MUSCOLARE, SISTEMA
(XXIV, p. 89; App. II, 11, p. 371).- Notevolissimi progressi sono stati compiuti recentemente nella conoscenza del tessuto muscolare, grazie ai moderni sviluppi della biochimica, della citologia submicroscopica (studio delle ultrastrutture), dei rapporti tra architettura molecolare (desumibile da indagini metodologicamente specifiche) e strutture morfologiche (submicroscopiche e microscopiche), e dei rapporti tra attività biochimica e prestazione fisiologica. In quest'ultimo caso, e dato che il principale e specifico prodotto terminale dell'attività tessutale è per lo più un lavoro meccanicamente espletato, si è con facilità potuto condurre anche un'indagine energetica sul rendimento della macchina contrattile e sulle fonti, la distribuzione e la velocità di rifornimento di energia, studiando congiuntamente dai punti di vista fisiologico, biofisico e biochimico sia il processo della contrazione sia quello del rilasciamento.
Ma va anche tenuto presente che la fisiologia (e quindi la fisiopatologia) dell'apparato muscolare nell'organismo integro è il risultato di una complessa attività che in primo luogo, ovviamente, non va mai vista disgiunta da quella del sistema nervoso (unità neuromotorie: le quali però pongono anche il problema della fisiologia e fisiopatologia giunzionale), ma nemmeno disgiunta da altri sistemi di correlazione (correlazione umorale, sistema endocrino), i quali anzi condizionano lo stato fisiologico "di fondo", su cui si inserisce - e quindi variamente si sviluppa - l'attività specifica della contrazione, specialmente quella delle prestazioni subitanee e di alta intensità. È così che si può dire che tutta l'economia dell'organismo condiziona la fisiologia muscolare e, all'inverso, che i muscoli, con la massa cospicua che rappresentano (circa il 40% del peso corporeo), a questa largamente partecipano.
Non ci meraviglieremo quindi se troveremo i muscoli frequentemente impegnati in attività fisiologiche extraspecifiche (cioè al di là dell'effetto ottenibile per la contrazione in quanto tale, e anche al di fuori dell'attività contrattile) di cui quelle della termo- e glicoregolazione (della febbre in condizioni patologiche), degli equilibrî acido-base e salini non sono che pochi esempî. L'importanza che per esperienza millenaria l'uomo ha sempre dato all'educazione fisica come strumento di salute corporea ed equilibrio conferma esattamente quanto sopra. Passando al campo della patologia risulterà ovvio che non soltanto saranno da prendere in considerazione le malattie specifiche della fibra muscolare (o dell'unità neuromotoria, del neuromione), ma sarà anche da vedere come e quanto il sistema muscolare partecipi direttamente o indirettamente alla costruzione del sottofondo fisiopatologico su cui s'impiantano sindromi anche extramuscolari e, per converso, quante e quali condizioni fisiopatologiche incidano sul modo di essere del tessuto muscolare.
Struttura e substruttura. - Con l'avvento del microscopio elettronico, anche il tessuto muscolare - anzi particolarmente questo - è stato analizzato per un approfondimento della sua più fine struttura. Anche l'impiego del microscopio a luce polarizzata, permettendo l'individuazione di elementi substrutturali con determinati orientamenti spaziali, con attività ottica propria o di forma, è un mezzo utilissimo per ricostruire l'architettura della fibra muscolare (W. J. Schmidt, 1937; A. Frey-Wyssling, 1953).
Microscopio polarizzatore, microscopio elettronico, analizzatore della diffrazione della luce da parte delle micelle colloidali, sono usati anche per frazioni isolate di strutture muscolari e per le proteine estratte, traendone nozioni sulle caratteristiche generali della morfologia molecolare.
Per il fatto che l'attività fisiologica specifica richiede schemi intepretativi meccanicamente abbastanza semplici (anche se molteplici), e anche per il fatto che molti dei componenti essenziali della fibra muscolare hanno strutture di rilevanza microscopica (presenza di miofibrille, eventuale struttura segmentale di queste, che per la loro perfetta allineatura si amplifica a tutta la fibra), la substruttura del tessuto muscolare è una delle meglio conosciute, è quella che più si presta a illazioni biochimico-fisiologiche, e ove è persino possibile un tentativo di localizzazione biochimica, cioè di dare un'etichetta biochimica a elementi morfologici.
