagaoka, Kusakabe, Adams, Oddone, diedero un valore medio intorno ai 5 km./sec.; valore non molto differente da quello delle vibrazioni sismiche per le piccole distanze (tab. I); e soltanto in rocce cristalline primarie, ossia nel granito, nella sienite, nei porfidi, si ebbe un valore medio di km. 7,5 quale è quello ancora per piccole distanze dall'epicentro; invece molto lontano da quelle riscontrate nel viaggio delle vibrazioni sismiche a notevoli distanze all'epicentro.
Si è perciò ritenuto che le vibrazioni sismiche, pur percorrendo nell'inizio del loro viaggio gli strati superficiali della terra, viaggiassero in seguito negli strati profondi situati al di sotto di quelli della litosfera, ove è ritenuto che esistano strati di rocce più elastiche e più dense.
È noto il principio del Fermat che le vibrazioni in un dato mezzo tendono a propagarsi secondo quella direzione in cui, per le condizioni di esso mezzo, possano viaggiare più rapidamente, ossia come suol dirsi per una linea brachistocrona.
La teoria dell'elasticità dimostrava anche che in un corpo isotropo e omogeneo, i raggi delle vibrazioni sono rettilinei. Si ritenne perciò col Milne (1903) e con lo Jordan (1907) che le vibrazioni sismiche, più che seguire gli archi della superficie terrestre, ne seguissero le rispettive corde, e che quindi aumentassero di velocità specialmente quando la corda percorsa interseca strati terrestri più profondi e quindi più elastici e più densi. Con tali considerazioni il problema fu molto rischiarato e si avviò alla conoscenza della velocità reale delle vibrazioni sismiche.
In seguito si dové ammettere che i raggi sismici nell'attraversare strati terrestri di elasticità crescente, penetrando sempre più verso il nucleo della terra, aumentassero di velocità; quindi più che conservarsi rettilinei, subissero necessariamente le conseguenti rifrazioni e perciò fossero rappresentati da curve, probabilmente paraboliche, con la convessità rivolta verso il centro della terra ed emergente nei singoli punti della superficie terrestre dopo un viaggio più o meno profondo secondo la distanza del punto di emergenza rispetto al punto di origine.
Restava però sempre molto complesso il calcolo della velocità reale delle vibrazioni sismiche lungo tali raggi. La scuola tedesca (Wiechert, Zöppritz, Geiger, Gutemberg) se ne è a preferenza occupata, utilizzando varî metodi.
Nella seguente tab. II sono riferiti i migliori risultati ottenuti.
Come si rileva, la velocità reale delle vibrazioni sismiche longitudinali lungo il raggio terrestre da un valore iniziale di 7,2 km./sec. cresce fino alla profondità di km. 1400, ove acquista il valore di 12,4 km./sec.; ma alla profondità di km. 1500 assume il valore costante di 12,7 km./sec. che conserva fino ai 2400 km. A tale profondità aumenta di nuovo col valore di 13,3 km./sec.
Anche la velocità delle onde trasversali si comporta quasi identicamente; poiché da un valore iniziale di 4,01 km./sec., approssimativamente alle profondità medesime surriferite acquista i valori crescenti di 6,6; 6,8; 7,3 km./sec. Pare però che le onde trasversali non si propaghino attraverso il nucleo terrestre, e che ivi si trasformino in longitudinali.
Tutti questi risultati così interessanti portano ad una sufficiente conoscenza della costituzione interna della terra. Secondo la maggior parte dei geologi il nostro pianeta risulterebbe di tre involucri concentrici intorno ad un nucleo.
Un primo involucro superficiale, la litosfera, avrebbe uno spessore intorno ai 100 km., ed una densità da 2,7 a 3,4. Ivi avrebbero origine i fenomeni sismici ordinarî, per dislocazioni dei blocchi che la formano e che si spostano per i movimenti dell'involucro sottoposto. In tale strato la velocità delle vibrazioni sismiche longitudinali avrebbe il valore tra 7,2 e 7,6 km./sec. Per il predominio di rocce silico-alluminose la litosfera è anche indicata dai geologi col nome di Sial.
