Sistema piramidale
Fisiologia del sistema piramidale, di Charles G. Phillips
Patologia del sistema piramidale, di Giorgio Macchi
Fisiologia del sistema piramidale
SOMMARIO: 1. Introduzione: a) strategia della ricerca; b) localizzazione di funzione e localizzazione di lesione. □ 2. Mappe e soglie della stimolazione corticale: a) metodologia; b) la mappa motoria ‛classica': aree ‛precentrali' e ‛supplementari'; c) carattere ‛graduato', ‛non netto', della localizzazione; d) la mappa con ‛singoli impulsi'; accessibilità preferenziale dei motoneuroni distali; e) effetto della sezione del tratto piramidale sulla soglia e sull'accessibilità. □ 3. Morfologia del tratto piramidale: a) conoscenza del tratto piramidale nel 1900; b) aree corticali e cellule d'origine del TP; c) distribuzione degli assoni del TP nel midollo allungato e nel midollo spinale; d) distinzione tra collaterali piramidali e assoni ‛extrapiramidali'; e) terminazioni nel tronco dell'encefalo; f) la posizione del tratto corticospinale nei funicoli; g) terminazione degli assoni corticospinali; h) evoluzione della componente corticomotoneuronica del TP nei Primati. □ 4. Microfisiologia delle cellule di origine del tratto piramidale e della rete neuronica della quale fanno parte: a) contributi degli studi microelettrodici; b) importanza degli studi comparativi. □ 5. Microfisiologia del tratto piramidale del gatto: a) identificazione antidromica e proprietà dei neuroni del TP; b) microfarmacologia della trasmissione sinaptica ai neuroni TP; c) azioni di collaterali ricorrenti degli assoni del TP; d) afferenze periferiche ai neuroni TP; e) reti cerebrali intrinseche formate in parte dal TP; f) distribuzione e azioni delle efferenze piramidali: scelta del punto di stimolazione; g) azioni dirette e indirette di stimoli elettrici sui neuroni TP; h) apparato per il controllo delle afferenze al sistema nervoso centrale; i) apparato per il controllo delle efferenze dal sistema nervoso centrale; l) azioni del TP sugli archi riflessi; m) la proiezione del TP ai neuroni fusimotori. □ 6. Microfisiologia del tratto piramidale nei Primati: a) stimolazione diretta e indiretta dei neuroni del TP; b) la proiezione corticomotoneuronica (CM); c) estensione spaziale delle colonie corticali CM; d) proiezione CM ai motoneuroni α di gruppi muscolari diversi; e) proiezione corticospinale ai neuroni fusimotori. □ 7. Funzioni del tratto piramidale in differenti mammiferi: a) riassunto delle implicazioni funzionali della struttura; b) ruoli relativi della retroazione interna (internal feedback) e della retroazione dipendente dalla risposta (response feedback) nelle prestazioni motorie e nella percezione della posizione e del movimento; c) esperimenti di ablazione e funzione; d) prove elettrofisiologiche dell'attività precentrale che precede il movimento; e) considerazioni conclusive su stimolazione elettrica e funzione. □ 8. Riepilogo. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
a) Strategia della ricerca.
La storia del tratto piramidale offre un eccellente esempio dello scopo, e anche dei fondamentali limiti, di una delle più importanti strategie della ricerca neurologica nel XX secolo. Si è creduto per molto tempo che la base fondamentale dell'attività nervosa centrale, cioè del comportamento umano e animale, fosse la convergenza antagonistica, quantitativamente graduata, di sinapsi eccitatorie e inibitorie sui dendriti estesamente ramificati delle cellule nervose (v. Sherrington, 1906). Non è stato però possibile studiare in modo completo tali interazioni entro i confini di un qualsiasi ‛centro' nervoso superiore; la strategia, pertanto, è stata quella di astrarre dalla complessa totalità del cervello un ‛centro' connesso ad altri centri tramite un ben definito tratto assonico. Nella terminologia di Sherrington, un tale tratto funziona come una ‟via comune" - comune a tutte le afferenze che convergono sul centro. Esso inoltre offre al neurofisiologo una chiave per comprendere l'organizzazione del centro: il neurofisiologo può, infatti, attivare artificialmente le afferenze e osservare le azioni sinaptiche, finemente graduate, sulle membrane plasmatiche delle cellule efferenti e può cercare di identificare le sostanze chimiche specifiche che trasmettono queste azioni; può registrare le efferenze degli impulsi tutto-o-nulla negli assoni del tratto, e cercare di individuare le potenzialità di trasferimento delle informazioni del sistema entrata-uscita. Ancora, può accertare la gamma delle possibilità funzionali inerenti alla struttura e alla distribuzione delle efferenze mandando salve di impulsi lungo il tratto e registrando le risposte delle cellule intrinseche o efferenti dei centri bersaglio; può accertare in che misura queste possibilità sono di fatto realizzate nel comportamento dell'animale, o se siano necessarie in modo specifico per esso, tagliando il tratto, cioè eliminando la connessione tra i ‛centri bersaglio' e i ‛centri efferenti' e può osservare ogni deficit delle prestazioni sia in situazioni sperimentali appositamente ideate sia nel comportamento spontaneo. E infine, egli ora ha a disposizione una tecnica che gli permette l'esame dell'attività di cellule del tratto, sia in apposite prove sia nel comportamento spontaneo; infatti è possibile registrare per mezzo di microelettrodi inseriti nel cervello da un micromanipolatore in miniatura controllato a distanza e precedentemente fissato al cranio in un'operazione eseguita sotto anestesia.
La strategia ha ovvie limitazioni. In primo luogo ha portato a scarsi progressi riguardo al problema, di fondamentale importanza, delle presunte modificazioni della trasmissione sinaptica nell'apprendimento. In secondo luogo, il piccolo numero di neuroni esaminati durante attività naturali può non essere rappresentativo delle prestazioni delle enormi popolazioni che si presume siano coinvolte nel comportamento complesso, e in particolare dei piccoli neuroni che ne costituiscono la maggioranza, in quanto è certo che i neuroni da cui si registra sono prevalentemente i neuroni più grandi, che sono una minoranza. In terzo luogo, il concentrarsi sul centro isolato e sulle sue vie di proiezione può favorire una considerazione eccessiva della sua importanza funzionale. Perciò, al tratto piramidale è stato spesso attribuito un ruolo più importante di quanto in effetti abbia nel controllo del movimento da parte del cervello.
b) Localizzazione di funzione e localizzazione di lesione.
Durante la prima metà del XIX secolo, gli scienziati credevano che ‟non vi fosse una localizzazione di funzioni particolari in zone particolari e che la corteccia agisse per ciascuna e per tutte le sue funzioni come un tutto" (v. Schäfer, 1900). Questa opinione era una reazione agli insegnamenti dei frenologi, allora screditati, sulla localizzazione delle facoltà mentali nel cervello umano. Essa era sostenuta dai grossolani esperimenti di Flourens su conigli e cani, nei quali la puntura del midollo spinale produceva movimenti convulsivi, mentre la puntura della corteccia non aveva alcun effetto; non appena se ne provò la falsità, il tratto piramidale cominciò a interessare i fisiologi. Negli anni dopo il 1860, gli studi di Hughlings Jackson su pazienti con ‛lesioni irritative' (discharging lesions), che causavano convulsioni della faccia e degli arti del lato opposto a quello della lesione, e con ‛lesioni distruttive' (destroying lesions), che interferivano con la postura e con i movimenti volontari, avevano diretto l'attenzione sulle regioni pericentrali (perirolandiche) degli emisferi cerebrali umani.
Ma le lesioni si rilevarono, post mortem, ‟mal definite, grossolane e diffuse. Per questa ragione ho ben poco da dire sull'esatta relazione tra i particolari movimenti convulsivi e la sede del processo morboso" (v. Phillips, 1966). Le lesioni erano troppo grossolane per poter distinguere tra corteccia e corpo striato, che a quel tempo era considerato come una parte della corteccia. Perciò Jackson accolse favorevolmente le dimostrazioni sperimentali che la stimolazione elettrica di aree localizzate della corteccia in cani (v. Fritsch e Hitzig, 1870), scimmie (v. Ferrier, 1873) e scimmie antropomorfe (v. Sherrington, 1906) causava movimenti localizzati alla faccia e agli arti del lato opposto. La scoperta che la stimolazione corticale poteva sia inibire i riflessi spinali sia eccitare i movimenti non doveva tardare a lungo (v. Schäfer, 1900).
Il tratto piramidale è la principale proiezione di queste aree della corteccia, e il già citato libro di Schäfer riassume quello che era noto sull'argomento al volgere del secolo. Le piramidi appaiate del midollo allungato erano note da lungo tempo come punti di repere superficiali, e all'inizio del XVIII secolo si era scoperto che entrando nel midollo spinale esse si incrociavano (v. Liddell, 1960). Il tratto si trova solo nei Mammiferi, e ‟non vi è nessun altro sistema che mostri un tale aumento nelle dimensioni relative risalendo dai Mammiferi inferiori a quelli superiori. Esso è appena percettibile come un tratto spinale nel coniglio, molto più grande nella scimmia che negli altri animali da laboratorio e ancora più grande nell'uomo" (Sherrington, cit. in Schäfer, 1900). Sherrington asserì in un'altra pubblicazione: ‟Io credo che il passo dal cane e gatto al macaco non sia affatto più grande di quello dal macaco all'uomo, poiché quest'ultimo è veramente enorme" (v. Liddell, 1960). Ciò nonostante, la descrizione del tratto fornita da Schäfer (v., 1900) è chiaramente basata su uomo, scimmia, cane e gatto indifferentemente. ‟Le aree rolandiche (motorie) della corteccia sono connesse con i centri motori mesencefalici, pontini, bulbari e spinali per mezzo delle fibre del tratto piramidale, che costituiscono le fibre di proiezione di questa porzione della corteccia" (v. fig. 1). Si pensava che le fibre nascessero dalle cellule piramidali ‛giganti' descritte da Betz nel 1874 e illustrate da Bevan Lewis nel 1878. Queste sono gli esemplari di maggior dimensione della classe dei neuroni piramidali che si trovano in ogni parte della corteccia; ma i tratti piramidali vengono così denominati perché i loro assoni formano le piramidi midollari, non perché originano da neuroni piramidali.
Schäfer (v., 1900) pensava che vi fosse probabilmente ‟un'altra via di comunicazione tra la corteccia motoria e i nuclei dei nervi motori", con sinapsi nella sostanza nera e nei nuclei pontini: infatti, Starlinger aveva notato che nel cane la sezione dei tratti piramidali non era seguita da parausi permanente, e Wertheimer e Lepage, ancora in cani, avevano trovato che le risposte alla stimolazione corticale non venivano bloccate dalla sezione dei tratti.
Gli sperimentatori che stimolavano la corteccia non erano d'accordo sull'interpretazione dei loro risultati, ma le loro controversie sono oggi di scarso interesse. Ferrier pensava di attivare centri per i movimenti volontari; Hitzig, centri per ‛il senso muscolare'; Schiff, centri per la sensibilità tattile; Munk, centri per la memoria di movimenti. La mancata distinzione tra fatti di localizzazione e concetti di funzione ha sempre creato confusione (v. Phillips, 1966). Francois-Frank (v., 1887) diede un'utile indicazione quando concluse che le aree erano ‟punti di partenza e non centri del movimento; [...] il fascio motorio, raccogliendo alla superficie del cervello le incitazioni motrici volontarie, le trasmette agli organi effettori bulbomidollari". In questo contesto con ‛localizzazione' non si vuole indicare nient'altro che la restrizione di queste aree a una particolare zona della corteccia, e l'ordinamento sistematico all'interno di queste aree delle suddivisioni che formano i ‟punti di partenza" verso differenti destinazioni nell'apparato motorio bulbospinale. Sherrington aveva tentato fin dal 1885 di introdurre il termine cord area (area di proiezione al midollo) per sottrarsi alle implicazioni teoriche del termine ‛area motoria' e per indicare semplicemente ‟tutta quella regione della corteccia cerebrale che è così direttamente connessa con il midollo spinale che lesioni nella prima inducono degenerazioni nel secondo" (v. Liddell, 1960). Il termine non fu mai accettato. Ma fu un fatto di localizzazione e non un'interpretazione fantasiosa quello che portò, nel 1884, alla riuscita asportazione, a opera di Rickman Godlee, di un tumore della dimensione di una noce dalla corteccia rolandica di un paziente umano attraverso un'apertura praticata esattamente al di sopra di esso e solo lievemente più grande. La presenza del tumore si era dapprima manifestata con convulsioni locali della faccia e della lingua, della mano e del braccio del lato opposto e, in seguito, con indebolimento della mano, del braccio e della gamba. ‟L'effetto immediato dell'operazione fu del tutto soddisfacente. Vi fu solo un lieve aumento della debolezza emiplegica ma tutti gli altri sintomi sparirono e non vi fu il minimo disturbo dell'intelligenza. Venne così provato per la prima volta che anche senza l'indicazione fornita da una seppur minima anormalità esterna del cranio, si poteva scoprire una lesione locale della sostanza cerebrale e rimuoverla con una operazione che lasciava inalterate le funzioni generali del cervello" (v. Trotter, 1934).
Alcuni contrasti erano sorti per il fatto che non si era tenuto conto delle differenze fra le specie. Così Goltz, che aveva provocato lesioni nel cervello di cani, negava la localizzazione, mentre Ferrier e Yeo, che lavoravano con le scimmie, l'affermavano. La discussione raggiunse il culmine al Settimo congresso medico internazionale, nel 1881. ‟Questa fu una battaglia tra giganti, Goltz e Ferrier [...]. La lunga relazione letterale sembra non tralasciare una sola parola della discussione e trasmettere anche al lettore odierno l'atmosfera rovente che si era allora creata" (v. Liddell, 1960). È sorprendente che in un'epoca in cui era così recente l'interesse dei biologi in generale nei confronti dell'evoluzione, si fosse dato relativamente scarso rilievo alla possibile importanza delle differenze nella struttura e nelle funzioni dei cervelli dei Mammiferi in relazione ai loro vari habitat e alle loro modalità di postura, locomozione, prensione e comportamento alimentare.
Hughlings Jackson credeva che la localizzazione fosse a sovrapposizione (‛localizzazione graduata', minute localization), e non a mosaico (‛localizzazione netta', abrupt localization): ‟la conoscenza clinica non è ancora abbastanza precisa per la localizzazione graduata". Casi di malattie convulsive ‟possono essere considerati come esperimenti sul cervello; ma sono esperimenti molto grossolani, che non possono essere paragonati a quelli di Hitzig e Ferrier [...]. Hanno grande importanza per illustrare l'‛ordine' di rappresentazione dei movimenti, cioè la loro reciproca relazione (sequenza dello spasmo)". Questa era la famosa ‛marcia jacksoniana'. Ma l'interesse principale di Jackson era concentrato sui concetti di funzione. ‟Ci sono, diciamo, trenta muscoli della mano; questi sono rappresentati nei centri nervosi in migliaia di combinazioni diverse - cioè come moltissimi movimenti; è proprio come ricavare da poche note molti accordi, espressioni musicali e motivi" (v. Phillips, 1966). Non tutti questi movimenti risultavano ugualmente vulnerabili da ‛lesioni distruttive' (destroying lesions); essi potevano essere graduati in una gerarchia che variava da ‛appena automatici' a ‛estremamente automatici', e i movimenti appena automatici ne risentivano prima, e sempre più gravemente, di quelli più automatici (v. Walshe, 1943). Oggi sono più in voga termini come ‛programmi' o subrnutines invece di ‛movimenti'. Jackson pensava che la localizzazione di una lesione non fosse la stessa cosa della localizzazione di una funzione.
Quindi, se la localizzazione del punto di partenza spetta al neuroanatomista, è compito del neurofisiologo studiare i meccanismi intracerebrali di selezione che possono attivare e inibire i punti di partenza in migliaia di combinazioni differenti. Alcuni di questi meccanismi sarebbero ereditari, altri acquisiti nel corso dell'apprendimento. In sistemi nervosi di Invertebrati sono stati identificati ‛neuroni di comando' che attivano combinazioni di neuroni effettori per produrre schemi motori stereotipati (Kennedy, cit. in Evarts e altri, 1971). Cellule simili non sono ancora state scoperte nella corteccia dei Mammiferi. Non sappiamo in quale misura gli schemi motori siano selezionati da cellule mescolate con quelle della proiezione efferente, o in quale misura la selezione sia effettuata da assoni inviati nell'area di proiezione da altre aree. La storia degli insuccessi collezionati nel tentativo di localizzare i substrati neurali di prestazioni apprese nelle aree cerebrali (v. Lashley, 1950) è lunga, tanto lunga da far pensare che la ricerca possa essere stata male impostata.
Saranno ora riconsiderate storicamente la struttura e l'elettrofisiologia dei tratti piramidali di diversi mammiferi mettendo in evidenza quelle caratteristiche che hanno una chiara implicazione per la funzione; si cercherà inoltre di sviluppare queste implicazioni (v. cap. 7) nel contesto del pensiero contemporaneo sul controllo cerebrale del movimento (v. Denny-Brown, 1966; v. Granit, 1970; v. Evarts e altri, 1971).
2. Mappe e soglie della stimolazione corticale.
a) Metodologia.
Per gli scopi della presente trattazione, la stimolazione elettrica è considerata semplicemente come un metodo con il quale tracciare una mappa della localizzazione graduata nelle proiezioni dell'area a proiezione midollare della corteccia cerebrale di animali in lieve anestesia generale. Il problema della sua importanza funzionale sarà trattato nel cap. 7.
Sin dai tempi di Ferrier si è convenuto di usare la stimolazione ripetitiva, cioè a 30-40 Hz con un induttorio, o, più recentemente, a 60 Hz con corrente alternata sinusoidale, e di osservare le risposte muscolari con l'ispezione e la palpazione. Ci si poteva attendere a priori che l'azione di questi stimoli dovesse essere complessa e che coinvolgesse non solo i neuroni corticifughi, ma anche le reti intracorticali a essi afferenti. Si era ritenuto sin dall'inizio che le risposte fossero mediate dal tratto piramidale (TP), sebbene si fosse presto scoperto che nel cane alcune risposte perduravano anche dopo la sezione del TP. La fig. 2 riassume in forma schematica le mappe di Woolsey (v., 1958) per il coniglio, il ratto e il gatto, che dimostrano la possibilità che in tutte e tre le specie si ottengano risposte dagli stessi effettori periferici. Eppure la componente corticospinale del TP del coniglio è molto poco sviluppata. I cervelli di questi animali sono piccoli in confronto a quelli dei Primati, e i metodi e i risultati di esperimenti di mappaggio possono essere meglio illustrati nelle scimmie, nelle scimmie antropomorfe e nell'uomo.
b) La mappa motoria ‛classica': aree ‛precentrali' e ‛supplementari'.
La fig. 3A riassume i risultati ottenuti nello scimpanzé da Grünbaum e Sherrington all'inizio del secolo, ma pubblicati in extenso solo dopo parecchi anni (v. Leyton e Sherrington, 1917). Questi risultati (simili a quelli ottenuti dagli stessi autori in oranghi e in gorilla) differivano da quelli ottenuti da Beevor e Horsley in un solo orango nel 1890, per il fatto che i centri ‛eccitabili' erano tutti precentrali, mentre quelli trovati da Beevor e Horsley si estendevano postcentralmente. Grünbaum (Leyton) e Sherrington si erano deliberatamente limitati a una debole faradizzazione unifocale e a periodi di stimolazione che duravano 1 o 2 5 o poco più.
La fig. 3B (a sinistra) mostra come i risultati venivano registrati in dettaglio; è una parte della mappa di un singolo cervello e i numeri si riferiscono a un elenco di 445 ‛movimenti primari', che include tutti i movimenti di questo tipo osservati nella totalità degli esperimenti; le singole mappe non contenevano tutti questi numeri. I movimenti primari erano le prime, e spesso le sole, risposte ottenute dai vari punti, ed erano il principale oggetto di studio: da questi si potevano sviluppare movimenti ‛secondari' e ‛terziari' che erano registrati separatamente nell'elenco. Le differenze di dettaglio tra le risposte nei diversi animali e la variabilità delle divisioni corticali (solchi e vasi sanguigni) rendevano difficile il raggruppamento dei risultati in mappe composite. La fig. 3A intende dare una visione generale dei risultati della serie di esperimenti. Le risposte variavano se i vari punti venivano stimolati a intervalli di pochi secondi (facilitazione, deviazione, inversione della risposta), ma potevano essere riprodotte se si lasciava passare tempo sufficiente tra le stimolazioni, o anche se lo stesso cervello veniva riesaminato qualche settimana più tardi (v. fig. 3B, a sinistra). Tuttavia, è probabile che la fissità di tali localizzazioni, per quel che riguarda i dettagli, sia, entro certi limiti, temporanea. La fig. 3B (a destra) dimostra che l'area dalla quale si erano ottenute le risposte delle dita pollice e indice era relativamente grande e che vi era una certa sovrapposizione tra le risposte ottenute da punti diversi. I risultati comportamentali di ablazione di quest'area in questo animale vengono riportati nel cap. 5; la conseguente degenerazione piramidale è descritta nel cap. 3.
Le mappe mostrano solo risposte eccitatorie, ma Sherrington (v., 1906) ben sapeva che anche l'inibizione era importante, ed era, almeno in parte, una proprietà dell'organizzazione reciproca ai livelli inferiori ai quali la corteccia proietta. In lieve anestesia, il braccio può assumere un atteggiamento in flessione. In questo caso, ‟il risultato dell'eccitazione della zona appropriata [...], cioè quella preposta all'estensione del gomito, è un immediato rilassamento del bicipite con contrazione attiva del tricipite [...]; il rilassamento è di solito così notevole che è sufficiente che l'osservatore ponga semplicemente il dito sul muscolo per convincersi che questo si rilassa, [...] la massa contratta diventa improvvisamente soffice, come se si sciogliesse sotto le dita dell'osservatore". E ancora: ‟A. S. Grünbaum (Leyton) e io stesso abbiamo visto che nello scimpanzé e nel gorilla ogni singolo dito della mano può essere fatto muovere isolatamente con la stimolazione della corteccia. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che anche se il ‛movimento' è piccolo, il campo di inibizione può essere vasto, poiché ho talvolta osservato inibizione di muscoli della spalla, precedentemente contratti, quando l'eccitazione corticale produceva un movimento del pollice" (ibid.).
La fig. 4 mostra la mappa di Schäfer (v., 1900), per la corteccia della scimmia, e quella di Woolsey (v., 1958), ottenuta con una corrente alternata a 60 Hz che probabilmente produce una serie di risposte muscolari minime più ampia rispetto a qualsiasi altra forma di stimolazione elettrica. La prima mappa si estende postcentralmente, la seconda no; ma Woolsey considerava validi gli effetti postcentrali. La mappa di Schäfer include chiaramente quell'area sulla superficie mediale dell'emisfero che è oggi nota come ‛area motoria supplementare', ma i risultati di Horsley e Schäfer (v., 1888), sui quali si basa questa mappa, erano meno dettagliati di quelli di Woolsey e si considerava che indicassero semplicemente l'estensione in senso mediale della mappa posterolaterale.
Woolsey e altri (v., 1952) hanno introdotto un utile metodo illustrativo, la mappa motoria con figurine, che evita al lettore la complicazione del riferimento ai numeri di una lista. Ogni punto veniva stimolato tre o più volte, con un intervallo di 2 minuti tra le stimolazioni, e poi rappresentato su un disegno ingrandito della corteccia sotto forma di diagramma della parte rispondente; l'ombreggiatura indica la direzione del movimento, le diverse intensità dell'ombreggiatura indicano risposte pronte e forti, intermedie o deboli. La fig. 5 mostra le intensità di corrente richieste per i diversi punti, e dimostra che le intensità più basse evocano risposte delle dita delle mani e dei piedi. I risultati generali riguardanti le aree precentrale e supplementare sono schematizzati nel simiusculus della fig. 4, con la premessa che questa è una rappresentazione inadeguata del modello della localizzazione, in quanto in un disegno lineare è impossibile indicare la successiva sovrapposizione che è una caratteristica così tipica della rappresentazione corticale.
Dato che non si può chiedere a pazienti neurochirurgici di sottoporsi alle molte ore di stimolazioni successive necessarie al fisiologo per ottenere una mappa accurata e dettagliata di un singolo cervello, la mappa di Penfield e Boldrey (v., 1937; v. fig. 6) è composita; essa, cioè, riunisce i risultati frammentari raccolti in una vasta serie di casi, molti dei quali stimolati in anestesia locale.
La fig. 6 include anche il ben noto homunculus al quale Penfield e Jasper (v., 1954) attribuiscono ‟i difetti e le virtù dei fumetti, in quanto, pur essendo inaccurato dal punto di vista anatomico, richiama l'attenzione sui differenti caratteri delle aree"; e include pure il diagramma di Penfield e Rasmussen (v., 1950) che mostra il numero relativo di risposte motorie di ciascuna parte del corpo suscitate dalla stimolazione delle circonvoluzioni pree postcentrali.
c) Carattere ‛graduato', non ‛netto', della localizzazione.
La ‛sovrapposizione successiva' notata da Woolsey e altri (v., 1952) conferma il concetto della localizzazione ‛graduata', distinta dalla localizzazione ‛netta'. Questo concetto ha ricevuto un'ulteriore conferma da Hines (v., 1944) e da Chang e altri (v., 1947).
Hines trovò che un particolare muscolo non è necessariamente il solo muscolo ‟rappresentato in un punto corticale specifico, bensì è quello predominantemente rappresentato in tale punto": così una debole corrente alternata di 60 Hz ‟permette la restrizione delle risposte a singoli muscoli". Chang e altri continuarono lo studio del problema con la miografia simultanea quantitativa dei muscoli che agiscono sull'articolazione della caviglia del macaco. Non si ottenevano sempre risposte limitate a un singolo muscolo, ma comparivano solo in condizioni favorevoli, di solito nei muscoli distali extensor digitorum longus ed extensor hallucis longus. I diversi muscoli non erano ugualmente accessibili alla stimolazione corticale: infatti non fu mai ottenuta risposta dal m. peroneus longus, ed era difficile determinare la contrazione degli estensori della caviglia gastrocnemius, soleus, tibialis posterior e flexor digitorum longus (v. cap. 6). Il risultato usuale era l'attivazione simultanea di parecchi muscoli: alcuni rispondevano più prontamente e sviluppavano maggior tensione di altri. In base alle singole risposte, alla prontezza e ai rapporti di tensione, si riuscì a mappare un'area della corteccia per ogni muscolo. I risultati erano interpretati con un diagramma che mostrava un campo di cellule di Betz per ogni muscolo, ognuno con un focus più denso e una frangia più diffusa; nel diagramma i campi sovrapposti venivano rappresentati, ma con ‟il grado di sovrapposizione [...] minimizzato per ragioni di semplicità". La conclusione era che ‟la rappresentazione dei muscoli stava a mezza strada tra un preciso modello a mosaico e una rappresentazione diffusa".
d) La mappa con ‛singoli impulsi'; accessibilità preferenziale dei motoneuroni distali.
Negli anni quaranta, gli stimolatori elettronici cominciarono a fornire agli studiosi del cervello una più vasta scelta di stimoli: era possibile variare la durata dell'impulso e le forme d'onda, e anche la frequenza di ripetizione. Lilly e altri (v., 1952) dimostrarono che si potevano ottenere ‛mappe di soglia' diverse usando parametri diversi di stimolazione corticale. Presumibilmente alcune di queste mappe derivavano dalla stimolazione diretta di neuroni corticifughi, altre dalla stimolazione di neuroni e assoni convergenti sui neuroni corticifughi, altre ancora dalla combinazione di questi effetti. Lilly e altri erano interessati a chiarire quale fosse la gamma di stimoli in grado di evocare una risposta particolare nel gatto e nella scimmia. Liddell e Phillips (v., 1950) si occupavano di due tipi di mappa che si potevano ottenere dal cervello del babbuino, e delle diverse soglie per le risposte motorie di differenti parti del lato opposto del corpo.
Hughlings Jackson aveva riferito che le convulsioni focali dovute a lesioni irritative (discharging lesions) ‟nella maggior parte dei casi cominciano: 1) nella mano; 2) nella faccia, o nella lingua, o in entrambe; 3) nel piede [...]; quando la convulsione comincia nella mano, le dita indice e pollice sono di solito le prime a essere colpite; nella faccia lo spasmo inizia nella guancia; nel piede quasi invariabilmente nell'alluce". La prima spiegazione di questo effetto selettivo di lesioni che erano ‟maldefinite, grossolane ed estese" venne formulata solo quando Walshe (v., 1943) propose che ‟gli eccessi jacksoniani hanno la loro caratteristica modalità d'inizio perché i movimenti interessati sono quelli che hanno i più vasti campi di eccitabilità a bassa soglia" nella corteccia. Nel babbuino, Liddell e Philips (v., 1950) riuscirono a mappare questi vasti campi (v. fig. 7) stimolando con singoli impulsi rettangolari della durata di 4,5 ms, che suscitavano brevi salve di impulsi ad alta frequenza nei neuroni corticospinali (v. cap. 6). La soglia per il pollice e l'indice era più bassa di quella per il piede e la faccia. A impulsi più forti rispondono la maggior parte del giro precentrale e parte di quello postcentrale, tuttavia queste risposte sono confinate nelle parti distali del lato opposto. È chiaro che i motoneuroni spinali e bulbari corrispondenti sono ‛preferenzialmente accessibili' alla stimolazione corticale. Essi controllano i muscoli che sono impiegati dai Primati nelle loro attività più volontarie.
Il secondo tipo di mappa ottenuta da Liddell e Phillips (v., 1950) sugli stessi cervelli era la classica mappa motoria delle figg. 3 e 5. Dal ricco repertorio di risposte motorie evocate da stimolazioni a 50 Hz si ricavano due diverse prove di accessibilità differenziale. Tutte queste mappe concordano sul fatto che le aree per la mano, la faccia e il piede sono le più ampie (v. figg. 2-6). La corrente di soglia è più bassa per le dita dei piedi, il pollice e la bocca (v. Boynton e Hines, 1933) e le dita della mano (v. Woolsey e altri, 1952; v. fig. 5); quando l'intensità di corrente è regolata in modo da essere sopraliminare per quasi tutte le parti del giro precentrale, la mano, la faccia e il piede rispondono più prontamente, cioè la via ai loro motoneuroni richiede minor ‛sommazione temporale' di quella ai motoneuroni dei muscoli prossimali.
e) Effetto della sezione del tratto piramidale sulla soglia e sull'accessibilità.