Nella fibra (o fibrocellula per il tessuto liscio) muscolare sono da distinguere il sarcolemma, che è l'unione della parte corticale della fibra con la membranella avvolgente, mesenchimale; il sarcoplasma o citoplasma non differenziato in miofibrille, ma contenente i citocondrî (mitocondrî, sarcosomi, microsomi), il reticolo endoplasmatico, il reticolo del Golgi, i paraplasmi, ecc.; il mioplasma, costituito dalle miofibrille contrattili, striate o non striate a seconda della qualità del muscolo; infine il nucleo o i nuclei, immersi nel sarcoplasma. I rapporti volumetrici tra sarcoplasma e mioplasma possono variare: abbonda il primo sul secondo nei muscoli (o nelle fibre) cosiddetti rossi (la mioglobina è disciolta nel sarcoplasma), mentre prevale il secondo nei muscoli cosiddetti bianchi (tipici, per es., quelli degli arti posteriori del coniglio). Si sa che il mioplasma è la sede della contrazione in quanto tale, e pertanto i muscoli bianchi dànno prestazioni più spiccate e potenti; ma la scarsezza di sarcoplasma con i necessarî mitocondrî, mioglobina, glicogeno, ecc., che costituiscono le fabbriche della fonte di energia, rende questi muscoli atti a una prestazione intensa, ma di breve durata.
Molti muscoli nell'uomo (e in altri animali) hanno fibre o fasci di tipo bianco e altre di tipo rosso. Sembra che la natura rossa o bianca di una fibra dipenda dal tipo di innervazione.
Si è discusso se anche il sarcoplasma non fibrillare possa essere sede di contrazione. Alcuni vi hanno voluto vedere la sede della contrazione "tonica" del muscolo, la quale, se è ancora ben lungi dall'essere spiegata, difficilmente lo potrebbe essere su una base così ipotetica.
La microscopia elettronica ha dimostrato la natura collagena almeno della parte più esterna del sarcolemma; nel sarcoplasma si trovano numerosi mitocondrî detti da alcuni, specie per il miocardio, sarcosomi: per altri (J. W. Harman, 1955) anche nei muscoli scheletrici, almeno nel piccione, esistono due tipi di citocondrî, mitocondrî e sarcosomi, naturalmente più abbondanti nei muscoli rossi; esiste anche un complicato sitema canalicolare inframicroscopico, detto reticolo sarcoplasmatico (K. R. Porter e G. E. Palade, 1957), che può avere importanza nella diffusione dei metaboliti e quindi dello stimolo all'interno della fibra. Il mioplasma è costituito da miofibrille le quali a loro volta sono fasci di protofibrille inframicroscopiche in corrispondenza delle quali, peraltro, si addensa in modo periodico il materiale proteico responsabile della contrazione: dall'insieme di queste strutture deriva la classica e nota striatura trasversale dei muscoli scheletrici (e del miocardio), con formazione di bande regolarmente allineate in tutte le miofibrille e quindi per tutta la fibra; tra queste, importanti sono: le linee Z che separano tra loro periodi omologhi (inocommi); ciascun inocomma comprende due semibande estreme che con le semibande degli inocommi adiacenti formano le bande isotrope I (non birifrangenti: in realtà appena birifrangenti) e una banda centrale positivamente birifrangente o anisotropa (banda A). Nella contrazione si riducono essenzialmente le bande I (v. fig. 1). A livello della terminazione nervosa motoria la fibra nervosa si sfiocca in una struttura arborescente o labirintica detta placca motrice; essa è accolta in una speciale regione del sarcoplasma, ricca di mitocondrî che forma la soglia della placca. In questa zona si può dimostrare istochimicamente un'abbondanza dell'enzima acetilcolinesterasi. In minor misura questo enzima si accumula anche in un'altra regione della fibra, quella adiacente all'attacco delle fibre tendinee (giunzione muscolo-tendinea: M. A. Gerebetzoff, 1956).
Proteine contrattili e loro rapporti con le strutture visibili. - Le principali proteine contrattili sono l'actina e la miosina (A. SzentGyörgyi, 1945); a queste se ne aggiungono diverse altre, come per es. la tropomiosina (K. Bailey, 1948), ma di dubbia individualità e di incerto significato nella fisiologia. Actina e miosina riunite insieme formano actomiosina che può farsi gelificare in filamenti artificiali (modelli di fibre), i quali si accorciano notevolmente (si contraggono) anche in vitro quando sia presente in quantità opportune (e sempre piccolissime) l'adenosintrifosfato (o ATP), che rappresenta la fonte di energia (energia relativa ad un legame chimico che si trasforma in energia meccanica più calore).
Sembra che l'actina costituisca i filamenti protofibrillari fra due linee Z successive, mentre la massa della miosina è localizzata, adiacente ai filamenti actinici, nella parte media del loro tragitto (banda A). Secondo uno schema recente (J. Hanson e H. E. Huxley, 1955-1957) (v. fig. 1) i filamenti actinici non percorrono tutto l'inocomma ma esiste fra loro uno spazio mediano che invece occupano durante la contrazione; secondo questo schema infatti nella contrazione due semisegmenti actinici (per una loro attrazione verso i tratti di miosina a loro adiacenti) si corrono incontro, riavvicinando tra loro le linee Z e accorciando e quasi obliterando i tratti I.