Il secondo involucro sarebbe formato, in tutto o in parte, da magma vulcanico, perciò è detto pirosfera. Avrebbe una densità media di 3,9; uno spessore intorno ai 1300 km.; ed una temperatura tra i 3000 ÷ 4000 gradi centigradi. Di qui avrebbero origine i fenomeni vulcanici, e magari i fenomeni sismici più profondi. In tale strato la velocità delle vibrazioni longitudinali aumenterebbe dai 7,6 ai 12,4 km./sec. Per la ricchezza di rocce silico-magnesiache tale involucro è detto anche Sima.
Seguirebbe un terzo involucro dello spessore di forse 1000 km. con una densità media di 5,4. In esso la velocità delle vibrazioni longitudinali avrebbe il valore di 12,7 km./sec. Per la natura delle sue rocce, ricche anche di ferro, tale involucro si potrebbe chiamare Simafer, e batosfera per la sua notevole profondità.
E infine, il nucleo terrestre di circa 3970 km. di raggio; in cui le vibrazioni longitudinali forse raggiungono i 16 km./sec. Il nucleo avrebbe la densità 10; e perciò è detto barisfera, e sarebbe costituito, come un meteorite sideritico, di nichelio e di ferro, onde il suo nome: nife.
Si avrebbero così una densità media degl'involucri ferriferi di 7,7; e per tutta la terra una densità media di 5,5; e tre superficie di discontinuità alle successive profondità di km. 100; 1400; 1500 a partire dalla superficie del pianeta.
Calcolo della distanza epicentrale e della posizione dell'epicentro. - È noto che nel fenomeno sismico occorre distinguere l'ipocentro e l'epicentro. L'ipocentro è il punto dell'interno della Terra donde parte l'urto sismico, e quindi tutto il sistema delle vibrazioni sismiche. L'epicentro invece è il punto della superficie terrestre situato sulla verticale dell'ipocentro, e donde si suppongono irradiare le vibrazioni superficiali.
La ricerca dell'ipocentro è più difficile ed incerta; più facile è individuare l'epicentro della registrazione di una o più stazioni sismiche.
Nell'analisi dei sismogrammi si era sempre notato (fig. 1) che l'inizio della registrazione delle vibrazioni trasversali (S) è tanto più in ritardo rispetto all'inizio delle vibrazioni longitudinali (P) quanto maggiore è la distanza (Δ) dell'epicentro dalla stazione sismica. Si poteva insomma stabilire il principio S − P = f(Δ). Occorreva dunque risolvere il problema: data la differenza di arrivo delle vibrazioni trasversali e longitudinali trovare la distanza epicentrale.
I primi tentativi furono sperimentati supponendo, come si riteneva allora, che la propagazione delle vibrazioni sismiche avvenisse con moto uniforme. Si trattava quindi di applicare il problema analogo di due treni che, dotati di differente velocità (v, v′), partendo contemporaneamente da un punto, pervengono ad una stazione di arrivo con una differenza di tempo (t′ − t) che è proporzionale alla distanza (Δ) dal punto di partenza. La formula finale è
E poiché
per dati valori della velocità è un rapporto costante, la formula si può scrivere: Δ = cost. (S − P).
Poiché però i valori delle velocità sismiche non risultavano identici nelle varie indagini in occasione di terremoti, varie furono le formule proposte dai simologi: Grablovitz propose: Δ = 5,5 (S − P); Jordan: Δ = 7,7 (S − P); Mohorovicic: Δ = 7,9 (S − P).
Formule che nella pratica, per terremoti vicini, diedero spesso risultati molto soddisfacenti.
Quando poi i sismologi poterono rilevare l'aumento della velocità con le distanze, e costruirono le odocrone, il problema fu risolto analiticamente e furono stabilite formule più esatte del tipo Δ = k (P + S) + h in cui k ed h sono costanti fra limiti definiti di distanze, e P + S è la durata dei primi e secondi tremiti.
