BANCARIO, SISTEMA
Sistema europeo delle banche centrali (SEBC). L’Unione bancaria. La Banca d’Italia
Con sistema bancario si indica la struttura con cui è organizzata, secondo le leggi vigenti, l’attività bancaria – che include, fra le altre, tutte le operazioni di raccolta del risparmio tra il pubblico, l’emissione di moneta, la regolazione della liquidità e del credito ecc. – svolta attraverso gli istituti bancari; rappresenta un pilastro fondamentale per la gestione dell’intera economia. L’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea (UE), rende l’intera organizzazione del s. b. strettamente dipendente dalla normativa comunitaria che si rifà a principi improntati a un sistema di controllo prudenziale basato sulla fissazione di particolari requisiti patrimoniali (composizione dell’attivo e del passivo, riserve obbligatorie, requisiti di liquidità, vincoli di portafoglio) legati agli Accordi di Basilea (formulati la prima volta nel 1988, Basilea I, e, successivamente, nel 2004, Basilea II, e nel 2010, Basilea III). Tuttavia, nel corso della crisi finanziaria apertasi nel 2007 i sistemi di tutela del sistema (assicurazione sui depositi, credito di ultima istanza, ricapitalizzazione ecc.) hanno manifestato forti elementi di debolezza e di inadeguatezza. Conseguentemente, il s. b. sia europeo sia italiano, le cui strutture avevano già subito una prima grande trasformazione all’entrata in vigore dell’euro, hanno attraversato un profondo processo di riforma.
Sistema europeo delle banche centrali (SEBC). – Il s. b. italiano è inserito nell’Eurosistema e nel SEBC, costituito quest’ultimo dalla BCE (Banca Centrale Europea) e dalle BCN (Banche Centrali Nazionali) degli Stati membri dell’Unione Europea, inclusi i Paesi che non hanno ancora adottato l’euro e che godono di uno status speciale o per i quali vige una deroga. Il trattato che istituisce la Comunità europea, al quale è subentrato il Trattato sul funzionamento della UE (TFUE, 1° dic. 2009), insieme allo Statuto del SEBC e della BCE regolano il funzionamento del SEBC. Soltanto i governatori delle banche nazionali dei Paesi appartenenti all’eurozona prendono parte al processo decisionale e attuativo della politica monetaria della BCE. Il SEBC ha come obiettivo principale il mantenimento della stabilità dei prezzi (in base al Trattato sulla UE), sostiene le politiche economiche generali nella Comunità agendo in conformità al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza e agli obiettivi comunitari, definisce e attua la politica monetaria per l’area dell’euro, svolge operazioni sui cambi, detiene e gestisce le riserve ufficiali dei Paesi dell’area dell’euro, promuove il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento, ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno dell’area dell’euro (v. euro, area). All’Eurosistema invece (non previsto dai trattati in quanto si ipotizzava l’adesione all’euro da parte di tutti i Paesi dell’Unione) appartengono la BCE e le BCN dei Paesi che hanno introdotto la moneta unica.