Le proteine contrattili le cui micelle sono orientate in filamenti, e in particolare la miosina, che è rappresentata con una massa assai cospicua, costituiscono strutture birifrangenti (sia per birifrangenza propria, sia per birifrangenza di forma, in ogni caso positiva): E. Fischer (1947) ha mostrato che la potenza contrattile delle fibre muscolari è in rapporto definito con il valore della birifrangenza (cioè con la quantità di sostanza otticamente attiva).
Biochimica della contrazione muscolare. - L'energia necessaria al verificarsi di tutte le attività dell'organismo (comprese quelle inerenti alla creazione e al mantenimento delle strutture), e quindi anche dell'attività meccanica dei muscoli, è derivabile negli animali e nell'uomo solo dall'utilizzazione degli alimenti (per le piante con clorofilla va tenuto conto anche dell'energia luminosa solare). Dai materiali nutritivi è derivabile energia o per semplice scissione fermentativa di questi o per combustione più o meno completa, con intervento dell'ossigeno atmosferico (respirazione); ma è anche evidente che l'energia così derivabile non può essere utilizzata direttamente ed estemporaneamente, ma deve essere immagazzinata in forma facilmente disponibile sia come tempestività sia come intensità per le varie e talora acutissime prestazioni funzionali dell'organismo. È anche utile che tale forma sia ubiquitaria, cioè che rappresenti una comune moneta di scambio per tutte le cellule e organi. Infatti esistono complessi molecolari i quali possono assumere atomi di fosforo con legami cosiddetti "ricchi di energia" (~P), legami che si rescindono con facilità restituendo appunto tale energia che potrà essere utilizzata nelle operazioni più diverse (trasformazioni chimiche, in particolar modo sintetiche, lavorio osmotico, lavoro meccanico).
Tra queste sostanze fosforilate si ricorda soprattutto l'ATP o adenosintrifosfato (che si forma reversibilmente dall'ADP o adenosindifosfato, ATP⇄ADP+P+energia; perché l'equilibrio si sposti verso sinistra, cioè si immagazzini ATP, occorre l'energia ricavabile dalla fermentazione e ossidazione dei substrati alimentari); ma anche altri prodotti fosforilati possono avere quest'ufficio, sebbene meno ubiquitariamente; per il muscolo hanno importanza i cosiddetti fosfageni (quali il creatinfosfato, il sarcosinfosfato, e altri) i quali rappresentano delle stazioni intermedie e di riserva di fosforo per determinare una rapida resintesi di adenosintrifosfato.
È pertanto comprensibile che la biochimica della contrazione muscolare sia legata da una parte alla presenza di ATP che fornisce l'energia immediatamente utilizzabile (trasformabile) e dall'altra alle reazioni (spesso lunghe e complesse) sui substrati atte a reintegrare continuamente l'ATP scisso in ADP e P inorganico. Occorreranno piccole riserve di ~P (fosfageni e ATP), ma occorreranno soprattutto riserve della fonte energetica prima, cioè i metaboliti (per es., glicogeno), poiché il processo di restituzione di questi (alimentazione) è lento e intermittente, mentre la reazione ATP⇄ADP rappresenta un ciclo continuo.
Le operazioni inerenti alla trasformazione dei metaboliti, il cui risultato finale è, tra l'altro, il mantenimento d'una certa concentrazione di fosfageni e di ATP (e quindi la possibilità stessa della contrazione) si svolgono, per quel che riguarda i muscoli, nel sarcoplasma contenente i mitocondrî e i microsomi e - dentro e fuori di questi - gli apparati enzimatici relativi. Prendendo come punto di partenza di queste trasformazioni il glucosio (glicogeno) di cui i muscoli abbondano, lo schema oggi sufficientemente controllato delle possibili operazioni per la reintregrazione dell'ATP è quello indicato in fig. 2 (H. H. Weber, 1958)
Come poi l'ATP entri nel meccanismo di accensione della contrazione non è ben noto. Si sa, anche dai modelli costruibili in vitro con filamenti di actomiosina (o con fibre muscolari estratte con glicerolo, cioè ridotte praticamente al solo mioplasma), che a una certa concentrazione di ATP (e a una certa ionia del mezzo) si ha la contrazione durante la quale (o in seguito alla quale) tale ATP viene scisso; l'actomiosina ha infatti una potente azione ATPasica (cioè essa stessa catalizza la scissione dell'ATP). All'opposto una eccessiva concentrazione di ATP rende incontraibili le proteine contrattili poiché mantiene separate actina e miosina impedendo la formazione di actomiosina.
Ma il fenomeno del rilasciamento muscolare (dopo la contrazione) è molto più complesso e vi partecipano fattori biochimici, non ancora ben noti, contenuti nel sarcoplasma; tra questi alcuni fosfageni. Da ricerche molto recenti sembra assai probabile che il rilasciamento implichi l'attività del sistema sarcotubulare (reticolo endoplasmatico).
