Sistema delle intese e libertà della confessione religiosa
La Corte costituzionale stabilisce che non è sindacabile, in sede giudiziale, la decisione del Governo sull’avvio delle trattative per la stipula dell’intesa con le confessioni religiose. Il riconoscimento dell’ente come confessionale, la libertà di culto, di azione e di organizzazione non possono essere pregiudicate dal rifiuto delle trattative. Fondando sul metodo pattizio e sulla libertà delle parti di addivenire all’accordo il carattere non sindacabile della decisione governativa, la Corte evidenzia la tensione dialettica, immanente alla disciplina costituzionale, fra eguale libertà delle confessioni religiose e sistema delle intese per la regolazione dei rapporti con lo Stato.
Della previsione dell’art. 8, co. 3, Cost., secondo cui i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati «per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze», il legislatore non ha mai emanato una disciplina attuativa. I presupposti, il procedimento, i contenuti delle intese e delle relative leggi di recepimento sono elementi rimasti affidati alla riflessione teorica, alla giurisprudenza, e, ancor più, alla prassi applicativa del Governo e delle Camere.
Con la sentenza 10.3.2016, n. 52 la Corte costituzionale ha risolto un profilo della disciplina sinora mai venuto alla luce in sede giudiziale, stabilendo che la decisione del Governo sull’apertura delle trattative è decisione politica, come tale non soggetta a controllo giudiziale. Ricevuta l’istanza da parte del soggetto interessato, il Governo, dal punto di vista giuridico, è libero di aprire o meno le trattative, così come è libero, a maggior ragione, di non concluderle positivamente con la stipulazione dell’accordo.
Scelta libera – per quanto la Corte non utilizzi il termine – significa valutazione del Governo sull’opportunità delle trattative, sindacabile politicamente, a partire dal rapporto fiduciario con le Camere, ma non sindacabile, invece, in sede giudiziale. Il soggetto richiedente l’intesa, che si vede negato l’avvio delle trattative, ovvero si vede rifiutata la conclusione dell’accordo, può reagire sul piano politico, ma risulta privo di strumenti di difesa giudiziale. Detto diversamente, la Corte costituzionale ha stabilito che fra i presupposti per l’avvio delle trattative per la stipula dell’intesa figura una non coercibile volontà non solo della confessione religiosa ma anche del Governo della Repubblica. La formulazione del principio è stato accompagnata, nella sentenza, da una serie di puntualizzazioni sul valore che esso assume nella disciplina della libertà costituzionale di azione e di organizzazione delle confessioni religiose.
La sentenza origina dalla richiesta dell’UAAR (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) di aprire le trattative per la stipula di un’intesa1. Alla richiesta il Governo ha opposto un diniego motivato sul difetto, nell’istante, dei caratteri della confessione religiosa2. Il conseguente ricorso dell’UAAR è stato dichiarato dal TAR Lazio inammissibile per il carattere giudizialmente insindacabile della decisione governativa3. In secondo grado, però, la relativa decisione è stata integralmente riformata dal Consiglio di Stato4. Il Governo ha impugnato, per difetto di giurisdizione, la sentenza di appello innanzi alla Corte di cassazione; e, a seguito del rigetto del ricorso5, ha sollevato conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale. La sentenza n. 52/2016 ha risolto il conflitto, stabilendo il carattere non sindacabile, in sede giurisdizionale, della decisione governativa sull’apertura delle trattative per la stipula dell’intesa6.
La decisione della Corte costituzionale si basa su di un duplice presupposto interpretativo. Il primo è che il principio “pattizio”, che la Costituzione pone alla base del sistema delle intese, non consente logicamente di configurare come giuridicamente dovuta l’apertura delle trattative; il secondo, che l’eguale libertà delle confessioni religiose si realizza per effetto diretto della disciplina costituzionale, e non risulta condizionata dall’intesa con lo Stato.
