ripartizione, sistema pensionistico a
Una delle modalità di finanziamento di un sistema pensionistico (tradotto nel linguaggio anglosassone con l’espressiva locuzione pay as you go), in base alla quale le pensioni erogate sono pagate con i contributi di chi è in servizio in quell’epoca. In definitiva, l’onere pensionistico è ripartito sui lavoratori correnti. In aggiunta, vi è un contratto esplicito o implicito secondo cui le pensioni degli attuali attivi (che in tal modo nulla devono accantonare per il loro ciclo vitale inattivo) saranno pagate da chi lavorerà in futuro. Si contrappone al sistema pensionistico a capitalizzazione (➔ capitalizzazione, sistema pensionistico a), nel quale gli attivi versano contributi per loro stessi quando saranno vecchi (e non gli attuali pensionati), contando sul fatto che il montante contributivo generarà le risorse necessarie all’erogazione delle loro pensioni (➔ anche defined-benefit; defined-contribution).
Il sistema a r. è stato il fulcro dell’organizzazione del sistema pensionistico italiano nel secondo dopoguerra, fino alle riforme del 1995 e del 2007. In quest’ultima si crea per dipendenti privati una duplice struttura: quella di base, obbligatoria, che continua a essere a r., e quella complementare, finanziata a capitalizzazione. La pensione complementare è articolata in due sezioni. La prima prevede l’adesione collettiva agevolata di lavoratori dipendenti privati (o più raramente appartenenti a certe categorie di lavoratori autonomi o professionisti), a fondi pensione negoziali chiusi operanti a capitalizzazione; la seconda l’adesione individuale a fondi pensione aperti o a piani pensionistici individuali operanti, sempre a capitalizzazione, in un’ottica di equità attuariale individuale. Per quanto riguarda il calcolo dei benefici pensionistici, sia la parte obbligatoria sia quella complementare saranno agganciate, a regime, alla logica detta della contribuzione definita con livello delle pensioni variabile, non più direttamente collegato alla retribuzione degli ultimi anni di servizio attivo (come previsto prima della riforma Dini, l. 335/1995), ma derivante dalla trasformazione in rendita, secondo le regole attuariali (precisamente secondo un coefficiente di trasformazione dipendente dall’età), del montante ottenuto dalla capitalizzazione dei contributi dei lavoratori (e della parte del TFR versato al fondo complementare INPS o a quello negoziale). Il montante è a sua volta calcolato con logiche di rendimento figurativo dei contributi versati per la parte obbligatoria, e tenendo conto dell’effettivo rendimento dei fondi pensione negoziali per la parte complementare.
L’inversione di rotta è stata in qualche modo una scelta obbligata. Il sistema a r. risulta infatti gradito e sostenibile in un contesto economico in espansione, nel quale il volume delle pensioni è relativamente basso rispetto al monte salari, sia per la crescita dei redditi pro capite collegata alla produttività, sia per l’espansione della base produttiva e dunque del numero di lavoratori attivi. Ne consegue che prelievi calcolati applicando una aliquota contributiva relativamente modesta sui salari correnti possono garantire senza difficoltà il pagamento delle pensioni correnti. Invece, quando il sistema economico ha raggiunto una situazione stazionaria, con produttività stagnante e numero di occupati stabile o addirittura in declino, mentre sia il numero dei pensionati sia il livello medio dei trattamenti pensionistici in essere sono in continua ascesa, il volume dei contributi correnti necessari a pagare le pensioni diventa insostenibile. In ogni caso, un sistema a r. strutturato in più comparti segmentati costituisce una potenziale fonte di iniquità, poiché avvantaggia i settori in espansione numerica e/o in crescita di produttività e danneggia (esasperandone le difficoltà) quelli in declino numerico e produttivo.