Fisiologia della contrazione muscolare. - L'accorciamento che subisce un muscolo nella contrazione è variabile. Può arrivare fino all'80% nel muscolo liscio, ma è generalmente del 30% nel muscolo scheletrico. Nei muscoli con contrazioni ritmiche ad altissima frequenza, quali quelle del volo degli insetti, l'accorciamento è modesto, del 4-5%. I modelli (fibre glicerinate, fibre artificiali di actomiosina) possono accorciarsi dell'80%, ma il loro movimento è notevolmente più lento, a causa della difficoltà della diffusione in essi dell'ATP. Sia nei muscoli integri, sia nelle fibre estratte in glicerolo, come anche nei modelli artificiali di actomiosina, si può raggiungere una tensione comparabile dell'ordine di 2-5 kg/cm2.
Normalmente l'impulso alla contrazione è fornito dalla terminazione nervosa (placca motrice) ove si libera acetilcolina, che sembra così essere anche in questa sede il mediatore chimico della trasmissione. L'acetilcolina è presto rimossa dall'acetilcolinesterasi, enzima che si può in effetti ben individuare a livello delle placche motrici (v. sopra). All'interno della fibra l'eccitamento viene veicolato alle strutture mioplasmatiche dal sarcoplasma, in un modo che è ancora in gran parte ignoto. Probabilmente hanno importanza, per la diffusione dei componenti ionici (vedi i fenomeni elettrici concomitanti) legati alla contrazione, i sistemi lacunari e canalicolari (reticolo endoplasmatico) di cui il sarcoplasma è fornito. Le fibre muscolari possono contrarsi anche solo distrettualmente (v. oltre: fisiopatologia).
Gli stimoli che, oltre a quello nervoso, possono far contrarre le fibre muscolari, possono però essere molteplici: meccanici, elettrici, termici, chimici, radiazioni.
Ogni stimolo può essere applicato sia direttamente al muscolo, sia sul nervo relativo. Per assicurarsi di studiare solo l'effetto della stimolazione in un muscolo intero occorre provvedere alla soppressione della funzione delle placche motrici (curarizzazione). Ogni stimolo può essere applicato secondo grandezze variabili, e allora si trova che esiste per ogni stimolo una soglia al di sotto della quale la stimolazione non è efficace. Quando si adoperi una corrente elettrica, si può parlare di corrente di soglia; il suo valore è detto anche reobase. Ma una data grandezza di stimolo non definisce ancora la stimolazione reale, la quale dipende anche dalla durata dello stimolo. Si definisce tempo di eccitazione quel tempo minimo necessario ad uno stimolo sopra la soglia per essere altrettanto efficiente quanto una stimolazione illimitata nel tempo. Applicando a un muscolo una corrente galvanica che sia il doppio della reobase e determinando a questo livello il tempo di eccitazione, si ottiene un valore utile per la comparazione fra i varî muscoli (normali e patologici) che si chiama cronassia: essa è evidentemente il reciproco della eccitabilità.
La contrazione muscolare presenta due aspetti: uno di questi è detto contrazione tonica o tono muscolare, in passato attribuito ad attività del sarcoplasma, oggi invece preferendosi interpretare come l'effetto d'una circolarità di contrazione che velocemente e a turno investe un variabile numero di fibre muscolari (a seconda del grado del tono). Su questo stato di contrazione tonica si inseriscono le contrazioni cloniche legate al sistema neurovolitivo.
La potenza della contrazione muscolare dipende in primo luogo dal numero delle fibre che sincronicamente si contraggono: per ognuna delle fibre vale infatti la legge del "tutto o niente". Ma altri fattori condizionano la potenza e l'ampiezza della contrazione: per es., la lunghezza e la tensione iniziale del muscolo (che sono tra loro esponenzialmente interdipendenti), dimostrandosi che fino a un certo limite la contrazione cresce con l'aumento della tensione iniziale; oltre questo limite invece diminuisce. Se un muscolo è teso fra due punti fissi, la sua contrazione (comunque evocata) si risolve in aumento della tensione (contrazione isometrica anziché isotonica).
Ma la stimolazione naturale, volontaria di un muscolo non è realizzata da impulsi volta a volta massicci e unitarî, bensì da treni di singoli impulsi coi quali si può appunto ottenere una squisita gradualità di effetti. Con la stimolazione elettrica (correnti indotte intermittenti) si può in parte riprodurre questa condizione e si può quindi analizzare il fenomeno del tetano (verificabile spontaneamente in patologia): a una certa frequenza degli impulsi elettrici si verifica che il muscolo non ha tempo di rilasciarsi completamente e ogni onda di contrazione si inserisce sulla precedente (tetano incompleto) o addirittura si oblitera ogni rilasciamento e si ottiene, per tutta la durata della stimolazione e finché non intervengano fenomeni di stanchezza, una curva a plateau (tetano completo). Si considera la contrazione fisiologica volontaria come risultante da una circolarità di contrazione semitetanica di singole unità motorie, che si inserirebbe sull'altra circolarità che dà il tono di fondo. La potenza della contrazione dipenderebbe anche qui dalla somma delle fibre impegnate.