L’Unione bancaria. – La crisi finanziaria esplosa nel 2007 ha fatto emergere le carenze normative e di vigilanza che caratterizzavano la complessa struttura del s. b. della UE. La risposta alla crisi si è concretizzata in una profonda riorganizzazione dell’intero sistema e ha trovato realizzazione nella costituzione dell’Unione bancaria, espressione di una maggiore integrazione bancaria europea (artt. 114 e 127, § 6 del TFUE) di cui rappresenta il completamento e la necessaria evoluzione. L’Unione bancaria è uno dei quattro pilastri della politica finanziaria dell’euro, insieme a quello fiscale, economico e politico ed è un progetto complesso avviato, dal 2010, in linea con gli Accordi di Basilea
III. Ha l’obiettivo generale di rafforzare i sistemi di vigilanza e ristrutturazione delle banche per la stabilità finanziaria della zona euro, interrompere il circuito del rischio bancario rispetto allo Stato; proteggere il risparmiatore; garantire l’uniformità delle condizioni del credito europeo, garantire che le banche assumano rischi calcolati e che siano le banche e i loro azionisti a sostenere il rischio e le conseguenze finanziarie di eventuali perdite, evitare nuove crisi della zona euro, spezzare il legame fra le crisi finanziarie e quelle dei debiti pubblici nazionali e ricostruire la fiducia degli investitori nel settore bancario. All’Unione bancaria partecipano automaticamente tutti gli Stati membri dell’eurozona, ma anche altri Stati membri possono aderirvi. L’Unione bancaria si basa su un corpus unico di norme che comprende una serie di strumenti e funzioni e poggia su tre pilastri principali: a) il meccanismo di vigilanza unico (SSM, Single Supervisory Mechanism), entrato in vigore nel 2013, ma operativo dal mese di novembre 2014; b) il meccanismo di risoluzione unico (SRM, Single Resolution Mechanism), la cui entrata in vigore è prevista per il 2016; c) le disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il fondo di risoluzione unico (SRF, Single Resolution Fund) che, dopo una fase transitoria a partire dal 1° gennaio 2015, entrerà a regime dal 2025, i sistemi di garanzia dei depositi (DGS, Deposit Guarantee Schemes), un meccanismo comune di backstop (linea di credito), sulla base di norme che regolano i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV, Capital Requirements Directive) e le disposizioni della direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive). L’SSM, realizzato in base a un accordo politico di Parlamento e Consiglio europei nel marzo 2013, modifica il Sistema europeo di vigilanza finanziaria(SEVIF) attivo dal 2010. È un sistema di supervisione che attribuisce alla BCE il ruolo di autorità di vigilanza diretta sulle 128 maggiori banche (definite banche di rilevanza sistemica) e stabilisce compiti di vigilanza decentralizzata delle autorità locali (sotto la responsabilità e con potere di avocazione della BCE) sulle circa 6000 banche meno rilevanti. Le banche di rilevanza sistemica devono rispondere a una serie di prerequisiti: avere assets per 30 miliardi di euro, oppure avere un fatturato pari a un quinto della ricchezza nazionale dello Stato di appartenenza (circa il 20% del PIL) e attivi con un valore superiore ai 5 miliardi di euro. Ciò garantisce per ogni Paese il controllo della BCE su almeno tre delle banche più grandi, anche se la maggior parte degli istituti europei continuerà a essere controllata dalle banche centrali nazionali invece che dalla BCE. Per evitare possibili conflitti di interesse, sono state introdotte chiare norme per garantire la separazione organizzativa e operativa delle funzioni della BCE rispettivamente nel campo della vigilanza e della politica monetaria. La BCE conserva la piena indipendenza nell’esercizio della funzione di vigilanza prudenziale, ma risponde al Parlamento e al Consiglio europeo ed è tenuta a trasmettere annualmente una relazione sull’esecuzione dei suoi compiti a tali organi, nonché alla Commissione europea, all’Eurogruppo e ai parlamenti nazionali degli Stati membri partecipanti. L’SRM, realizzato nel marzo 2014 da Parlamento e Consiglio, regola le modalità di gestione delle crisi bancarie e modifica i compiti della già funzionante European bankingauthority (EBA). È un completamento dell’SSM e ha come principale finalità quella di assicurare nell’Unione bancaria una gestione efficiente degli eventuali fallimenti delle banche a un costo minimo per il contribuente e per l’economia reale nel caso in cui, malgrado la vigilanza rafforzata, una banca soggetta al meccanismo di vigilanza unico dovesse trovarsi in gravi difficoltà. L’SRM interessa le banche aderenti all’SSM e prevede un accentramento delle decisioni circa il salvataggio o il fallimento di una banca sotto la supervisione della BCE. L’efficacia del meccanismo è garantita dalla creazione di un fondo ad hoc, l’SRF e dall’esistenza di un comitato formato da rappresentanti delle autorità nazionali (single resolution board), posto sotto le direttive della BCE, che ha il compito di controllare la normale esecuzione delle manovre di salvataggio o di un eventuale fallimento di una banca. In tutti i casi in cui né gli apporti degli azionisti di una banca né il contributo dei creditori si rivelino in grado di coprire i rischi di una crisi, interviene l’SRF, un fondo