Nella scimmia, le risposte della mano al ‛singolo impulso' mappante della corteccia controlaterale sono abolite dalla sezione del tratto piramidale o anche soltanto del 30% di esso (v. Felix e Wiesendanger, 1971). Queste risposte dipendono probabilmente dalla componente motoneuronale corticale del tratto piramidale (v. capp. 3 e 4). Con la piramidectomia è stato studiato anche fino a che punto la ‛classica' mappa motoria dipenda dal tratto piramidale e dalle altre vie che proiettano dalla stessa area corticale (v. cap. 3). Alcune risposte dei muscoli distali sono conservate, sebbene la soglia sia innalzata e sia richiesta una più lunga sommazione temporale (v. Felix e Wiesendanger, 1971). Questi esperimenti, insieme a quelli di Lewis e Brindley (v., 1965), danno un'idea degli apporti relativi del tratto piramidale e delle proiezioni corticorubrospinali, corticoreticolare, ecc., alle risposte mappabili con la stimolazione del giro precentrale.
Lewis e Brindley hanno mappato la corteccia del babbuino con una corrente sinusoidale di 100 Hz prima e dopo la sezione del tratto piramidale e hanno ottenuto un più ampio residuo di risposte motorie differenziate rispetto alle grossolane sinergie descritte dai precedenti ricercatori. Malgrado che le soglie delle risposte degli arti e della coda fossero innalzate, e malgrado che le risposte risentissero maggiormente della fatica, lo schema della localizzazione nel giro precentrale era, in generale, simile a quello individuato prima della sezione. ‟Sebbene il numero di tipi di risposte ottenibili in ciascun animale fosse minore dopo la sezione delle piramidi, la maggior parte dei tipi di movimenti ottenibili con una stimolazione prossima alla soglia prima della sezione sono stati ottenuti in almeno uno dei nostri animali a sezione avvenuta [...]. Fa spicco la rarità o l'assenza dei movimenti del solo pollice, dell'estensione del gomito, della flessione delle dita del piede e della flessione plantare della caviglia".
3. Morfologia del tratto piramidale.
a) Conoscenza del tratto piramidale nel 1900.
Con la dissezione macroscopica del cervello umano erano già state identificate le piramidi midollari con il loro incrociamento e, sebbene con difficoltà, il decorso delle loro fibre era stato seguito sino al corpus striatum (v. Jefferson, 1953). La conoscenza del tratto piramidale (TP) non poté progredire fino a che non furono scoperti i neuroni e il fatto che tutti gli assoni originano e sono nutriti da neuroni (v. Liddell, 1960). L'ultimo quarto del XIX secolo vide rapidi progressi. Nella sostanza grigia del cervello e del midollo spinale, i neuroni e gli assoni furono resi visibili al microscopio con l'impregnazione o la colorazione argentica (Golgi e Cajal); gli assoni furono resi visibili, nel loro passaggio attraverso la sostanza bianca, con la colorazione delle loro guaine mieliniche (Weigert). Fu possibile individuare l'origine e il decorso del tratto piramidale quando si riuscì a distruggere la corteccia contenente le sue cellule di origine e a localizzare la conseguente degenerazione walleriana dei suoi assoni in sezioni istologiche della sostanza bianca del cervello e del midollo spinale. La distruzione sistematica di aree corticali diverse permise di distinguere dalle altre le aree dalle quali originavano assoni piramidali.
La descrizione di Schäfer (v., 1900) del TP si basava sui risultati di tali esperimenti, che erano attendibili riguardo al decorso (v. fig. 1) ma incerti riguardo alla sua origine esatta, e non permettevano di seguire gli assoni fino alle loro minute arborizzazioni preterminali e ai terminali sinaptici.
In animali uccisi poche settimane dopo che erano state provocate lesioni corticali circoscritte, il decorso degli assoni del TP era rivelato dalla presenza di globuli di mielina degenerata che con il metodo di Marchi poteva essere colorata in nero su di uno sfondo incolore. In animali uccisi alcuni mesi dopo si poteva individuare il tratto degenerato, in sezione trasversa, per la perdita delle guaine mieliniche (colorazione Weigert); le guaine mieliniche degli assoni dei tratti non danneggiati si coloravano normalmente, così che l'area di degenerazione in sezioni del peduncolo cerebrale, della piramide e del midollo spinale appariva pallida anche a occhio nudo. In seguito (fino a dopo due anni) le guaine degenerate e gli assoni erano sostituiti da una cicatrice costituita da astrociti e fibre gliali, che Sherrington verso il 1880 riuscì a colorare con carminio e vedere al microscopio o persino a occhio nudo (v. Liddell, 1960).
Si credeva (v. Schäfer, 1900) che gli assoni originassero entro quell'area della corteccia dalla quale si possono evocare, con la stimolazione elettrica, movimenti degli arti controlaterali, e che corrisponde all'incirca all'area che contiene le cellule ‛giganti' di Betz e Bevan Lewis (‛area gigantopiramidale' di Campbell, ‛area 4' di Brodmann); si credeva anche che essi fornissero collaterali alla corteccia adiacente e forse al corpo calloso, e che passassero attraverso i due terzi centrali della capsula interna, la sola parte della capsula dalla quale si potevano evocare dei movimenti tramite stimolazione elettrica. Dal crus cerebri incluso in avanti gli assoni da subaree della corteccia erano diffusi in tutta l'area di sezione trasversale del tratto (Mellus, Sherrington), ma si pensava che in una data parte vi fosse un maggiore accumulo di assoni da una particolare subarea. Gli assoni erano distribuiti alla substantia nigra, alla sostanza grigia del ponte e del midollo allungato, e, nel midollo spinale, alla base del corno posteriore e alla colonna di Clarke, ma non se ne poté trovare alcuno nel corno anteriore, dove sono situate le cellule nervose motrici (gatto e scimmia). Gli assoni penetravano nel midollo spinale con tre tratti, il più consistente dei quali passava incrociandosi dalla piramide bulbare alla colonna laterale del lato opposto, mentre i due tratti minori, non incrociati, rimanevano nelle colonne laterali e ventrali dello stesso lato. Il cospicuo tratto della colonna laterale conteneva, mescolati con quelli piramidali, assoni propriospinali che (nel cane giovane) acquistavano le loro guaine mieliniche prima degli assoni piramidali.
b) Aree corticali e cellule d'origine del TP.
Sino a tempi recenti non si sapeva con certezza da quale precisa area corticale originassero gli assoni del TP. La storia dei tentativi fatti per individuarla è istruttiva.
Le prime aree mappate con la stimolazione elettrica erano più estese di quelle mappate in lavori successivi da sperimentatori che si concentravano sulle minime risposte che si potevano ottenere solo dalla corteccia precentrale (v. cap. 2). Il primo tentativo per risolvere il problema con un metodo morfologico era stato quello di Holmes e May (v., 1909), che dopo aver praticato un'emisezione del midollo spinale in cani, gatti, lemuri, scimmie e scimpanzé, avevano ricercato nel cervello di questi animali, e anche in quello di casi umani con lesioni spinali traumatiche, segni di danno retrogrado delle cellule corticali. Le grandi cellule piramidali, colorate con il metodo di Nissì, mostravano il caratteristico rigonfiamento con perdita dei granuli di Nissì (cr0matolisi) e disposizione eccentrica del nucleo. Questi cambiamenti erano già noti in altri neuroni come conseguenza della sezione dei loro assoni. Perciò Holmes e May conclusero che le fibre corticospinali originavano esclusivamente dalle grandi cellule piramidali. Nel gatto si erano trovate cellule con cromatolisi nei giri sigmoidei anteriore e posteriore; nella scimmia e nell'uomo nel giro precentrale. Sfortunatamente, mentre la presenza di queste modificazioni dà l'indubbia prova di lesione assonica, l'assenza di cellule con cromatolisi in un'area corticale non esclude che quest'area mandi assoni nel tratto danneggiato.
Negli anni quaranta Lassek (v., 1948) cominciò a cobrare con metodi argentici gli assoni delle piramidi bulbari intatte nell'uomo, nella scimmia e nello scimpanzé, in modo da poterli contare e confrontare il loro numero con quello delle cellule piramidali giganti della corteccia (arbitrariamente definite come aventi somma di area superiore ai 500 μ2 in sezione attraverso il nucleolo). Gli assoni risultarono essere fino a cinquanta volte più numerosi delle cellule giganti. Così, nell'uomo, vi erano circa un milione di assoni e solo 30.000 cellule circa; nello scimpanzé, circa 800.000 assoni e 28.000 cellule; nelle scimmie, circa 550.000 assoni e 19.000 cellule. Il diametro della maggior parte degli assoni era piccolo, il che faceva pensare che provenissero da piccole cellule e, probabilmente, da un'area della corteccia più vasta di quella gigantopiramidale. Solo nell'uomo vi erano molti assoni grandi: degli assoni mielinici, meno del 20% avevano un diametro di 11-20 μ nel 90% dei casi il diametro assonico era più piccolo di 4 μ, e in più del 50% era di 1 μ. Lassek aveva calcolato che il 61% degli assoni del TP umano fosse mielinizzato, ma DeMyer (v., 1959), che usava sezioni congelate anziché paraffinate, porta questa cifra al 93%.
La confusione perdurò sino a quando non si capirono meglio i vantaggi e le limitazioni dei diversi metodi per visualizzare gli assoni piramidali e le loro guaine mieliniche, e non si diede il giusto valore al lungo intervallo di tempo necessario per la completa degenerazione degli assoni di diametro più piccolo (sino a un anno). Risultò così erronea la convinzione che un gran numero di assoni piramidali (cioè il 50%) potesse sopravvivere alla distruzione dell'area gigantopiramidale, e che dovesse perciò originare in altre aree (cioè nei lobi parietale, temporale, occipitale). L'errore era dovuto al fatto che non si era aspettato abbastanza tempo perché gli assoni più fini originanti dalle aree lese degenerassero.
Gli assoni più grandi degenerano più rapidamente, quelli più piccoli più lentamente. La colorazione argentica può indurre in errore, perché gli assoni in degenerazione si rigonfiano e così si possono scambiare assoni più fini che stanno degenerando per assoni più grandi che sopravvivono durante il periodo che precede l'assonolisi completa. I metodi di Weigert e Marchi sono attendibili solo per le guaine mieliniche degli assoni di diametro maggiore. Ma il metodo Alzheimer-Mann-Häggqvist (AMH) si è dimostrato prezioso per contare e misurare gli assoni intatti nelle piramidi. Con questo metodo si colorano gli assoni in blu, le loro guaine mieliniche - persino le guaine degli assoni più fini (diametro inferiore a 1 μ) - in rosso, le cellule e le fibre gliali in blu. Verhaart ideò un metodo per contare le fibre intatte nella piramide normale e in quella degenerata dopo aver lasciato passare il tempo necessario alla scomparsa di tutti gli assoni rigonfi degenerati: la differenza dava il numero di assoni persi
Van Crevel e Verhaart (v., 1963), applicando il metodo AMH nel gatto, hanno trovato che la piramide intatta conteneva circa 80.000 fibre, il 73% delle quali era di diametro inferiore ai 2 μ, il 20% di 2-4 μ, il 5% di 4-6 μ, il 2% maggiore di 6 μ. La emidecorticazione confermò che tutte le fibre originavano nella corteccia cerebrale e nessuna quindi proveniva da strutture subcorticali. Nessuna fibra originava dalla corteccia parietale, temporale od occipitale. Dal giro sigmoide originavano l'80% delle fibre con diametro superiore a 6 μ e il 60% di quelle inferiori a 6 μ.
Woolsey e Chang (v., 1948) introdussero un nuovo metodo elettrofisiologico per mappare l'area corticale dalla quale provengono gli assoni del TP. Se si stimola la piramide con un singolo impulso elettrico, una salve di impulsi si propaga antidromicamente verso le cellule di origine (come pure ortodromicamente verso il midollo spinale). La registrazione dei potenziali evocati dalla superficie della corteccia del gatto, o delle risposte dei neuroni piramidali con microelettrodi inseriti nella corteccia (v. Lance e Manning, 1954), ha dato risultati in buon accordo con quelli di van Crevel e Verhaart. Inoltre, lo spettro delle velocità di conduzione (da 7 a 70 m/s) corrisponde allo spettro del calibro degli assoni (da 1 a 14 μ). Van Crevel e Verhaart trovarono il 2% di assoni con diametro maggiore di 6 μ; Lance e Manning trovarono che il 3% degli assoni aveva una velocità di conduzione maggiore di 60 m/s. L'esistenza di due massimi nella gamma delle velocità di conduzione a circa 14 e 42 m/s ha portato a classificare le cellule del TP come ‛lente' e ‛rapide' (v. cap. 5). In Macacus rhesus il 60% degli assoni del TP origina di fronte alla scissura centrale (rolandica): il 31% dall'area 4 (gigantopiramidale), il 29% dall'area 6. Il rimanente 40% proviene dalla corteccia del lobo parietale (v. Russell e DeMyer, 1961). Il tempo trascorso dopo la lesione era sufficiente per la lisi degli assoni fini. Dei 400.000 assoni, il 62% era mielinizzato (v. DeMyer e Russell, 1958). L'area concorda con quella mappata in modo antidromico da Woolsey e Chang.
L'origine degli assoni nell'uomo non è stata stabilita con il grado di precisione che è stato possibile ottenere negli animali da esperimento, nei quali si possono provocare lesioni corticali ben circoscritte e verificarne l'estensione con sezioni seriate. Si pensa che circa il 60% delle fibre piramidali origini dall'area 4.
c) Distribuzione degli assoni del TP nel midollo allungato e nel midollo spinale.
La descrizione di Schäfer (v., 1900) mancava di dettagli, poiché allora non si conosceva alcun metodo per seguire gli assoni in degenerazione sino alle loro terminazioni sinaptiche.
Non era possibile seguire gli assoni in degenerazione con il metodo di Marchi, che colora i globuli di mielina in disgregazione solo nei pochi grandi assoni, e non permette di seguire le loro arborizzazioni terminali amieliniche nella sostanza subcorticale e in quella grigia spinale. Più tardi la colorazione argentica dei ‛bottoni terminali' in degenerazione diede qualche risultato nel midollo spinale (v. Hoff e Hoff, 1934), ma gli studi sistematici dovevano aspettare l'introduzione, negli anni cinquanta, di un metodo all'argento (Nauta-Gygax) che colora selettivamente gli assoni in degenerazione sino alle loro ramificazioni terminali, rivelandone i rigonfiamenti, le vacuolizzazioni, le disintegrazioni, ecc., mentre gli assoni normali non si colorano. Gli assoni in degenerazione devono essere cercati in sezioni condotte longitudinalmente rispetto al loro asse maggiore. Tuttavia, rimane ancora la difficoltà di distinguere i fini frammenti di assoni in degenerazione che passano attraverso una regione da quelli di assoni che effettivamente vi terminano, difficoltà che può essere risolta solo dimostrando, per mezzo del microscopio elettronico, la degenerazione delle terminazioni sinaptiche.
d) Distinzione tra collaterali piramidali e assoni ‛extrapiramidali'.
Una lesione limitata all'area corticale di origine di assoni del TP deve anche danneggiare altri assoni che partano dalla stessa area. A seguito di tali lesioni, si trovano assoni in degenerazione nei gangli basali, nel nucleo rosso, nella substantia nigra, nei nuclei pontini e nella formazione reticolare. Il problema che si pone è quello di stabilire se queste sono le terminazioni di collaterali di assoni del TP (collaterali piramidali), o le terminazioni di assoni specifici corticostriati, corticorubri, corticonigri, corticopontini e corticoreticolari, che originano da cellule situate nella stessa area corticale. Nessuno dubita dell'esistenza di collaterali di assoni del TP, poiché Ramón y Cajal (v., 1952, fig. 440) ha descritto abbondanti arborizzazioni di assoni piramidali in sezioni longitudinali del ponte colorate col metodo dell'impregnazione di Golgi. Vi è una proiezione corticorubra ben organizzata nel gatto (v. Rinvik e Walberg, 1963) e nella scimmia (v. Kuypers e Lawrence, 1967), che nasce dall'area di origine del tratto piramidale. Esperimenti elettrofisiologici nel gatto hanno dimostrato che il nucleo rosso riceve collaterali di assoni piramidali e anche assoni corticorubri specifici (v. cap. 5). Questi esperimenti forniscono un efficace complemento alle tecniche anatomiche classiche per la risoluzione di incertezze di questo tipo. Queste collaterali sono parte del circuito neurale che unisce il tratto piramidale ad altre vie motorie (cerebello-rubro-talamocorticale, cortico-rubro-spinale, ecc.; v. fig. 14), dalla totalità del quale noi stiamo astraendole per scopi morfologici e analitici ma con il quale la loro funzione è presumibilmente inseparabilmente connessa.
e) Terminazioni nel tronco dell'encefalo.
Un'importante scoperta resa possibile dal metodo Nauta-Gygax è stata quella che in ogni mammifero preso in esame, persino in quelli nei quali la componente corticospinale del TP è molto ridotta, la corteccia sensorio-motoria manda un gran numero di assoni nei nuclei delle colonne dorsali. La capra, per esempio, ha piramidi bulbari piccole la cui decussazione è pertanto di scarso rilievo. Dopo lesioni appropriate della corteccia, la degenerazione piramidale compare soprattutto nei nuclei delle colonne dorsali controlaterali, nel nucleo spinale del trigemino e nella formazione reticolare. Gli assoni corticospinali sono scarsi e non vanno oltre C7 (v. Schoen, 1964). Nel gatto, i ben marcati fasci piramidali che si decussano mandano ‛fasci ricorrenti' di assoni nei nuclei delle colonne dorsali, connettendo così la corteccia ai nuclei controlaterali (v. Kuypers e Tuerk, 1964). Gli esperimenti elettrofisiologici dimostrano che gli assoni corticifughi che terminano nei nuclei delle colonne dorsali del gatto non sono collaterali di assoni corticospinali ma assoni specifici corticonucleari (v. Gordon e Miller, 1969). Siccome tutti i mammiferi finora esaminati presentano ricche connessioni corticonucleari e corticotrigeminali (per quanto poco sviluppate possano essere le loro connessioni corticospinali), è naturale supporre che queste connessioni abbiano qualche importante funzione generale nel controllo delle afferenze dalla faccia, dal tronco e dagli arti al cervello.
f) La posizione del tratto corticospinale nei funicoli.
La posizione del tratto corticospinale nei funicoli varia nei diversi ordini di Mammiferi (v. Schoen, 1964). Nei Monotremi, negli Insettivori e negli elefanti esso decorre nel funicolo anteriore del midollo spinale. Nel riccio, pochissimi assoni raggiungono il midollo; nell'elefante, assoni non crociati decorrono nel funicolo anteriore lungo tutto il midollo cervicale, e assoni crociati e non crociati decorrono nei fasci intercommissurali (entro la commissura grigia anterolaterale al canale centrale) sino a livello toracico medio. Negli Ungulati (capra, pecora, mucca, cavallo) la piccola proiezione corticospinale decorre nel fascicolo dorsolaterale crociato, nei fasci intercommissurali crociati e non crociati e nei funicoli anteriori per terminare entro il midollo cervicale. Nei Marsupiali, negli Sdentati, nei Roditori (topo, ratto, cavia), nelle tupaie, il tratto è crociato e decorre nei funicoli posteriori. Nel ratto il tratto raggiunge il livello lombare, nella tupaia e nel marsupiale falangista termina nel rigonfiamento cervicale; nel coniglio termina a C3. I Carnivori hanno una grossa decussazione piramidale, che porta la maggior parte delle fibre piramidali di ogni lato entro il ben marcato tratto nel funicolo posterolaterale controlaterale, che si estende sino a livello lombosacrale. La maggior parte degli assoni termina nel rigonfiamento cervicale. Relativamente pochi assoni decorrono nel funicolo posterolaterale ipsilaterale e in entrambi i funicoli ventrali, e probabilmente nel posterolaterale crociato. I tratti corticospinali delle scimmie, delle scimmie antropomorfe e dell'uomo, che sono molto più cospicui, si distribuiscono per la maggior parte attraverso i funicoli posterolaterali controlaterali; i tratti anteriori mostrano variazioni individuali nelle scimmie antropomorfe e nell'uomo.
g) Terminazione degli assoni corticospinali.
Nel gatto, gli assoni entrano alla base del corno posteriore e le loro fini terminazioni possono essere viste, in seguito a lesioni corticali appropriate, come arborizzazioni pericellulari in disgregazione nel nucleus proprius del corno posteriore e nella regione intermedia. Vi è una differenza interessante, e presumibilmente importante dal punto di vista funzionale, nella distribuzione degli assoni corticospinali dalle aree corticali posteriore (‛somatosensitiva') e anteriore (‛motoria') (v. fig. 8). Gli assoni dell'area posteriore (somatosensitiva) hanno in massima parte una destinazione più posteromediale, raggiungendo quelli che Rexed (v., 1964) chiama strati IV-VI, ove sarebbero in condizione di controllare i segnali sensitivi in arrivo e la trasmissione di questi al cervello e al cervelletto. Gli assoni dall'area anteriore (motoria) sono distribuiti specialmente alle parti più ventrali e laterali del corno posteriore e alla zona intermedia (dallo strato V al VII di Rexed), in una zona adiacente alla regione che contiene interneuroni che mandano i loro assoni ai motoneuroni del corno anteriore. Qui essi sarebbero in condizione di influenzare archi riflessi ed efferenze motrici. Bisogna sottolineare il fatto che le due distribuzioni si sovrappongono largamente (v. fig. 8), ma le diverse proporzioni suggeriscono due tipi di funzione per il TP: 1) controllo delle afferenze dai campi recettivi e della loro trasmissione centripeta, già suggerito dalla distribuzione di assoni corticifughi ai nuclei delle colonne dorsali e al complesso trigeminale; 2) controllo delle efferenze per mezzo di interneuroni nella formazione reticolare laterale bulbare e nella parte più ventrolaterale del corno posteriore e della zona intermedia. Il gatto non ha terminazioni corticospinali correlate con i motoneuroni nel corno anteriore, ma un altro carnivoro, il procione (Procyon lotor), che ha un habitat semiarboreo e le cui dita hanno mantenuto la loro primitiva struttura pentadattila, ha rade connessioni corticomotoneuroniche (v. Petras e Lehman, 1966).
Nelle scimmie, il TP e le corrispondenti proiezioni corticobulbari hanno componenti con origini corticali e destinazioni bulbospinali segregate nello spazio ma in parte sovrapposte, e queste disposizioni hanno implicazioni funzionali. Secondo studi dettagliati di Kuypers (v., 1960), gli assoni destinati al nucleus proprius del corno posteriore provengono per la massima parte dal giro postcentrale (area ricevente ‛somatosensitiva'), e così pure gli assoni corticali destinati al complesso trigeminale che è l'estensione facciale del nucleus proprius (v. fig. 9C, linee oblique). Anche la maggior parte degli assoni del TP destinati ai nuclei delle colonne dorsali provengono dal giro postcentrale (v. fig. 9D, circoletti vuoti), e tutti insieme sarebbero in grado di controllare le afferenze di senso.
Sul versante motorio, una popolazione di cellule precentrali che si diffonde in avanti (v. fig. 9A) manda assoni bilateralmente alla formazione reticolare ‛mediale' bulbare. Questa proietta con i tratti reticolospinali ventrali ai motoneuroni situati medialmente nel corno anteriore, che innervano i muscoli del tronco e dei segmenti prossimali degli arti. Questa via indiretta e bilaterale metterebbe la corteccia in grado di mobilitare il sostegno posturale di base sul quale devono sempre essere fermamente fondate le attività esplorative e manipolatorie della bocca, delle mani e dei piedi.
Le cellule situate più posteriormente nel giro precentrale mandano assoni alla formazione reticolare ‛laterale' bulbare e alla zona spinale intermedia (v. fig. 9B, punti). Queste cellule influenzerebbero indirettamente i motoneuroni bulbari e spinali controlaterali, operando tramite interneuroni locali (come nel gatto). Infine, vi sono assoni corticornotoneuronici (CM) diretti che connettono le aree del 'braccio' e della ‛gamba' della parte più caudale del giro precentrale ai gruppi laterali di motoneuroni del corno anteriore controlaterale, che innervano i muscoli distali degli arti; l'area della ‛faccia' manda assoni CM (corticobulbari) ai motoneuroni che innervano la faccia (v. fig. 9B, quadratini). Pochissimi assoni CM originano dal giro postcentrale.
h) Evoluzione della componente corticomotoneuronica del TP nei Primati.
Siccome il tratto corticospinale raggiunge il suo massimo sviluppo nei Primati, può essere interessante prendere in considerazione i pochi studi morfologici comparativi che sono stati eseguiti. È approssimativamente esatto dire che i Primati viventi hanno i loro corrispettivi nella serie fossile e questo incoraggia caute speculazioni sull'evoluzione del sistema nervoso centrale. I primatologi credono che l'uso sempre più versatile della mano abbia avuto un ruolo centrale nell'evoluzione dei Primati (v. Schultz, 1968), e che ciò abbia coinciso con un aumento della componente corticomotoneuronica del tratto piramidale (v. Phillips, 1971). Le tupaie sono state citate a parte in quanto è ora controversa la loro classificazione tra i Primati. Una proscimmia, il bn tardigrado (Nycticebus coucang), ha terminazioni piramidali nella colonna dorsale controlaterale e un tratto cr0ciato dorsolaterale che raggiunge il midollo sacrale. Alcuni assoni dorsolaterali non crociati raggiungono il midollo toracico, ma non vi sono tratti ventrali. La maggioranza degli assoni termina nei rigonfiamenti cervicale e lombare, alle base del corno posteriore e nella zona intermedia, ma alcuni terminano a contatto con i corpi di motoneuroni situati più dorsolateralmente nel corno anteriore (v. Campbell e altri, 1966).
Le Proscimmie usano le mani secondo un modello prensile stereotipato, estendendo tutte le dita contemporaneamente quando la mano si avvicina al bersaglio e chiudendole tutte insieme su di questo; non vi sono movimenti indipendenti di singole dita. Nelle scimmie antropomorfe, al controllo del braccio come un tutto, proprio delle Proscimmie, si aggiungono capacità di movimenti e di prensioni precise (v. Bishop, 1964). Nelle scimmie, nelle scimmie superiori e nell'uomo, Napier (v., 1956) differenzia la ‛stretta di forza' dell'intera mano dalla ‛stretta di precisione' di pollice e indice. Nell'orango si riscontra il movimento indipendente di altre dita (v. Tuttle, 1969), che raggiunge nell'uomo il suo massimo sviluppo. A ciò corrisponde un aumento della componente corticomotoneuronica del TP. Marcando i motoneuroni di gruppi muscolari diversi con cromatolisi retrograda indotta dall'interruzione per schiacciamento dei loro nervi (v. Liu e Chambers, 1964; v. Petras, 1968), si era visto che le terminazioni corticomotoneuroniche erano molto abbondanti in vicinanza dei gruppi di motoneuroni situati lateralmente e innervanti i muscoli distali della mano e del piede. Nelle scimmie americane con capacità di prensione precisa con la punta della coda (Ateles, Lagothrix), anche i motoneuroni della coda sono ricchi di connessioni corticomotoneuroniche. Nelle scimmie antropomorfe, la connessione corticomotoneuronica è ancora maggiore (v. fig. 10): queste terminazioni nel gibbone e nello scimpanzé sono paragonabili in entità a quelle della zona intermedia e del corno posteriore. Esse sono almeno altrettanto abbondanti nell'uomo (v. fig. 11).
La grande ricchezza di terminazioni rivelata nello scimpanzé da questi moderni metodi spiega come Leyton e Sherrington (v., 1917) siano riusciti a vedere, persino con i metodi allora disponibili, che in questo animale alcuni assoni del TP entrano nel corno anteriore. La degenerazione che segue alla sezione dell'area che produce i movimenti primari del pollice, dell'indice, del polso e del gomito (nell'esperimento mostrato nella fig. 3) era stata vista nel corno anteriore controlaterale dei segmenti cervicali 7 e 8. ‟Sul lato destro, l'intera sezione trasversa del corno anteriore presenta molte piccolissime fibre diffuse in degenerazione; esse danno un aspetto ‛punteggiato' alla sostanza grigia di quel lato che contrasta con l'aspetto netto consueto della corrispondente sostanza grigia della metà sinistra del midollo. La punteggiatura, forse più marcata nelle regioni di raggruppamento cellulare posterolaterali e anterolaterali, è certamente minore nel gruppo cellulare medioanteriore. Sezioni colorate con il metodo di Marchi mostrano queste fibre degenerate nella sostanza grigia solo con difficoltà, anche se, una volta che si stia sull'avviso, sia possibile rilevarne un certo numero con questo metodo. La degenerazione nel corno anteriore è, tuttavia, molto meglio evidenziata dalla combinazione effettuata da Schäfer dei metodi di Marchi e di Kulschitzky; il piccolo circolo blu-nero che circonda il cilindrasse non colorato [...] si trasforma in una piccola macchia che non contiene il cilindrasse; [...] questo tipo di degenerazione fine è largamente e abbondantemente diffuso in tutto il corno anteriore".
4. Microfisiologia delle cellule di origine del tratto piramidale e della rete neuronica della quale fanno parte.
a) Contributi degli studi microelettrodici.
Sono già stati dati esempi dell'importanza degli studi elettrofisiologici, in aggiunta a quelli di anatomia microscopica, per rispondere ai quesiti sull'origine e sulla distribuzione del TP. Dagli anni quaranta in poi, l'uso dei microelettrodi ha grandemente contribuito alla conoscenza delle connessioni neuroniche entro e tra molte aree del cervello e del midollo spinale. I microelettrodi possono registrare le attività di singole cellule e di singole fibre o di piccoli gruppi di cellule e di fibre. Il chiarimento delle connessioni ottenuto inducendo piccole lesioni e seguendo il corso della degenerazione che ne risulta, può essere affiancato dall'eccitazione artificiale di piccole aree, dalla costruzione delle mappe delle piccole aree circoscritte di risposta elettrica e dalla misura accurata dell'andamento temporale della risposta. Questo metodo può qualche volta rivelare connessioni che sono sfuggite all'esame del microscopista. Il suo valore principale, tuttavia, sta nella sua capacità di specificare il ‛senso' della connessione: se questa prevalentemente ecciti o inibisca le cellule e le reti bersaglio. Il metodo è stato particolarmente utile per specificare le proprietà fisiologiche delle cellule di origine del tratto piramidale, le origini delle loro afferenze eccitatorie e inibitorie, e la distribuzione delle loro efferenze eccitatorie e inibitorie.
b) Importanza degli studi comparativi.