Tra lo stimolo e l'inizio della contrazione trascorre un tempuscolo di latenza (periodo di latenza), che varia naturalmente a seconda della perfezione dei mezzi sperimentali di misura, ma che nella contrazione naturale ha valori molto bassi, al di sotto di 1 msec. (per ciò che riguarda il solo muscolo). La durata della contrazione varia a seconda del tipo di muscolo (nei muscoli rossi è più lenta che nei bianchi), dell'entità del carico, dello stato di fatica o meno, della temperatura ambiente, ecc.
Come tutte le attività fisiologiche anche la contrazione muscolare è accompagnata da manifestazioni elettriche che son dovute alle variazioni nella distribuzione topografica di determinati ioni (cioè di cariche elettriche positive o negative) tra l'interno e l'esterno della fibra e lungo la direttrice d'azione (onda contrattile).
L'interno e l'estenno della fibra costituiscono così un potenziale di polarizzazione che si può rivelare con elettrodi applicati alle due parti; se la fibra è in parte lesionata, anche due elettrodi superficiali mostreranno l'esistenza di un diverso potenziale tra parte sana e parte lesionata, quest'ultima divenendo più elettronegativa: è questo il potenziale di lesione. Se la superficie della parte sana della fibra viene stimolata, il suo potenziale diviene più elettronegativo e si avvicina a quello dell'interno della fibra e cioè della parte lesionata. La variazione di potenziale ha in questo caso un andamento monofasico (potenziali di attività monofasici): se invece si stimola una fibra sana e gli elettrodi per l'esplorazione elettrofisiologica sono posti alla superficie della fibra e distanti fra loro, si ottengono potenziali di attività difasici: nel punto A della stimolazione (corrispondente a uno dei due elettrodi di esplorazione) il potenziale di superficie si abbassa e si avvicina a quello dell'interno, diviene quindi più elettronegativo rispetto alla zona B corrispondente all'altro elettrodo esplorante, e si determina quindi fra i due punti una differenza di potenziale registrabile con una deflessione in un senso del galvanometro; ma immediatamente dopo il processo di eccitazione raggiunge anche B, annullandosi quindi la deflessione; successivamente ancora questa si ripristina in senso opposto, poiché in A il ritorno alle condizioni di partenza precede il ritorno in B (che per un tempuscolo è a sua volta elettronegativo rispetto ad A; v. fig. 3).
Queste correnti bioelettriche, che si generano durante l'azione muscolare e a causa di questa (correnti di azione), possono essere derivate da elettrodi aghiformi infissi nei muscoli, o addirittura dalla cute: si possono così ottenere degli elettromiogrammi, che sono assai utili per lo studio dello stato fisiopatologico dell'apparato muscolare.
Nella contrazione il ritmo dominante delle onde registrabili è di 50-100, con irregolarità. Mentre la maggior parte degli Autori afferma non potersi avere un'immagine miografica del tono muscolare, altri (P. Delmas-Marsalet, 1952) sostengono che si può fare un'elettromiografia analitica in cui scorgere e differenziare l'attività tonica da quella clonica.
Potenziale di placca. - Se un elettrodo d'un conduttore bipolare diretto è posto sulla regione di giuntura mioneurale di un muscolo mentre l'altro elettrodo è posto più lontano, e si stimola il nervo, si ottiene, come si è visto, una corrente d'azione bifasica; ma se si impedisce la diffusione dello stimolo oltre il livello della placca mediante curarizzazione del muscolo, la stessa stimolazione provoca ancora un modesto potenziale elettrico, monofasico e negativo, all'elettrodo giunzionale; si considera questo potenziale come sorgente al livello delle placche motrici e viene pertanto definito "potenziale di placca".
Propriocettori muscolari. - Esistono organi sensitivi nervosi o neuromuscolari che provvedono a regolare, controllare l'entità della contrazione dei varî fasci muscolari e dei muscoli in toto. Questi sono posti o in vicinanza del tendine o entro la massa del tessuto muscolare (fusi neuromuscolari); con questi e con altri più complessi meccanismi viene assicurata la cosiddetta "cibernetica" della contrazione muscolare.
Energetica della contrazione muscolare. - L'energia corrispondente alla scissione dell'ATP è trasformata parte in energia meccanica (movimento in condizioni isotoniche o aumento di tensione in condizioni isometriche), parte in calore. L'energia meccanica è impiegata a compiere un lavoro solo se la condizione è isotonica e al muscolo è applicato un certo peso (deve spostare la leva di un segmento scheletrico con variabile resistenza).