salva-banche che contiene anche le disposizioni relative al trasferimento dei contributi e al periodo di mutualizzazione dell’SRF stesso, finanziato dagli istituti di credito mediante prelievi sulle banche, inizialmente a livello nazionale, per confluire successivamente e gradualmente in dieci anni in un unico fondo europeo (per un valore di circa 55 miliardi di euro). L’SRF servirà al s. b. per rifinanziare gli istituti europei in crisi, ma nel primo anno, le banche in default controllato potranno attingere solo al fondo fornito dagli istituti del proprio Paese. In sostegno a questo fondo è stata approvata una direttiva (2014/49/UE) che prevede il DGS con una soglia di 100.000 euro per la tutela dei depositanti. Questa direttiva è ulteriormente affiancata dalla direttiva BRRD, che disciplina le modalità con cui le banche in dissesto possono essere fatte fallire attraverso piani di risanamento e risoluzione (le cosiddette living wills, disposizioni testamentarie) disponendo che le perdite siano poste innanzitutto a carico degli azionisti e non ripianate con i fondi dello Stato. Qualora occorrano invece apporti finanziari esterni, gli Stati membri dovranno istituire uno strumento finanziario alimentato da contributi del settore bancario. Tali disposizioni si applicano a tutte le banche e società di investimento. Nell’aprile 2014 il Parlamento europeo ha anche adottato il pacchetto CRD IV composto dalla quarta direttiva (2013/36/UE CRD IV) e dal Regolamento UE nr. 575/2013 (CRR, Capital Requirements Regulation) sui requisiti patrimoniali. I due atti recepiscono nel diritto europeo requisiti prudenziali di capitale per gli istituti di credito e le società di investimento basati sui principi internazionalmente riconosciuti di Basilea III. Il pacchetto, in vigore dal 1° gennaio 2014, assicura uniformità di condizioni nel mercato interno grazie all’adozione di un corpus unico di norme (single rule book) per tutte le 8200 banche dell’Unione Europea.
La Banca d’Italia. – La Banca d’Italia in seguito all’ingresso dell’Italia nell’Unione economica e monetaria, e all’introduzione dell’euro è entrata a far parte integrante dell’Eurosistema modificando profondamente la sua natura e ridimensionando le sue funzioni. Anche la sua struttura si è notevolmente ridotta attraverso la chiusura di 39 filiali nei diversi capoluoghi di provincia. Tre le sue finalità di interesse generale nel settore monetario e finanziario, persegue il mantenimento della stabilità dei prezzi (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), la stabilità e l’efficienza del sistema finanziario (principio della tutela del risparmio sancito dalla Costituzione, art. 47). La Banca d’Italia concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell’area dell’euro e del cambio (ormai spettanti in primo luogo alla BCE) e, unitamente alla BCE, ha il compito di vigilanza sugli intermediari bancari e finanziari e di supervisione dei mercati; svolge operazioni di sorveglianza sui sistemi di pagamento; espleta compiti di tesoreria, per gli incassi e pagamenti del settore pubblico e gli altri compiti a essa affidati dall’ordinamento nazionale; gestisce le riserve valutarie proprie e, inoltre, una quota-parte di quelle della BCE per conto di quest’ultima. Essa è infine responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota definita nell’ambito dell’Eurosistema, della gestione della circolazione e dell’azione di contrasto alla contraffazione. In materia di supervisione, la Banca d’Italia è l’autorità nazionale competente nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico (SSM) sulle banche. L’Istituto rende conto del suo operato al governo, al Parlamento e ai cittadini attraverso la diffusione di dati e notizie sull’attività istituzionale e sull’impiego delle risorse. Le quote della Banca d’Italia sono detenute da 60 istituti di credito italiani, da qualche assicurazione e dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) e dall’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) che rappresentano formalmente i proprietari della banca; oltre il 50% delle quote è in mano ai grandi gruppi Intesa e Unicredit. Una critica all’impostazione della compagine proprietaria si basa sull’idea che le banche, soggetti controllati dalla Banca d’Italia, possano esercitare il controllo sul loro stesso controllore. Tuttavia, i soci proprietari delle azioni, sebbene possano comunque esercitare un condizionamento compromettendone l’indipendenza, non hanno alcun potere sulla governance e sulla gestione delle attività istituzionali della Banca d’Italia (che è un Istituto di diritto pubblico), e ricoprono solo qualche carica di controllo in organismi di vigilanza (Consiglio superiore). Fra i vari interventi che hanno interessato la Banca d’Italia come risposta alla crisi finanziaria dei mutui subprime, ha sollevato notevoli perplessità il d.l. 133 (30 nov. 2013, convertito con modificazioni dalla l. 29 genn. 2014 nr. 5), definito tagliola o ghigliottina, con cui sono state oggetto di rivalutazione le quote dell’istituto. Il capitale nominale dell’istituto prima di tale rivalutazione ammontava soltanto a 156.000 euro, equivalenti ai 300 milioni di lire versati nel 1936 dai circa 60 istituti di credito italiani, allora pubblici e ora proprie-tari della Banca.