Sotto il primo profilo la Corte considera che «il metodo della bilateralità, immanente alla ratio del terzo comma dell’art. 8 Cost.» pretende per propria natura «una concorde volontà delle parti, non solo nel condurre e nel concludere una trattativa, ma anche prima nell’iniziarla»7. Poiché risulta escluso, in nome del principio pattizio, che possa configurarsi un obbligo a concludere l’intesa, parimenti deve dirsi escluso, secondo la Corte, l’obbligo del Governo all’apertura delle relative trattative. Sotto il secondo profilo, invece, premesso che nell’ordinamento costituzionale, in quanto «caratterizzato dal principio di laicità e, quindi, di imparzialità ed equidistanza rispetto a ciascuna confessione religiosa», non è l’intesa «a consentire la realizzazione dell’eguaglianza fra le confessioni»8, la Corte stabilisce che la mancata apertura delle trattative «non può avere efficacia esterna al procedimento di cui all’art. 8, terzo comma, Cost., e non può pregiudicare ad altri fini la sfera giuridica dell’associazione stessa»9. In particolare, il carattere non sindacabile della decisione governativa non può precludere il riconoscimento della natura confessionale dell’associazione che si vede negare l’apertura delle trattative, e ciò ad ogni altro fine per cui il riconoscimento assuma rilievo10.
Ne deriva un duplice profilo problematico, in ordine ai caratteri identificativi della confessione religiosa così come all’attitudine del metodo pattizio a garantire parità di trattamento tra le confessioni.
La questione dei caratteri identificativi della confessione religiosa, se, da un lato, finisce per restare sullo sfondo della vicenda, dall’altro lato ne costituisce, invece, un elemento determinante. Nel caso, la vicenda era sorta, sul piano giudiziale, come contestazione dei criteri identificativi fatti propri dal Governo, ma poiché il giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile il ricorso, profilo controverso di tutte le successive fasi del giudizio, compreso il conflitto di attribuzione, è stato esclusivamente il punto della sindacabilità della decisione governativa. In tal modo la questione della natura degli enti confessionali ha finito per risultare non rilevante in giudizio, e la pretesa giuridica – da cui la vicenda originava – di un’associazione dichiaratamente ateistica di accedere al regime previsto per le confessioni religiose è rimasta impregiudicata11.
Ciò nonostante, anche la Corte costituzionale ha trattato il tema del riconoscimento e le ragioni risiedono nel fatto che – allo stato attuale della legislazione – proprio la stipula dell’intesa risulta determinante per l’identificazione come confessionale di un’associazione religiosa. Mancando una definizione legislativa di carattere generale, e respingendo la giurisprudenza la condizione sufficiente dell’autoqualificazione, l’esistenza di un riconoscimento pubblico finisce per costituire il primo criterio – secondo un metodo essenzialmente induttivo – per l’identificazione della confessione religiosa12. Con la conseguenza che la stipula dell’intesa, il più rilevante fra i riconoscimenti di carattere amministrativo, finisce concettualmente quasi per precedere, per così dire, piuttosto che seguire la configurazione della natura degli enti relativi13.
Si comprende, allora, da parte della Corte costituzionale, la necessità di puntualizzare che, se la stipula dell’intesa vale come riconoscimento dell’ente, non vale però il principio contrario, non pregiudicando il diniego dell’intesa e neppure dell’avvio delle trattative la qualificazione del soggetto istante come confessione religiosa. La precisazione non può tuttavia impedire il rilievo della selezione positiva operata dal Governo, dall’intesa derivando l’acquisizione, una volta per tutte, dello status di confessione religiosa, laddove nel caso contrario il riconoscimento deve essere cercato dal soggetto interessato nelle diverse altre forme e per ogni altro fine previsti dall’ordinamento.
La circostanza costituisce il sintomo della differenziazione di trattamento prodotta dalla prassi in materia di intese, pregiudizievole, secondo le ricostruzioni che, in letteratura, la stigmatizzano, dell’eguale libertà delle confessioni religiose. Poiché infatti le leggi di recepimento delle intese finirebbero per costituire una sorta di disciplina del fenomeno confessionale avente, per un verso, carattere uniforme, ma valevole, per altro verso, per le sole confessioni destinatarie14; e poiché tale legislazione, nella sua tendenziale uniformità, finirebbe per connotarsi per il carattere premiale, la conseguenza sarebbe un trattamento ingiustificatamente favorevole assicurato alle confessioni ammesse allo strumento pattizio15.