Basta ricordare le formule principali.
Per terremoti vicini, cioè quando la durata dei primi tremiti è minore di 200 secondi: (Omori): Δ = 5,34 y + 38 km. (in cui y= durata dei primi e secondi tremiti); (Stiattesi): Δ = 5,32 y + 45 km. (id.).
Per i terremoti lontani, ossia quando la durata dei primi tremiti è maggiore di 200 secondi, la formula è del tipo Δ = ky − h: (Omori): Δ = 17,1 y = 1360 (in cui y = durata dei primi tremiti); (Stiattesi): Δ = 19,3 y − 2377 (id.).
In seguito, quando con l'aumento di dati più precisi si poterono costruire odocrone maggiormente esatte, furono proposte delle tavole (di Zöppritz, di Geiger e Zeissig, di Negri, di Macelwane) in cui data la differenza S − P è facile trovare la distanza epicentrale, come si usa oggi in tutti gli osservatorî sismici.
Conosciuta la distanza epicentrale occorre determinare la posizione dell'epicentro. Varî metodi furono proposti. Basta accennare al metodo del Galitzin già intravveduto dall'italiano padre Filippo Cecchi delle Scuole Pie. Questo metodo consiste nell'utilizzare appunto la distanza epicentrale già determinata, nonché il grafico dei primi urti delle vibrazioni trasversali. A tale scopo, per ottenere grafici che rappresentino il vero moto sismico del suolo, in direzione e senso, necessita disporre di tre sismografi; uno per i moti orizzontali secondo nord-sud, un altro per i moti orizzontali secondo est-ovest ed un terzo per i moti verticali.
Dalle prime deviazioni prodotte sui grafici degli apparecchi per i moti orizzontali, componendo con la nota regola del parallelogramma, si può rilevare la direzione del primo urto delle vibrazioni longitudinali (l'impetus di P). Per conoscere poi il senso del primo urto occorre determinare se la prima onda che ha investito gli apparecchi sia stata di compressione o di rarefazione; a ciò rispondi la prima deviazione degli apparecchi per i moti verticali secondo che essa è verso Zenith o verso Nadir.
In tal modo si può conoscere l'azimut dell'epicentro, ossia l'angolo α (fig. 3) che forma col meridiano della stazione sismica un cerchio massimo terrestre che passa per questa e per l'epicentro. Conoscendo la distanza e l'azimut, l'epicentro è individuato.
Per determinare l'epicentro nelle sue coordinate geografiche occorre risolvere il problema con la trigonometria sferica.
Ma quando si possano utilizzare i dati di due o più stazioni sismiche, il metodo più facile è quello di descrivere sopra una carta geografica, per ogni stazione, un cerchio il cui raggio è la distanza calcolata; la zona d'intersezione dei cerchi è la zona epicentrale.
Riflessione delle vibrazioni sismiche. - Altro importantissimo rilievo della sismologia moderna è lo studio della riflessione delle vibrazioni sulla superficie della terra.
La teoria prevede che le vibrazioni sismiche, sia longitudinali sia trasversali, nell'andare dall'epicentro E alla stazione A possono seguire varie traiettorie sia dirette e sia riflesse. E perciò possono percorrere (fig. 4) oltre alla traiettoria EA, anche le traiettorie EB, BA; nonché le traiettorie EC, CD, DA, e anche EM, MA. Le vibrazioni sismiche possono quindi riflettersi successivamente una o più volte. Tale studio è utilissimo per conoscere ancor meglio l'interno della terra.
Nei sismogrammi (fig.1) si possono infatti facilmente rilevare tali vibrazioni riflesse, sia nel grafico dei primi tremiti e sia in quello dei secondi tremiti, perché vi si notano aumenti di ampiezza e nel senso identico a quello del primo urto (impulsus) di P e di S, per il sovrapporsi di vibrazioni della stessa fase. Questi punti singolari sono indicati con i simboli PR1, PR2... SR1, SR2..., secondo che si tratta di vibrazioni longitudinali o trasversali, riflesse una prima, una seconda volta, e anche più.