La maggior parte di questo ingente volume di lavoro è stata fatta su gatti anestetizzati o ‛piramidali', un po' meno sui Primati, e molto meno su altri mammiferi. I lavori sul gatto e sui Primati dovrebbero essere considerati separatamente, non solamente per evitare confusione, ma anche perché si spera che questo tipo di ricerca venga alla fine esteso ad altri mammiferi e costituisca un contributo positivo alla biologia evoluzionistica. È certo che i Primati non si sono evoluti dai Carnivori. Qualsiasi somiglianza tra le proiezioni corticospinali del gatto, più piccole, e quelle molto più grosse della scimmia dovrebbe perciò rappresentare un caso di evoluzione parallela o convergente. Le somiglianze e le differenze riscontrate in una serie più ampia di mammiferi dovrebbero essere in definitiva correlate ai diversi modi di vita: predatorio, arboreo, terrestre o acquatico; a differenti tipi di postura, di locomozione, di attività prensile; alla dominanza della vista, dell'udito, dell'olfatto, del tatto ecc. sul comportamento. Gli studi comparativi dovrebbero portare in una certa misura a comprendere quali vantaggi evolutivi abbia conferito il tratto piramidale alle diverse specie, e quali di questi vantaggi, nel caso ve ne siano, risultino comuni a tutte le specie che possiedono un tratto piramidale e possano perciò essere considerati come substrati di qualche funzione generale.
5. Microfisiologia del tratto piramidale del gatto.
a) Identificazione antidromica e proprietà dei neuroni del TP.
Le cellule di origine del TP (cellule TP) sono classificate come neuroni piramidali a causa della loro morfologia caratteristica (v. fig. 12) e non perché i loro assoni formano il tratto piramidale. Esse comprendono la più cospicua rappresentanza di un tipo di cellula che si mette in evidenza con il metodo di Golgi nei preparati di tutte le aree della neocorteccia, caratterizzata da un pericario a forma di piramide situato nel terzo o nel quinto strato della corteccia, il cui apice si assottiglia progressivamente in un dendrite apicale che emette branche lungo tutto il suo decorso e termina con numerose fini ramificazioni orizzontali nello strato più esterno. I dendriti sono ricoperti di spine che, come è stato dimostrato con il microscopio elettronico, sono aree di contatto sinaptico (v. Gray, 1959). L'assone origina dalla base della piramide e decorre nella sostanza bianca sottocorticale, inviando indietro nella corteccia numerose branche collaterali ricorrenti.
Negli esperimenti di microfisiologia le cellule TP possono essere identificate e classificate in ‛rapide' o ‛lente' (v. cap. 3) stimolandone gli assoni nella piramide midollare e registrando l'impulso antidromico, che si propaga all'indietro nel neurone, mediante un microelettrodo posto sulla superficie della membrana (v. fig. 13A). In condizioni favorevoli il microelettrodo può penetrare nella membrana senza causare la morte immediata del neurone: la negatività interna della cellula (circa 70 mV) viene allora registrata istantaneamente e l'impulso antidromico appare come un potenziale a punta positivo dell'ampiezza di circa 100 mV (v. fig. 13B). Se il contatto con l'interno della cellula può essere mantenuto per pochi minuti prima che il potenziale di membrana si deteriori, è possibile registrare direttamente i potenziali postsinaptici eccitatori e inibitori generati da afferenze eccitatorie e inibitorie alle spine dendritiche del neurone. Gli stessi eventi possono essere rilevati indirettamente in registrazioni extracellulari. Le azioni sinaptiche eccitatorie graduate possono essere sufficientemente intense da scatenare una salve di impulsi ortodromici tutto-o-nulla in un neurone ‛silente'; azioni più deboli possono essere viste come un aumento della frequenza delle scariche d'impulsi di un neurone già in attività. Le azioni sinaptiche inibitorie graduate possono essere rilevate con il metodo extracellulare solo se il neurone è già attivo: in questo caso esse possono essere misurate in base alla diminuzione della frequenza degli impulsi che ne risulta. Tutte queste proprietà delle cellule del TP sono simili a quelle di altri neuroni: l'entità dell'eccitazione sinaptica ‛graduata' dei dendriti determina l'intensità della corrente depolarizzante (diretta verso l'esterno) che passa attraverso la membrana del segmento iniziale amielinico dell'assone. Questa membrana pacemaker dà luogo a treni di impulsi tutto-o-nulla la cui frequenza dipende dall'intensità della corrente depolarizzante (v. Phillips, 1961; v. elettrofisiologia; v. neurone e impulso nervoso; v. sinapsi: Fisiologia della sinapsi centrale e Fisiologia della sinapsi periferica).
b) Microfarmacologia della trasmissione sinaptica ai neuroni TP.
Sono stati fatti molti tentativi per identificare le sostanze trasmettitrici liberate dalle terminazioni assoniche che formano sinapsi con le spine dendritiche delle cellule TP.
D.R. Curtis ha ideato microelettrodi costituiti da più micropipette per applicare ionoforeticamente farmaci il più vicino possibile ai neuroni (v. Curtis e Crawford, 1969). Una micropipetta viene usata per registrare extracellularmente la scarica degli impulsi; le altre contengono farmaci inibitori o eccitatori (presunti trasmettitori) che riproducono la trasmissione sinaptica, eccitatoria o inibitoria, o farmaci che aumentano o deprimono sia la trasmissione sinaptica sia le azioni dei presunti trasmettitori.
Non è ancora possibile immettere queste sostanze solo entro la fessura sinaptica. Questi esperimenti hanno dimostrato che l'80% delle cellule TP vengono eccitate dall'acetilcolina (ACh). Gli enzimi per la sintesi dell'ACh sono presenti in sinaptosomi isolati dalla corteccia cerebrale. L'inibizione sinaptica delle cellule TP può essere evocata da una salve inibitoria indotta stimolando elettricamente un punto corticale adiacente (v. Phillips, 1961) che si distingue per la sua lunga durata e la sua mancanza di sensibilità alla stricnina, un potente agente di blocco delle inibizioni sinaptiche di più breve durata dei motoneuroni spinali. L'inibizione sensibile alla stricnina è probabilmente trasmessa dalla glicina, dato che anche l'azione della glicina viene bloccata dalla stricnina (v. Curtis, 1969). La scarica delle cellule TP è inibita dall'acido ψ-amminobutirrico (GABA), la cui azione farmacologica, come quella delle sinapsi inibitorie, viene bloccata dalla bicucullina (v. Curtis e altri, 1970): pertanto è probabile che il GABA sia il trasmettitore inibitorio.
c) Azioni di collaterali ricorrenti degli assoni del TP.
Tra le afferenze sinaptiche alle cellule TP, le prime a essere studiate sono state quelle delle collaterali ricorrenti dei loro stessi assoni (v. fig. 12, c).
Un impulso piramidale antidromico percorre sia queste collaterali sia il soma e forse anche i dendriti delle cellule TP. Se la stimolazione è limitata a un fascio di fibre che non include l'assone della cellula TP che è stata penetrata da un microelettrodo intracellulare, allora le azioni sinaptiche esercitate su questa cellula dalle collaterali ricorrenti delle cellule vicine possono essere individuate e misurate, senza l'ulteriore complicazione creata da un impulso antidromico che invada il neurone (v. Phillips, 1961). Vi è una differenza tra le azioni delle collaterali di cellule TP ‛rapide' e ‛lente': la popolazione relativamente piccola delle cellule rapide dà origine a una potente inibizione ricorrente mediata da interneuroni locali; le cellule lente danno origine a una facilitazione ricorrente per mezzo di un'azione monosinaptica delle loro collaterali sulle cellule vicine (v. Armstrong, 1965; v. Kubota e Takahashi, 1965).
Le collaterali ricorrenti delle cellule TP inibiscono anche le cellule che hanno origine nel tratto corticorubro (CR; v. Tsukahara e altri, 1968), frammiste alle cellule TP nei giri sigmoidei; l'inibizione è probabilmente mediata da interneuroni locali (v. fig. 14). Il tratto corticorubro attiva le grandi cellule del nucleo rosso (v. Tsukahara e Kosaka, 1968), la distribuzione dei cui assoni ai vari livelli della zona intermedia del midollo spinale è organizzata somatotopicamente (v. Nyberg-Hansen e Brodal, 1964) e si sovrappone alla simile organizzazione somatotopica degli assoni del TP provenienti dalle aree corticali degli arti anteriori e posteriori. Le azioni fisiologiche della proiezione corticospinale (v. sotto) e di quella corticorubrospinale (v. Hongo e Jankowska, 1967; v. Hongo e altri, The rubrospinal tract. I-II, 1969) sono molto simili. È perciò interessante il fatto che sia le cellule del CR sia quelle TP sono soggette a inibizione ricorrente mediata da collaterali di assoni del TP, ma al momento sappiamo ben poco sul significato funzionale di questa inibizione. L'attivazione sincrona delle collaterali ricorrenti con una stimolazione piramidale antidromica è un espediente tecnico che serve solo a dimostrare l'esistenza di una facilitazione e di una inibizione ricorrenti, ma impedisce di osservare tutte le fini organizzazioni che potrebbero esistere. Per quanto ne sappiamo, la retroazione eccitatoria e inibitoria originante da cellule TP che scaricano ortodromicamente secondo schemi precisi durante il comportamento naturale potrebbe perfezionare l'attività delle cellule TP e del CR, migliorando il contenuto informativo delle istruzioni da esse inviate ai livelli inferiori con la facilitazione di parti ‛essenziali' delle efferenze e la soppressione di parti ‛non desiderate' (v. Tasukahara e altri, 1968). È anche possibile che i segnali ricorrenti formino parte della ‛scarica corollaria' e della ‛copia delle efferenze' che potrebbero essere la base del ‛senso di innervazione' postulato da Helmholtz (v. cap. 7). Al di là di queste illazioni, si è tentati di supporre che la potente inibizione ricorrente sia importante nel prevenire la genesi e la diffusione di scariche epilettiche, e di pensare che la lesione irritativa (discharging lesion) di Jackson sia una lesione biochimica del meccanismo della trasmissione inibitoria.
d) Afferenze periferiche ai neuroni TP.
Cellule situate alla profondità delle cellule TP, ma non identificate come tali con il metodo antidromico, scaricavano impulsi in risposta alla stimolazione elettrica della pelle degli arti (latenza da 12 a 29 ms), a stimoli sonori brevi (clicks; latenza da 25 a 45 ms) e a lampi di luce (latenza da 45 a 90 ms; v. Buser e Imbert, 1961). Questo comportamento ‛polisensoriale' contrasta profondamente con la reattività finemente circoscritta e di più breve latenza dei neuroni dell'adiacente corteccia somatosensitiva alla stimolazione localizzata della pelle (v. Mountcastle, 1957).
È probabile che la convergenza polisensoriale abbia luogo già a livello talamico (v. Buser, 1966). Un'intensa scarica sincrona lungo un nervo cutaneo, in anestesia da cloralosio, può mettere in moto una massiva salve di impulsi (‛riflessa') lungo il tratto piramidale. Altrettanto può fare una scarica lungo il nervo vestibolare (v. Megirian e Troth, 1964). In anestesia da cloralosio, anche un lampo di luce evoca una massiva scarica piramidale: perché questo avvenga, tuttavia, non è necessaria l'area visiva primaria della corteccia, quindi l'arco riflesso non include un'associazione corticocorticale visuomotoria (v. Wall e altri, 1953).
Alcuni neuroni identificati antidromicamente come neuroni TP rispondono solo alla stimolazione naturale di un'area localizzata della pelle di uno degli arti controlaterali (v. Brooks e altri, 1961; nell'articolo di Towe e altri, 1964, sono chiamati neuroni ‛s'). Si tratta per la maggior parte di cellule TP rapide (v. Wettstein e Handwerker, 1970). La stimolazione elettrica con lo stesso microelettrodo, che eccita probabilmente un centinaio di neuroni, può allora evocare un movimento dell'arto tendente a spostare l'area della pelle in direzione dello stimolo originale; ad esempio: stimolo sulla pelle del dorso della zampa, risposta motoria, flessione dorsale della zampa (v. Asanuma e altri, 1968).
Altre cellule TP (la maggioranza: nell'articolo di Towe e altri, 1964, sono chiamate neuroni ‛m') rispondono a stimolazioni di ampie aree, qualche volta persino multiple e bilaterali; le loro scariche possono qualche volta essere soppresse stimolando simultaneamente altre parti della pelle, o muovendo un'articolazione.
L'area che riceve le afferenze dalle terminazioni primarie dei fusi muscolari è l'area 3a, che è situata posteriormente ed è immediatamente adiacente all'area ‛motoria' classica, tra quest'ultima e l'area ‛somatosensitiva' classica che riceve le afferenze dalla pelle e dalle articolazioni (v. Oscarsson e Rosén, 1966; v. Landgren e Silfvenius, 1969). I neuroni di quest'area che non appartengono al TP mostrano potenziali postsinaptici eccitatori e inibitori (PPSE e PPSI) in risposta a salve afferenti lungo fibre del gruppo Ia di nervi muscolari (latenza di circa 5 ms). Eccezionalmente, può succedere di trovare una cellula TP che risponde a questo stimolo (v. Swett e Bourassa, Short latency..., 1967). Non si sa nulla delle afferenze dalle terminazioni secondarie dei fusi o dagli organi tendinei di Golgi (v. somatoestesia).
e) Reti cerebrali intrinseche formate in parte dal TP.
Le cellule TP possono essere eccitate e inibite dalla corrispondente area della corteccia dell'emisfero opposto attraverso il corpo calloso (v. Asanuma e Okuda, 1962). Le altre afferenze alle cellule TP a noi note sono collegamenti in circuiti che coinvolgono il cervelletto e altre strutture encefaliche e non possono essere descritte prescindendo da essi (v. fig. 14).
Gli assoni ‛rapidi' e ‛lenti' del TP emettono collaterali eccitatorie verso i nuclei pontini (v. Allen e altri, 1969), i quali inviano fibre muschiose alla corteccia cerebellare eccitandone i granuli e, attraverso le fibre parallele, le cellule di Purkinje. Gli assoni lenti del TP emettono collaterali eccitatorie verso l'oliva inferiore (v. Armstrong e Harvey, 1966; v. Kitai e altri, 1969), la quale invia alla corteccia cerebellare fibre rampicanti che eccitano le cellule di Purkinje. I nuclei del cervelletto (come il nucleus interpositus: v. fig. 14, IP) sono inibiti dalle cellule di Purkinje; quando questa inibizione manca, essi sono molto attivi. I loro impulsi eccitano il nucleo ventrolaterale (VL) del talamo (v. Eccles e altri, 1967), che è un importante centro per la convergenza dei segnali dalla periferia, dalla corteccia, dai nuclei talamici della linea mediana e dal globo pallido. Esso invia alle cellule TP quelle che potrebbero verosimilmente essere le loro afferenze eccitatorie più intense: i PPSE evocati dalla stimolazione elettrica del VL producono una scarica ad alta frequenza, e possono addirittura essere così grandi da inattivare, per eccessiva depolarizzazione, la membrana generatrice di impulsi di una cellula TP penetrata da un microelettrodo (v. Purpura e altri, 1964). Questi assoni talamocorticali formano connessioni monosinaptiche con le cellule TP rapide, ma eccitano indirettamente attraverso interneuroni corticali le cellule TP lente (v. Eccles e altri, 1967). Le cellule TP ricevono afferenze più deboli, ma francamente eccitatorie, dai nuclei talamici della linea mediana (v. Purpura e altri, 1964), e potenti afferenze inibitone dal nucleo caudato (v. Klee e Lux, 1962).
f) Distribuzione e azioni delle efferenze piramidali: scelta del punto di stimolazione.
La stimolazione della piramide bulbare o del tratto corticospinale laterale è utile non solo per l'identificazione antidromica delle cellule TP e per lo studio delle loro collaterali ricorrenti, ma anche per lo studio della distribuzione e delle azioni sinaptiche delle loro collaterali nel tronco dell'encefalo. Con questo metodo le collaterali sono eccitate selettivamente, mentre uno stimolo localizzato alla corteccia può coeccitare altri neuroni corticifughi (non TP) i cui assoni possono distribuirsi parallelamente alle collaterali del TP. Si è già parlato del problema di distinguere queste differenti fibre a proposito del nucleo rosso e dei nuclei delle colonne dorsali. Tuttavia, la stimolazione del tratto è inutile se si vogliono inviare piccole salve piramidali da aree circoscritte della corteccia. È quindi importante conoscere le azioni di deboli stimoli corticali su cellule TP identificate antidromicamente.
g) Azioni dirette e indirette di stimoli elettrici sui neuroni TP.
Per queste analisi (v. Phillips, 1956) si fanno passare impulsi di corrente tra un elettrodo focale che tocca la superficie della corteccia e un elettrodo remoto di grande area. La densità di corrente è massima nel punto di contatto dell'elettrodo focale. L'azione dell'impulso stimolante dipende dalla sua polarità, dall'orientamento dell'asse maggiore dei neuroni in relazione alle linee di flusso della corrente e dalla distanza dei neuroni dal punto di contatto. L'eccitazione elettrica delle membrane neuroniche richiede un flusso verso l'esterno (depolarizzante) della corrente stimolante attraverso la membrana. Le cellule TP situate nella convessità del giro coronale sono orientate ad angolo retto rispetto alla superficie cerebrale: un elettrodo focale posto sulla superficie corticale ne eccita direttamente gli assoni solo se la corrente è diretta verso l'interno (cioè se l'elettrodo è un anodo), presumibilmente perché la ‛frazione stimolante' della corrente totale entra attraverso i dendriti e fluisce verso l'esterno attraverso la membrana somatica o assonica. Le cellule TP situate nelle pareti del solco crociato sono variamente orientate in relazione al flusso di corrente provocato da un elettrodo focale posto sulla convessità dei giri sigmoide o coronale, e la polarità degli impulsi considerevolmente più intensi che sono necessari per stimolarle direttamente non è critica; entrambe le polarità possono fornire un'adeguata frazione di corrente diretta verso l'esterno attraverso la membrana del soma o quella assonica. Queste cellule mostrano anche PPSE o PPSI dovuti all'eccitazione di meccanismi sinaptici intracorticali interposti tra le cellule e l'elettrodo. Una simile indipendenza dalla polarità dell'eccitazione diretta e simili fenomeni di attività sinaptica intracorticale si osservano in cellule situate sulla convessità di un giro quando l'elettrodo focale è spostato orizzontalmente di pochi millimetri. Per la stimolazione di superficie si deve quindi preferire la corrente diretta verso l'interno (anodica). Al livello di soglia, questa eccita selettivamente una piccola popolazione di cellule immediatamente sottostante il punto di contatto, evitando così le complesse interazioni interneuroniche e sinaptiche degli strati esterni della corteccia. Tuttavia, se la corrente viene aumentata, la popolazione direttamente eccitata cresce fino a includere cellule situate orizzontalmente a pochi mm di distanza e anche nella profondità del solco crociato, e l'eccitazione diretta iniziale delle cellule è seguita da eccitazione indiretta (sinaptica). Pertanto, per la stimolazione isolata di piccole popolazioni circoscritte di neuroni situati in profondità nelle pareti di un solco, il metodo di microstimolazione intracorticale di Asanuma e Sakata (v., 1967) è essenziale.
L'esistenza di stimolazioni corticali dirette (D) e indirette (I) delle cellule TP fu messa in evidenza in registrazioni dal tratto piramidale (v. Patton e Amassian, 1954 e 1960), sotto forma di un'onda (o scarica) D iniziale seguita da una o più onde (o scariche) I. Le onde I sono abolite dall'asfissia, alla quale i meccanismi sinaptici sono più sensibili di quelli assonici. Solo l'onda D rimane dopo la rimozione degli strati corticali dalla sottostante sostanza bianca (assoni).
h) Apparato per il controllo delle afferenze al sistema nervoso centrale.
Abbiamo già considerato le efferenze delle cellule TP studiate microfisiologicamente, cioè le collaterali ricorrenti e le collaterali corticopontine e corticoolivari. Nel descrivere le distribuzioni degli altri assoni del TP è logico raggrupparli in due ampie categorie a seconda dell'interesse funzionale invece che a seconda della sequenza anatomica con la quale essi lasciano il tratto. La prima categoria è correlata al controllo delle afferenze al sistema nervoso centrale; probabilmente alcune riguardano il controllo automatico retroattivo del movimento, altre le sensazioni e l'attenzione (v. cap. 7). La seconda categoria è correlata con il controllo delle efferenze motorie.
Afferenze al cervelletto. - La fig. 14 mostra alcune delle connessioni che controllano le afferenze eccitatorie che raggiungono la corteccia cerebellare dal midollo spinale attraverso i tratti spinocerebellare dorsale, spinocerebellare rostrale e cuneocerebellare. Le azioni sinaptiche degli assoni del TP sulle cellule di origine dei tratti possono intensificare la trasmissione dai campi recettivi della pelle e diminuire quella dalle terminazioni primarie dei fusi muscolari e dagli organi tendinei di Golgi (v. Oscarsson, 1965). Le collaterali degli assoni lenti del TP che terminano nell'oliva inferiore possono intensificare la trasmissione di segnali spinoolivari portati dalle fibre ascendenti olivocerebellari (v. fig. 14). I tratti spinoolivari sono messi in azione dalla stimolazione nocicettiva di ampi campi recettivi (pelle, muscoli, articolazioni) o da segnali dai fusi muscolari e dagli organi tendinei (Oscarsson, cit. in Evarts e altri, 1971).
Afferenze alla corteccia cerebrale. - Le afferenze che vanno attraverso il talamo alle aree riceventi somatosensitive della corteccia possono essere influenzate dal TP a livello delle arborizzazioni afferenti primarie così come a quello dei neuroni di secondo ordine nel midollo spinale e nei nuclei delle colonne dorsali (v. somatoestesia). Gli assoni del TP interessati sono in maggioranza quelli che originano dalle aree somatosensitive. Depolarizzando le arborizzazioni afferenti primarie, e diminuendo quindi la liberazione di trasmettitori eccitatori da parte loro, questi assoni del TP possono selettivamente bloccare una particolare afferenza senza diminuire la reattività dei neuroni di secondo ordine ad altre afferenze. Si pensa che questa ‛inibizione presinaptica' sia mediata da interneuroni i cui assoni formano sinapsi assoassoniche sulle terminazioni sinaptiche delle fibre afferenti primarie (v. sinapsi: Fisiologia della sinapsi periferica e Fisiologia della sinapsi centrale). Il TP può inibire presinapticamente alcune delle afferenze dalla pelle (quelle portate dalle fibre cutanee a più rapida conduzione), dagli organi tendinei di Golgi e dalle terminazioni secondarie dei fusi muscolari, ma non può inibire l'afferenza dalle terminazioni primarie dei fusi (v. Carpenter e altri, 1963; v. i contributi di Andersen e altri, 1964).
Fibre specifiche corticonucleari (v. Gordon e Miller, 1969) arrivano ai nuclei delle colonne dorsali dalla stessa area generale della corteccia dell'emisfero opposto. La stimolazione della corteccia causa inibizione presinaptica delle fibre afferenti primarie che terminano nei nuclei, e anche inibizione postsinaptica e facilitazione dei neuroni di secondo ordine i cui assoni formano il lemnisco mediale che proietta al talamo ventroposteriore. L'organizzazione di queste attività nel nucleo gracile, che trasmette informazioni dall'arto posteriore, dà una suggestiva indicazione del loro probabile significato funzionale. In questo nucleo vi sono due tipi di neuroni di secondo ordine, segregati spazialmente in due gruppi che proiettano ad aree talamiche separate e sono in grado di selezionare dalle afferenze sensitive informazioni su caratteristiche diverse (v. Gordon, 1968). Le cellule del primo tipo ricevono segnali da piccoli campi recettivi periferici, e rispondono specificamente quando viene toccata un'unghia, un cuscinetto plantare o alcuni peli. Questi campi sono nettamente circoscritti da un'inibizione laterale quando vengono toccati campi adiacenti. Questa organizzazione sembra ben adatta a selezionare dalla totalità delle afferenze una caratteristica particolare, la forma del contorno di un oggetto premuto contro la pelle. È stato dimostrato teoricamente che un'inibizione di fondo diffusa, esercitata su una popolazione di tali cellule di secondo ordine, tenderà a rendere ancora più vivida questa discriminazione di contorni: l'aumento dell'intensità dell'inibizione di fondo restringerà la risposta ai soli contorni prima di abolirla completamente. È perciò particolarmente interessante il fatto che la corteccia fornisca l'inibizione, e non l'eccitazione, a questi neuroni di secondo ordine: il cervello sarebbe così in grado di ‛prestare attenzione' ai contorni di uno stimolo al quale è ‛interessato'. I neuroni di secondo ordine dell'altro tipo mostrano convergenze eccitatorie da ampi campi recettivi nell'arto posteriore e nel tronco. Questa organizzazione non terrebbe conto dei contorni ma potrebbe selezionare dalla totalità delle afferenze un'altra importante caratteristica, l'intensità media della stimolazione. Questi neuroni vengono eccitati, non inibiti, dalla corteccia, la quale potrebbe quindi operare la regolazione della sensibilità del sistema nel prestare attenzione all'intensità totale di stimolazione dell'arto.
i) Apparato per il controllo delle efferenze dal sistema nervoso centrale.
Le restanti azioni sinaptiche degli assoni del TP sono quelle della seconda categoria, correlata alle efferenze motorie del sistema nervoso centrale (SNC). Questi sono presumibilmente gli assoni che originano per la maggior parte dai neuroni corticali situati più anteriormente e sono distribuiti principalmente alle parti più laterali e ventrali della sostanza grigia spinale (v. cap. 3).
Le loro azioni sono molto simili a quelle delle proiezioni corticorubrospinali, organizzate somatotopicamente, la cui componente corticorubra origina dalla stessa area della corteccia. Le interconnessioni sinaptiche tra le due proiezioni sono interessanti, anche se il loro significato non è stato ancora chiarito. Sia gli assoni rapidi sia quelli lenti del TP mandano collaterali al nucleo rosso. Le grandi cellule che danno origine al tratto rubrospinale sono inibite, attraverso interneuroni, dalle cellule TP rapide. Le collaterali ricorrenti delle stesse cellule TP inibiscono le cellule corticorubre situate al loro fianco nella corteccia: la trasmissione corticospinale ‛rapida' implicherebbe pertanto l'inibizione della trasmissione corticorubrospinale a due livelli. Gli assoni lenti del TP, invece, eccitano monosinapticamente i neuroni rubrospinali (v. fig. 14; v. Tsukahara e altri, 1968).
Per limitare agli assoni del TP le scariche che entrano nel midollo spinale, è necessario sezionare l'intero neurasse, risparmiando solo le piramidi bulbari (v. Lloyd, 1941; v. Agnew e altri, 1963). Vale la pena di sottolineare che negli esperimenti che verranno ora descritti, persino le più intense scariche del TP non evocano risposta motoria. Adrian e Moruzzi (v., 1939), che sono stati i primi a registrare da assoni piramidali, furono sorpresi dall'osservazione che questi assoni scaricavano spontaneamente a basse frequenze in assenza di ogni movimento in gatti anestetizzati. Perché vi sia movimento in risposta alla stimolazione corticale o piramidale (v. Brookhart, 1952), sono necessarie la sommazione spaziale e la sommazione temporale nel midollo spinale: la prima dipende dall'intensità delle scariche del TP (numero di assoni che scaricano), la seconda dal numero e dalla frequenza delle scariche.
Lloyd (v., 1941) fu il primo a studiare con metodi microfisiologici la distribuzione dell'attività degli assoni del TP nella sostanza grigia spinale, e il suo studio rimane uno dei migliori. Le scariche piramidali eccitavano alcuni interneuroni nel corno posteriore e nella regione intermedia, e ne inibivano altri. Erano necessarie almeno tre salve a 400 Hz per far scaricare gli interneuroni del corno posteriore. Parecchie salve erano necessarie per far scaricare gli interneuroni nella regione intermedia, e per produrre un effetto subliminale sui motoneuroni: questo fu messo in evidenza, nel periodo precedente l'introduzione delle registrazioni intracellulari, dalla facilitazione del riflesso monosinaptico segmentale. La stimolazione piramidale ripetitiva non faceva scaricare i motoneuroni se non 20 o 30 ms dopo l'inizio della stimolazione stessa. Così il quadro era quello di una risposta che si costituiva partendo dal corno posteriore, diffondendosi poi ventralmente ai motoneuroni.
Vi sono prove recenti che gli assoni del TP eccitano monosinapticamente neuroni propriospinali i cui assoni distribuiscono eccitazioni monosinaptiche ai motoneuroni di parecchi segmenti. Questa sembrerebbe la loro funzione specifica, dato che nessuno di essi viene influenzato sinapticamente da afferenze periferiche (v. Kostyuk e Vasilenko, 1968).
l) Azioni del TP sugli archi riflessi.
La nozione sherringtoniana che il riflesso sia un'unità fondamentale dell'organizzazione nervosa centrale, e che la corteccia cerebrale operi con l'impiego selettivo di archi riflessi segmentali (v. cap. 7), è stata corroborata dalle moderne analisi microfisiologiche del midollo spinale del gatto. È utile, seguendo questo lavoro, distinguere due livelli di organizzazione dei riflessi spinali segmentali: i riflessi propriocettivi di Sherrington, che originano dai recettori nei fusi muscolari e negli organi tendinei di Golgi, e che possono essere considerati come circuiti di retroazione che regolano le efferenze dei motoneuroni, e i riflessi esterocettivi dalla superficie corporea, che impiegano i motoneuroni e i loro circuiti di retroazione come un insieme funzionale.
Questi circuiti di controllo sono rappresentati in un diagramma schematico nella fig. 15. I grandi cerchi neri rappresentano raggruppamenti di motoneuroni che agiscono antagonisticamente a livello di un'articolazione, raffigurata nel diagramma come una leva a cardine. I muscoli flessori non si possono contrarre senza l'allungamento degli estensori, e viceversa. La forza e la velocità dei movimenti sono controllate dal numero dei motoneuroni coinvolti nell'azione e dalla frequenza degli impulsi che essi inviano alle loro unità motrici nei muscoli.