Da qui derivano i commenti critici che hanno accolto la sentenza della Corte costituzionale così come i commenti invece favorevoli già espressi sulle sentenze emesse, nella vicenda, dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione. Sullo sfondo, tuttavia, restano ricostruzioni diverse e variegate del procedimento di intesa, che attestano, nella loro molteplicità, la complessità della disciplina costituzionale e l’insufficienza delle categorie generali di conoscenza dell’attività amministrativa a comprendere sino in fondo le funzioni del Governo in materia16. Anche a volersi accettare la premessa del carattere obbligatorio dell’apertura delle trattative, rimarrebbero pur sempre da circoscrivere le fasi ulteriori del procedimento connotate da un pari obbligo, e le soluzioni al riguardo divergono, configurando come dovuta ora la sola apertura delle trattative17, ora la conclusione dell’intesa18, ora, infine, anche l’approvazione per legge da parte delle Camere19. Inserendosi all’interno di questa pluralità di esiti, la Corte costituzionale ha dedotto dalla libertà di stipula dell’intesa il carattere necessariamente libero dell’avvio delle relative trattative20. Così statuendo, ha finito per evidenziare la tensione immanente alla disciplina costituzionale – il cui scioglimento non può non scontare le opzioni di fondo di ciascun interprete, a partire dal rilievo assegnato nell’ordinamento al fenomeno religioso – fra eguale libertà delle confessioni religiose e strumento pattizio per la disciplina dei rapporti con lo Stato (nonché, a maggior ragione, fra eguale libertà e riserva alla Chiesa cattolica dello strumento concordatario). La tensione non deriva soltanto dalla constatazione che la legislazione di approvazione delle intese vale per definizione a differenziare la posizione rispettiva delle confessioni religiose, ma, ancor prima, dalla natura propria dello strumento pattizio, che richiama una non sopprimibile libertà delle due parti di addivenire all’accordo in cui l’intesa consiste. Anche se consapevolmente ideato dai costituenti in funzione di riequilibrio della posizione delle confessioni religiose diverse dalla cattolica21, lo strumento, proprio perché estensione del metodo concordatario, non si presta a garantire meccanicamente eguaglianza di trattamento. Come per il concordato, così anche per l’intesa vale necessariamente il principio della libertà di adesione dello Stato, nonché la valutazione – a quel punto anch’essa libera – sul raggiungimento di quel grado apprezzabile di integrazione fra comunità confessionale e comunità statuale che costituisce il necessario substrato della regolazione dei reciproci rapporti. Non stupisce, dunque, la cura posta dalla Corte costituzionale nel tener quanto più possibile insieme i due principi informatori della disciplina, attraverso la puntualizzazione che libertà di culto, di attività e di organizzazione confessionali prescindono dalla stipula e dall’approvazione di un’apposita intesa, trovando nella costituzione una diretta garanzia.
Neppure la legge unilaterale sulla libertà religiosa potrebbe sfuggire al relativo dualismo. Proprio in ragione della politicità di cui la scelta relativa è necessariamente intrisa, mentre, da un lato, una tale legge parrebbe naturale sedes materiae della delineazione dei tratti costitutivi della confessione religiosa, dall’altro lato, invece, è proprio facendosi appello al principio della loro eguale libertà che si auspica una regolazione limitata al «mero procedimento di negoziazione», ritenendosi che la legge non possa «essa stessa introdurre alcun criterio quantitativo o sociologico sul quale selezionare le confessioni istanti, al di là di parametri minimi di ragionevolezza»22.
Note
1 Vedi la vicenda riassunta da Vita, V., Della non obbligatorietà dell’avvio delle trattative finalizzate alla conclusione di un’intesa. Riflessioni a margine della sentenza n. 52 del 2016, in Osservatorio AIC (osservatorioaic.it), (26 maggio) 2016.
2 Per «confessione religiosa» dovendosi intendere, secondo la nota governativa (vedila riportata da Cons. St., sez. IV, 18.11.2011, n. 6083), «un fatto di fede rivolto al divino e vissuto in comune tra più persone che lo rendono manifesto alla società tramite una particolare struttura istituzionale».
3 TAR Lazio, sez. I, 31.12.2008, n. 12539.
4 Cons. St. n. 6083/2011, cit.
5 Cass., S.U., 28.6.2013, n. 16305.
6 Non spettava alla Corte di cassazione affermare la sindacabilità in sede giurisdizionale della delibera con cui il Consiglio dei ministri ha negato all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti l’apertura delle trattative per la stipulazione dell’intesa di cui all’art. 8, terzo comma, della Costituzione»: così il dispositivo della sentenza.