La prima onda riflessa longitudinale (PR1) appare sui sismogrammi (fig.1) dopo l'inizio di P con un ritardo dovuto al maggiore spazio da percorrere in seguito alla duplice riflessione (fig. 6); e tale ritardo è dato dalla formula PR1 − P = 2ϑ′ − ϑp; in cui 2 ϑ′ è il tempo impiegato dalle vibrazioni P a percorrere il duplice arco di riflessione; ϑp è il tempo impiegato da P a percorrere l'arco diretto, ossia approssimativamente la distanza Δ. È evidente perciò che l'istante dell'apparizione di PR1 si può conoscere soltanto quando è nota Δ; o viceversa individuato bene PR1 si può conoscere Δ mediante il calcolo o apposite tavole.
Ugualmente si può ragionare per le altre onde riflesse.
Altri punti singolari si hanno per vibrazioni longitudinali riflesse e poi trasformate in trasversali (PS; v. fig. 5) le quali possono di nuovo trasformarsi in longitudinali (PSP) o restare trasversali (PSS). Il loro mutare di natura si argomenta dal fatto che la vibrazione nel riflettersi cambia velocità e compare più presto o più tardi nel sismogramma. Se una riflessione longitudinale nel riflettersi diminuisce di velocità vuol dire che è diventata trasversale; l'opposto se aumenta di velocità.
Finanche nel nucleo terrestre si possono avere riflessioni e vibrazioni, onde, ad esempio, i simboli Sc Pc Sc ossia vibrazioni trasversali penetrate nel nucleo, ivi trasformate in longitudinali e poi riemerse come trasversali (fig. 7).
Nei sismogrammi ottenuti per scosse fra 300 e 700 km. si è notata, dopo la registrazione delle vibrazioni P, un'altra vibrazione longitudinale molto spiccata per la sua ampiezza; si suole indicarla con Ä. Essa è dovuta a vibrazioni che vengono direttamente dall'epicentro, mentre prima e dopo dei limiti di distanza su riferiti, le vibrazioni vengono alla stazione rispettivamente dopo una riflessione o dopo due rifrazioni subite in una supposta discontinuità di superficie che esisterebbe tra la litosfera superficiale e gli strati sottoposti ad una profondità intorno ai 50-60 km. (fig. 8).
Il Mohorovicic chiamò queste onde individuali. Si è notata una relazione tra P − P e la distanza epicentrale e forse anche con la profondità ipocentrale.
Si ammettono anche simili riflessioni e vibrazioni, per le vibrazioni trasversali (S̄).
Per scosse vicine, a meno di 500 km., la distinzione delle diverse vibrazioni e dei punti singolari non è più abbastanza netta, e spesse volte riesce già difficile distinguere nella prefase del sismogramma l'inizio esatto dei secondi tremiti (fig. 9); molto più per scosse locali o quasi, nella quale occasione gli apparecchi per lo più sono messi fuori servizio e possono soltanto con le prime deviazioni (i P) fornire i dati necessarî per individuare l'azimut dell'epicentro. Occorrerà attendere qualche replica per poter ottenere un sismogramma in cui sarà meno difficile distinguere il ritardo dei secondi tremiti sui primi e stabilire la distanza dell'epicentro.