È noto che per tutte le macchine il lavoro che può essere effettuato con esse è tanto maggiore quanto minore è la dispersione in calore, ma questo principio non si applica alla contrazione muscolare (W. O. Fenn, 1923-24; A. V. Hill, 1949-1953). In questa condizione fisiologica si realizza infatti la seguente relazione: energia liberata = calore di attivazione + calore di accorciamento + lavoro eseguito, ove il calore di attivazione è quello prodotto dal muscolo durante la contrazione isometrica e corrisponde al totale dell'energia liberata, poiché gli altri due addendi del secondo termine dell'equazione sono in questo caso nulli. Dunque l'energia totale liberata è maggiore quando il muscolo funziona in condizioni isotoniche, che quando funziona in condizioni isometriche.
Se il muscolo è caricato con pesi via via maggiori (lavoro crescente), la quantità d'energia liberata diviene anche maggiore, ma il calore d'accorciamento non dipende dal lavoro compiuto, e il muscolo si comporta non come una molla che solleva un peso bensì e piuttosto come un motore elettrico che sotto un maggior carico assorbe proporzionalmente maggior energia dal circuito di alimentazione. Il rapporto fra il lavoro eseguito e l'energia totale spesa esprime l'efficienza meccanica di un muscolo, ed essa dipende da molti fattori tra cui il tipo di lavoro compiuto, la velocità, intensità e durata dello sforzo e il grado di allenamento per quel particolare tipo di sforzo (C. J. Wiggers, 1949). Così è stato calcolato che la macchina muscolare ha un rendimento del 20-25% nelle corse in bicicletta, mentre in certe prestazioni atletiche di eccezione tale rendimento può arrivare fino al 40 e 41%.
Fisiopatologia dell'apparato muscolare.
Aspetti generali. - La fatica e l'esaurimento muscolari. - A realizzare lo stato definito di fatica concorrono varî elementi, non tutti di origine o di natura muscolare, contribuendovi talora in larga misura una situazione psichica che può non corrispondere a una reale stanchezza muscolare quale potrebbe essere espressa dalla misura dell'acidosi tessutale (aumento dei cataboliti acidi della glicolisi). Come fenomeno obbiettivo la fatica puo essere definita una transitoria diminuzione del potere contrattile e quindi lavorativo dei muscoli, riparabile più o meno rapidamente nel riposo. I muscoli, è noto, possono lavorare a debito di ossigeno per un certo tempo, sviluppando uno stato di acidosi che viene eliminato con la completa combustione dei metaboliti intermedî acidi della scissione glicolitica. Ciò si fa attraverso la respirazione (iperpnea da sforzo), la quale provvede nel contempo a ripristinare le riserve energetiche del muscolo.
Nel complesso fenomeno della fatica, nell'organismo integro, e a parte la componente psichica, si può distinguere una fatica del neurone motore (cellula e fibra nervose), una fatica della placca e una fatica propriamente muscolare. Il nervo è il meno affaticabile; la placca può andare incontro a fatica più precocemente che non la fibra contrattile in quanto tale. Le sinapsi centrali (nella contrazione volontaria, cioè nelle prove di lavoro e sportive) sono in genere più affaticabili che non le placche e i muscoli.
Spasticità e miotonia. - La spasticità è uno stato di maggiore contrazione tonica che perdura per un certo tempo o è permanente. Tale stato si produce quando i riflessi propriocettori non sono più sottoposti al controllo centrale (encefalico) in seguito alla distruzione del fascio piramidale.
La miotonia è una contrazione che persiste oltre la norma dopo stimolazione volontaria, o meccanica o elettrica; è quindi come una deficienza del meccanismo complesso del rilasciamento. Talora assomiglia alla contrattura, ma in realtà si tratta di un tetano asincrono delle fibre. Esistono delle capre ereditariamente miotoniche, le cui condizioni però non migliorano col curaro né in seguito a taglio o degenerazione del nervo. Sembra che in questo caso sia un disturbo del funzionamento della sostanza propria delle fibre; ma anche nella miotonia umana è stato visto che fibre estratte (glicerinate) dimostrano in vitro un rilasciamento difficoltato (A. Corsi e C. Gentili, 1959).
Flaccidità e mioastenia. - Un muscolo perde il suo naturale tono e diviene flaccido qualche tempo dopo la soppressione delle sue connessioni nervose (denervazione: paralisi flaccida); prima di divenire completamente flaccido la condizione patologica consiste in una minore eccitabilità, in un'incapacità a sviluppare la consueta tensione, in un prolungamento delle contrazioni evocabili. In seguito, quando il muscolo è flaccido, è ancora stimolabile con mezzi che raggiungono direttamente il muscolo.