7 Considerato in diritto, 5.2.
8 Considerato in diritto, 5.1.
9 Considerato in diritto, 5.3.
10 Per un’applicazione concreta, cfr. C. cost., 24.3.2016, n. 63, dichiarativa della incostituzionalità di disciplina regionale sfavorevole, in materia di edilizia religiosa, per le confessioni non destinatarie di intesa con lo Stato. Il presupposto è, infatti, che l’esercizio della libertà di aprire luoghi di culto «non può essere condizionato a una previa regolazione pattizia, ai sensi degli artt. 7 e 8, terzo comma, Cost.» (Considerato in diritto, 4.2.).
11 Dovendo dirsi come inutiliter data, in conseguenza della soluzione del conflitto di attribuzione, la sentenza 3.7.2014, n. 7068 assunta dal TAR Lazio, sez. I, a seguito della decisione della Corte di cassazione.
12 Cfr. C. cost., 27.4.1993, n. 195; C. cost., 19.11.1992, n. 467; Cass. pen., sez. VI, 22.10.1997.
13 Cfr. Colaianni, N., Confessioni religiose, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano, 2001, 370 ss.; contra Rossi, E., Le “confessioni religiose” possono essere atee? Alcune considerazioni su un tema antico alla luce di vicende nuove, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (statoechiese.it), (15 settembre) 2014, 23 ss.
14 Secondo un esito interpretativo che peraltro la giurisprudenza costituzionale non sembra accogliere, negando che possa parlarsi di “modello univoco” di normazione (C. cost., 31.5.1996, n. 178), ovvero valuta come puramente contingente e non strutturale (C. cost. n. 52/2016, Considerato in diritto, 5.1).
15 Sul punto, cfr. per tutti, Colaianni, N., Le intese nella società multireligiosa: verso nuove disuguaglianze?, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (statoechiese.it), (28 maggio) 2012, 6 ss.; Pasquali Cerioli, J., Interpretazione assiologica, principio di bilateralità pattizia e (in)eguale libertà di accedere alle intese ex art. 8, terzo comma, Cost., ivi, (18 luglio) 2016, spec. 16 ss.; Rimoli, F., Laicità, eguaglianza, intese: la Corte dice no agli atei (pensando agli islamici), in Giur. cost., 2016.
16 Per il diretto rilievo costituzionale assunto nel caso dall’atto del Governo, si vedano Dickmann, R., La delibera del Consiglio dei ministri di avviare o meno le trattative finalizzate ad una intesa di cui all’art. 8, terzo comma, Cost. è un atto politico insindacabile in sede giurisdizionale, in Forum Quad. cost. (forumcostituzionale.it), (21 marzo) 2016; nonché, distinguendo fra apertura delle trattative e conclusione dell’accordo, Colaianni, N., Ateismo de combat e intesa con lo Stato, in Rivista AIC (rivistaaic.it), (6 dicembre) 2014, 6 ss.
17 Così, espressamente, Cons. St. n. 6083/2011, cit.
18 Pasquali Cerioli, J., op. cit., 11 ss. Per la conclusione che l’obbligo è configurabile per i contenuti già standardizzati in intese anteriori, cfr. Colaianni, N., Ateismo de combat, cit., 9 ss., con considerazione valevole peraltro ad attestare il conseguente capovolgimento della logica costituzionale del relativo sistema.
19 Così Rimoli, F., op. cit., nonché Di Cosimo, G., Gli atei come i credenti? I giudici alle prese con un’atipica richiesta di intesa fra Stato e Confessioni religiose, in Rivista AIC (rivistaaic.it), (20 gennaio) 2015, 9 s., con ciò peraltro, gli autori parendo richiamare, a quanto sembra, istituti allo stato non ancora delineati nell’ordinamento al fine di rendere coercibile o comunque fungibile la relativa attività delle Camere.
20 Contra, Ruggeri, A., Confessioni religiose e intese tra iurisdictio e gubernaculum, ovverosia l’abnorme dilatazione dell’area delle decisioni politiche non giustiziabili (a prima lettura di Corte cost. n. 52 del 2016), in Federalismi.it, (30 marzo) 2016.
21 Sul punto, Poggi, A., Una sentenza “preventiva” sulle prossime richieste di Intese da parte di confessioni religiose? (in margine alla sentenza n. 52 della Corte costituzionale), in Federalismi.it, Editoriale, (23 marzo) 2016, 7 ss.
22 Pasquali Cerioli, J., op. cit., 9.