PENSIONISTICO, SISTEMA.
– Sistemi pubblici e privati. Classificazione in base ai metodi di finanziamento della spesa e di calcolo delle prestazioni. Bibliografia
Il s. p. è un’istituzione il cui obiettivo primario consiste nell’offrire un reddito stabile e sicuro alla popolazione anziana, evitando, al contempo, di disincentivare le scelte individuali di risparmio e di lavoro. Tali sistemi sorgono per assicurare gli individui contro il cosiddetto rischio di vecchiaia, derivante dal fatto che gli anziani, non avendo più un’adeguata capacità lavorativa, potrebbero ritrovarsi indigenti se non hanno risparmiato sufficientemente nel corso della vita. L’adesione al sistema è obbligatoria perché gli individui non sono in grado di prevedere con esattezza i propri bisogni futuri e di risparmiare adeguatamente.
La definizione del concetto di reddito stabile e sicuro e, dunque, il tipo di sistema pensionistico realizzato, possono differenziarsi fortemente a seconda dei contesti. Per es., secondo l’impostazione di William Beveridge, si possono tutelare gli individui unicamente contro il rischio di povertà, limitandosi a offrire prestazioni di importo contenuto e indipendenti da quanto si è versato come contributi; alternativamente, nella prospettiva di Otto von Bismarck, si affida al s. p. anche un ruolo assicurativo e si offrono pensioni legate al precedente reddito lavorativo; o, ancora, si affida al
s. p. il compito di realizzare il mero trasferimento di reddito fra le diverse fasi della vita degli individui e si prevedono prestazioni strettamente commisurate ai contributi versati.
Sistemi pubblici e privati. – La letteratura economica non prescrive in modo unanime la tipologia di s. p. da preferire, come conferma l’osservazione dei sistemi realizzati nei vari Paesi. In primo luogo, il s. p. potrebbe essere sia pubblico sia privato: in ambito previdenziale, infatti, i fallimenti del mercato non risultano talmente profondi da impedire l’esistenza di schemi privati, principali o complementari (Barr 1987, 20125).
Sebbene molti autori evidenzino i pregi del sistema pubblico e segnalino che gli schemi privati, soprattutto se poco regolamentati, possono risultare iniqui e inefficienti (Orszag, Stiglitz 2001; Barr, Diamond 2008), il s. p. può essere gestito sia dallo Stato sia dal mercato. A conferma di ciò, in molti casi (in Europa soprattutto nei Paesi scandinavi e in quelli anglosassoni), si realizzano sistemi misti, in cui i lavoratori versano contributi sia allo schema pubblico sia a fondi privati. Invece, come avviene in gran parte dei Paesi latinoamericani, l’intervento pubblico può limitarsi alla regolamentazione dei fondi pensione privati e all’offerta di una prestazione di importo molto basso per gli indigenti.
La divisione fra pubblico e privato non è però così netta come potrebbe apparire a prima vista. Da un lato, infatti, può essere ben diversa la dimensione del settore pubblico a seconda che, per es., si limiti a fornire a tutti una pensione minima che aiuti a non correre il rischio di povertà da anziani (come nel Regno Unito), o preveda elevati contributi e alte pensioni legate alla carriera individuale (come in Francia). Dall’altro, il tipo di sistema privato può concretarsi in forme molteplici, a seconda del grado di regolamentazione pubblica e dei vincoli all’adesione dei lavoratori a fondi di tipo occupazionale o personale (in Italia, fondi chiusi o aperti): ai primi possono aderire, generalmente, solo i lavoratori dell’impresa o della categoria che li gestisce, l’entità della contribuzione è stabilita nel contratto collettivo e la gestione è concertata con le parti sociali; l’adesione ai secondi, invece, non è vincolata allo status occupazionale e i fondi, gestiti solitamente da banche e assicurazioni, concorrono liberamente sul mercato per attrarre iscritti.
Classificazione in base ai metodi di finanziamento della spesa e di calcolo delle prestazioni. – Al di là dell’istituzione pubblica o privata che lo gestisce, il s. p. si differenzia a seconda del metodo di finanziamento della spesa e del metodo di calcolo delle prestazioni adottato. La spesa può essere finanziata ‘a ripartizione’ o ‘a capitalizzazione’. In un sistema a ripartizione ogni anno i lavoratori versano contributi (o pagano imposte) che vengono trasferiti sotto forma di pensione alla generazione anziana. A livello contabile, ogni anno c’è un trasferimento diretto di reddito dai giovani agli anziani e si realizza, pertanto, un esplicito legame intergenerazionale. Dal momento che la ripartizione si basa su una promessa – verso contributi da giovane perché quando sarò anziano i futuri giovani verseranno anch’essi contributi coi quali verrà pagata la pensione –, tale sistema può essere solo pubblico, perché unicamente lo Stato ha il potere coercitivo per garantire il soddisfacimento della promessa (alternativamente, un sistema privato può finanziarsi a ripartizione soltanto in presenza di una stringente regolamentazione pubblica sulla dinamica futura di entrate e uscite, come accade in Italia per le casse previdenziali degli ordini professionali). La ripartizione è molto attraente quando si crea (o si amplia) il s. p. perché, trasferendo immediatamente i contributi dei lavoratori, consente di pagare pensioni anche a chi non aveva versato in precedenza contributi. In un sistema a capitalizzazione, invece, i contributi versati dai lavoratori non vengono trasferiti agli anziani, ma vengono accumulati in conti individuali; una volta raggiunta l’età pensionabile il lavoratore finanzierà la propria pensione mediante l’ammontare così accumulato e la pensione dipenderà dai contributi versati e dal rendimento ottenuto dal loro impiego.