La mioastenia è una particolare debolezza di tutti o di alcuni gruppi muscolari, che può avere origine varia e, in genere, complessa. Può infatti intervenire per compromissione del sistema nervoso, ma può anche essere legata a disturbi endocrini, quali l'ipertiroidismo e l'insufficienza surrenale. Pertanto non è risolvibile (nel caso che lo sia) con uno stesso intervento in tutti i casi
Contrattura. - Spesso a causa della stessa fatica, o per eccesso di eccitazione, o per effetti termici (contratture da calore, da decongelazione), o per sostanze tossiche (per es. veratrina), si determina uno stato di contrazione non propriamente di origine neurogena, spesso irreversibile. Qualche volta essa investe solo alcune sezioni di una fibra muscolare, formandosi allora in essa le cosiddette bande di contrazione o di irreversibile contrattura. Esse sono frequentemente riscontrabili in patologia, poiché è un fenomeno abnorme che si verifica specialmente quando la fibra si contrae massivamente, ma isometricamente (come quando singole fibre entrano in contrattura senza possibilità di un effetto meccanico sull'intero segmento scheletrico); allora le parti della fibra che rimangono tra due bande di contrazione sono abnormemente distese. Il sarcoplasma e il mioplasma in corrispondenza delle bande possono successivamente coagulare irreversibilmente, formando così il materiale dei cosiddetti blocchi cerei di Zenker (necrosi a zolle).
Rigor. - È una speciale contrattura assolutamente irreversibile. Si conosce un rigor mortis, uno da calore, da decongelazione (piuttosto contrattura), e da acqua. Si arriva a una coagulazione del protoplasma che è sempre un fenomeno mortale. Il rigor mortis interviene spontaneamente a varia distanza dalla morte (dai 10′ a 7 ore, dipendendo ciò da varî fattori, tra cui anche la temperatura ambientale) e colpisce progressivamente il muscolo diaframma, i muscoli del collo, della mascella e via di seguito. Un soggetto che muoia dopo una fatica o comunque violenta attività muscolare, va incontro più rapidamente al rigor; egualmente avviene nelle anossie, negli avvelenamenti da caffeina, da acido cianidrico, da dinitrofenolo, ecc. Oggi si dà la massima importanza, per la genesi del rigor, a un esaurimento dell'ATP che provoca una superprecipitazione di actomiosina. In effetti, in queste condizioni (come nella contrattura), lo spettro delle proteine estraibili dal muscolo è diverso dalla norma (presenza della "contractina" o "γ-miosina": G. F. Azzone e collab. 1958). Il rigor mortis scompare dopo un ulteriore periodo di tempo, che può variare secondo i casi da 1 a 6 giorni.
Fibrillazione e fascicolazione. - Si tratta di contrazioni asincrone, ripetute, di singole fibre o parti di esse (fibrillazione) o di gruppi di fibre (fascicolazione) il cui effetto finale è quello di un tremolio più o meno fine, avvertibile alla superficie del muscolo scoperto; il muscolo non è raccorciato appunto per la asincronicità del fenomeno. Nel brivido si ha fascicolazione. Probabilmente la fibrillazione è dovuta a impulsi spontaneamente sorgenti a livello delle placche motrici, ma vi è ancora incertezza su ciò: per es. essa non è molto influenzata dal curaro (nel senso della diminuzione), né dalla eserina o fisostigmina (nel senso dell'accentuazione). Si ha fibrillazione nel muscolo denervato, o quando il muscolo stesso è investito da forte corrente elettrica, nel tetano e in alcune malattie muscolari, quale per esempio la miotonia.
Effetti della denervazione. - Come si è visto, dopo la denervazione il muscolo gradualmente si avvia ad una paralisi flaccida; intanto s'instaura una fibrillazione assai minuta, il cui inizio coincide con la degenerazione completa del nervo e, così fibrillante, il muscolo va incontro a progressiva atrofia e anche degenerazione (atrofia degenerativa, vedi oltre). Un muscolo denervato risponde abnormemente alla stimolazione elettrica (eseguita sull'organismo integro e perciò attraverso la cute): si ha diminuzione di risposta alla corrente faradica e la cosidetta "reazione degenerativa" (di Erb) alla corrente galvanica, consistente in un'eccitabilità maggiore all'anodo anziché al catodo in chiusura, e talora in una maggiore eccitabilità all'apertura che alla chiusura del circuito.