Onde lente. - Oltre alle vibrazioni sismiche longitudinali e trasversali, i sismogrammi presentano altre onde di periodo e ampiezza più costanti e determinati, che seguono le vibrazioni anzidette (fig.1, L). Si è quindi rilevato che in occasione di una scossa tellurica si originano altre onde che viaggiano negli strati superficiali della terra (fig. 10) e perciò furono delle onde superficiali, o di Rayleigh, dal nome dello studioso che se ne occupò a preferenza. Esse probabilmente sono prodotte dall'urto nella zona epicentrale delle vibrazioni longitudinali provenienti direttamente dall'ipocentro. La teoria dell'elasticità dimostra che la loro velocità, secondo il Galitzin, può essere espressa dalla seguente formula
la cui k è una costante, μ e ρ hanno i valori detti innanzi. Per σ = 0,25 k diventa o,9194. E poiché √μ/ρ esprime la velocità delle vibrazioni trasversali, la formula su riferita si può anche scrivere:
Ossia la velocità delle onde superficiali è circa 0,9 di quella delle onde trasversali nel medesimo mezzo. E poiché negli strati superficiali della terra la velocità delle onde trasversali è 4,0 km./sec., così, secondo la teoria, la velocità delle onde superficiali dovrebbe avere il valore di 3,7 km./sec.
Le misure ottenute dalla registrazione degli apparecchi sismici dànno il valore medio di 3,4 km./sec.; valore molto prossimo a quello preveduto dal calcolo. Come si intende, per le onde superficiali, appunto perché tali, la velocità è reale, e non apparente come per le vibrazioni longitudinali e trasversali. La velocità delle onde superficiali è quasi costante, il che prova il loro propagarsi negli strati più superficiali della terra.
Importantissimo rilievo nello studio di queste onde è che esse, in caso di violente scosse, compiono il giro dell'intera superficie terrestre.
Difatti nei sismogrammi di terremoti lontani, dopo il primo treno di onde longitudinali, trasversali e superficiali (W1) che viene direttamente dall'epicentro, è spesso registrato un secondo treno di onde (W2). Si tratta però soltanto di onde superficiali che ritornano alla stazione sismica dopo aver percorso la superficie della terra per l'arco di meridiano opposto all'epicentro, passando per l'antiepicentro (fig. 11). In tal caso si può ripetere il calcolo della velocità delle onde lente, tenendo presente la formula
in cui 40.000 sono i chilometri del meridiano terrestre, Δ la distanza epicentrale, t2 − t1 la differenza di tempo dell'arrivo ad una stazione tra le onde superficiali di W2 e W1.
Lo stesso procedimento si applica quando il telesismogramma presenta anche la registrazione di un terzo treno (W3) di onde superficiali che sono ritornate alla stazione sismica percorrendo l'intera circonferenza terrestre AE′MEA (fig. 12). In tale caso si usa la formula
in cui 40.000 sono i chilometri di tutto l'arco descritto; (t3 − t1) è l'intervallo di tempo tra l'inizio del primo treno di onde lente e di questo ultimo.
In tutte queste investigazioni, che dobbiamo al genio del grande sismologo Omori, il valore medio della velocità delle onde lente è 3,4 km./sec. E tutto il tempo impiegato dalle dette onde a percorrere l'intero meridiano terrestre è 3h 16m 41.
Prima delle onde lente vengono spesso registrate onde lentissime. Sono dette onde di Love. Esse hanno maggiore velocità delle onde lente e perciò le precedono (fig. 1, LL); e sono dette lentissime perché il loro periodo è più lungo delle onde lente; ma hanno un'ampiezza minore di queste. Furono dette anche onde tangenziali.
Microsismi. - Altro argomento interessante investigato dalla sismologia e che qui si vuole soltanto accennare, è lo studio dei microsismi (fig. 13) ossia di movimenti vibratorî della crosta terrestre, lenti, per lo più di piccola ampiezza, che spesso per giornate intere mantengono perturbati i sismografi.
Il periodo di tali vibrazioni è, in media, di 4 secondi. L'ampiezza reale del moto della particella tellurica è, in media, di 3 micron. Nondimeno si hanno periodi di molto inferiori e di molto superiori alla media surriferita. Così anche per l'ampiezza. Pare che il periodo sia caratteristico delle singole regioni geologiche.
E in generale sia il periodo, sia l'ampiezza sono leggermente maggiori nella direzione nord-sud che nella direzione est-ovest. Quanto all'origine sembra che i microsismi siano da riportare a varie cause, forse in prima linea al formarsi e allo spostarsi di depressioni cicloniche. V. anche microsismi.
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