Indipendentemente dal metodo di finanziamento adottato, le prestazioni da erogare possono essere calcolate in base al metodo a benefici definiti oppure al metodo a contributi definiti.
In uno schema a benefici definiti le regole che legano l’importo della pensione alle caratteristiche individuali sono note: per es., la prestazione pensionistica può essere commisurata all’andamento delle retribuzioni salariali percepite nel corso della carriera, al numero di anni di lavoro o ai contributi versati capitalizzati a un tasso prestabilito. L’importo della prestazione non dipende, dunque, dalla variabilità di grandezze esogene per l’individuo (per es., il tasso di crescita del PIL o un tasso di rendimento finanziario) e l’incertezza sull’entità della prestazione è legata unicamente alla ‘storia’ dell’individuo (per es., il numero di anni di contribuzione o di residenza in un Paese o l’entità dell’ultima retribuzione). Fra gli schemi a benefici definiti molto diffuso è il metodo earnings related (in Italia chiamato retributivo), in cui la pensione è calcolata come quota di parte delle retribuzioni percepite durante la carriera.
Uno schema è a contributi definiti quando viene stabilito unicamente l’ammontare dei contributi da versare e non l’entità della prestazione, la quale non è più legata (con una qualche formula) alla storia individuale, ma dipende solo da quanto si è versato e dal tasso di rendimento incerto e non prestabilito che viene corrisposto sui versamenti contributivi (laddove il tasso di rendimento sia garantito lo schema è, invece, a beneficio definito).
Qualora la spesa sia finanziata a capitalizzazione, negli schemi a contributi definiti i versamenti sono investiti sul mercato e, quindi, la pensione dipende dall’andamento dei titoli in cui si investe. In alcuni Paesi europei (tra cui, Svezia, Polonia e Italia, in seguito alla riforma Dini del 1995) all’interno dello schema pubblico a ripartizione si è adottato il cosiddetto metodo di calcolo a contribuzione definita nozionale (contributivo), ovvero uno schema a contributi definiti nel quale il tasso di rendimento offerto sui versamenti non è dato dal saggio di interesse effettivamente conseguito nel mercato (essendo lo schema a ripartizione i contributi non sono investiti sul mercato), ma da un saggio nozionale legato all’andamento di alcune variabili macroeconomiche (in Svezia la massa salariale, in Italia il PIL nominale).
Al di là della difficoltà di gestione di schemi a ripartizione privati, le caratteristiche dei sistemi pensionistici possono combinarsi in ogni modo. I sistemi a ripartizione e a capitalizzazione possono essere organizzati sia a benefici che a contributi definiti e sia il settore pubblico che il mercato possono gestire schemi a capitalizzazione. La molteplicità di combinazioni è confermata dall’osservazione dei sistemi realizzati nei vari Paesi: esistono, infatti, schemi pubblici a capitalizzazione, sia a contributi definiti (in alcuni stati asiatici) che a benefici definiti (come quello proposto in passato per l’Italia dal premio Nobel Franco Modigliani), sistemi pubblici a ripartizione a contributi definiti (come il contributivo in Italia) o a benefici definiti (come il retributivo in Italia e quelli tuttora vigenti in gran parte dei Paesi UE). Al contempo, gli schemi privati a capitalizzazione possono pagare prestazioni calcolate sia a contributi definiti (per es., i Paesi latinoamericani o i fondi complementari italiani) o a benefici definiti (come molti fondi occupazionali scandinavi e statunitensi).
Bibliografia: N. Barr, Economics of the welfare state, London 1987, Oxford 20125; F. Modigliani, M. Ceprini, Come salvare la pensione riformando il metodo di finanziamento dei sistemi previdenziali europei: il caso dell’Italia, «Rivista di politica economica», 2000, 90, pp. 185-204; P. Orszag, J. Stiglitz, Rethinking pension reform: 10 myths about social security systems, in New ideas about old age security, ed. R. Holzmann, J. Stiglitz, Washington 2001, pp. 17-56; Pension reform. Issues and prospects for non-financial defined contribution (NDC) schemes, ed. R. Holzmann, E. Palmer, Washington 2006; The Oxford handbook of pensions and retirement income, ed. G.L. Clark, A.H. Munnell, J.M. Orszag, Oxford 2006; N. Barr, P. Diamond, Reforming pensions: principles and policy choices, Oxford 2008; Rapporto sullo stato sociale, a cura di F.R. Pizzuti, Napoli 2013, 20153.