Atrofia. - Un muscolo inattivo per denervazione o per tenotomia o per immobilizzazione dell'arto, va incontro a progressiva atrofia; essa è naturalmente maggiore se l'origine è la denervazione: in questo caso infatti, oltre a fenomeni di atrofia, si hanno anche fenomeni di degenerazione cellulare. L'atrofia consiste in una progressiva diminuzione di volume delle singole fibre e naturalmente della quantità dei loro componenti sarco- e mioplasmatici. I nuclei aumentano cospicuamente di numero in un tentativo di rigenerazione (che può essere efficace se l'innervazione si ristabilisce o se comunque si riprende l'attività). La birifrangenza delle fibre atrofiche è minore di quella delle fibre normali; vi sono anche cambiamenti biochimici nella compagine sarco- e mioplasmatica che possono in parte essere attenuati da una stimolazione artificiale (elettrica), ritmica e ripetuta. Atrofia si ha anche nel corso di altre condizioni fisiopatologiche, spesso allora accompagnata da fatti degenerativi.
Degenerazione del muscolo. - La struttura delle fibre muscolari è molto vulnerabile: insulti meccanici (punture, strappi, contrazioni isometriche massimali), termici (ipertermia), elettrici, chimici varî, tossinici, anossici; condizioni di dismetabolismo conseguenti ad avitaminosi (per es., avitaminosi E), a disormonie (tiroide, corticale surrenale), a disionie, ecc., provocano alterazioni spesso irreversibili della compagine delle fibre, sovente anzi accompagnate o precedute da fenomeni contratturali irreversibili, a bande.
Queste bande, che divengono altrettante bande di gelificazione (rigor irreversibile) si isolano poi dal resto costituendo le zolle della necrosi a zolle di Zenker. L'aspetto macroscopico è quello della degenerazione cerea.
Qualche volta si osservano contemporaneamente, in fibre non ancora molto alterate, modificazioni nel decorso delle miofibrille (formazione di strutture anulari). I nuclei anche qui aumentano molto di numero e si hanno anche fenomeni cospicui di attività rigenerativa che vanno innanzi variamente a seconda della situazione e del perdurare della noxa degenerativa.
Patologia speciale. - Oltre l'atrofia da non uso, l'atrofia e degenerazione da denervazione, che sono già state ricordate, i muscoli scheletrici vanno incontro a fenomeni regressivi atrofici e degenerativi in varie altre condizioni fisiopatologiche di una certa durata: ipertermie, tossinfezioni generali, disordini endocrini (in specie tiroidei e corticosurrenalici), particolari disturbi metabolici endogeni, come per es. nella glicogenosi, ed esogeni come nell'avitaminosi E in molte specie. Quest'ultima può provocare una massiccia degenerazione muscolare (distrofia alimentare) che porta a morte, ma che entro un certo limite di tempo può guarire mediante somministrazione del fattore mancante, con una rigenerazione delle fibre altrettanto estesa. Anche la deficienza di potassio provoca degenerazione muscolare.
Esistono poi le malattie muscolari specifiche, sia concomitanti a lesioni nervose o secondarie a queste, sia primitive; alcune di esse sono a carattere ereditario o hanno comunque un fondo genetico, e non raramente rappresentano un aspetto d'una sindrome complessa a cui partecipano alterazioni endocrine. Ricordiamo: la distrofia muscolare progressiva ereditaria (e altre forme distrofiche insorgenti tardivamente nell'adulto) con atrofia e degenerazione graduale delle fibre e loro sostituzione con connettivo adiposo; la miotonia di Thomsen, caratterizzata da un tono contrattile che scompare solo lentamente dopo la contrazione (si è prima visto che questa condizione si può ritrovare anche nelle fibre isolate, glicerinate), da un aumento di volume di molte fibre, con abbondante sarcoplasma e molti nuclei centrali, in file, e con andamento anomalo delle miofibrille; la miotonia di Steinert, a evoluzione più rapida, con note atrofico-degenerative, spesso associata a disturbi psico-neuro-endocrini; la myasthenia gravis, in cui non esistono lesioni morfologiche apprezzabili nelle fibre, talora solo infiltrati linfocellulari nell'interstizio e spesso iperplasia del timo: la debolezza muscolare caratteristica di questa malattia si fa risalire a un difetto a livello delle placche motrici con esagerata attività dell'acetilcolinesterasi, poiché gli inibitori di questa, come la prostigmina, migliorano lo stato del miastenico; infine la paralisi familiare periodica in cui si verificano, a intervalli, crisi di ipopotassiemia e paralisi muscolare, facilmente risolvibili con somministrazione di potassio.
Studî recentemente intrapresi per chiarire nelle varie malattie muscolari il concatenamento patogenetico sono ancora agli inizî: sono indagati i sistemi enzimatici muscolari e sierici, i componenti proteici estraibili dal muscolo a bassa e ad alta forza ionica, il contenuto in composti ad alto livello energetico, il ricambio ionico. Ma i risultati sono ancora in gran parte puramente descrittivi, persino per quelle miopatie di cui si conosce bene l'etiologia, come quelle sperimentali avitaminosiche.
La stima dell'escrezione della creatinina e della creatina con le orine offre un indice di gravità (intesa come estensione) del processo patologico che investe i muscoli, quando questo comporti una modificazione regressiva delle fibre.
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