Quando il muscolo si contrae contro una resistenza, l'insieme dei suoi motoneuroni viene sottoposto all'inibizione disinaptica dagli organi tendinei di Golgi, i cui impulsi decorrono nelle fibre del gruppo Ib dei nervi muscolari. Questo circuito di retroazione è indicato, per il gruppo degli estensori, a destra nel diagramma. Quando un muscolo viene stirato passivamente, a causa della gravità o della contrazione di un muscolo antagonista, al suo interno vengono eccitate due classi di recettori muscolari. Le terminazioni secondarie dei fusi muscolari misurano la lunghezza del muscolo in ogni istante; poiché le loro connessioni centrali e le loro azioni riflesse sono ancora in corso di studio, il diagramma non ne fa cenno (v. fig. 15, II). Anche le terminazioni primarie misurano la lunghezza del muscolo in condizioni stazionarie, mentre misurano velocità e lunghezza dello spostamento quando il muscolo si sta allungando: quanto più rapido è l'allungamento del muscolo tanto più alta è la frequenza di scarica dei loro impulsi. Le afferenze dalle terminazioni primarie, che decorrono nelle fibre di maggiore diametro e di più alta velocità di conduzione nei nervi muscolari (v. fig. 15, Ia), eccitano monosinapticamente i motoneuroni e inibiscono disinapticamente i motoneuroni antagonisti. Le afferenze corrispondenti dai muscoli estensori sono state omesse per semplificare il diagramma. Queste connessioni reciproche tra gruppi antagonisti sono le più elementari tra le organizzazioni che stanno alla base della ‛innervazione reciproca' di Sherrington: gli antagonisti si rilassano quando i muscoli direttamente interessati nel movimento si contraggono.
Nella fig. 15, d ed 5 rappresentano insiemi di neuroni fusimotori dinamici e statici, che innervano le fibre muscolari intrafusali dei fusi muscolari. Essi permettono al SNC di regolare la sensibilità delle terminazioni primarie e secondarie. I neuroni fusimotori statici aumentano la frequenza degli impulsi delle terminazioni primarie e secondarie al di sopra del valore ‛non regolato' quando il muscolo viene mantenuto a una data lunghezza. I neuroni fusimotori dinamici aumentano la frequenza delle terminazioni primarie al di sopra del valore non regolato quando il muscolo viene allungato a una data velocità. I fusi, come mostra la fig. 15, sono accoppiati ‛in parallelo' con il muscolo, e quando il muscolo si accorcia attivamente essi cessano di scaricare. Ma supponiamo che un programma nervoso centrale attivi insieme i motoneuroni, α, e i neuroni fusomotori, γ (è ciò che Granit, nel suo lavoro del 1970, chiama ‛legame α γ'). In questo caso non è necessario che i fusi siano inattivati. Le terminazioni primarie continuerebbero a scaricare impulsi, rinforzando continuamente il comando centrale ai motoneuroni, facilitando i motoneuroni dei muscoli sinergisti secondo lo schema di distribuzione delle fibre la (v. Lundberg, 1959) e inibendo continuamente i motoneuroni antagonisti (è ciò che Hongo e altri, nell'articolo The rubrospinal tract. II, 1969, chiamano ‛inibizione reciproca associata α γ'). Se il movimento incontrasse qualche resistenza, l'accorciamento dei fusi verrebbe controllato e la loro scarica aumenterebbe, potenziando così il rinforzo del comando alle membrane dei motoneuroni. Un tale meccanismo di ‛servoassistenza' tenderebbe a compensare le variazioni del carico esterno. La scarica sostenuta dalle terminazioni primarie e secondarie durante tutto il periodo di movimento manterrebbe anche il flusso delle informazioni sulla lunghezza e sulla velocità alla corteccia e al cervelletto.
Uno dei più evidenti schemi di organizzazione centrale dell'impiego del meccanismo riflesso spinale causa la flessione dell'arto posteriore in tutte le articolazioni, sia sotto forma di ritrazione riflessa dell'arto di fronte a uno stimolo nocivo, sia sotto forma di una parte dello schema stereotipato della deambulazione riflessa. Tale flessione è riprodotta molto facilmente dalla stimolazione della corteccia del gatto.
La reazione prodotta dalla stimolazione della pelle è mediata da interneuroni. Lundberg e altri (v., 1962) hanno scoperto interneuroni comuni sui quali convergono afferenze cutanee e corticospinali. La fig. 16A illustra una registrazione intracellulare di PPSE da uno di questi interneuroni in risposta a una salve lungo un nervo cutaneo, e la fig. 16, D, E ed F, mostra i PPSE evocati rispettivamente da una, due e tre salve corticospinali. La registrazione intracellulare dai motoneuroni α rivela l'azione polisinaptica finale delle salve corticospinali, con i PPSE che predominano nei motoneuroni flessori e i PPSI in quelli estensori. La fig. 17 illustra questi effetti e anche i risultati della convergenza di impulsi cutanei e corticospinali su interneuroni che sono interposti tra le afferenze e i motoneuroni.
La fig. 17 mostra che la debole stimolazione di un nervo cutaneo (A) o la stimolazione corticale (B) determinano azioni sinaptiche trascurabili su di un motoneurone flessore; insieme (C) esse evocano un PPSE. Questo significa che l'azione eccitatoria sinaptica di ognuna delle due afferenze singolarmente non è sufficiente a portare gli interneuroni al loro livello di scarica. Ma con la sommazione spaziale delle afferenze convergenti gli interneuroni scaricano impulsi tali da evocare un PPSE nel motoneurone. La fig. 17, D, E ed F,illustra una simile convergenza di eccitazione cutanea e corticospinale su interneuroni che mediano l'inibizione verso un motoneurone estensore. Quando la sommazione spaziale delle due afferenze fa scaricare gli interneuroni, il motoneurone mostra un PPSI (v. fig. 17F; v. Lundberg e Voorhoeve, 1962).
Il quadro generale delle connessioni del TP con gli interneuroni degli archi riflessi, così come è stato elaborato da Lundberg e colleghi, è rappresentato nella fig. 18, in cui queste connessioni sono sovrapposte al diagramma dei riflessi propriocettivi mostrato nella fig. 15. Operando al livello propriocettivo, il TP rinforza monosinapticamente, eccitando gli appropriati interneuroni, l'inibizione reciproca dei motoneuroni estensori prodotta dalle terminazioni primarie dei fusi dei flessori (v. fig. 18, d) e la retroazione inibitoria prodotta dagli organi tendinei di Golgi degli estensori (v. fig. 18, e). Operando a livello esterocettivo, il TP inibisce presinapticamente le afferenze cutanee (v. fig. 18, e) ed eccita insiemi di interneuroni che distribuiscono eccitazione a motoneuroni flessori e inibizione a motoneuroni estensori (v. fig. 18, a).
La predominanza dell'eccitazione dei motoneuroni flessori e dell'inibizione di quelli estensori spiega evidentemente la facilità con la quale la flessione può essere provocata dalla stimolazione corticale e la rarità delle risposte estensorie notata da Sherrington (v., 1906); ‟Questo raro verificarsi di certi movimenti, per esempio dell'estensione del ginocchio [...] non significa che questa corteccia sia in contatto con i soli flessori e non con gli estensori. Significa che l'effetto abituale della corteccia su questi ultimi è l'inibizione".
Il lavoro di Preston e colleghi sulla distribuzione dettagliata dell'eccitazione e dell'inibizione negli insiemi di motoneuroni flessori ed estensori degli arti anteriori e posteriori del gatto è stato riassunto da Preston e altri (v., 1967). La quantità e l'andamento temporale dell'eccitazione e dell'inibizione sono stati riportati in grafico sotto forma di aumento o diminuzione della facilitazione dei riflessi monosinaptici prodotti dalle fibre del gruppo Ia dei nervi dei muscoli (v. anche fig. 15). La fig. 19 mostra la lunga durata dell'eccitazione subliminale polisinaptica (facilitazione) dei flessori, e della inibizione polisinaptica degli estensori, che fanno seguito a un treno di scariche corticospinali in numero variabile da tre a cinque (v. Patton e Amassian, 1954) in preparati ‛piramidali', nei quali era stato distrutto il tronco dell'encefalo, risparmiando solo le piramidi. L'organizzazione reciproca è evidente. La preponderanza dei flessori è ancor più rimarchevole se si tiene presente che il preparato piramidale assomiglia a un preparato decerebrato, in cui i riflessi di flessione sono tonicamente inibiti e quelli di estensione sono tonicamente facilitati. Le relazioni tra insiemi di motoneuroni sono tuttavia più complesse nel polso (non mostrato), più mobile, che nell'articolazione a cerniera della caviglia; la gamma, molto più vasta, dei movimenti del polso è meno facilmente inquadrabile in categorie di ‛flessori' ed ‛estensori', e l'organizzazione delle connessioni propriocettive è parimenti complessa (v. Willis e altri, 1966). I motoneuroni dei muscoli intrinseci della zampa anteriore ricevono facilitazione pura. Preston e colleghi, e anche Corazza e altri (v., 1963), suggeriscono che l'inibizione del tono posturale estensorio (antigravitario) possa avere un ruolo importante nell'avviare il movimento.
m) La proiezione del TP ai neuroni fusimotori.
Il problema del rapporto sinaptico tra gli assoni del TP e i neuroni fusimotori non è stato ancora risolto.
L'eccitazione e l'inibizione dei neuroni fusimotori possono essere messe in evidenza dagli effetti sulle scariche di singole terminazioni primarie, registrate da fibre delle radici dorsali. Se i motoneuroni α sono coeccitati, il muscolo si accorcerà e diminuirà il carico del fuso; per evitare confusioni è assolutamente necessario effettuare una miografia simultanea. Alternativamente, si possono registrare gli impulsi fusimotori da singoli assoni delle radici ventrali. Questo metodo è inutile se ciò che interessa è l'organizzazione funzionale di particolari gruppi muscolari; per questo sono necessarie registrazioni da singoli assoni fusimotori nei nervi muscolari o registrazioni microelettrodiche da singoli neuroni fusimotori nel midollo spinale, identificati antidromicamente stimolando i nervi muscolari. Altrimenti non si può sapere se le unità sono di tipo statico o dinamico.
Granit e Kaada (v., 1952) sono stati i primi a registrare l'accelerazione di un fuso del muscolo gastrocnemio indotta dalla stimolazione della corteccia o del tratto piramidale, e l'accelerazione della scarica di un assone fusimotore nel nervo gastrocnemio (estensore della caviglia). I neuroni fusimotori, a differenza dei motoneuroni α, scaricano in maniera caratteristica in assenza di stimolazione. La scarica di un altro fuso del muscolo gastrocnemio veniva decelerata dalla stimolazione della corteccia motoria e del giro orbitale. In un maggior numero di registrazioni dalla radice ventrale, Granit e Kaada hanno visto che la stimolazione del tratto piramidale o della corteccia motoria causava generalmente l'accelerazione delle scariche fusimotrici prima che gli assoni di qualsiasi motoneurone a iniziassero la loro attività. Più raramente, alcuni assoni α diventavano attivi prima dell'inizio di qualunque risposta fusimotrice.
I neuroni fusimotori non ricevono alcuna afferenza monosinaptica importante che si trovi in posizione tale da poterla facilmente stimolare per analizzare la facilitazione o l'inibizione di intere popolazioni da parte di precedenti stimoli piramidali, com'è il caso, invece, delle afferenze del gruppo Ia che possono essere utilizzate per analizzare le risposte di popolazioni di motoneuroni α a salve piramidali (v. fig. 19). I neuroni fusimotori sono molto piccoli e molto difficili da penetrare con microelettrodi per la registrazione di PPSE e PPSI. Corazza e altri (v., 1963) sono riusciti a penetrarne alcuni e hanno trovato che la stimolazione della piramide bulbare evocava PPSE di breve durata a latenze (polisinaptiche), che cadevano nella gamma delle latenze più brevi misurate nella popolazione α. Fidone e Preston (v., 1969) hanno affrontato il problema con un metodo diverso, registrando la modulazione della scarica spontanea di impulsi di singoli assoni fusimotori da parte di un singolo stimolo corticale applicato a un dato istante, nell'intervallo fra due impulsi successivi, e sommando elettronicamente i risultati di un gran numero di prove. Essi trovarono che una singola salve piramidale (onda D) aveva un effetto facilitatorio o inibitorio rilevabile, mentre non aveva alcun effetto sui motoneuroni α per i quali è necessario un treno di salve in numero da tre a cinque (onde D, od onde D e I). La latenza centrale è stata misurata sottraendo dalla latenza totale i tempi di conduzione degli assoni piramidali e fusimotori. Questa latenza centrale è di circa 4 ms, e varia di così poco da preparato a preparato (da 3,6 a 4,3 ms) da suggerire che gli assoni piramidali siano in rapporto sinaptico più stretto con i motoneuroni fusimotori che con quelli α. Il tempo di conduzione piramidale misurato è quello del gruppo più rapido degli assoni del TP. Si potrebbe spiegare la breve latenza centrale con un ricco rapporto interneuronico tra questo gruppo e i neuroni fusimotori, ma non si può escludere una connessione monosinaptica degli assoni più lenti del TP. La modulazione dell'attività fusimotrice tonica a opera di una singola salve del TP dura da parecchi ms a quasi 2 s, il che implica un bombardamento sostenuto da parte di interneuroni. Il collegamento corticofusimotorio è stato incluso nel diagramma della fig. 18, dove l'interruzione e il punto interrogativo stanno a indicare l'incertezza sulla sua precisa natura.
Fidone e Preston (v., 1969), usando preparati piramidali, hanno raccolto registrazioni da 149 assoni fusimotori destinati agli estensori della caviglia e da 79 destinati ai flessori della caviglia. Circa i due terzi dei fusimotori estensori erano decelerati (inibiti) dalla stimolazione corticale, e circa i due terzi dei fusimotori flessori erano accelerati (facilitati). Questi risultati sono chiaramente in accordo con i già citati risultati sui motoneuroni α: inibizione di estensori, facilitazione di flessori.
Il comportamento delle rimanenti popolazioni (un terzo) di fusimotori estensori e flessori era sconcertante: gli estensori erano facilitati, i flessori inibiti. Le fibre fusimotrici statiche sono all'incirca due volte più comuni delle dinamiche, e Fidone e Preston hanno proposto come ipotesi di lavoro che i fusimotori estensori facilitati e i fusimotori flessori inibiti possano essere tutti fusimotori dinamici. Vedel (v., 1966) trovò che la stimolazione piramidale intensificava la possibilità dinamica delle terminazioni primarie dei fusi del soleo (estensore della caviglia). In alcuni ‛estensori fisiologici' dell'arto anteriore del gatto (polso), Yokota e Voorhoeve (v., 1969) riscontrarono accelerazione delle terminazioni secondarie e aumento della sensibilità dinamica delle terminazioni primarie in risposta a salve piramidali, che devono perciò eccitare neuroni fusimotori sia statici sia dinamici. Non è ancora possibile individuare in questi risultati alcun segno di organizzazione funzionale.
6. Microfisiologia del tratto piramidale nei Primati.
Si può presumere che le proprietà biofisiche generali dei neuroni del TP dei Primati assomiglino a quelle dei neuroni del TP del gatto. Lo studio delle afferenze a cellule del TP identificate antidromicamente è appena cominciato. Albe-Fessard e Liebeskind (v., 1966) hanno trovato che la maggioranza dei neuroni (non identificati) nel giro precentrale delle scimmie rispondeva a movimenti passivi degli arti, alla trazione dei tendini di muscoli denudati o alla pressione localizzata sui loro ventri, ma non alla stimolazione tattile localizzata com'è il caso, invece, dei neuroni del giro postcentrale (v. Mountcastle e Powell, 1959). Le ricerche sulle efferenze delle cellule del TP sono state sin ora limitate alle loro azioni sui motoneuroni α e sui neuroni fusimotori.
a) Stimolazione diretta e indiretta dei neuroni del TP.
I principi generali che regolano la stimolazione elettrica, dalla superficie corticale, delle cellule del TP, stabiliti per la prima volta per mezzo della registrazione intracellulare nel gatto, sono stati confermati nei babbuini registrando da singoli assoni nel tratto corticospinale laterale (v. Phillips, 1969).
Brevi impulsi (0,2 ms) di corrente anodica focale applicati alla convessità del giro precentrale stimolano direttamente le sottostanti cellule del TP; se prolungati, per esempio a 5 ms, essi causano una scarica ripetitiva ad alta frequenza della membrana elettrogenica durante il passaggio di corrente. La soglia è più alta per impulsi catodici focali e l'eccitazione è trans-sinaptica. La stimolazione convenzionale bifocale (‛bipolare') con distanza interelettrodica di circa 2 mm evoca una mescolanza di effetti diretti e trans-sinaptici che non sono limitati alle cellule del TP nella regione compresa tra i poli. L'aumento dell'intensità maschera i differenti effetti della stimolazione anodica e di quella catodica, coinvolgendo un maggior numero di cellule del TP, situate a distanza sia in senso orizzontale lungo il giro, sia in profondità nella parete precentrale della scissura rolandica: la prova della stimolazione diretta e indiretta di queste popolazioni più ampie è data dall'aumento delle onde D e I di Patton e Amassian (v., 1954 e 1960). Kernell e Wu Chien-ping (v., Responses of..., 1967) hanno provato che le onde I sono dovute alla scarica ripetitiva di alcuni assoni rapidi del TP che per primi rispondevano durante l'onda D, presumibilmente dovuta al bombardamento periodico di cellule di Betz attraverso catene di neuroni con caratteristiche temporali fisse (v. Patton e Amassian, 1960).
b) La proiezione corticomotoneuronica (CM).
Il primo tentativo di scoprire quanto strette siano le connessioni tra corteccia motoria e motoneuroni nella scimmia è stato quello di Cooper e Denny-Brown (v., 1928). Essi stimolarono l'area corticale del braccio con diverse frequenze e ottennero magnifiche registrazioni elettriche e meccaniche dai muscoli brachiale, tricipite e flessore profondo delle dita (v. fig. 20).
A frequenze più basse di 4/s non vi era risposta anche se la stimolazione continuava per più di mezzo minuto. A frequenze leggermente più alte le risposte cominciavano dopo un ‛periodo di sommazione' dell'ordine di vari secondi (ad esempio: frequenze di 9/s, periodo di sommazione dai 7,6 ai 14 s). Le prime scarse risposte aumentavano di intensità (‛reclutamento'). Ogni risposta si manifestava con un discreto picco nel miogramma e come un gruppo di scariche dei motoneuroni nell'elettromiogramma. L'onda iniziale (‛primaria') del gruppo era la più ampia; il ‛periodo di latenza' tra ogni singolo stimolo corticale e la corrispondente onda primaria era di circa 14 ms. Il periodo di latenza veniva ridotto a circa 9 ms da una leggera dose di stricnina. Di questo tempo totale, 2,5 ms erano necessari per la trasmissione dal nervo motore al muscolo. A quell'epoca non vi era modo di misurare il tempo di conduzione dalla corteccia al segmento spinale, e quindi non si conosceva la durata del ritardo sinaptico. Il fatto che le onde primarie dell'elettromiogramma che seguivano gli stimoli corticali potevano arrivare sino a 180/s suggerì a Cooper e Denny-Brown che la connessione sinaptica dovesse essere stretta. Essi si riferirono al dato di Leyton e Sherrington (v., 1917) riguardante le ‛collaterali' piramidali che si ramificano tra le cellule del corno anteriore, e conclusero che una relazione sinaptica diretta sembrava molto probabile.
Cooper e Denny-Brown pubblicarono anche prove di una inibizione evocata dalla corteccia 1/5 di s dopo l'inizio di una stimolazione corticale di 50/s, un ulteriore periodo di sommazione di circa 3 s essendo necessario per l'inizio della contrazione muscolare. Essi considerarono il lungo periodo di sommazione come ‟l'espressione dell'eccitazione che compare su una inibizione di fondo", e le occasionali scariche cloniche postume come esempi di rimbalzo postinibitorio (un ben noto fenomeno della riflessologia di Sherrington). I loro risultati non potevano essere confusi con i riflessi dei muscoli che si contraevano, dato che, in alcuni esperimenti, questi riflessi erano bloccati dalla sezione delle radici dorsali (v. Sherington, 1931).
Il periodo di sommazione mostrava una notevole costanza per ogni frequenza di stimolo, purché si lasciassero passare almeno 30 s tra una stimolazione e l'altra. L'esistenza di un processo facilitatorio che perdurava oltre il periodo di stimolazione fu dimostrata fornendo ulteriori stimoli a intervalli più brevi. Il periodo di sommazione fu così abbreviato, ad esempio da 20 a 0,18 s. Anche una dose subconvulsiva di stricnina abbreviava il periodo di sommazione, così come il periodo di latenza. Sappiamo ora che la stricnina blocca la trasmissione a livello di alcune sinapsi inibitorie.
Questi chiari risultati sono del massimo interesse alla luce di lavori analitici più recenti, ma prima di parlarne è utile specificare i problemi da essi sollevati.
1. Siccome i periodi di stimolazione erano lunghi, e gli effetti molteplici, è possibile che entrassero in azione vie corticifughe diverse dal TP. Il tempo di stimolazione era sufficiente a interessare centri sottocorticali. Quali effetti erano attribuibili al TP, la facilitazione di fondo (a), evidentemente necessaria per permettere i gruppi di scariche dei motoneuroni (b) in risposta a ogni impulso corticale, o l'inibizione simultanea (c)?
2. Esiste una connessione monosinaptica tra gli assoni del TP e i motoneuroni spinali?
3. In considerazione dell'accessibilità preferenziale alla stimolazione corticale dei gruppi muscolari della mano, della faccia e del piede (v. cap. 2), e dell'abbondante distribuzione di assoni del TP a motoneuroni dei muscoli distali degli arti (v. cap. 3), esistono delle differenze elettrofisiologiche tra le connessioni con i diversi gruppi di muscoli?
Bernhard e collaboratori (v. Bernhard e Bohm, 1954) eseguirono esperimenti simili a quelli di Cooper e DennyBrown, con il vantaggio che nel frattempo era stata scoperta la durata del ritardo nelle sinapsi centrali (circa 0,6 ms) e che i progressi tecnici nell'elettronica e negli elettrodi avevano reso possibile la misura del tempo d'arrivo di salve piramidali a ogni livello del midollo spinale e anche di registrare e determinare l'andamento temporale delle scariche dei motoneuroni negli assoni delle radici anteriori o nei nervi motori (v. fig. 21; v. Bernhard e altri, 1953).
Essi trovarono che una frequenza di stimolazione di 25/s forniva una soddisfacente facilitazione di fondo. Benché ogni impulso stimolante unifocale inviasse una salve rapida lungo il TP (velocità di conduzione 70 m/s), questa, all'inizio, non causava alcuna scarica di motoneuroni. Dopo un periodo da uno a due secondi, questi cominciavano a scaricare continuamente e irregolarmente; ogni salve lungo il TP era seguita da una scarica ‛tardiva' e, dopo un ulteriore periodo di facilitazione, da una scarica ‛precoce' la cui latenza era di circa 2 ms più breve. Sottraendo il tempo di conduzione lungo gli assoni piramidali e i motoneuroni dalla latenza totale della scarica precoce, rimane una latenza centrale di solo 0,7 ms, che dimostra l'esistenza di un collegamento monosinaptico. La scarica monosinaptica era generalmente più pronunciata nei nervi dell'arto anteriore, mentre la risposta ‛tardiva' era dominante in quelli dell'arto posteriore. Le risposte tardive erano abolite più facilmente di quelle monosinaptiche da dosi maggiori di anestetico, come ci si aspetterebbe se queste risposte dipendessero da vie con una o due sinapsi in più. Per un confronto tra i gruppi prossimali e distali nell'arto anteriore, Bernhard e Bohm scelsero i nervi del bicipite e del tricipite (gomito e spalla) e i nervi delle eminenze tenar e ipotenar (muscoli intrinseci della mano). Nessun motoneurone del bicipite o del tricipite scaricò impulsi in risposta a un singolo stimolo corticale. Le risposte tardive provenivano da un'area corticale più ampia di quella delle risposte monosinaptiche. La proiezione monosinaptica da ogni giro precentrale era distribuita ‛bilateralmente' ai motoneuroni del bicipite e del tricipite. La proiezione monosinaptica ai motoneuroni dei muscoli delle eminenze tenar e ipotenar era esclusivamente controlaterale, da aree corticali leggermente più ampie di quelle per il bicipite e per il tricipite: questi motoneuroni scaricavano in risposta alla prima salve del TP con una latenza centrale di circa 1,8 ms, che si riduceva poi a 0,8 ms con la ripetizione delle salve. Mentre la latenza più breve era classificata come monosinaptica, la natura di quella più lunga era incerta: la sua interpretazione come risposta monosinaptica doveva attendere fino a quando si ricorse alla registrazione intracellulare. Questi motoneuroni distali erano caratterizzati dalla scarsezza di scariche tardive.
Bernhard e Bohm (v., 1954) introdussero l'utile termine di ‛sistema corticomotoneuronico' (CM) per descrivere questa componente speciale del TP delle scimmie, che consiste di assoni rapidi (70 m/s) che stabiliscono connessioni monosinaptiche con i motoneuroni. Essi hanno discusso la sua probabile importanza per il fine controllo cerebrale delle mani nei Primati, uomo incluso.
La natura del graduale instaurarsi della facilitazione che era necessaria alla comparsa delle scariche CM dei motoneuroni più ‛prossimali' in questi esperimenti (e in quelli di Cooper e Denny-Brown) è stata oggetto di uno studio speciale. Questa facilitazione si manifestava nella irregolare scarica di fondo dei motoneuroni, non era correlata nel tempo alle salve del TP e durava oltre il periodo di stimolazione. Dagli esperimenti effettuati controllando l'effetto facilitante sul riflesso monosinaptico del segmento L7 risultava che essa cominciava circa 1,75 s dopo l'inizio della stimolazione a 25/s, raggiungeva un massimo in 3 s e durava oltre il periodo di stimolazione. Era evocata da un'area della corteccia più ampia di quella dalla quale si poteva produrre una scarica CM nella radice anteriore L7. Siccome le risposte CM e tardive nel nervo sciatico erano abolite dalla sezione bilaterale anteriore del midollo (ma non da quella unilaterale), mentre i tratti posterolaterali corticospinali trasmettevano normalmente (v. Bernhard e altri, 1955), è poco probabile che la facilitazione sia una proprietà del TP. Così, queste ricerche hanno risposto a tutte le domande poste dai risultati di Cooper e Denny-Brown, a eccezione di quella riguardante l'inibizione simultanea. Questa, tuttavia, era probabilmente presente negli esperimenti di Bernhard e altri. Per esempio, nei motoneuroni del tricipite la risposta CM appariva tipicamente dopo 1-2 s di stimolazione a 25/s, poi scompariva per ritornare dopo 8-10 s.
Bernhard e altri (v., 1953) davano anche singoli impulsi all'area corticale di un arto ed esaminavano l'eccitabilità di motoneuroni nel segmento L5. La facilitazione del riflesso monosinaptico nel segmento L5 cominciava all'incirca contemporaneamente all'arrivo della salve del TP nel segmento, raggiungeva un massimo in 12 ms e cessava in 40 ms. La messa in moto della facilitazione era senza dubbio monosinaptica e connessa alla salve lungo il TP, ma il continuo aumento e il prolungato andamento temporale potrebbero essere stati causati da un crescendo di impulsi in tratti diversi dal TP (corticorubrospinale, ecc.).
Questa possibilità di confusione è stata grandemente ridotta in esperimenti simili di facilitazione eseguiti da Preston e Whitlock (v., 1960), che distruggevano elettroliticamente il tronco dell'encefalo, risparmiando i TP (preparato piramidale). Il metodo non può tuttavia eliminare completamente la possibilità che collaterali del TP eccitino vie bulbospinali che originano caudalmente alla lesione del tronco dell'encefalo. La lesione causa coma profondo, quindi a intervento completato l'anestesia non è più necessaria. Gli impulsi corticali condizionanti usati da Preston e Whitlock erano abbastanza forti da evocare una scarica ripetitiva delle cellule del TP (onde D e I) e anche una piccola scarica dei motoneuroni, messa in evidenza da registrazioni sia dell'attività elettrica degli assoni motori sia delle contrazioni del pollice o dell'alluce quando venivano stimolate le appropriate aree corticali. Questi tracciati confermavano la facilitazione precoce (CM) dei motoneuroni dell'arto posteriore a latenza monosinaptica. Alla facilitazione si opponeva poi una depressione inibitoria che nel tracciato (v. ad esempio la curva relativa al radiale nella fig. 25) raggiungeva il suo punto più basso a 1,2 ms dall'inizio della facilitazione; la facilitazione veniva poi ripristinata e durava come negli esperimenti di Bernhard e altri (v., 1953). Piccole dosi di barbiturici abolivano l'inibizione e abbreviavano la facilitazione tardiva.
La latenza dell'inizio dell'inibizione suggeriva che due o tre serie di sinapsi fossero interposte tra gli assoni del TP e i motoneuroni. L'esperimento fornisce una risposta parziale alla questione dell'inibizione simultanea, in quanto dimostra che il TP stesso ha una connessione inibitoria con i motoneuroni, ma non esclude che nel cervello intatto altre vie corticifughe medino in parte o interamente l'inibizione osservata negli esperimenti di Cooper e Denny-Brown. Preston e Whitlock non riuscirono a separare gli effetti precoci eccitatori e inibitori modificando il punto della stimolazione corticale, quindi non furono in grado di stabilire se il TP può causare l'inibizione indipendentemente dall'eccitazione. Per quel che concerne la facilitazione tardiva, questa poteva essere provocata separatamente dalla stimolazione del bulbo adiacente alle piramidi, quindi il crescendo di impulsi che la causava avrebbe potuto originare dalla sostanza grigia bulbare come anche da quella spinale.
Preston e Whitlock (v., 1961) furono i primi a usare la registrazione intracellulare dai motoneuroni lombari per individuare e determinare l'andamento temporale dell'attività piramidale sinaptica nella scimmia, e a confermare l'esistenza della via CM con questo fine metodo. I PPSE erano prolungati e di forma irregolare, dimostrando che l'iniziale impatto monosinaptico era seguito da impatti ritardati. Ma benché i loro esperimenti sulla facilitazione avessero dimostrato la stessa sequenza stereotipata eccitatoria-inibitoria nei gruppi di motoneuroni sia dei flessori sia degli estensori della caviglia, 50 motoneuroni mostravano PPSE puri, 6 mostravano PPSI puri e 3 soli una sequenza PPSE-PPSI; in questi ultimi tre non fu possibile separare i PPSE dai PPSI variando la posizione dell'elettrodo corticale. Preston e Whitlock avevano perciò dimostrato che il TP può causare inibizione indipendentemente dall'eccitazione. Essi portarono come prova di una stazione interneuronica nella via inibitoria dal TP il fatto che si aveva una scarica degli interneuroni nel segmento dopo l'arrivo delle salve del TP e prima dell'inizio del PPSI nei motoneuroni.
