Sistema monetario internazionale
Insieme delle norme e delle istituzioni, definite da trattati internazionali o da convenzioni fra i Paesi partecipanti, che regolano i pagamenti internazionali, i rapporti di cambio fra le valute e le modalità di creazione e utilizzo delle riserve internazionali. Un S. m. i. ben funzionante favorisce la crescita e la stabilità economica, sostenendo il commercio internazionale, promuovendo la stabilità dei cambi e l’aggiustamento degli squilibri di bilancia dei pagamenti fra gli Stati e assicurando un’offerta adeguata di mezzi di pagamento internazionali, in condizioni normali così come in periodi di recessione o di crisi.
Il S. m. i. si è evoluto nel tempo, sotto l’influenza delle diverse esigenze economiche e condizioni politiche, affinandosi anche grazie a nuove conoscenze e al progresso tecnologico. L’utilizzo di oggetti o metalli preziosi come mezzo di scambio, dal 3° millennio a.C., sostituì il baratto; seguì quindi, in Oriente e poi nelle polis greche del 5° sec. a.C., la prassi di coniare monete con tali metalli. Quest’ultima usanza legava in modo indissolubile la gestione delle monete al potere politico, titolare esclusivo, in quasi tutti i luoghi e periodi storici, del privilegio di deciderne il contenuto di metallo nobile (oro o argento, essenzialmente) e quindi il loro valore (➔ signoraggio). Dopo un lungo periodo di crisi nell’utilizzo dell’argento, per varie ragioni, la decisione del governo inglese, alla fine delle guerre napoleoniche, di adottare l’oro come riferimento in valore della sterlina creò le premesse per un S. m. i. basato sull’oro (➔).
Il regime aureo, o gold standard, in vigore fra il 1870 e il 1914 e ripristinato brevemente fra le due guerre mondiali, considerato da molti come l’unico esempio storico di S. m. i. ben funzionante, si fondava su poche regole basilari accettate in via informale dai Paesi partecipanti: la convertibilità e accettabilità reciproca delle rispettive monete da parte di tutti i componenti; la fissazione di una parità aurea per ogni moneta nazionale; la regolazione da parte di ciascuno Stato dell’offerta di moneta in funzione della disponibilità di riserve auree (➔ anche aureo, sistema).
In tale sistema, un disavanzo nei conti con l’estero di un Paese determinava, tramite la riduzione delle sue riserve auree, una restrizione monetaria e conseguentemente, attraverso la riduzione dei prezzi e delle importazioni, un riequilibrio automatico della bilancia dei pagamenti. Al centro del regime aureo negli ultimi decenni del 19° sec. era la Gran Bretagna, che influenzava la circolazione mondiale di oro monetario attraverso i flussi di commercio con le proprie colonie o ex colonie e i propri movimenti di capitali con l’estero.
Dopo la Prima guerra mondiale, la decisione della Gran Bretagna e di altri Paesi di riagganciare le monete all’oro riportò brevemente in vita il S. m. i., nella speranza di ricreare le condizioni di crescita stabile dei decenni precedenti al conflitto. Ma il tentativo fallì, e anzi il sistema contribuì a determinare gli squilibri e le rigidità nell’economia internazionale che avrebbero portato, dopo la crisi del 1929, alla grande depressione (➔ ). La Gran Bretagna e gli Stati Uniti abbandonarono il sistema aureo fra il 1931 e il 1932, determinandone la fine. Ne seguì un regime di cambi flessibili, accompagnati da vincoli sempre più diffusi sulle transazioni commerciali (➔ protezionismo).
Dopo la Seconda guerra mondiale, le potenze vincitrici del conflitto decisero, nella conferenza di Bretton Woods (➔) nel 1944, di dare vita a un sistema a cambio aureo (gold exchange standard), in cui la principale valuta di riserva, il dollaro statunitense, rimaneva legata all’oro, mentre gli altri Paesi avevano la facoltà di convertire le proprie riserve di dollari in oro presso gli Stati Uniti a una parità prefissata. Tale meccanismo, pur minacciato dai crescenti squilibri esterni dell’economia americana (R. Triffin, Gold and the dollar crisis: the future of convertibility, 1960), durò fino al 15 agosto 1971, data in cui l’amministrazione R.M. Nixon sospese la convertibilità aurea del dollaro.
Da allora i cambi fra le principali monete hanno fluttuato liberamente, a parte alcuni accordi di cambio a carattere regionale, come il Sistema Monetario Europeo (➔ SME). Il dollaro ha continuato a essere pressoché l’unica moneta di riserva. Il carattere asimmetrico del S. m. i., dovuto al fatto che un solo Paese creava mezzi di pagamento e quindi non era soggetto ad alcun vincolo esterno, si è addirittura accentuato, essendo venuta meno la pur tenue disciplina della parità aurea (T. Padoa-Schioppa, The ghost of bancor: the economic crisis and global monetary disorder, 2010). Nel 1971, con l’obiettivo di favorire la transizione verso un sistema più equilibrato, il Fondo Monetario Internazionale (➔ FMI) ha dato vita a un nuovo strumento di pagamento internazionale, il ‘diritto speciale di prelievo’, che tuttavia manteneva sempre un ruolo marginale nel sistema (R. Cooper, The international monetary system, 1985).
Dalla fine degli anni 1990 hanno iniziato a intravedersi nuovi sviluppi nella struttura del S. m. internazionale. L’euro, dopo la sua introduzione nel 1999, ha acquistato un ruolo importante come moneta di riserva internazionale, secondo solo al dollaro. L’ampliarsi degli squilibri nelle bilance dei pagamenti (➔ squilibrio globale) fra grandi Paesi emergenti, desiderosi di favorire con il cambio debole le proprie esportazioni, e gli Stati Uniti, interessati a mantenere elevata la domanda interna anche a scapito dell’equilibrio esterno, ha accentuato la debolezza del dollaro e la diversificazione delle riserve internazionali. Al contempo, la Cina ha iniziato a promuovere l’uso internazionale della propria moneta, il renminbi o yuan. Questi sviluppi fanno ipotizzare una possibile evoluzione del S. m. i. in senso tripolare, cioè con 3 monete (dollaro, euro e renminbi) che condividono e si contendono il ruolo di strumento di pagamento internazionale (I. Angeloni, A. Bénassy-Quéré, B. Carton Global currencies for tomorrow: a European perspective, 2011).