La Banca d’Italia produce guadagni (che gira al ministero del Tesoro e accantona nelle riserve) provenienti in gran parte dal cosiddetto signoraggio (l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta). Le banche che detengono le quote proprietarie partecipano a una ripartizione di tali guadagni fino a un massimo del 10% circa del capitale nominale (che, prima della rivalutazione, ammontava soltanto a 156.000 euro e quindi rappresentava una quantità irrisoria), ma ricevono anche una cifra ben più consistente pari a un altro 4% massimo, calcolato sul totale delle riserve. Con la rivalutazione il valore delle quote è aumentato dai 156.000 euro originari a circa 7,5 miliardi di euro annui. Queste cifre risultano quindi trasferibili contabilmente (anche se non materialmente, cioè senza un concreto passaggio di liquidità) alle banche proprietarie che, registrandole in bilancio, si ritrovano con una maggiore solidità patrimoniale (pur avendo l’obbligo di versare le relative tasse sulle plusvalenze). Il d.l. 133 prevede ulteriori modifiche: contempla, per es., la possibilità da parte delle banche proprietarie di cedere a terzi le quote detenute con il vincolo che gli istituti proprietari della banca debbano comunque avere sede legale e amministrazione centrale in Italia (ciò esclude il controllo della Banca d’Italia da parte di istituti stranieri). Inoltre fissa un limite del 3% alla partecipazione al capitale con l’obbligo per le banche o le assicurazioni proprietarie di vendere la parte eccedente anche a fondazioni ex bancarie e a fondi pensione aventi sede legale in Italia (prevedendo un periodo di tre anni in cui le quote possono essere ricomprate dalla Banca d’Italia stessa). Infine stabilisce il tetto massimo dei dividendi, ottenuti dagli utili netti, al 6% del valore del capitale. Essendo quest’ultimo diventato di 7,5 miliardi di euro, il massimo teorico che la Banca d’Italia dovrebbe pagare in dividendi a banche e azionisti privati è aumentato di valore, raggiungendo circa 450 milioni di euro l’anno. Con questo escamotage contabile si è dunque ottenuta una rivalutazione che ha rafforzato il patrimonio del sistema bancario e assicurativo senza imporre oneri che pesassero sul bilancio pubblico, ma attingendo esclusivamente dal mercato. Le ricadute non sono soltanto finanziarie perché la maggiore solidità patrimoniale delle banche consente una più ampia disponibilità di credito e ha quindi effetti positivi sulla crescita economica. Tale operazione non concerne le riserve in oro (100 miliardi di euro), né quelle speciali (circa 8 miliardi di euro), riguardando soltanto quelle ordinarie e straordinarie che non possono essere utilizzate per ripianare il debito pubblico. Tuttavia, grazie alla politica monetaria italiana tradizionalmente prudenziale, queste ultime riserve hanno comunque un ammontare consistente (circa 15 miliardi di euro).