Landgren e altri (v., Minimal synaptic..., 1962) registrarono intercellularmente da motoneuroni dei nervi ulnare, mediano e radiale di babbuini. Essi scelsero questi nervi in considerazione dell'interesse neurologico generale relativo alla mano dei Primati e dell'accessibilità preferenziale di questa alla stimolazione corticale (v. cap. 2). Dato che usavano stimoli anodici minimi di superficie e registravano solo azioni sinaptiche minime che erano strettamente correlate nel tempo con le piccole scariche D che arrivavano nei segmenti C7-T1, essi ritennero inutile correre il rischio chirurgico del preparato piramidale. I PPSE-CM puri rivelati da una stimolazione minima raggiungevano rapidamente il valore massimo e poi declinavano esponenzialmente in circa 15 ms; come forma e andamento temporale essi erano identici ai PPSE monosinaptici evocati negli stessi motoneuroni dalle scariche afferenti delle fibre del gruppo la negli appropriati nervi periferici. In alcuni casi, tuttavia, il declino dei PPSE-CM era complicato da un PPSI che cominciava da 1,2 a 1,4 ms dopo l'inizio del PPSE. Lo spostamento dell'elettrodo di stimolazione in differenti punti corticali riusciva ad alterare le ampiezze relative del PPSE e del PPSI nello stesso motoneurone. Questi esperimenti con stimoli minimi hanno così dimostrato che popolazioni differenti di cellule del TP potevano indurre eccitazione e inibizione in proporzioni diverse in singoli motoneuroni (v. fig. 22). In alcuni casi fu possibile evocare PPSI quasi puri.
La ripetizione di piccole scariche D a 200/s rivelò una inattesa proprietà delle sinapsi CM: i primi scarsi PPSE aumentavano in ampiezza (v. Landgren e altri, Minimal synaptic..., 1962; v. Porter, 1970). Che questa sia una proprietà speciale (presinaptica) delle sinapsi piramidali è dimostrato dall'assenza di facilitazione di questo tipo nelle risposte degli stessi motoneuroni quando si attivano alla stessa frequenza le loro sinapsi monosinaptiche del gruppo Ia (v. Phillips e Porter, 1964; v. fig. 23).
Questa facilitazione presinaptica avrebbe un'importanza funzionale se le cellule del TP scaricassero a frequenze maggiori di 100/s, in quanto porterebbe più rapidamente i motoneuroni al loro livello di scarica. Nel contesto attuale questa facilitazione è importante perché spiega la scarica preferenziale di motoneuroni ‛distali' per effetto di lunghi impulsi o di impulsi brevi e più intensi (v. Bernhard e Bohm, 1954) in termini di azione puramente monosinaptica, anche se la latenza tra l'arrivo dei primi impulsi del TP e la scarica di un impulso dal motoneurone supera i ms. Gli impulsi lunghi eccitano le cellule del TP ripetitivamente e la scarica motoneuronica avverrebbe non al primo PPSE-CM, ma a un successivo PPSE (v. Landgren e altri, Cortical fields..., 1962). Gli impulsi brevi e intensi determinano una serie di scariche D e I; le scariche I sono dovute all'attività ripetitiva di alcuni degli stessi assoni rapidi, ed evocano PPSE più ampi rispetto a quelli evocati dall'onda D; la scarica è correlata a uno dei PPSE tardivi (v. Kernell e Wu Chien-ping, Post-synaptic..., 1967).
c) Estensione spaziale delle colonie corticali CM.
Dato che singole scariche del TP possono generare una diversa quantità di PPSE monosinaptici in un singolo motoneurone a seconda della loro intensità, ne consegue che a quel motoneurone deve proiettare più di un neurone del TP. Siccome l'unità motrice (il motoneurone e l'insieme di fibre muscolari innervate dal suo assone ramificato) è l'unità elementare della funzione motrice (v. Sherrington, 1931), la colonia delle cellule del TP che proietta monosinapticamente a un singolo motoneurone è probabilmente un'entità sia funzionale sia morfologica. Landgren e altri (v., Cortical fields..., 1962) hanno cercato di determinare quale fosse la grandezza minima delle aree corticali occupate dalle cellule delle colonie che proiettano ai motoneuroni distali dell'arto anteriore nel babbuino, cioè quale fosse il più semplice tipo concepibile di ‛localizzazione graduata' nella corteccia. Essi esplorarono la superficie corticale con un anodo focale mobile, e trovarono che era impossibile mappare punti definiti che corrispondessero a PPSE-CM minimi nei motoneuroni analizzati, ma che erano mappabili solo aree che si sovrapponevano, ognuna delle quali conteneva il suo ‛punto migliore'. Allo spostamento dell'anodo focale mobile dal punto migliore verso il margine dell'area, l'azione monosinaptica cadeva a zero. Siccome gli impulsi stimolanti si diffondono fisicamente nella corteccia, non si poteva pensare che le cellule della colonia fossero sparse in ogni parte delle aree mappate; ma le mappe potevano essere corrette misurando a quali distanze correnti di intensità diverse si potevano diffondere per stimolare singole cellule corticospinali. I risultati dimostrarono che circa la metà delle colonie erano ristrette e localizzate vicino ai punti migliori. (Un cilindro della corteccia del babbuino del diametro di 1 mm contiene, nel suo quinto strato, circa 90 cellule piramidali delle più grandi). Ma le rimanenti colonie non potevano essere così delimitate, né sulla superficie del giro precentrale né nella parete anteriore della scissura rolandica. La più grande misurava almeno 8×2,5 mm sulla superficie corticale. Siccome queste aree (corrette) si sovrapponevano nei singoli cervelli, le cellule delle colonie dovevano essere mescolate (ibid.). Phillips e Porter (v., 1964) misurarono l'estensione spaziale delle proiezioni di cellule del TP attivate da impulsi singoli dati alla superficie corticale, sia nella profondità della scissura rolandica sia orizzontalmente. Impulsi di intensità uguale, che eccitano popolazioni di dimensioni uguali, evocano quantità diverse di PPSE-CM se vengono applicati nei punti migliori delle colonie proiettanti a differenti motoneuroni. Le colonie devono perciò differire per il numero e per la distanza delle cellule e per l'intensità dell'azione sinaptica controllata da ogni cellula. La colonia più estesa non evocava il massimo PPSE-CM nel suo motoneurone sino a che l'impulso stimolante al punto migliore della superficie non aveva intensità tale da eccitare cellule del TP distanti 10 mm in tutte le direzioni orizzontali, e situate anche in profondità fino alla scissura rolandica (circa 10 mm). Le colonie ‛distali' tendevano a occupare aree corticali più piccole e a indurre PPSE-CM più grandi; le colonie ‛prossimali' tendevano a occupare aree più ampie e a indurre PPSE-CM più piccoli.
Al chiarimento del problema della sovrapposizione è stato dato un notevole contributo da Evarts (v., 1967) con registrazioni delle attività di neuroni del TP (NTP) identificati antidromicamente in scimmie che venivano premiate per l'esecuzione di certi movimenti. Tutte le cellule incontrate lungo un singolo percorso del microelettrodo tendevano a essere attive in relazione ai movimenti di una particolare articolazione. Un paio di NTP, da cui si registrava simultaneamente, scaricavano insieme per alcuni movimenti del braccio, ma uno scaricava in relazione alla flessione, l'altro all'estensione del polso. Secondo il ragionamento di Evarts, se un paio di cellule di questo tipo controllasse i motoneuroni dello stesso muscolo, con un NTP che tenda a eccitarli e l'altro a inibirli, le scariche di questi neuroni dovrebbero essere ‛rigidamente reciproche'. Invece, ‟la grande maggioranza delle paia di NTP mostrava relazioni ‛plastiche'. Nessun paio di NTP mostrò di avere una relazione fissa reciproca, e solo poche paia di NTP mostrarono di essere in una correlazione positiva, cioè di avere una relazione fissa del tipo di quella che avrebbero presentato due motoneuroni alfa innervanti lo stesso muscolo". Si può supporre che la maggioranza della paia di NTP analizzate da Evarts fossero membri di colonie diverse ma sovrapposte.
Le implicazioni funzionali di questo grado di sovrapposizione per i meccanismi selettivi intracorticali (neuroni di comando?), che riescono presumibilmente a selezionare colonie CM (e corticorubre, ecc.) in combinazioni svariate nel complesso dei diversi schemi di movimento, sono difficili da analizzare. Casi estremi di selezione si manifestano nella capacità dimostrata da alcuni soggetti umani, guidati inizialmente da segnali di retroazione uditiva o visiva in rapporto al loro elettromiogramma (di solito dall'abduttore breve del pollice), di attivare, volontariamente e separatamente, una o più unità motrici (v. Basmajian e altri, 1965).
d) Proiezione CM ai motoneuroni α di gruppi muscolari diversi.
L'accessibilità preferenziale per la stimolazione corticale dei motoneuroni che innervano i muscoli intrinseci della mano (v. cap. 2) si spiega bene con il dato che l'eccitazione monosinaptica che può essere evocata in questi motoneuroni da scariche del TP ha picchi di massima più accentuati. La fig. 24 mostra che le ampiezze medie dei PPSE-CM massimali sono più grandi nel caso dei motoneuroni dei muscoli intrinseci della mano e dell'estensore comune delle dita (v. Clough e altri, 1968). Questi sono i muscoli normalmente impiegati dalla scimmia e dall'uomo per i movimenti che risentono maggiormente di lesioni del TP o dell'area corticale del braccio (v. cap. 7). Per i flessori del gomito (nervo muscolocutaneo) e per gli estensori (nervi del tricipite) i PPSE-CM massimali sono più piccoli. Circa la metà dei motoneuroni del tricipite analizzati da Phillips e Porter (v., 1964) non mostravano PPSE-CM, ma solo PPSI precoci e PPSE e PPSI polisinaptici. I PPSI precoci erano predominanti nei motoneuroni dei flessori del gomito.
La distribuzione delle azioni del TP agli insiemi di motoneuroni di gruppi muscolari diversi nel preparato piramidale del babbuino è chiaramente manifesta nelle curve di facilitazione e inibizione del tipo già descritto a proposito del gatto (v. Preston e altri, 1967). È istruttivo paragonare queste curve (v. fig. 25) con le corrispondenti curve ottenute per il gatto (v. fig. 19). La facilitazione CM iniziale è assente nel gatto. Per i gruppi ‛prossimali', l'andamento generale dell'inibizione prolungata degli estensori e della facilitazione dei flessori è simile nel gatto e nel primate, ma vi è una sorprendente differenza nell'articolazione del gomito, in cui l'inibizione predomina nei flessori. Secondo Preston e altri (v., 1967) nel babbuino ‟si vede la transizione dalla postura bipedale a quella quadrupedale", e citano le mappe di Woolsey e altri (v., 1952) che mostrano (nel macaco) l'estensione del gomito in risposta alla stimolazione della corteccia con corrente sinusoidale di 60 Hz (v. fig. 5), che contrasta con l'assenza virtuale di estensione del ginocchio. Nei gruppi ‛distali', la facilitazione CM e l'inibizione precoce (disinaptica) sono seguite da una facilitazione prolungata (v. fig. 25); nei gruppi ‛intrinseci della mano', la facilitazione CM si continua nella fase tardiva di facilitazione senza l'interruzione di una caduta inibitoria.
e) Proiezione corticospinale ai neuroni fusimotori.
L'eccitazione e l'inibizione dei neuroni fusimotori del babbuino a opera del TP è stata studiata tramite registrazione da singoli assoni di nervi motori (v. Clough e Sheridan, 1968; v. Grigg e Preston, 1971) e da neuroni fusimotori nel corno anteriore del midollo spinale cervicale (v. Clough e altri, 1971).
Grigg e Preston usarono il metodo di modulazione di Fidone e Preston (v., 1969; v. cap. 5) sui nervi dei flessori ed estensori della caviglia. Essi trovarono che dei 17 fusimotori che erano facilitati, 9 lo erano a una latenza centrale sufficientemente breve (〈1,0 ms) da indicare un legame monosinaptico TP-neurone fusimotore. Nessuno dei 22 neuroni fusimotori che non scaricavano ‛spontaneamente' poteva essere attivato da salve del TP a latenza monosinaptica. Nei nervi distali dell'arto anteriore, Clough e altri (v., 1971), su 19 neuroni fusimotori analizzati con registrazione intracellulare, osservarono PPSE a latenza monosinaptica in 6 e PPSI disinaptici in 4. Ma in una serie più ricca di registrazioni extracellulari, la latenza dell'impulso fusimotore più precoce era sempre troppo lunga per essere spiegata con un'eccitazione monosinaptica da parte degli assoni più rapidi del TP (scarica D). Non era possibile distinguere se si trattava di un'eccitazione monosinaptica da una scarica I o da assoni lenti del TP, o dell'eccitazione polisinaptica prodotta da assoni rapidi del TP. Molti neuroni fusimotori distali dell'arto anteriore non potevano essere attivati da salve del TP; essi potrebbero rappresentare una popolazione sulla quale il TP non esercita alcun controllo.
Non sorprende che queste scariche fusimotorie precoci non avessero alcun effetto rilevabile sulle scariche delle terminazioni primarie dei fusi muscolari (v. Koeze e altri, 1968), dato che singoli impulsi fusimotori statici o dinamici in pratica non alterano il ritmo di scarica di una terminazione primaria (v. Bessou e altri, 1968). La stimolazione ripetitiva prolungata della corteccia e le scariche postume cloniche, che si osservavano occasionalmente, avevano effetti eccitatori e inibitori sulle afferenze fusali negli esperimenti di Koeze e altri; ma questi effetti non devono necessariamente essere attribuiti al TP, in quanto i preparati non erano del tipo piramidale e quindi erano disponibili altre vie corticifughe. È tuttavia interessante il fatto che la sequenza e il risultato netto degli effetti sulla contrazione muscolare e sulla risposta dei fusi potevano essere modificati variando il livello dell'anestesia, il che dimostra che la corteccia può controllare le due risposte indipendentemente.
Grigg e Preston (v., 1971) trovarono che su 27 neuroni fusimotori 10 erano inibiti da scariche del TP (latenza centrale da 1,0 a 7,3 ms; 4,5 ms in media), e Clough e altri (v., 1971) osservarono PPSI in 4 dei 19 neuroni fusimotori da cui si registrava intracellularmente (latenza centrale da 2,2 a 3,6 ms). L'esistenza di una stazione interneuronica, come nel caso dei motoneuroni α, è probabile. Koeze e altri (v., 1968) hanno riferito che la stimolazione corticale causa il rallentamento della scarica di alcune terminazioni fusali primarie degli estensori delle dita. L'inibizione corticale dei neuroni fusimotori avrebbe un'ovvia importanza per l'apprendimento di abilità manuali, nelle quali il rilasciamento dei muscoli non necessari gioca notoriamente un ruolo importante.
L'apparato corticofusimotorio provvederebbe perciò a far persistere i segnali dai fusi muscolari durante la contrazione muscolare (v. cap. 5). Le implicazioni funzionali per la servoassistenza del movimento saranno trattate nel prossimo capitolo.
7. Funzioni del tratto piramidale in differenti mammiferi.
Alcune delle implicazioni funzionali delle proprietà del TP, analizzato come un apparato neurale piuttosto che come un sistema o gruppo di sistemi funzionali, sono state menzionate nei precedenti capitoli. Queste implicazioni saranno ora considerate nel loro insieme prima di presentare e di discutere le prove fornite da altri tipi di osservazioni e di esperimenti. Non abbiamo il diritto di ritenere a priori che, dato che ci stiamo occupando di una struttura anatomica compatta, ci troviamo anche di fronte a un singolo sistema con una singola funzione, e che questa funzione sia uguale in tutte le specie di Mammiferi.
a) Riassunto delle implicazioni funzionali della struttura.
Apparato per il controllo delle afferenze e delle efferenze del SNC. - Le connessioni che dovrebbero permettere il ‛controllo delle afferenze' che ascendono dalla superficie corporea al proencefalo attraverso i nuclei delle colonne dorsali, e il ‛controllo delle efferenze' dalla formazione reticolare che domina le efferenze motrici del midollo spinale, sono comuni a tutti i Mammiferi studiati. A queste proiezioni si è aggiunto un prolungamento, relativamente insignificante, di assoni corticifughi limitato ai primi segmenti del midollo spinale (per esempio: capra, coniglio), o un prolungamento più cospicuo lungo l'intero midollo spinale (per esempio: ratto, gatto, Primati). La preponderanza delle connessioni controlaterali è una caratteristica generale dei Mammiferi, il cui comportamento è dominato dalla visione, nei quali le afferenze dal campo visivo sinistro sono prevalentemente proiettate all'emisfero destro e le efferenze dell'emisfero destro sono prevalentemente proiettate al lato sinistro del tronco dell'encefalo e del midollo spinale, e viceversa (v. emisferi cerebrali: Interazioni interemisferiche cerebrali; v. visione). Nel ratto e nel gatto, le connessioni spinali del TP si effettuano con le regioni dorsali e intermedie della sostanza grigia, il che permetterebbe un ulteriore controllo delle afferenze dalla superficie corporea, dai muscoli e dalle articolazioni e un ulteriore controllo delle efferenze per mezzo di eccitazioni e inibizioni esercitate sugli archi riflessi segmentali. Nei Primati il proencefalo ha progressivamente acquisito un accesso diretto, attraverso il TP, ai motoneuroni che costituiscono la ‛via finale comune' per le efferenze del sistema nervoso centrale (v. Sherrington, 1906), e un accesso preferenziale ai motoneuroni che controllano la mano e il piede (corticobulbare per la faccia). Queste sono le parti impiegate dai Primati nelle loro più fini attività apprese e dalle quali essi ricevono le loro afferenze cutanee più ricche e discriminative (v. somatoestesia).
Nella capra, l'odorato può essere più importante della vista nel comportamento esplorativo. Le labbra con i loro fini movimenti sono gli organi primari per l'esplorazione e la prensione, e sono preferenzialmente accessibili alla stimolazione della corteccia ipsilaterale (v. Bell e Lawn, 1956). Anche l'area corticale che riceve le informazioni dalle labbra è ipsilaterale: la via olfattiva, a differenza di quella visiva, non è crociata, così le attività tattili, olfattorie e motorie sarebbero integrate nell'emisfero ipsilaterale (v. Adrian, 1943).
Reti interne di retroazione. - Attualmente si discute molto sul problema se il controllo dei movimenti negli animali (come anche nei sistemi dell'ingegneria) necessiti di una retroazione continua o intermittente determinata dai sistemi interni di controllo organizzati in serie (retroazione interna), o dalle parti in movimento (retroazione causata dalla risposta; v. Evarts e altri, 1971; v. omeostasi). Questa sarebbe una parte del controllo automatico del movimento, e precederebbe ogni conoscenza del risultato. Si presume che la retroazione interna sia necessaria per qualsiasi prestazione che sia possibile in assenza della retroazione causata dalla risposta (come dopo sezione delle radici dorsali). È anche chiamata ‛copia dell'efferenza' e si pensa che abbia le sue basi neurofisiologiche nelle ‛scariche corollarie' di neuroni disposti lungo vie efferenti, che si presume forniscano una retroazione interna di schemi di controllo (v. Evarts e altri, 1971). Abbiamo visto che il TP ha abbondanti connessioni che potrebbero sostenere questo ruolo: le collaterali ricorrenti nella corteccia, il circuito corticopontocerebellotalamocorticale (v. fig. 14), il circuito corticoolivocerebellotalamocorticale (v. fig. 14), e il circuito corticospinoolivare. Lundberg (v., 1959) ha suggerito che le informazioni relative agli schemi prevalenti di attività di insiemi di interneuroni spinali sarebbero ‟importanti per i centri superiori nella regolazione della postura e del movimento", e Oscarsson (cit. in Evarts e altri, 1971) ha proposto che queste informazioni potrebbero risalire lungo le vie spinoolivari sino all'oliva inferiore, dove potrebbero essere ‛confrontate' con gli schemi di comando corticale, resi noti all'‛organo di confronto' dalle collaterali del TP; il confronto sarebbe poi reso noto al cervelletto da fibre rampicanti (v. fig. 14). Gli assoni corticifughi diretti ai nuclei delle colonne dorsali potrebbero avere anche una funzione ‛corollaria' in aggiunta alla loro probabile capacità di migliorare la discriminazione dei contorni degli stimoli e di modulare la sensibilità dei neuroni di secondo ordine all'intensità della stimolazione cutanea (v. cap. 5). Per la maggior parte, i lavori elettrofisiologici su questi circuiti neuronici sono stati eseguiti sul gatto; essi devono perciò essere estesi ad altre specie.
Apparato fusimotore per la retroazione causata dalla risposta. - La retroazione da parti mobili (retroazione causata dalla risposta; v. Evarts e altri, 1971) dipende, nella misura in cui proviene dai fusi muscolari, dall'attività dei neuroni fusimotori che, nel gatto e nel babbuino, possono essere eccitati e inibiti dal TP. Nel gatto il TP non esercita alcun controllo presinaptico sulle afferenze primarie dai fusi, e così non può sopprimere queste importanti afferenze.
Un grande stimolo alla riflessione e alla sperimentazione è derivato dall'ipotesi del servocontrollo del movimento (v. Merton, 1953). Questa ipotesi suggerisce che la postura può essere cambiata, e i movimenti possono essere iniziati e continuati, dal controllo cerebrale dei neuroni fusimotori, che aziona il circuito terminazioni fusali primarie-motoneurone α della fig. 15 come un servomeccanismo per la regolazione della lunghezza (v. Hammond e altri, 1956). A ogni equilibrio prestabilito il circuito resisterebbe ‛in via riflessa' allo spostamento prodotto da forze esterne, per l'aumento della tensione muscolare attuato dai motoneuroni α in risposta allo stiramento dei fusi. Per contrarre il muscolo, il cervello aumenterebbe le afferenze fusimotorie: le fibre intrafusali del muscolo che sta contraendosi farebbero aumentare le scariche delle terminazioni primarie; esse, aumentando il bombardamento dei motoneuroni α, farebbero accorciare il muscolo alla nuova lunghezza richiesta, cioè la lunghezza precisa alla quale la scarica di impulsi dalle terminazioni primarie sarebbe riportata al livello di equilibrio. Le prove sperimentali a sostegno di questa ipotesi sono state fornite per la massima parte dai meccanismi posturali (v. Eldred e altri, 1953). Per quel che riguarda la mano del babbuino, l'apparato non sembra ideale per il controllo del movimento da parte di un servomeccanismo per la regolazione della lunghezza, dato che l'azione eccitatoria sinaptica sui motoneuroni della retroazione dai fusi primari non è molto potente (v. Clough e altri, 1968), e non è diretta esclusivamente ai motoneuroni dei muscoli dai quali origina (v. Lundberg, 1959). Ma se le vie corticomotoneuroniche e corticofusimotorie funzionassero secondo il ‛legame a γ' di Granit, un'azione marginale delle terminazioni primarie sui motoneuroni a rinforzerebbe l'azione eccitatoria CM e potrebbe fornire una compensazione di carico, o ‛servoassistenza' (v. Matthews, 1972). Un preciso legame a γ è caratteristico dei movimenti volontari nell'uomo (v. Vallbo, 1970; v. recettori).
Anche i segnali provenienti dalle terminazioni primarie e secondarie, sostenuti dall'attività fusimotoria e fluttuanti in funzione delle variazioni del carico periferico, possono essere importanti a livello cerebellare e cerebrale. L'apparato CM provvederebbe al diretto ed effettivo trasferimento ai motoneuroni a di ogni conseguente modificazione nelle istruzioni alle cellule del TP.
La fig. 26 mostra registrazioni microelettrodiche da una cellula del TP identificata la cui prestazione si modificava in modo caratteristico in relazione alle modificazioni del carico periferico (v. Evarts, 1967). Le sue scariche venivano registrate in una scimmia che era stata addestrata a flettere il polso controlaterale per ottenere una ricompensa, ed erano di norma correlate al movimento di flessione (tracciato centrale). Quando il movimento di flessione veniva contrastato da un peso, la risposta aumentava di molto; la cellula del TP era anche attiva durante la successiva estensione del polso, quando il graduale rilassamento dei muscoli flessori permetteva al peso di estendere il polso (tracciato superiore). Quando il carico veniva invertito in modo che il peso tendesse a flettere il polso, il movimento di flessione, per il quale la scimmia era ricompensata, era causato dal rilassamento controllato dei muscoli estensori; la cellula ‛flessoria' del TP rimaneva silente (tracciato inferiore). L'esperimento dimostrò chiaramente che l'attività della cellula del TP variava in funzione della ‛forza' richiesta per il movimento flessorio; l'istruzione (da un livello più a monte) era presumibilmente programmata per un certo ‛spostamento' (per ottenere la ricompensa). L'opposizione di un carico al movimento tenderebbe a produrre una discrepanza tra lo spostamento richiesto e quello reale del polso. Le afferenze dai fusi muscolari dovrebbero aumentare quando il movimento viene frenato dal carico; questo segnale di errore, tuttavia, non arriva alle cellule del TP per la via più breve possibile (trisinaptica), dato che una tale via non è mai stata trovata. Esiste invece una via trisinaptica dalle terminazioni fusali primarie ai neuroni non TP nell'adiacente area postcentrale 3a (v. Phillips e altri, 1971). In qualche parte dei circuiti della fig. 14, o in altri non inclusi nella figura, la dicrepanza è stata rilevata e tradotta in un aumento di eccitazione della cellula del TP. Le cellule TP, a loro volta, aumenterebbero l'eccitazione dei motoneuroni α.
b) Ruoli relativi della retroazione interna (internal feedback) e della retroazione dipendente dalla risposta (response feedback) nelle prestazioni motorie e nella percezione della posizione e del movimento.
Si pensa che per l'esecuzione di una prestazione motoria precisa sia necessaria una retroazione che confronti continuamente o in modo intermittente l'andamento in atto di un movimento con l'andamento predeterminato dal programma nervoso centrale (v. Evarts e altri, 1971).
La retroazione dipendente dalla risposta può essere abolita dalla sezione delle radici dorsali, ma sfortunatamente l'interpretazione del risultato sperimentale è complicata dal fatto che vengono abolite anche le afferenze dalle articolazioni e dalla pelle, oltre a quelle dai fusi muscolari e dagli organi tendinei alle quali, nel presente contesto, è attribuito il massimo interesse. Mott e Sherrington (v., 1895) hanno eseguito questa operazione unilateralmente nella scimmia. Essa causava una grave paralisi del braccio privato delle afferenze, benché le risposte alla stimolazione elettrica della corteccia rimanessero inalterate. In seguito è stato dimostrato che scimmie con il braccio normale immobilizzato potevano imparare a prendere il cibo con il braccio deafferentato, ma che il movimento iniziava in modo brusco e aveva un raggio d'azione esagerato (v. Knapp e altri, 1963).
Negli esperimenti di Denny-Brown (v., 1966), il secondo giorno dopo una deafferentazione bilaterale le scimmie erano in grado di muovere le braccia in associazione con movimenti ‛attivi' (ma non passivi) del collo; dopo tre settimane, vi era un certo recupero della localizzazione visiva, e movimenti di progressione alternata comparivano nelle braccia quando l'animale stava correndo sugli arti posteriori. Dopo tre mesi gli animali potevano camminare sui quattro arti. Negli esperimenti di Taub e Berman (v., 1968) le scimmie con deafferentazione bilaterale cominciavano a muovere gli arti anteriori dopo circa due settimane e la loro prestazione migliorava in un periodo variabile da due a sei mesi; esse potevano camminare e arrampicarsi lentamente, persino a occhi bendati, e alcune potevano prendere con il pollice e l'indice acini d'uva secca posti in una piccola fessura su una tavola. Le scimmie possono quindi usare le mani in assenza di retroazione dagli arti in movimento, aiutate dalla vista e dalla conoscenza degli effetti del movimento. La retroazione interna è presumibilmente della massima importanza per il recupero della motilità spontanea delle braccia che sono inizialmente inutilizzabili (e così rimangono permanentemente in caso di deafferentazione unilaterale, a meno che non venga immobilizzato il braccio normale), e per tutti gli apprendimenti motori successivi.
Nell'uomo si è spesso eseguita la deafferentazione per la terapia della spasticità (v. Foerster, 1927), ma gli effetti dell'intervento potrebbero essere stati complicati da alterazioni neurologiche preesistenti. Persino nello stadio acuto, e senza l'aiuto della vista, questi pazienti potevano volontariamente flettere, estendere, sollevare, abbassare e ruotare le braccia, ed eseguire movimenti di pronazione, supinazione, estensione e flessione delle mani, ma spesso dicevano di non riuscire a compiere questi semplici movimenti e di non aver cognizione dei movimenti che avevano effettivamente compiuto. L'inizio dei movimenti era ritardato, ma questi erano più pronti e accurati se si consentiva la vista. Il deficit maggiore era a carico dei movimenti delle dita, eseguiti sia con l'aiuto della vista sia senza. Quando si chiedeva al paziente di muovere un singolo dito, muoveva il dito sbagliato, o faceva il movimento con il dito richiesto ma muovendo anche altre dita o tutta la mano. Vi era un certo grado di miglioramento (non specificato) con il passar del tempo e con la pratica.
Un importante esperimento in soggetti normali è stato eseguito da Merton (v., 1964) e collaboratori sulla falange terminale del pollice. La denervazione temporanea della pelle, delle articolazioni e dei muscoli intrinseci della mano era ottenuta mediante compressione ischemica sul polso. I soggetti erano ancora in grado di muovere attivamente, anche a occhi chiusi, il pollice secondo un angolo prestabilito usando i muscoli dell'avambraccio. Questa abilità non richiedeva perciò una retroazione dipendente dalla risposta dalla pelle e dalle articolazioni. Ma l'esperimento non ha consentito di operare una discriminazione tra i ruoli della retroazione interna e quelli della retroazione dipendente dalla risposta dai fusi dei muscoli dell'avambraccio, nel ‛misurare' il movimento eseguito senza l'aiuto della vista.
Se un paziente con un braccio deafferentato poteva imparare a muovere la mano per toccare un dato punto sotto la guida della vista, quale grado di precisione gli avrebbe consentito la retroazione interna (scarica corollaria) in assenza di informazioni visive? Questo esperimento cruciale non è stato ancora eseguito, e sembra che in nessun esperimento sull'uomo si sia finora riusciti a distinguere in modo critico tra i ruoli giocati dalla retroazione interna e dalla retroazione dipendente dalla risposta nel controllo cerebrale del movimento degli arti.
Potrebbe il soggetto deafferentato e a occhi bendati essere conscio, grazie alla retroazione interna, del suo movimento programmato visualmente e sapere quando ha raggiunto il bersaglio? Anche ciò è, per ora, ignoto.
Gowers (v., 1899) operava una discriminazione, sagacemente precorritrice, tra i ruoli di quelle che noi ora chiamiamo retroazione interna e retroazione dipendente dalla risposta nel renderci consci dei nostri movimenti. ‟La nostra conoscenza degli stati attivi del muscolo è dovuta, almeno in parte, all'azione esercitata sulla consapevolezza dell'attività delle strutture nervose che causano il movimento. Tre fatti ne danno la prova: 1) nella paralisi di un muscolo oculare, gli oggetti visti sono riferiti alla posizione (in relazione al corpo) che essi occuperebbero se il movimento corrispondesse all'innervazione; è a quest'ultima, cioè all'attività del centro, che corrisponde la percezione; 2) dopo l'amputazione di un arto, una persona che fa uno sforzo per muovere la parte perduta, sente come se effettivamente la muovesse; 3) in alcune convulsioni inizialmente localizzate si possono avere lievi attacchi caratterizzati dalla sensazione che il braccio sia sollevato sopra il capo, oppure che venga mosso differentemente, mentre è in realtà immobile lungo il fianco. Questi fatti dimostrano che il processo motorio centrale è una fonte importante per la nostra conoscenza. Ma al suo effetto bisogna aggiungere quello degli impulsi dai muscoli [...]. La nostra conoscenza della postura di riposo e del movimento passivo deve derivare dagli impulsi afferenti. Questi non provengono dalla pelle; il senso della postura può essere perso quando la sensibilità cutanea è normale, e può essere perfetto quando questa è gravemente alterata [...]. I nervi afferenti più profondi, quelli dei muscoli e delle articolazioni, forse principalmente quelli dei muscoli, devono quindi essere la fonte principale di queste percezioni". Per quanto le prime due prove della retroazione interna portate da Gowers abbiano ora perso parte della loro validità (v. Goodwin e altri, 1972), e la terza possa essere interpretata come dovuta al disturbo di un meccanismo ‛sensitivo' piuttosto che ‛motorio', si può ancora ammirare l'intuito neurologico da lui mostrato alla vigilia del XX secolo.
Sino a poco tempo fa, tutte le prove suggerivano che l'afferenza dai fusi muscolari non raggiungesse la corteccia cerebrale negli animali e, presumibilmente, la coscienza nell'uomo. Nel gatto l'eccitazione elettrica delle afferenze muscolari non ha alcun effetto sul comportamento spontaneo e non produce attivazione dell'EFG (v. Giaquinto e altri, 1963); queste afferenze, a differenza di quelle cutanee anche minime, sono inutilizzabili ai fini del condizionamento operante (v. Swett e Bourassa, Comparison of..., 1967). Nell'uomo, l'esperimento di Merton (v., 1964), già citato, aveva dimostrato: a) che i movimenti passivi del pollice non erano percepiti quando la mano era anestetizzata ma i muscoli dell'avambraccio erano normali; b) che il soggetto considerava avvenuti i movimenti attivi anche se questi gli erano impediti dallo sperimentatore presumibilmente come manifestazione della ‛sensazione dell'innervazione' di Helmholtz (‟coscienza dell'attività delle strutture nervose che causano il movimento", secondo Gowers; retroazione interna o scarica corollaria).
Paillard e Brouchon (v., 1968) trovarono che un soggetto normale a occhi bendati poteva dirigersi più accuratamente verso la punta dell'indice se l'arto con l'indice scelto come bersaglio veniva messo in posizione dal soggetto (posizione attiva) e non dall'esaminatore (posizione passiva). L'esperimento dimostra che le informazioni relative alla posizione di un arto sono più accurate se la posizione è assunta attivamente, ma non permette di distinguere i ruoli della retroazione dipendente dalla risposta e della retroazione interna: infatti la co-attivazione fusimotoria (‛legame α γ') potrebbe aver aumentato la ‛quantità' della retroazione dipendente dalla risposta, e quindi il miglioramento della prestazione potrebbe non essere dovuto, neanche in parte, alla retroazione interna (scarica corollaria) generata da collaterali del TP o da altre vie.
Goodwin e altri (v., 1972) hanno poi dimostrato che i fusi muscolari forniscono un contributo importante alla nostra capacità di percepire in modo corretto i movimenti e la posizione degli arti, ma non ne rendono pienamente conto. I loro esaurienti esperimenti hanno dimostrato, in contrasto con quelli di Merton, che un certo grado di consapevolezza del movimento persiste durante la denervazione temporanea delle dita, cioè con i fusi dei muscoli estrinseci delle dita nell'avambraccio in condizioni normali. L'eccitazione selettiva delle terminazioni primarie dei fusi muscolari, ottenuta con la vibrazione percutanea dei tendini, suscita vivide illusioni di movimento. Quando l'avambraccio e la mano vengono progressivamente anestetizzati, i soggetti non sono consci dell'ampiezza completa dei movimenti attivi che hanno compiuto, e possono persino compiere movimenti dei quali sono totalmente inconsapevoli, prima della completa inattivazione dei muscoli. Le scariche corollarie da sole non possono perciò dare la consapevolezza del movimento attivo. Goodwin e altri suppongono, tuttavia, che la corretta valutazione dei movimenti segnalata dalle terminazioni primarie (la normale assenza di errori o di illusioni) debba richiedere una correzione di queste afferenze per mezzo del confronto con la retroazione ‛attesa' alla luce della prestazione richiesta. Questa correzione, in breve, richiede scarica corollaria (copia dell'efferenza), anche se di per se stessa la scarica corollaria non suscita sensazioni.
c) Esperimenti di ablazione e funzione.
Problemi di interpretazione. - Le piramidi bulbari del cane sono state sezionate per la prima volta nel secolo scorso, quelle della scimmia molto più tardi (v. Tower, 1940). Ci si può chiedere, con ragione, perché si eseguano ancora esperimenti di ablazione. La risposta è che vengono avanzati sempre nuovi concetti di funzione e che, poiché i primi ricercatori avevano in mente idee diverse, non furono effettuate quelle osservazioni che sarebbero state necessarie per provare le successive teorie. È evidente che i primi sperimentatori furono sorpresi dalla relativa scarsezza e transitorietà degli effetti provocati dalla sezione delle piramidi nel cane. Considerando il tratto piramidale come l'efferenza motoria principale dal cervello, essi si erano forse aspettati degli effetti gravi come quelli dell'emiplegia causata da emorragia cerebrale nell'uomo, e avevano trovato sorprendente che un cane piramidectomizzato potesse non solo camminare, correre, saltare ecc., ma anche imparare semplici giochi come il ‛dare la zampa'. Oggi, anche se la struttura e le proprietà del TP sono note in maggior dettaglio, non si riesce a trovare un nesso tra attività neuronica e azione riflessa da una parte, e comportamento animale dall'altra. ‟Benché perfettamente consci che gli studi compiuti con il metodo dell'ablazione hanno molti punti deboli, siamo convinti che questo sia tuttora il solo metodo valido per la ricerca dei principi generali del controllo cerebrale del movimento" (v. Denny-Brown, 1966). I punti deboli di questa metodica possono essere chiaramente illustrati in relazione al TP. La sezione del TP non è come quella di un nervo periferico, che paralizza muscoli specifici (i muscoli che si contraggono se il nervo è stimolato). La perdita comprende sia l'inibizione sia l'eccitazione. La funzione o le funzioni non vengono permanentemente abolite nel comportamento animale, quindi esse non possono venire semplicemente considerate come prestazioni che l'animale non è più capace di eseguire. L'osservatore si trova così di fronte alle meravigliose capacità di adattamento delle parti superstiti del cervello nel produrre un comportamento adeguato in assenza dell'attività del TP; i deficit rilevati nelle fasi acute possono essere più o meno completamente compensati. Questa compensazione è probabilmente più completa negli animali giovani, il cui cervello sta ancora attivamente costruendo ‛modelli interni' del proprio corpo e del proprio ambiente. Tutto ciò sembra meno sorprendente al neurofisiologo di oggi, che sa, a differenza dei suoi predecessori, che il TP non è la sola via efferente dall'area rolandica della corteccia, e che quest'area non è la sola regione corticale o sottocorticale correlata al movimento. Anche se le prestazioni residue sono molto elaborate, non si deve da ciò dedurre che il TP, se fosse intatto, non avrebbe la parte più importante in queste prestazioni. Per questo gli effetti immediati dell'ablazione sono importanti. Certo, l'ablazione ideale dovrebbe essere temporanea e reversibile. Il cervello è tanto più importante per le prestazioni apprese e fini, e tanto più ampio è il repertorio che esso può approntare nel corso della vita, quanto più evoluto è l'animale. Tali prestazioni possono trovare la loro espressione particolare nell'attività di una parte specifica della muscolatura per esempio, nelle mani dei Primati e, nell'uomo, anche nel linguaggio e nel canto; ma alcune abilità coinvolgono la muscolatura nel suo insieme, come è estremamente evidente nel caso di una foca ammaestrata (la foca è un carnivoro il cui TP è comparabile in toto a quello dello scimpanzé; v. Lassek e Karlsberg, 1956). Il problema pratico consiste nell'ideare delle prove sufficientemente raffinate da rivelare lievi gradi di deficienza, sulla base di una conoscenza dettagliata delle normali capacità della specie in esame. Così, in principio, parti che conservino la capacità di muoversi potrebbero essere incapaci di eseguire o di riapprendere prestazioni specifiche.
Sezione del TP nel ratto e nel gatto. - Nel ratto la sezione unilaterale del TP causa una paresi temporanea, più grave nell'arto anteriore controlaterale, specialmente nelle dita, che dura 14-20 giorni (v. Barron, 1934).
Il gatto sembra a una prima analisi essere assai poco danneggiato dalla sezione del TP. La postura e la locomozione sembrano normali dopo pochi giorni. La grave debolezza e la goffaggine che si riscontrano negli arti controlaterali in seguito a una lesione unilaterale acuta durano al massimo poche ore. Per qualche giorno è evidente una debolezza nella flessione degli unghielli della zampa anteriore quando il gatto afferra per gioco una pallina di carta, o si arrampica su una rete. Se il suolo è sdrucciolevole gli arti colpiti possono scivolare passivamente e rimanere per pochi istanti in posizioni anomale. Una notevole deficienza si constata solo nella locomozione su una scala posta orizzontalmente, ma nel corso di alcuni mesi questo disturbo migliora. La ‛localizzazione tattile', cioè la normale capacità di un gatto bendato, sospeso in aria, di mettere prontamente la zampa sulla superficie di una tavola se viene posto a contatto con un suo bordo, scompare permanentemente. Questa è probabilmente la conseguenza funzionale della relazione intima e localizzata tra afferenze cutanee ed efferenze motorie nella corteccia motrice (v. cap. 5). Tutti i ricercatori sono d'accordo sul fatto che i riflessi di flessione sono diminuiti (v. cap. 5, È 1), mentre non c'è ancora accordo sul fatto se vi sia o no una esagerazione dei riflessi di estensione (v. Liddell e Phillips, 1944; v. Laursen e Wiesendanger, 1966). Una prova più fine per rilevare un nuovo importante aspetto deficitario è esemplificata dagli esperimenti di Laursen e Wiesendanger (v., 1967). Essi trovarono che gatti con sezione incompleta del TP, dopo una completa ripresa delle capacità di camminare, saltare e arrampicarsi, erano ancora in grado di premere una leva (per ottenere del pesce) con la stessa rapidità e frequenza di prima dell'operazione. Un gatto, nonostante la lesione del TP controlaterale, continuava a usare sempre la stessa zampa per premere la leva. Ma se i gatti dovevano discriminare tra due luci per ottenere la ricompensa di aver premuto la leva, i loro tempi di risposta aumentavano da 0,1 a 0,8 s in confronto ai tempi medi di prima dell'operazione più ampia era la lesione, più lenta era la risposta. Questo potrebbe significare che l'organizzazione cerebrale implicata nell'apprendimento ha normalmente un accesso più diretto al TP che alle altre vie efferenti; oppure, o in aggiunta, che le vie alternative disponibili per la trasmissione dal cervello ai motoneuroni spinali sono più lente. Gli autori suggeriscono che la velocità permessa dal TP sarebbe importante per la sopravvivenza del gatto, che si ciba in genere di prede che si muovono molto rapidamente.
Sezione del TP nelle scimmie. - Nella scimmia le deficienze prodotte dalla sezione unilaterale del TP sono molto più lievi di quelle dell'emiplegia spastica nell'uomo. Gli effetti sulla postura e sulla locomozione sono minimi (v. Denny-Brown, 1966), ma nella mano controlaterale la prensione degli oggetti, tenuta distinta dalla prensione nella locomozione, è alterata, e mancano le normali reazioni al contatto.
La descrizione di Tower (v., 1940), che è stata la prima, è ancora la migliore. Le scimmie usano preferenzialmente l'arto normale per pulirsi e alimentarsi, ricorrendo per questi scopi al braccio colpito solo quando l'arto normale viene immobilizzato. ‟Invece del movimento normale che culmina nell'opposizione del pollice all'indice per raccogliere piccoli oggetti," vi è ‟un atto altamente stereotipato di avvicinamento-afferramento che coinvolge l'intera metà corporea, come nelle scimmie neonate [...] la mano è abbassata sull'oggetto in semipronazione e lo raccoglie nel suo lato ulnare [...]; il cibo viene trasferito nella bocca avvicinando la bocca alla mano, e prendendo poi con le labbra il cibo dalle dita che non si aprono. L'atto è completamente immodificabile, cosicché la scimmia non riesce a prendere il cibo tra le dita dell'osservatore o da qualsiasi superficie che non sia esposta. Essa non riesce ugualmente a prendere oggetti piccoli, come ad esempio un chicco di grano. Il bersaglio viene raggiunto orientando l'intero corpo". Persino dopo tre anni, ‟qualsiasi uso fine delle dita è totalmente e permanentemente eliminato". Nel correre e nell'arrampicarsi l'uso della mano colpita è indistinguibile da quello della mano normale sin da uno stadio precoce di recupero postoperatorio.
La sezione bilaterale del TP è più istruttiva di quella unilaterale, in primo luogo perché tale sezione priva completamente di sinapsi piramidali ciascun lato del midollo, e in secondo luogo perché gli animali non possono contare su di una mano normale e sono più fortemente motivati a superare le loro deficienze. È importante che vi sia il massimo di compensazione se si cerca di identificare le prestazioni che l'animale non riesce più a compiere, e per le quali quindi il TP è assolutamente necessario. Lawrence e Kuypers (v., 1968) hanno esaminato l'abilità manuale offrendo pezzettini di cibo posti in buchi di diversa misura praticati su una tavola. Una scimmia normale preleva i pezzettini dai buchi più piccoli servendosi del solo indice, che essa estende indipendentemente dalle altre dita che rimangono semiflesse. Questa prestazione era impossibile dopo la sezione bilaterale del TP, a meno che alcuni assoni del TP non fossero rimasti intatti. Da 4 a 6 settimane dopo l'intervento ‟il cibo veniva preso con una rotazione del braccio alla spalla con il gomito leggermente flesso e le dita lievemente estese e abdotte. A questo stadio la chiusura della mano avveniva come parte di un movimento totale del braccio" (v. cap. 3, È h). La capacità di aprire e chiudere le mani senza movimento delle articolazioni prossimali si ripristinava più tardi. A questo stadio la mano pronata poteva venir messa prontamente e accuratamente su un pezzettino di cibo, senza rotazione alla spalla od orientamento di tutto il corpo: essa poteva raggiungere il bersaglio attraverso un tubo trasparente. Ma riusciva a prendere il cibo solo dai buchi più grandi nella tavola con le dita riunite per raccoglierlo e portarlo alla bocca. In questo movimento, la difficoltà, notata per la prima volta da Tower (v., 1940) a rilasciare spontaneamente la presa rimaneva grave per un periodo di 5 mesi dall'intervento, per quanto non vi fosse ‟difficoltà alcuna a rilasciare la presa nell'arrampicarsi o nell'aggrapparsi". Sin dai primi giorni dopo l'intervento le scimmie erano in grado di correre e di arrampicarsi rapidamente senza alcuna anormalità evidente. Sembra quindi che l'attività indipendente del dito indice, l'uso completo della presa di precisione del pollice e dell'indice e il pronto rilascio di piccoli oggetti dalla presa siano prestazioni per le quali il TP è essenziale. Giovani scimmie, sottoposte entro 4 settimane dalla nascita a piramidectomia bilaterale (non ancora verificata istologicamente), non hanno mai appreso queste abilità, nonostante la presenza di un soggetto di controllo della stessa età, che fu in grado di esplicarle normalmente all'età di un anno (v. Lawrence e Hopkins, 1970).
Alcuni dati controversi devono ancora essere interpretati. Bucy e altri (v., 1966) operarono la sezione bilaterale del TP nella scimmia, a livello dei peduncoli cerebrali, ma non sempre completamente. Anche se essi asseriscono che generalmente ‟l'animale completamente ristabilito, in aggiunta alla sua capacità di camminare, arrampicarsi e saltare bene, era in grado di usare le dita pollice e indice da sole per raccogliere piccoli semi", alcuni soggetti non dimostravano alcun recupero della mano per prendere il cibo (dopo 6-20 mesi); alcuni ‟usavano la mano come un tutto unico"; altri ‟usavano il pollice e le dita lentamente". Tower (v., 1940) e Lawrence e Kuypers (v., 1968) erano certi che non vi fosse ripresa alcuna dell'uso indipendente delle dita. Questi ultimi autori nuscirono a correlare tale ripresa con il fatto che alcuni assoni del TP erano sfuggiti alla lesione.
Gli studi di Denny-Brown (v., 1966) hanno sottolineato la perdita delle reazioni di contatto della mano. La perdita della localizzazione tattile era già stata descritta da Tower (v., 1940). La localizzazione visiva si ristabilisce, permettendo così, anche se solo parzialmente, la prensione sotto controllo visivo. Va persa invece la ‛reazione istintiva di prensione', una complessa risposta automatica al contatto su un'area che si estende sulle parti dorsali e laterali della mano e del polso, che con ben regolati movimenti di estensione, flessione, pronazione ecc., serve a portare l'oggetto a contatto del palmo, ove le dita gli si chiudono sopra nel ‛riflesso di prensione'. La reazione istintiva di prensione va persa, ma il riflesso di prensione viene molto aumentato dalla sezione del TP. Questo riflesso dipende sia dal contatto cutaneo sia dallo stiramento dei flessori delle dita, che, come i muscoli che agiscono a livello del polso e del gomito, sono lievemente spastici, con scosse tendinee aumentate. Questa lieve spasticità non è paragonabile con la grave distonia risultante dall'abnorme accentuazione dei riflessi labirintici e di contatto corporeo; il TP non ha molta parte nel controllo di questi riflessi. Ma il sostegno posturale è un fondamento essenziale per l'orientamento spaziale e il fine uso delle mani: Denny-Brown ed Evans (v. Denny-Brown, 1966) hanno dimostrato, con stimolazioni elettriche, che esso può essere mobilitato bilateralmente con la diffusione in avanti dell'attività dell'area 4 così da attivare la corteccia ‛extrapiramidale'. Denny-Brown conclude dicendo che il TP è implicato ‟in quelle regolazioni spaziali che adattano accuratamente il movimento agli attributi spaziali dello stimolo. Così l'atto dell'afferrare è appropriato alla forma dell'oggetto che deve essere preso, sia esso un pezzettino di cibo, un ago o una superficie".
L'apertura precedente della mano è essenziale per la formazione degli appropriati schemi di prensione, e per questo è presumibilmente importante l'accessibilità preferenziale corticomotoneuronica degli estensori delle dita (v. Phillips, 1971). Nella scimmia, come nel gatto, il tempo di reazione di scelta veniva selettivamente aumentato dalla sezione del TP (v. Laursen, 1970).
Lesione del TP nell'uomo. - I neurochirurghi hanno spesso sezionato il TP unilateralmente a livello del peduncolo cerebrale per la cura di violenti movimenti involontari unilaterali (emiballismo; v. Bucy, 1957). Siccome questo intervento si effettua solo in caso di gravi squilibri delle funzioni motorie, ovviamente la situazione non è strettamente confrontabile a quella conseguente ad ablazioni eseguite in animali normali. Nel caso di un uomo di 70 anni, l'esatta entità della lesione fu determinata istologicamente. Si tratta quindi di un caso unico di grande importanza, che sarà descritto dettagliatamente (v. Bucy e altri, 1964).
La gravità dell'emiballismo aveva reso impossibile ogni giudizio preoperativo sulle capacità motorie degli arti di sinistra (il paziente era destrimane). L'effetto immediato dell'operazione fu un'emiplegia flaccida a sinistra; l'emiballismo sparì permanentemente. Dopo 24 ore il paziente poteva muovere le dita del piede sinistro e afferrare con la mano sinistra. Dal terzo giorno il riflesso plantare sinistro era estensorio (segno considerato da Babinski in poi come patognomonico di lesione piramidale). Al decimo giorno il paziente poteva stare in piedi da solo e camminare se aiutato, e riusciva a sollevare il braccio sinistro sopra la testa. ‟La forza e la gamma dei movimenti volontari si ristabilì più rapidamente nella mano, nel piede e nelle rispettive dita, che non nelle articolazioni più prossimali, [...] un po' più rapidamente nell'estremità inferiore che nella superiore". Non vi era spasticità. Al 24° giorno poteva sedersi su una sedia e rialzarsi senza aiuto. Vi era ora una lieve spasticità della gamba sinistra, e i riflessi tendinei erano aumentati nel braccio e nella gamba. Al 29° giorno riusciva a camminare senza aiuto per un breve tratto, trascinando il piede sinistro. Al 32° giorno presentava un ‟uso abbastanza buono della mano sinistra e dell'estremità superiore. Riusciva a eseguire abbastanza bene fini movimenti di singole dita. I movimenti volontari della gamba sinistra erano abbastanza buoni, e il paziente poteva muovere bene il piede sinistro e anche le dita". I riflessi tendinei a sinistra erano ‟moderatamente iperattivi" ma ‟la resistenza alla manipolazione passiva era aumentata di poco o nulla". Non vi erano deficit di senso. Vi era una modica debolezza della muscolatura della parte inferiore sinistra della faccia. Dopo 7 mesi sembrava che fosse stato raggiunto il massimo recupero. Non vi era più debolezza della muscolatura facciale. La stretta della mano sinistra era leggermente più debole di quella della mano destra. ‟I fini movimenti delle singole dita della mano sinistra venivano eseguiti lievemente meno bene di quelli della mano destra". Le dita del piede sinistro non potevano essere mosse ‟con la stessa ampiezza di movimento di quelle del piede destro". Continuava a non esservi aumento della resistenza alla manipolazione passiva degli arti a sinistra, ma i riflessi tendinei erano ‟un po' più attivi". Il paziente poteva saltellare bene, sia sull'uno sia sull'altro piede, un po' meglio con il destro che con il sinistro. Egli morì dopo due anni e mezzo per collasso cardiaco e per una malattia incurabile che non aveva danneggiato il cervello. Questo non presentava anormalità, a eccezione della lesione chirurgica e della conseguente degenerazione. De Myer ha calcolato che l'80% degli assoni del TP era andato perduto in seguito alla sezione. Il TP non crociato raggiungeva il livello mediotoracico, quello crociato si estendeva sino ai livelli inferiori del midollo spinale. È stato valutato che almeno il 90% delle cellule più grandi (Betz) del TP mancavano nel lato leso, un fatto presumibilmente dovuto alla degenerazione retrograda. La presenza di tutti i movimenti indipendenti delle dita dopo questa operazione è veramente notevole. La persistenza del 17% degli assoni del TP (v. Lawrence e Kuypers, 1968), come anche quella del TP non crociato, può essere stata importante. Inoltre la semplice capacità di muovere le dita può essere, funzionalmente, meno informativa dell'elenco dei movimenti precisi che il soggetto non poteva compiere, o imparare a compiere. In futuro, sarebbe molto importante studiare neuropsicologicamente le prestazioni di questi casi nel modo più completo possibile. ‟A parte le difficoltà causate dalla spasticità o dalla distonia, le alterazioni motorie prodotte nell'uomo da lesione corticale sono aprassie" (v. Denny-Brown, 1966). È chiaro, come Bucy (v., 1957) ha giustamente sottolineato, che dopo la peduncolectomia i pazienti hanno disturbi molto meno gravi di quelli dei pazienti con distruzione emorragica della capsula interna, e non mostrano molti dei sintomi denominati ‛Piramidali' dalla neurologia clinica. Tuttavia il segno di Babinski è tuttora validissimo e mantiene il suo significato diagnostico.
Ablazione corticale nella scimmia e nello scimpanzé. - Dato che il TP non è la sola proiezione dai giri pre- e postcentrale, non è sorprendente che la distruzione di queste circonvoluzioni causi nella scimmia danni più gravi di quanto non faccia la sezione del TP: ‟un deficit grave e permanente di tutti i delicati aggiustamenti spaziali dei movimenti della mano e, in grado minore, del piede e della bocca. Le piccole torsioni, abduzioni, rotazioni, che rendono possibile la palpazione precisa e l'esplorazione o la ritrazione, dipendono dall'integrità dei giri pre- e postcentrale. Il deficit aumenta se gli occhi vengono bendati, in quanto l'esplorazione palpatoria non usufruisce più della guida della vista" (v. Denny-Brown, 1966).
La fig. 3 mostra l'area dalla quale Leyton e Sherrington (v., 1917) produssero movimenti primari del gomito, del polso, delle dita, dell'indice e del pollice dello scimpanzé. Abbiamo già descritto la degenerazione terminale degli assoni del TP che segue all'ablazione di quest'area (v. cap. 3, È d). Entro poche ore dall'intervento l'animale, che era attivo e si alimentava, sembrava sorpreso dall'incapacità del proprio braccio controlaterale alla lesione. La spalla era lievemente debole, il gomito un po' di più. Vi era caduta del polso. Le dita potevano eseguire qualche movimento, ma il pollice e l'indice quasi nessuno. L'animale non poteva afferrare le sbarre verticali della gabbia. Il giorno seguente non tentava di usare la mano: ‟sembra che si sia accorto che non può muovere la mano e che abbia imparato a non servirsene". Un mese più tardi, la spalla e il gomito erano tornati normali. Il polso era forse ancora un po' cadente. Le tre dita ulnari venivano usate bene, ma l'indice non si muoveva indipendentemente e nell'afferrare la sbarra veniva a trovarsi sul lato sbagliato. Il pollice, a causa della sua relativa brevità, non era stato molto usato preoperativamente (v. Phillips, 1971). Dopo cinque settimane dal primo intervento, una nuova lesione che invadeva anche l'adiacente area della spalla veniva eseguita nello stesso punto della corteccia (v. fig. 3). La lieve recrudescenza della debolezza della spalla scompariva in una settimana. Le condizioni della mano non furono alterate dalla seconda ablazione. Dal giorno dopo l'intervento l'animale si arrampicava, si dondolava e teneva il cibo come prima.
Lashley (v., 1950) ha dimostrato che il giro precentrale non è la sede, o per lo meno la sola sede, degli engrammi del movimento appreso. Alcune scimmie furono addestrate ad aprire scatole contenenti cibo. Quando, dopo un sufficiente recupero seguente alla distruzione bilaterale delle aree motorie, le scatole venivano di nuovo presentate alle scimmie, si vide che queste ricordavano quello che avevano appreso e, nonostante la loro goffaggine, svolgevano correttamente il compito di estrarre il cibo.
d) Prove elettrofisiologiche dell'attività precentrale che precede il movimento.
Gli studi elettrofisiologici sull'uomo e sugli animali, svegli e liberi di compiere movimenti volontari o movimenti per avere una ricompensa, sono importanti perché dimostrano che vi sono certamente nel giro precentrale attività che precedono il movimento. Penfield e Jasper (v., 1954) hanno registrato in pazienti neurochirurgici l'attività elettrica ritmica dal giro precentrale esposto in anestesia locale. Quando il paziente afferrava un oggetto in risposta a un comando, o anche se era semplicemente avvertito di prepararsi a eseguirlo, il ritmo scompariva. In alcuni casi l'effetto era limitato all'area della mano, ma in altri si estendeva oltre questa. I neuroni locali venivano presumibilmente messi in azione durante l'attività volontaria del paziente, ma queste attività erano così desincronizzate da annullarsi reciprocamente rispetto agli elettrodi posti sulla superficie corticale. Nell'uomo Deecke e altri (v., 1969) hanno registrato un ‛potenziale motori o negativo' e una ‛positività premotoria' dal cuoio capelluto sovrastante l'area del braccio circa 50 ms prima della flessione del dito indice controlaterale.
Ricci e altri (v., 1957) osservarono, in scimmie che eseguivano risposte motorie condizionate, desincronizzazione (‛blocco', ‛eccitazione') dei ritmi elettrici di superficie, in accordo con quanto trovato nell'uomo da Penfield e Jasper. L'inserimento di microelettrodi nella corteccia ha permesso di dimostrare che i neuroni variavano la frequenza dei loro impulsi in ogni modo possibile, confermando l'esistenza di una complessa riorganizzazione dell'attività, nascosta dalla reazione di blocco. I brillanti esperimenti di Evarts (v., 1967), che sono già stati citati nei capitoli precedenti, hanno permesso di isolare le attività delle cellule del TP in scimmie libere di muoversi, e hanno dimostrato che l'attività di questi neuroni precede il movimento, confermando che essi occupano il grado più basso nella gerarchia dei livelli funzionali. Quando una scimmia viene premiata se fa scattare un tasto telegrafico il più rapidamente possibile in risposta a un lampo di luce, il tempo di reazione delle cellule del TP è di circa 100 ms, il che rappresenta la maggior parte del tempo totale di reazione (v. Evarts, 1967). Il tempo che rimane è più che sufficiente per l'esplicarsi di attività precedenti nei gangli della base, nel cervelletto, nel talamo e nella corteccia: tutte attività che si svolgono a monte della ‛via comune' che origina dalla corteccia come il TP (v. fig. 14; v. Evarts e Thach, 1969). Nelle scimmie le attività neuroniche che precedono il movimento sono ora state registrate da tutte queste stazioni. Non sappiamo quale di esse ‛istruisca' le cellule del TP, o se ha senso dire che il movimento è ‛innescato ‛in una di queste strutture piuttosto che in un'altra. I neuroni nel giro postcentrale rispondono circa 60 ms dopo i neuroni precentrali, le cui scariche precedono un movimento di rapido inizio (v. Evarts, 1972). Nel cervello dei Mammiferi non si sono per ora individuati ‛neuroni di comando' (Kennedy, cit. in Evarts e altri, 1971).
e) Considerazioni conclusive su stimolazione elettrica e funzione.
Prima di abbandonare l'argomento, è utile ricordare la storia della stimolazione elettrica della corteccia, metodo che inizialmente sembrava mettere la funzione cerebrale alla portata dello sperimentatore, e che ora sembra semplicemente fornire un mezzo conveniente per attivare le vie neuroniche. Ferrier (v., 1876) pensava che molti dei movimenti che egli aveva mappato avessero ‟evidentemente un carattere volontario o finalistico", e Schäfer (v., 1900) scrisse: ‟Senza dubbio il carattere più sorprendente di molti dei movimenti che vengono provocati dall'eccitazione cerebrale è la loro natura coordinata e finalistica". Il lavoro di Grünbaum (Leyton) e Sherrington chiarì che questo carattere era dovuto al fatto che i movimenti in questione erano già finemente organizzati a livello dei riflessi spinali e bulbari. ‟I movimenti che possono essere suscitati regolarmente e abbondantemente come riflessi locali sono in larga misura rappresentati nella corteccia motoria [....]. I movimenti riflessi locali che si possono ottenere nell'animale bulbospinale e le reazioni suscitate dalla corteccia motoria dell'animale narcotizzato si configurano come serie simili" (v. Sherrington, 1906). Bates (v., 1957) ha fornito ulteriori prove a sostegno di quest'idea con la sua ampia esperienza in fatto di stimolazioni cerebrali in pazienti neurochirurgici. In questo senso è corretto sostenere, con i critici contemporanei di Ferrier e di Hughlings Jackson, che ‟l'affermazione che i movimenti sono rappresentati nella corteccia ha senso tanto quanto quella che i movimenti sono rappresentati nella pelle" (v. Bates, 1957).
Ma Leyton e Sherrington (v., 1917), che concentravano le loro ricerche sulle risposte minime (‛primarie') anziche' sull'elaborazione di sequenze complesse di risposte ottenute con stimolazioni prolungate, rimasero colpiti dal loro ‟carattere isolato e ristretto [...] che rendeva equivoca l'assegnazione a queste risposte di una qualunque finalità da parte dell'osservatore, che tale finalità dovrebbe interpretare". Tali ‟piccoli frammenti locali di movimento" dovrebbero essere combinati con altri ‟per costituire un tutto utile". Così essi concepivano la corteccia come un ‟organo di sintesi per gli atti motori", ma anche come un organo di analisi ‟che frammenta composti già costituiti dai centri inferiori". Essi videro nell'instabilità delle risposte ottenute con stimoli strettamente ravvicinati nello spazio e nel tempo (facilitazioni, deviazioni, inversioni) una prova evidente della ricchezza di associazioni fra ‛punto e punto' che sarebbero necessarie alle supposte attività analitiche e sintetiche della corteccia: alcune di queste associazioni a livello corticale, altre a livello segmentale. Sherrington (v., 1906) era chiaramente insoddisfatto delle limitazioni di questo approccio, e cercò ‟nuovi promettenti metodi [...] seguiti recentemente da Franz, Thorndyke, Yerkes e altri; ad esempio, l'influenza delle lesioni sperimentali della corteccia sulle abilità acquisite recentemente e individualmente, cioè sperimentalmente [...]. Combinando i metodi della psicologia comparata [...] con quelli della fisiologia sperimentale ci si può aspettare che prima che sia trascorso molto tempo la ricerca fornisca nuovi dati importanti per la conoscenza del movimento come risultato dell'attività del cervello".
È anche chiaro che i ‛movimenti', secondo Hughlings Jackson (v. Phillips, 1966), non sono da equiparare con qualunque movimento che possa essere sensatamente considerato come ‛rappresentato' nella pelle. In questo senso i movimenti sono ‛processi intracerebrali' che producono migliaia di combinazioni diverse delle efferenze. Sopravvive, anche se non riconosciuta, negli studi psicologici odierni la concezione (1889), antecedente a quella di Sherrington, di un'organizzazione gerarchica e in serie delle componenti elementari delle abilità motorie percettive (v. Fitts e Posner, 1967). Oggi che sappiamo che gli stimoli elettrici si diffondono nella corteccia ed eccitano grandi popolazioni di neuroni in una ipersincronia non fisiologica (definizione di Jasper), non possiamo credere che sarebbe possibile evocare i ‛movimenti' di Jackson (gli odierni ‛programmi esecutivi' e subroutines), per lo meno con gli elettrodi, le forme d'onda, ecc., convenzionali. La stimolazione elettrica convenzionale paralizza la funzione allo stesso tempo che eccita ‛ipersincronicamente' le vie efferenti (v. Phillips, 1966). Le caratteristiche abnormi delle scariche corticifughe possono innescare un'attività finalistica in centri riflessi fuori della portata della stimolazione ipersincronizzante, proprio come se questi centri rispondessero ‛finalisticamente' alle efferenze di tipo abnorme evocate dalla stimolazione elettrica di nervi afferenti distanti. Le risposte motorie suscitate dalla stimolazione della corteccia in pazienti coscienti non sono volute e non possono essere impedite dal paziente (v. Penfield, 1937).
8. Riepilogo.
Il TP è una struttura che caratterizza il cervello dei Mammiferi. Esso origina entro e nelle vicinanze dell'area della corteccia cerebrale la cui stimolazione elettrica produce risposte muscolari a soglia minima. La sua area di origine è adiacente a quelle della corteccia che ricevono afferenze muscolari, cutanee e articolari; i suoi neuroni (nel gatto) ricevono afferenze ‛polisensoriali' già mescolate a livello talamico. In tutta la limitata serie di mammiferi che è stata studiata, i suoi assoni stabiliscono connessioni dalla corteccia alla formazione reticolare e ai nuclei delle colonne dorsali. In alcuni mammiferi (capra, coniglio) le sue connessioni con il midollo spinale sono scarse e limitate a pochi segmenti superiori. In altri (ratto, gatto e Primati), esso si estende per l'intera lunghezza del midollo spinale. Nel gatto, le sue terminazioni sinaptiche si trovano nella regione dorsale e intermedia della sostanza grigia, nelle vicinanze delle afferenze di senso in arrivo e degli interneuroni degli archi riflessi spinali. Nella serie dei Primati una parte sempre maggiore del tratto termina nel corno anteriore a contatto con i motoneuroni della muscolatura distale (circa una metà nel gibbone e nello scimpanzé e probabilmente di più nell'uomo). Questi studi morfologici ed elettrofisiologici fanno pensare a una duplice funzione del tratto: 1) controllo delle afferenze al sistema nervoso centrale; 2) controllo delle efferenze motorie, selezione di parti dell'organizzazione dei riflessi segmentali in combinazioni appropriate e, nei Primati, impiego diretto dei motoneuroni. Le sue cellule sono attive durante il movimento volontario nei Primati, e variano il loro livello generale di attività durante il sonno e la veglia (v. sonno). Dopo eliminazione cronica del TP vi è un deficit permanente delle reazioni della zampa o della mano a stimoli tattili e, nei Primati, sono alterate la stretta di precisione del pollice e dell'indice e l'attività indipendente delle dita. Nel gatto e nella scimmia vi è una perdita di velocità nell'esecuzione di prestazioni apprese. Oltre ai deficit localizzati in parti specifiche del corpo, è probabile che anche la potenzialità per prestazioni fini in generale sia diminuita: tale diminuzione sembra essere più grave nei Mammiferi che mostrano la più grande versatilità di comportamento, e può essere completamente rivelata solo con una scrupolosa osservazione, con prove fini e con un'adeguata motivazione. Per poter specificare i vantaggi evolutivi conferiti a ogni specie dal possesso di un TP, e per decidere se questi siano o no separabili in categorie funzionali distinte, sono necessari studi eseguiti su una più ampia serie di mammiferi con habitat diversi e differenti modalità di postura, locomozione, prensione e alimentazione.
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Patologia del sistema piramidale
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. Sindrome piramidale: analisi fisiopatologica dei sintomi caratteristici: a) paralisi centrale; b) modificazioni del tono muscolare; c) modificazione dei riflessi; d) comparsa di riflessi patologici; e) sincinesie. □ 3. Meccanismi di compenso nel recupero motorio dopo lesioni piramidali. □ 4. Le sindromi anatomo-cliniche: a) lesioni corticali; b) lesioni capsulari; c) lesioni del tronco dell'encefalo; d) lesioni del midollo spinale. □ 5. Patologia clinica: a) malattie degenerative sistemiche del neurone motore: sclerosi laterale amiotrofica (SLA); b) sclerosi combinate o atrofie primarie eredo-degenerative (eredoatassie); c) sindromi piramidali nelle cerebropatie infantili. □ Bibliografia.
1. Introduzione.
Il progresso delle scienze mediche nel nostro secolo ha fatto sì che certi termini o concetti acquisiti dall'antica letteratura debbano oggi essere riconsiderati alla luce delle attuali conoscenze. È il caso del ‛sistema piramidale' e della relativa ‛sindrome piramidale'. Infatti, l'ipotesi che le fibre discendenti contenute nella piramide bulbare (fascio piramidale) e nel cordone laterale del midollo conducano impulsi motori risale alla metà del secolo scorso, quando ancora non erano ben conosciute l'origine e la terminazione di tutte le fibre contenute nella piramide. Sin dai primi anni del XIX secolo, Gall e Spurzheim (v., 1810) avevano intuito che il fascio piramidale si decussa nel midollo allungato e congiunge la corteccia cerebrale con il midollo spinale, ma il decorso del sistema piramidale venne abbozzato solo più tardi da Turck (v., 1851). Quest'ultimo non riuscì a determinarne l'origine craniale, ma descrisse nel midollo spinale un fascio laterale crociato e uno anteriore non cr0ciato destinati a condurre impulsi centrifughi motori; inoltre, si accorse che le lesioni della capsula interna provocano una degenerazione secondaria lungo il fascio piramidale.
Quando l'origine delle fibre piramidali venne localizzata nella corteccia motoria e la loro terminazione nella Sostanza grigia del midollo spinale e nei nuclei motori dei nervi cranici bulbari (v. Phillips e Porter, 1977, per la letteratura), i termini di ‛via piramidale', ‛via corticospinale' e ‛corticobulbare', ‛sistema piramidale', entrarono nella letteratura con significato equivalente; inoltre, da allora la sintomatologia associata alla compromissione della motilità volontaria (paralisi o paresi centrale) è stata attribuita alla lesione della via motoria corticospinale.
Ciò facendo si è forse commesso un errore. Infatti nella patologia umana solo eccezionalmente si verifica una lesione isolata delle fibre che transitano nelle piramidi bulbari; pertanto ci si è dovuti riferire a modelli anatomo-clinici corrispondenti a lesioni soprastanti o sottostanti la piramide bulbare, in zone dove facilmente possono essere coinvolti altri contingenti discendenti di fibre, oltre quelle corticospinali.
D'altra parte, i reperti di piramidotomie sperimentali nei Primati (v. Tower, 1940 e 1949; v. Liu e Chambers, 1964; v. Growdon e altri, 1967; v. Gilman e Marco, 1971; v. Schwartzman, 1978) non riproducono i sintomi della sindrome piramidale umana (paralisi, ipertonia, iperreflessia propriocettiva, segno di Babinski). Si è venuta profilando, così, l'ipotesi che nell'uomo alcuni sintomi appartenenti alla cosiddetta ‛sindrome piramidale' siano conseguenti alla lesione di fibre non appartenenti ai contingenti corticospinali e corticobulbari transitanti nelle piramidi. Su questo equivoco è vissuta per molto tempo l'anatomia clinica del sistema piramidale ed è comprensibile pertanto la proposta di alcuni autori (v. Brodal, 1969) di abolire il termine ‛sistema piramidale'. Questa tesi, giustificata sul piano delle conoscenze neuroanatomiche e neurofisiologiche sperimentali, è improponibile sul piano clinico, sia perché è difficile eliminare una terminologia che è fra le più radicate della nostra letteratura, sia perché non sembra disponibile una terminologia alternativa, in grado di sostituire con incisività la dizione corrente.
In realtà bisogna tener conto che, dal punto di vista anatomico, i fasci di fibre che transitano nella piramide non sono diretti soltanto ai motoneuroni spinali (lamina IX di Rexed) o a quelli dei nuclei motori dei nervi cranici, bensì anche alla sostanza grigia intermedia del midollo spinale (lamina VII di Rexed), alla sostanza reticolare del midollo allungato, al nucleo proprio del corno posteriore del midollo spinale (lamine III e IV di Rexed) e al nucleo del tratto spinale del trigemino, ai nuclei di Goll e Burdach e al nucleo proprio del trigemino (v. Kuypers, 1958 e 1960). Anche nell'uomo transitano per la piramide importanti contingenti di fibre provenienti dall'area 6 e dall'area 4 e diretti al tegmento bulbare (v. Minckler e altri, 1944; v. Kuypers, 1958; v. Schoen, 1969).
Quindi, le componenti odologiche del fascio piramidale sono varie e funzionalmente diverse anche a livello della piramide del midollo allungato, e la stessa ‛sindrome piramidale' ottenuta per lesione circoscritta alle piramidi non può essere considerata, a stretto rigor di termini, una pura sindrome motoria corticospinale. Ciò trova conferma negli esperimenti di piramidotomia nelle scimmie, nei quali l'interruzione dei contingenti parietobulbare e parietospinale, che hanno funzione di controllo sugli inputs ascendenti sensitivi somatici, determina la perdita delle risposte di orientamento da contatto (tactile placing, grasping and avoiding: v. Lawrence e Kuypers, The functional... I, 1968; v. Gilman e Marco, 1971). D'altra parte, la rimozione dei contingenti che originano dalla corteccia postcentrale somestesica, tramite ablazione della corteccia stessa, non determina le alterazioni motorie tipiche della piramidotomia (v. Lawrence e Hopkins, 1976). È pertanto opportuno prendere in considerazione, soprattutto per la patologia, il suggerimento di Verhaart (v., 1953), il quale propone di comprendere nel sistema piramidale non solo le fibre che compongono la piramide bulbare, ma anche le fibre, di identico significato, che si distaccano dalla via piramidale prima del midollo allungato (ponte, mesencefalo). Solo così siamo in grado di attribuire alla sindrome piramidale un significato, perché ci riferiamo a una categoria di sintomi provocati dalla lesione di un sistema discendente complesso ma articolato su componenti odologicamente equivalenti. I dati patologici confortano questa impostazione, perché è noto che le malattie degenerative sistemiche della via piramidale presentano, nel loro corredo sintomatologico, tutti i sintomi della sindrome piramidale classica: deficit motorio, ipertonia, iperreflessia propriocettiva, segno di Babinski (v. Davison, 1941).
Una breve sintesi dell'‛organizzazione anatomica' della via piramidale è, quindi, una premessa necessaria alla discussione della sindrome piramidale in patologia. Gli studi sperimentali più recenti, condotti sia nel gatto sia nei Primati (v. Catsman-Berrevoets e Kuypers, 1976; v. Coulter e altri, 1976; v. Groos e altri, 1978; v. Armand e Kuypers, 1980; v. Biedenbach e Devito, 1980; v. Murray e Coulter, 1981), hanno confermato e ulteriormente precisato la struttura della via piramidale prospettata dagli studi sui Primati e sull'uomo di Kuypers (v., 1958 e 1960) e Schoen (v., 1969). In particolare, nei Primati è stato confermato che la via piramidale è un sistema discendente complesso che, sia nella componente corticobulbare sia in quella corticospinale, trae origine non solo dalla corteccia frontale precentrale (circonvoluzione frontale ascendente), classicamente intesa come corteccia motoria primaria, ma anche da un più ampio territorio che include le aree frontali premotorie e le parietali somestesiche primarie (area SI: circonvoluzione parietale ascendente), secondarie (area SII: opercolo parietale) e associative (circonvoluzione parietale superiore). Gli studi finora compiuti consentono, quindi, di confermare che la via piramidale è composta da diversi contingenti che si possono distinguere, in base al territorio corticale d'origine e alla loro distribuzione terminale, nel modo seguente (v. fig. 1).
1. Un contingente motorio corticomotoneuronale diretto (v. Kuypers, 1960), definito da Macchi (v., 1969) ‟neocorticospinale", in quanto nella linea evolutiva filogenetica è caratteristico dei Primati e dell'uomo. Tale contingente ha origine principalmente dall'area motoria primaria (area 4) e si distribuisce direttamente ai motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale e dei nuclei motori dei nervi cranici nel tronco dell'encefalo. Alcuni dati sperimentali ne indicherebbero, nella scimmia, un'origine anche dall'area 3a (v. Coulter e Jones, 1977). Le fibre piramidali che terminano direttamente sui motoneuroni presiederebbero ai compiti motori più fini e selettivi, quali, ad esempio, i movimenti indipendenti della mano e delle dita (v. Kuypers, 1978).
2. Un contingente motorio indiretto (v. Kuypers, 1960), definito da Macchi (v., 1969) ‟paleocorticospinale", in quanto è caratteristico dell'organizzazione motoria dei subprimati ma è presente anche nell'uomo. Tali fibre hanno origine dalla corteccia motoria precentrale (area 4) e si distribuiscono alla parte intermedia della sostanza grigia del midollo spinale e al tegmento laterale del tronco encefalico.
3. Un contingente di fibre che origina principalmente dalla corteccia frontale premotoria (area 6), ma anche dalla corteccia precentrale (area 4), e si distribuisce al tegmento mediano e paramediano pontino e bulbare del tronco dell'encefalo.
4. Contingenti che originano principalmente dalle aree parietali (1, 2, 3, 5, 7) e si distribuiscono al nucleo principale sensitivo del trigemino e alla sostanza grigia delle corna posteriori del midollo spinale; i nuclei della colonna dorsale (gracile e cuneato) ricevono afferenze sia dalla parte caudale della corteccia precentrale (area 4) sia dalle aree somestesiche primarie e secondarie (corteccia postcentrale e opercoloparietale) e parietali associative (area 5) (v. Weisberg e Rustioni, 1977).
Attraverso i contingenti corticali che si arrestano al tegmento del tronco dell'encefalo si realizza l'inserimento della via piramidale nei circuiti extrapiramidali discendenti dal tronco dell'encefalo. Tale organizzazione motoria subcorticospinale è stata sintetizzata da Kuypers (v., 1978), che ha proposto una suddivisione delle vie discendenti dal tronco dell'encefalo in due grandi gruppi: a) un gruppo ventromediale, che ha origine dal nucleo interstiziale di Cajal, dal nucleo subceruleo, dal complesso vestibolare e dalla formazione reticolare mediale pontina e bulbare, e termina principalmente nelle parti ventromediali della sostanza grigia intermedia del midollo spinale con distribuzione bilaterale e, mediante le vie propriospinali, si connette preferenzialmente con i motoneuroni dei muscoli prossimali; tale gruppo di vie discendenti sarebbe implicato soprattutto in movimenti assiali e prossimali degli arti e in movimenti sinergici di tutto l'arto; b) un gruppo laterale, che ha origine dal nucleo rosso e dalla formazione reticolare pontina ventrolaterale controlaterale e termina principalmente nelle parti dorsolaterali del grigio intermedio spinale, attraverso cui si connette preferenzialmente con i motoneuroni delle estremità distali; tale gruppo di vie discendenti sarebbe implicato in movimenti distali degli arti (v. fig. 2).
La distribuzione delle vie corticospinali nella sostanza grigia intermedia del midollo spinale si sovrappone alla distribuzione delle vie discendenti ventromediali e laterali. In tal senso, gli interneuroni del grigio spinale intermedio che si connettono ai diversi gruppi motoneuronali costituiscono un canale finale comune di afferenze discendenti sia dalla corteccia cerebrale sia dal tronco dell'encefalo. Si realizza, pertanto, la possibilità che impulsi corticali, in caso di interruzione della via corticospinale, siano convogliati da vie multisinaptiche cortico-subcorticospinali. Inoltre, i dati - principalmente elettrofisiologici - sulla terminazione diretta sui motoneuroni di alcune fibre discendenti dal nucleo rosso, dalla sostanza reticolare e dal complesso vestibolare (v. Kuypers, 1973, per la letteratura) e i recenti dati anatomici, nel gatto, sulla terminazione diretta sui motoneuroni di cospicui contingenti di fibre reticolospinali e ceruleospinali (v. Holstege e altri, 1979) consentono di prospettare ulteriori possibilità nei complessi meccanismi di integrazione fra la via corticospinale e le vie discendenti dal tronco dell'encefalo.
2. Sindrome piramidale: analisi fisiopatologica dei sintomi caratteristici.
È interessante notare che già nella seconda metà dell'Ottocento l'attenzione di molti studiosi fu attirata dai rapporti esistenti, nella sindrome piramidale, fra deficit motorio, consistenza del tono muscolare e stato dei riflessi. Fin da allora, quasi anticipando una problematica fisiopatologica dei nostri giorni, si intravide la necessità di enucleare l'ipertonia (contrattura) dal contesto sintomatologico provocato dalla lesione delle fibre corticospinali propriamente dette. Partendo, infatti, dalla constatazione che l'emiplegia cerebrale determina un'ipotonia (flaccidità) con aumento dei riflessi e solo tardivamente la contrattura, mentre nelle lesioni midollari la contrattura è precoce, A. van Gehuchten (v., 1897) formulò l'ipotesi di un'azione tonoinibitoria della via piramidale e tonoeccitatoria della via corticopontocerebellospinale sul motoneurone spinale. Nell'emiplegia cerebrale ambedue le vie sarebbero lese, prevalendo l'eliminazione del sistema tonoeccitatorio, mentre nelle lesioni spinali resterebbe pervia la via cerebellospinale tonoeccitatoria. La tesi di van Gehuchten fu ripresa da E. Lugaro (v., 1898) il quale, pur concordando su un'azione inibitoria, mediante la via piramidale, ed eccitatoria, mediante la via corticopontocerebellospinale; esercitata da ciascun emisfero sul tono muscolare, notò che era sufficiente una lesione delle vie piramidali per provocare ipertonia ed esagerazione dei riflessi profondi e che era necessaria un'estesa lesione delle vie ‛tonigene' per determinare uno stato di ipotonia. Circa la contrattura postemiplegica, Lugaro ritenne che essa fosse di natura centrale e che dipendesse da una lesione parziale della via piramidale e dalla conseguente diminuzione dell'azione inibitoria sui muscoli antagonisti, mentre veniva mantenuta un'attività inibitoria sui gruppi muscolari colpiti da paralisi. Ciò spiegava l'ipotonia dei muscoli maggiormente colpiti da paralisi (estensori) e l'ipertonia di quei muscoli che avevano mantenuto un certo grado di motilità (flessori).
Vedremo in seguito come lo sviluppo scientifico del Novecento abbia risolto il problema del rapporto fra ipertonia e lesione piramidale. È singolare, comunque, che già nella seconda metà del XIX secolo l'osservazione clinica avesse ipotizzato l'esistenza di due vie discendenti separate per la regolazione del tono muscolare, una decorrente lungo la via corticospinale, l'altra lungo vie extrapiramidali. La sintomatologia della sindrome piramidale irritativa (epilessia parziale motoria) rientra nel quadro dell'epilessia jaksoniana (v. epilessia). Questo articolo è, dunque, dedicato esclusivamente alla sindrome piramidale deficitaria (v. fig. 3).
a) Paralisi centrale.
La paralisi dei movimenti volontari è un sintomo essenziale della lesione piramidale e consiste in una diminuzione dell'efficienza motoria volontaria, che può essere tale da non consentire alcun movimento spontaneo (paralisi) del settore corporeo colpito o di consentirlo solo parzialmente (paresi). Si osservano emiplegie, monoplegie o paraplegie. Il deficit motorio non interessa nella stessa misura i gruppi muscolari. Nel settore cranico sono colpite gravemente solo la muscolatura innervata dal facciale inferiore e, non costantemente, quella innervata dall'ipoglosso. La deglutizione, la fonazione, i movimenti della mandibola sono modestamente interessati. Così dicasi per i movimenti della muscolatura mimica innervata dal facciale superiore, la quale solo eccezionalmente è interessata in misura paragonabile a quella innervata dal facciale inferiore; è invece più frequente di quanto non si ritenga usualmente un parziale deficit motorio anche dei muscoli innervati dal facciale superiore (v. Rondot, 1969, per la letteratura).
L'antica ipotesi secondo la quale il minor interessamento della muscolatura innervata dai nervi cranici, nelle lesioni emisferiche unilaterali, sarebbe dovuto alla proiezione bilaterale delle fibre corticobulbari destinate ai nuclei motori dei nervi cranici è stata confermata dalle ricerche di Kuypers (v., 1958) sull'uomo. Infatti, questo autore ha documentato la prevalente distribuzione bilaterale delle fibre corticobulbari delle vie piramidali ai nuclei dorsali del nervo facciale e al nucleo motore del nervo trigemino, mentre ha descritto prevalenti connessioni controlaterali con i nuclei ventrali del nervo facciale. Inoltre, lo stesso autore ha notato una notevole variabilità individuale delle proiezioni corticifughe al nervo ipoglosso ipsilaterale, rendendo così ragione del perché in certi casi di emiplegia cerebrale si realizza una inemendabile emiparalisi linguale. Nelle lesioni bilaterali del contingente precentrobulbare (genicolato) della via piramidale, come accade nella sindrome pseudobulbare, la paralisi volontaria della muscolatura si estende, bilateralmente, alla muscolatura innervata dal facciale inferiore, dal trigemino (masticatoria), dai nervi cranici IX (glossofaringeo), X (vago), XI (accessorio), XII (ipoglosso).
Nell'arto superiore la muscolatura estensoria e distale è la più colpita, mentre nell'arto inferiore lo è la muscolatura flessoria e distale. Ciò determina un diverso atteggiamento degli arti plegici in flessione dell'arto superiore, in estensione dell'arto inferiore. Nelle paresi degli arti sono conservati i movimenti più grossolani e prossimali, mentre sono più compromessi i movimenti distali, soprattutto quelli fini e indipendenti delle dita. Ciò è in rapporto al fatto che nella linea evolutiva dei Primati il contingente corticomotoneuronale diretto (neocorticospinale) controlla soprattutto la muscolatura distale degli arti e la sua interruzione determina una permanente compromissione dei movimenti di afferramento combinato del pollice e dell'indice e delle attività indipendenti delle dita (v. Tower, 1940; v. Lawrence e Kuypers, The functional... I, 1968; v. Lawrence e Hopkins, 1976). Per la stessa ragione, nelle fasi di recupero dal deficit motorio sono sempre i movimenti fini delle estremità quelli che si reintegrano più difficilmente.
b) Modificazioni del tono muscolare.
Un sintomo fondamentale nella sindrome piramidale è l'ipertonia. Il comportamento del tono muscolare nella sindrome piramidale dipende in gran parte da modificazioni che intervengono a livello del riflesso tonico miotatico. Si deve a questo riflesso, i cui recettori si trovano nei fusi neuromuscolari, se il muscolo si oppone al suo stiramento passivo con una contrazione che tende ad accorciarlo (v. recettori).
Nella sindrome piramidale i meccanismi riflessi che regolano il tono muscolare sono esaltati da una riduzione degli impulsi sopraspinali inibitori e da un aumento degli impulsi facilitanti che si portano ai motoneuroni alfa e gamma. I primi innervano le fibre dei muscoli scheletrici, mentre i secondi innervano le fibre muscolari intrafusali che controllano l'eccitabilità allo stiramento dei fusi neuromuscolari. Un aumento della scarica gamma produce ipertono, in quanto intensifica la scarica centripeta dei fusi neuromuscolari, potenziando il riflesso miotatico (per la letteratura v. Brodal, 1969; v. Lance, 1970; v. Granit, 1975; v. Moruzzi, 1976; v. Rindi e Manni, 1980).
L'ipertonia piramidale, o spasticità, ha i seguenti caratteri 1) interessa preferibilmente certi distretti muscolari piuttosto che altri, in genere la muscolatura meno compromessa dal deficit motorio. Nell'arto superiore la muscolatura più colpita è quella flessoria, nell'arto inferiore quella estensoria, per cui gli arti paretici assumono una posizione tipica in flessione, adduzione e pronazione l'arto superiore, in estensione della coscia e della gamba e flessione plantare del piede l'arto inferiore; 2) è di tipo elastico (v. Babinski, 1893), perché il movimento passivo impresso all'arto paretico, tendente a modificare lo stato di tensione della muscolatura ipertonica (allungamento), non viene accompagnato da un adattamento plastico, bensì da un rapido ritorno alla situazione di partenza, quando si pone termine alla manovra di allungamento; 3) la risposta tonica allo stiramento viene interrotta da un brusco cedimento del tono muscolare quando la distensione raggiunge un livello critico: è il cosiddetto fenomeno della ‛lama di coltello a serramanico' (clasp-knife effect o reazione d'allungamento: v. Sherrington, 1909); 4) l'ipertonia piramidale si associa all'aumento del riflesso fasico miotatico (v. È c).
L'importanza dell'iperattività gamma nella genesi dell'ipertonia piramidale recente è convalidata dall'effetto ipotonizzante provocato dal blocco fenolico dell'arco afferente (radice posteriore; v. Nathan, 1959) e procainico dell'arco efferente (radice anteriore; v. Rushworth, 1960). Tuttavia, l'aumento dell'innervazione gamma, e la conseguente esaltata scarica centripeta dei fusi neuromuscolari, non è la sola causa dell'ipertono. Probabilmente anche la risposta dei motoneuroni alfa è aumentata, com'è dimostrato dal fatto che le ipertonie consolidate persistono quando si sopprimono le afferenze fusali con la sezione delle radici posteriori (v. Denny-Brown, 1966). Anche la stimolazione elettrica delle fibre afferenti che provengono dai recettori anulospirali dei fusi neuromuscolari (riflesso H) produce una scarica esaltata dei motoneuroni alfa (v. Landau e Clare, 1964), effetto che non può ovviamente essere attribuito all'innervazione gamma.
Per quanto riguarda il clasp-knife effect, esso sarebbe provocato dall'azione inibitrice (inibizione autogena) esercitata dalle fibre afferenti 1b provenienti dagli organi muscolotendinei del Golgi sui motoneuroni alfa (v. Granit, 1950). Da altri autori è stato supposto che l'azione inibitoria, osservata durante lo stiramento del muscolo quadricipite ipertonico, sia condizionata dalle terminazioni sensitive secondarie del fuso neuromuscolare, le quali, nella spasticità, assumerebbero un ruolo inibitorio sui muscoli estensori e facilitatorio sui muscoli flessori (v. Burke e altri, 1970).
Dobbiamo ora esaminare i rapporti fra ipertonia piramidale e rigidità da decerebrazione. Nell'ipertonia piramidale, come nella rigidità sperimentale da decerebrazione (v. Sherrington, 1898), si osserva: a) aumento dei riflessi miotatici, tonico e fasico, per la prevalenza delle influenze facilitanti sopraspinali sui motoneuroni gamma (v. Granit, 1955) e alfa (v. Landau e Clare, 1964; v. Lance e altri, 1966; per la letteratura v. Brodal, 1969; v. Moruzzi, 1976; v. Rindi e Manni, 1980); b) presenza della reazione d'allungamento; c) effetto ipotonizzante realizzabile con l'interruzione del circuito gamma (taglio delle radici posteriori; v. Sherrington, in Foerster, 1936); d) presenza di reazioni posturali estensorie riflesse per estensione del collo e rotazione della testa (v. Twitchell, 1951; v. Feldmann e Sahrmann, 1971).
I punti di convergenza esistenti sul piano fisiopatologico fra rigidità da decerebrazione e ipertonia piramidale umana hanno convalidato il concetto che nella sindrome piramidale l'aumento del tono muscolare sia di natura extrapiramidale (v. Fulton, 1943). Tale concetto è avvalorato dal confronto con le sezioni sperimentali operate sui Primati, in base alle quali: a) l'interruzione del fascio piramidale a livello del peduncolo cerebrale e della piramide bulbare non provoca ipertonia, bensì flaccidità persistente o ipotonia (v. Tower, 1940 e 1949; v. Cannon e altri, 1944; v. Liu e Chambers, 1964; v. Bucy e altri, 1966; v. Walker e Richter, 1966; v. Goldberg, 1969; v. Gilman e Marco, 1971; v. Gilman e altri, 1971; v. Schwartzman, 1978); b) l'ipotonia sarebbe provocata da una diminuzione dell'azione facilitatrice normalmente esercitata dal contingente corticospinale sull'arco riflesso miotatico (v. Granit e Kaada, 1952): questi dati sono confermati dalla comparsa di depressione delle risposte miotatiche, per la riduzione delle afferenze intrafusali, nelle scimmie piramidotomizzate (v. Gilman e altri, 1971); c) nella scimmia l'ablazione dell'area 4 determina la flaccidità prolungata dell'emicorpo controlaterale (v. Fulton e Kennard, 1934); d) se vengono associate alle lesioni dei contingenti precentrospinali l'asportazione dell'area premotoria, 4s e 6 (ibid.), la lesione dei gangli della base (v. Crosby e altri, 1966) e l'interruzione dei fasci discendenti extrapiramidali nel tronco dell'encefalo (v. Bucy e altri, 1966), compare spasticità.
Dal confronto di questi ultimi reperti con i dati della patologia umana emerge una sostanziale convergenza nei riguardi della spasticità precoce che insorge per lesioni della via piramidale con interessamento dei gangli della base e della zona tegmentale del tronco dell'encefalo (v. Buscaino, 1930; v. Fazio, 1946; v. Cravioto e altri, 1960). Infatti, in ambedue le situazioni, sperimentale e clinica, è l'interessamento di strutture e fasci discendenti extrapiramidali che condiziona l'insorgenza dell'ipertonia, come avviene nella rigidità da decerebrazione. Più difficile diventa il confronto quando si passa a considerare la lesione isolata della via piramidale. Infatti, nell'esperimento l'ipotonia permanente è la regola, mentre nell'uomo, se si fa eccezione per l'unico caso chirurgico anatomicamente verificato (v. Bucy e altri, 1964) e per un altro caso - verificato anatomicamente - di un paziente con lesione vascolare del tutto circoscritta alla piramide bulbare, sopravvissuto per un mese all'emiplegia (v. Chokroverty e altri, 1975), l'ipertonia, anche se dilazionata nel tempo e di minor intensità, subentra inevitabilmente: lo confermano i rari esempi di exeresi corticali limitati all'area 4 (v. Horsley, 1909; v. Walshe, 1935; v. Foerster, 1936; v. Bucy, 1949) e i casi verificati anatomicamente di lesioni della piramide bulbare (v. Brown e Fang, 1961; v. Meyer e Herndon, 1962; v. Leestma e Noronha, 1976).
Si deve supporre, quindi, pur considerando con doverosa cautela ogni correlazione clinico-sperimentale, che nell'uomo una diversa organizzazione filogenetica del fascio piramidale condizioni le differenze suddette. Infatti il contingente corticospinale che raggiunge direttamente i motoneuroni spinali (neocorticospinale) è incrementato nell'uomo rispetto alla scimmia (v. Kuypers, 1964) e non sappiamo ancora bene quali differenze possano sussistere nell'organizzazione odologica e funzionale delle fibre corticoreticolari che si trovano abbondantemente frammiste ai contingenti corticospinali anche nella piramide bulbare e che si inseriscono, con tutta probabilità, in circuiti extrapiramidali inibitori (centro inibitorio bulboreticolare di Rhines e Magoun: v., 1946).
È quindi possibile che, se nell'uomo la funzione dei neuroni corticospinali è simile a quella registrata negli animali da esperimento (v. Phillips e Porter, 1977), nelle lesioni pure del fascio piramidale l'interruzione delle fibre corticoreticolari sia responsabile della spasticità. Questa stessa lesione non è però sufficiente a provocare la spasticità nella scimmia, malgrado che, come è noto, circa il 29% delle fibre contenute nella piramide provengano dall'area 6 (v. Russell e De Myer, 1961) e la maggioranza di esse si distribuisca al tegmento reticolare (v. Kuypers, 1960). Non è quindi improbabile che proprio a un mutato rapporto odologico e funzionale fra i vari contingenti del fascio piramidale sia dovuto il diverso comportamento del tono muscolare nell'uomo e nell'animale. Le esperienze sui primati antropomorfi (scimpanzé) avvalorano questa ipotesi filogenetica. Infatti si è osservata una spasticità transitoria (v. Kennard e Fulton, 1933) o duratura (v. Leyton e Sherrington, 1917) per l'ablazione dell'area 4, mentre nella piramidotomia, secondo Tower (v., 1949), ‟l'ipotonia è più dubbia". D'altra parte, anche la patologia sistemica del fascio piramidale nell'uomo comprende la spasticità fra i sintomi del tutto caratteristici (v. cap. 5).
Non è noto perché l'ipertonia compaia spesso con notevole ritardo nelle sindromi da interruzione del fascio piramidale nell'uomo. C'è chi ritiene che il fenomeno debba essere imputato a un prolungarsi dello stato di shock motoneuronale (diaschisi), ma non si comprende perché ciò non debba avvenire quando, insieme alla via piramidale, vengano lese anche vie extrapiramidali inibitrici del tono, come accade nelle ipertonie precoci da lesioni striate o tegmentali.
Per quanto riguarda, invece, i casi di persistente ipotonia osservati in vasti rammollimenti corticali e del centro ovale (v. Buscaino, 1930; v. Cardona, 1947; v. Davison, 1949), è ovvio pensare che o vengano risparmiati molti dei contingenti di fibre corticifughe corticoreticolari provenienti dalle aree premotorie o vengano lesi altri sistemi di fibre (per es. radiazione sensitiva) che sappiamo condizionare una protratta ipotonia (v. Davison e Bieber, 1934; v. Kennard e Kessler, 1940; v. Cardona, 1947).
c) Modificazione dei riflessi.
Nella patologia umana l'aumento dei riflessi propriocettivi viene ascritto ai disturbi caratteristici della spasticità e inquadrato sotto lo stesso profilo fisiopatologico dell'ipertonia muscolare, cioè come un fenomeno di liberazione dal controllo sopraspinale inibitorio (Jackson, 1888; v. Lance, 1970, per la letteratura). I riflessi ottenuti con la percussione dei tendini vengono detti impropriamente tendinei, mentre sono dovuti al brusco stiramento del muscolo, e quindi dei fusi neuromuscolari. Essi sono, dunque, riflessi miotatici fasici. In seguito alla soppressione del controllo inibitore sopraspinale sul sistema gamma efferente che regola lo stato di tensione del fuso neuromuscolare, si osserva un aumento dell'eccitabilità dei recettori del fuso neuromuscolare alla distensione; la risposta riflessa dei motoneuroni alfa al brusco allungamento è dunque aumentata (stimolo dinamico). Secondo alcuni autori esiste, indipendentemente dall'iperattività fusimotoria, una facilitazione dei motoneuroni alfa per l'alterata regolazione sopraspinale (v. Landau e Clare, 1964).
Contrariamente a quanto accade per i riflessi miotatici tonici (v. È b), i riflessi miotatici fasici sono facilitati sia nei muscoli estensori sia in quelli flessori; pertanto, tutti i riflessi tendinei (propriocettivi) sono abnormemente aumentati di intensità. L'aumento dell'attività riflessa spinale propriocettiva comporta, sul piano clinico-semeiologico: a) comparsa di iperreflessia; b) irradiazione dei riflessi; c) comparsa di riflessi polifasici.
L'iperreflessia è dovuta alla facilitazione del riflesso miotatico dinamico e la differenza, rispetto al soggetto normale, è quantitativa e non qualitativa (v. Malcolm, 1951; v. Pinelli e Valle, 1960; v. Dimitrjevic e Nathan, 1967). Infatti, il tempo di latenza del riflesso monosinaptico è identico a quello del soggetto normale: ciò che muta è il numero di unità motorie attivate dallo stiramento muscolare provocato dalla percussione tendinea e la diffusione ai motoneuroni dei muscoli sinergici. Ne consegue un aumento della risposta motoria riflessa.
L'irradiazione dei riflessi è provocata dall'abnorme eccitabilità dei motoneuroni che innervano altri settori muscolari (perdita dell'innervazione reciproca).
La comparsa di riflessi polifasici (caratterizzati da ripetute risposte motorie all'unica percussione tendinea) è dovuta all'esaltazione del riflesso miotatico fasico, per cui lo stiramento passivo del muscolo, che si verifica quando cessa la contrazione riflessa, genera un'ulteriore risposta motoria (v. Rondot, 1969). A quest'ultimo meccanismo fisiopatologico viene ricondotta anche la comparsa dei ‛doni' della rotula e del piede, che possono essere provocati sottoponendo a una trazione persistente i muscoli quadricipite e gastrocnemio.
Nell'uomo l'esagerazione dei riflessi miotatici, che si osserva anche nella rigidità da decerebrazione, compare per la lesione elettiva del fascio piramidale. Si osserva infatti nelle lesioni dell'area 4 (v. Bucy, 1949), nelle emiplegie pure, capsulari e pontine (v. Fisher e Curry, 1965), nelle sezioni peduncolari (v. Bucy e altri, 1964), nei rammollimenti delle piramidi bulbari (v. Brown e Fang, 1961; v. Meyer e Herndon, 1962; v. Chokroverty e altri, 1975; v. Leestma e Noronha, 1976) e nelle degenerazioni sistemiche del fascio piramidale (v. Merritt, 1963). I dati sperimentali dimostrano, al contrario, che anche per l'attività fasica riflessa accade che, quanto più le lesioni appaiono circoscritte al fascio piramidale, tanto più essa diminuisce (iporeflessia) e ritorna più o meno tardivamente alla norma, poiché viene meno l'azione facilitatrice predominante del contingente corticospinale (v. Gilman e Marco, 1971; v. Gilman e altri, 1971). L'effetto opposto, nelle sindromi piramidali umane, è molto probabilmente dovuto a una nuova dimensione funzionale assunta dai contingenti corticoreticolari che esercitano un ruolo inibitore sul riflesso fasico e viaggiano con le fibre corticospinali fino all'altezza della piramide.
Nelle lesioni del fascio piramidale l'aumento dei riflessi propriocettivi, di norma, precede la comparsa dell'ipertonia, quando quest'ultima tarda a instaurarsi. La spiegazione può essere duplice. Da un lato si può supporre che l'ipereccitabilità dei motoneuroni alfa si instauri prima dell'iperattività fusimotoria che condiziona, come è noto, l'insorgenza dell'ipertonia muscolare; dall'altro si può pensare che il controllo sopraspinale del riflesso miotatico tonico e fasico sia legato a meccanismi nervosi diversi. A favore della prima ipotesi stanno le ricerche di Landau e Clare (v., 1964), in base alle quali l'aumento dei riflessi tendinei è addirittura incrementato dal blocco fusimotorio, eseguito secondo la tecnica di Matthews e Rushworth (v., 1957). A favore della seconda ipotesi sta la dimostrazione neurofisiologica dell'esistenza di due tipi di motoneuroni alfa: tonici e fasici (v. Granit e altri, 1956). Secondo Lance e altri (v., 1966) il meccanismo dovrebbe essere diverso, perché, in base alle loro esperienze, non c'è bisogno di postulare l'esistenza di due tipi di motoneuroni alfa tonici e alfa fasici, bensì quella di un controllo sopraspinale diverso sull'attività motoneuronale fasica e tonica (fibre a conduzione lenta e fibre a conduzione rapida: v. Brookhart, 1952; v. Evarts, 1965). Per quanto riguarda i riflessi superficiali, caratterizzati da risposte motorie alla stimolazione cutanea o di mucose, è noto che essi si comportano in maniera esattamente contraria ai riflessi propriocettivi, cioè si indeboliscono o scompaiono nelle lesioni piramidali. Per lungo tempo si è discusso se i riflessi superficiali utilizzassero un corto circuito spinale (Rijmberg, 1937) o un lungo circuito cerebrale (Marie e Foix, 1912; Monrad-Krohn, 1947), addirittura in rapporto a vie afferenti ed efferenti decorrenti nel fascio piramidale (v. Brodal e Walberg, 1952; v. Brodal e Kaada, 1953). Studi elettrofisiologici condotti soprattutto sui riflessi addominali hanno dimostrato che essi devono essere considerati riflessi ‛nocicettivi' nel senso di Sherrington e che l'arco riflesso è polisinaptico ma nettamente metamerico e spinale (Kukelberg e Hagbarth, 1958). Come tutti i riflessi nocicettivi, anche i riflessi addominali vanno considerati come riflessi ‛protettivi', che hanno cioè lo scopo di proteggere i visceri contro stimoli dannosi portati sulla parete addominale. Essi fanno parte di un elaborato meccanismo di difesa (Kukelberg e Hagbarth, 1958) e la loro scomparsa, nelle sindromi piramidali, è provocata da una diminuita eccitabilità dei centri riflessi spinali.
d) Comparsa di riflessi patologici.
Sotto il nome di ‛riflessi patologici' vanno comprese quelle risposte motorie riflesse più o meno complesse che compaiono per compromissione organica o funzionale della via piramidale. Il ‛segno di Babinski' viene spesso presentato come il dato semeiologico più tipico della lesione piramidale esso, come è noto, consiste in un inversione del riflesso piantare, il quale, di norma, si manifesta con una risposta in flessione delle dita del piede.
Nella condizione segnalata per la prima volta da J. Babinski (v., 1896) l'alluce risponde con un'estensione dorsale accompagnata, talora, dall'estensione a ventaglio delle altre dita. Dal punto di vista fisiopatologico l'estensione dorsale dell'alluce costituirebbe una componente del riflesso flessorio degli arti inferiori (v. Marie e Foix, 1915; v. Walshe, 1956; v. Barraquer-Bordas, 1962). In questo riflesso una stimolazione nocicettiva portata sugli arti inferiori o anche più cranialmente determina una triplice retrazione degli arti con flessione dell'anca e del ginocchio e dorsiflessione della caviglia e delle dita incluso l'alluce. Questa solidarietà funzionale fra reazione estensoria dell'alluce e riflesso flessorio di difesa sarebbe mantenuta sia in condizioni fisiologiche particolari - come nella maturazione del sistema nervoso nella prima infanzia (v. Brain e Wilkinson, 1959) - sia in condizioni patologiche (v. Walshe, 1956; v. Brain e Wilkinson, 1959). È differente, però, l'area recettiva di stimolazione, che per la provocazione del segno di Babinski è limitata, in genere, alla parte laterale della pianta del piede o alla gamba, mentre è più ampia per la provocazione del riflesso flessorio, il quale può essere evocato per la stimolazione nocicettiva portata anche sul settore cranico (v. Brain e Wilkinson, 1959).
Dal punto di vista elettrofisiologico, sia gli studi cronassimetrici sia quelli elettromiografici hanno dimostrato che l'essenza del segno di Babinski è costituita da una modificazione dello stato funzionale dell'arco diastaltico polisinaptico midollare che regola la risposta motoria alle stimolazioni nocicettive della pianta del piede (v. Bolsi e Visintini, 1934; v. Landau e Clare, 1959). Nel soggetto normale vi è una bassa soglia di stimolazione per il muscolo flessore dell'alluce e un accenno di movimenti associati dell'estensore breve dell'alluce, del tibiale anteriore, dell'estensore lungo delle dita e dei muscoli della coscia, mentre è assente ogni accenno di contrazione dell'estensore lungo dell'alluce; nel soggetto che presenta il segno di Babinski persiste sempre un accenno di risposta flessoria dell'alluce, ma questa è immediatamente dominata dalla contrazione dell'estensore lungo dell'alluce e del tibiale anteriore.
Il blocco procainico dell'estensore dell'alluce non impedisce la flessione delle dita (v. Landau e Clare, 1959): ciò dimostra che nell'uomo la risposta flessoria e quella estensoria sono ‛varianti' di un comune meccanismo sinaptico. In ambedue i casi la risposta iniziale è del corto flessore dell'alluce, ma quando compare il segno di Babinski vi è un rapido reclutamento dell'estensore lungo dell'alluce e degli altri estensori delle dita.
Secondo Kukelberg e altri (v., 1960) il segno di Babinski si discosta dalla risposta estensoria normale dell'alluce per la ‛variazione' dell'area recettiva di provocazione del riflesso. In condizioni normali esiste una risposta estensoria dell'alluce per stimoli nocicettivi portati sul polpastrello delle dita del piede, mentre la stimolazione della pianta del piede provoca un riflesso in flessione anche dell'alluce. In condizioni patologiche il campo recettivo corrispondente alla risposta estensoria dell'alluce si allarga alla parte laterale della pianta del piede, cioè a una zona da cui normalmente viene evocata una risposta flessoria. Quindi, il segno di Babinski compare quando si inverte il campo recettivo del normale riflesso piantare in flessione in campo recettivo della risposta estensoria.
Per quanto concerne il rapporto esistente fra le lesioni del fascio piramidale e la comparsa del segno di Babinski, malgrado i dubbi sollevati a questo proposito da Lassek (v., 1954), Nathan e Smith (v., 1955) e Brodal (v., 1969), gli argomenti a favore addotti da Walshe (v., 1956) e da Brain e Wilkinson (v., 1959) sono ancora i più validi. Nei primati antropomorfi è indispensabile, per la comparsa del segno di Babinski, che venga asportata fa parte anteriore dell'area 4 (gigantopiramidale: v. Fulton e Keller, 1932), mentre l'ablazione della corteccia premotoria (area 6) determina soltanto la comparsa dell'apertura a ventaglio delle altre dita (fanning reaction: v. Kennard e Fulton, 1933).
Anche nell'uomo la presenza del segno di Babinski è condizionata dalla lesione dei contingenti discendenti dall'area precentrale al midollo spinale. Infatti il segno di Babinski è stato segnalato costantemente nelle ablazioni dell'area 4 che interessano la zona corrispondente alla rappresentazione dell'arto inferiore (v. Walshe, 1935; v. Bucy, 1949), nelle sezioni chirurgiche del fascio piramidale a livello del piede del peduncolo cerebrale (v. Bucy e altri, 1964), nelle emiplegie pure da lesione localizzata nella capsula interna e nella porzione basilare del ponte (v. Fisher e Curry, 1965; v. Englander e altri, 1975) e nelle sindromi piramidali bulbari (v. Brown e Fang, 1961; v. Meyer e Herndon, 1962).
Recentemente, inoltre, altre due segnalazioni si sono aggiunte alle precedenti osservazioni di patologia soprabulbare: il segno di Babinski è stato infatti segnalato in due casi di lesione vascolare localizzata a una delle piramidi bulbari (v. Chokroverty e altri, 1975; v. Leestma e Noronha, 1976). Tali casi dimostrano come il segno di Babinski possa essere correlato anche in patologia umana ai contingenti della via piramidale discendenti fino al midollo spinale. Malgrado ciò, in molti ammalati affetti da paralisi centrale della motilità volontaria il segno di Babinski può far difetto sia nella parte iniziale sia in quella di stato o dei reliquati della malattia. Addirittura, secondo alcuni autori (v. Wartenberg, 1956) sembra non sussistere un rapporto preciso fra gravità della sintomatologia motoria deficitaria e comparsa del segno di Babinski.
Per alcune di queste eventualità una spiegazione soddisfacente può ritenersi quella di Landau e Clare (v., 1959): questi autori hanno dimostrato che in soggetti paraplegici cronici o affetti da forme di degenerazione abiotrofica del neurone motore centrale e periferico (sclerosi laterale amiotrofica) con assenza del segno di Babinski vi è una degenerazione periferica di fibre provenienti dai motoneuroni che innervano l'estensore lungo dell'alluce. Invece, per altre sindromi provocate da una lesione localizzata della via piramidale la spiegazione va ricercata in altre cause, probabilmente di natura odologica, vale a dire fondate sulla più o meno selettiva lesione di un contingente corticospinale che modula il riflesso flessorio cutaneo della pianta del piede e che, se leso, facilita il recupero motorio degli estensori, primo fra tutti l'estensore dell'alluce.
Tre diverse considerazioni inducono a ritenere che si tratti di fibre appartenenti al fascio neocorticospinale, cioè a quel contingente di fibre che stabilisce connessioni dirette con i motoneuroni spinali (corticomotoneuronale diretto). In primo luogo, le fibre del fascio neocorticospinale originano principalmente dal settore posteriore dell'area 4, secondo quanto risulta dai dati fisiologici (v. Woolsey, 1958) e anatomici (v. Kuypers, 1978); inoltre, il segno di Babinski è tipico della lesione corticospinale dei mammiferi superiori (Antropoidi, uomo), in cui si stabiliscono prevalentemente connessioni dirette (fascio neocorticospinale) con i motoneuroni che provvedono all'innervazione dei settori cranici e della muscolatura degli arti. Infine, il segno di Babinski è presente nella prima infanzia, ed è noto che le connessioni definitive del fascio neocorticospinale con i motoneuroni si stabiliscono progressivamente durante lo sviluppo postnatale e non prima (v. Kuypers, 1962). Pertanto il segno di Babinski comparirebbe quando ancora manca o viene alterata la connessione delle fibre neocorticospinali relative all'innervazione distale dell'arto inferiore con i motoneuroni spinali. Questo punto di vista coincide con quello di Brain e Wilkinson (v., 1959), secondo cui la risposta estensoria del riflesso plantare è un segno di incompleto sviluppo o di lesione del fascio piramidale, salvo che il contingente specifico è da ritenersi quello neocorticospinale.
Un'analoga interpretazione è stata proposta da J. Van Gijn (v., 1978), che ha condotto un accurato studio della semeiologia associata o meno al segno di Babinski: secondo questo autore il segno di Babinski sarebbe dovuto a una lesione delle fibre della via piramidale che terminano direttamente sui motoneuroni e, in particolare, a un'alterazione del meccanismo di controllo delle fibre piramidali sui motoneuroni dell'estensore lungo dell'alluce e di inibizione locale del riflesso plantare in flessione. Per quanto riguarda il segno di Babinski nella prima infanzia, esso sarebbe dovuto non tanto all'incompleta mielinizzazione del fascio piramidale (v. Brain e Wilkinson, 1959), quanto al mancato sviluppo della giunzione sinaptica fra motoneuroni e fascio neocorticospinale.
e) Sincinesie.
Fra le attività motorie involontarie che compaiono negli arti paretici per effetto di un diminuito controllo sopraspinale vanno annoverate le cosiddette sincinesie. Marie e Foix (v., 1916) hanno differenziato vari tipi di sincinesie. Si parla di sincinesie di coordinazione quando la contrazione volontaria di certi gruppi muscolari di un arto paretico determina la contrazione associata di altri muscoli sinergici nel movimento: ad esempio, l'emiparetico non è in grado di flettere dorsalmente il piede e le dita, ma se esegue volontariamente la flessione della coscia, atto di cui è normalmente capace automaticamente, si realizza anche una flessione della gamba e la flessione dorsale del piede e delle dita. Nelle sincinesie di coordinazione si tratterebbe della liberazione di un modello di movimento ‛globale', cioè del ritorno a una motilità meno selettiva che caratterizza le prime fasi di sviluppo della motilità infantile e scompare progressivamente con l'instaurarsi del controllo sopraspinale. Affini alle sincinesie da coordinazione vanno considerate le sincinesie da imitazione, le quali consistono, invece, nella comparsa di movimenti del lato paretico simmetrici ai movimenti volontari effettuati dal lato sano, soprattutto se eseguiti con un certo sforzo.
3. Meccanismi di compenso nel recupero motono dopo lesioni piramidali.
Il problema concernente le strutture vicarie della funzione piramidale soppressa può essere posto innanzitutto suddividendo i meccanismi di compenso in due categorie: la prima costituita dalle supplenze funzionali che si realizzano nell'ambito della via piramidale omolaterale (nelle lesioni parziali) o controlaterale (nelle lesioni totali); la seconda rappresentata dalle funzioni vicarie che si effettuano mediante strutture corticali e vie discendenti che si collocano fuori del fascio piramidale. Nell'ambito delle supplenze funzionali che possono realizzarsi nella via piramidale omolaterale è opportuno fare un breve cenno a recenti dati sull'organizzazione segmentale dei tratti corticospinali. Studi condotti sia sul gatto sia sulla scimmia hanno dimostrato che alcuni neuroni corticali hanno proiezioni plurisegmentali e distribuiscono branche collaterali a vari livelli spinali (v. Shinoda e altri, 1976 e 1979); recenti indagini anatomiche (v. Armand e Aurenty, 1977) hanno poi dimostrato che le fibre distribuite a più di un livello spinale hanno origine da una ‛zona comune' al centro dell'area motoria primaria (area 4), mentre altre zone ‛specifiche' della corteccia sensomotoria inviano fibre destinate all'uno o all'altro dei vari segmenti spinali. Inoltre, la stessa zona comune all'origine di fibre destinate a livello sia lombare sia cervicale è anche all'origine di proiezioni bilaterali (v. Armand, 1978); a tale proposito è stato anche dimostrato (ibid.) che solo ristrette zone corticali danno origine a proiezioni corticospinali esclusivamente controlaterali, mentre altre zone corticali più ampie sono all'origine di proiezioni spinali bilaterali.
Le esperienze sui Primati hanno dimostrato che, dopo l'ablazione dell'area motoria, i compensi da parte della via corticospinale omolaterale sono possibili sia nel caso che la lesione abbia risparmiato cellule e fibre appartenenti al settore corticale leso, sia quando sono rimasti indenni altri settori della corteccia motoria. Nel primo caso il compenso è valido anche per i movimenti fini e indipendenti delle dita (v. Glees e Cole, 1962), nel secondo solo per i movimenti meno specializzati. Le due differenti modalità di recupero sono suffragate dal particolare comportamento dei fasci corticospinali: infatti Liu e Chambers (v., 1964) hanno dimostrato che alla base del corno posteriore del midollo spinale e nel segmento intermedio esiste una sovrapposizione di fibre provenienti sia dalla corteccia motoria in cui sono rappresentati i movimenti degli arti anteriori, sia da quella in cui sono rappresentati i movimenti degli arti posteriori (contingenti paleocorticospinali, che presiederebbero ai movimenti meno specializzati); ciò non accade a livello del corno anteriore, ove terminano i contingenti neocorticospinali, che presiederebbero ai movimenti più specializzati. In virtù di questa organizzazione strutturale sarebbe consentito un compenso omolaterale per i movimenti meno specializzati anche da parte di settori corticali corrispondenti ad altre localizzazioni motorie (arto anteriore - arto posteriore e viceversa), mentre non sarebbe possibile un recupero funzionale dei movimenti più specializzati se non rimane integra una parte delle unità neuronali esistenti nella stessa area corticale lesa. I dati di Denny-Brown e Botterell (v., 1948), in base ai quali la ripresa dei fini movimenti delle dita, dopo lesioni parziali dell'area 4, è possibile solo se restano integri gruppi di cellule di Betz, sono favorevoli alle ipotesi suddette. Anche nell'uomo le topectomie corticali hanno portato a risultati simili (v. Horsley, 1909; v. Walshe, 1935; v. Foerster, 1936; v. Putnam, 1940; v. Bucy, 1949).
Le sezioni chirurgiche del fascio piramidale confermano la necessità che resti integro il contingente di fibre precentrali che raggiunge direttamente i motoneuroni (neocorticospinale) perché sia possibile il recupero dei movimenti fini e indipendenti delle dita. Infatti, nelle scimmie tale recupero non avviene dopo piramidotomie complete eseguite sia nell'animale adulto (v. Tower, 1940 e 1949; v. Lawrence e Kuypers, The functional... I, 1968; v. Gilman e Marco, 1971) sia nel primo mese di vita (v. Lawrence e Hopkins, 1976), e dopo la resezione dell'area precentrale (v. Passingham e altri, 1978). Anche nell'uomo, sebbene in casi eccezionali, si è visto qualcosa di simile. Ad esempio, nel caso di peduncolotomia eseguita da Bucy e altri (v., 1964), in cui vi fu un recupero pressoché completo dei movimenti anche più specializzati, la verifica anatomica dimostrò che era rimasto integro il 17% delle fibre corticospinali. D'altra parte, i dati sperimentali presentati da Schwartzman (v., 1978) indicano che deficit gravi e duraturi dei movimenti della mano si verificano solo dopo una distruzione dell'80-100% del tratto piramidale. Invece la sezione completa del fascio piramidale di un lato (laterale crociato e anteriore diretto) nel midollo cervicale, operata da J. Ebin (v., 1949) in pazienti parkinsoniani, non ha mai consentito il ripristino di movimenti indipendenti delle dita. Quanto al compenso corticospinale controlaterale, che si effettua mediante contingenti ipsilaterali, è dimostrato che, nei Primati, il taglio completo unilaterale della via corticospinale alla piramide (v. Tower, 1949; v. Lawrence e Kuypers, The functional... I, 1968) consente un recupero motorio più rapido dei movimenti meno specializzati che non le lesioni bilaterali, ma il deficit dei movimenti indipendenti delle dita permane anche nelle lesioni unilaterali.
È pertanto dubbio che un'efficace funzione di compenso per i movimenti più fini della muscolatura distale si effettui mediante il fascio corticospinale ipsilaterale. Ciò è in accordo con i dati neuroanatomici di Liu e Chambers (v., 1964), in base ai quali la proiezione corticospinale ipsilaterale è diretta soprattutto ai motoneuroni che innervano la muscolatura assiale ed epiassiale e non a quelli che innervano la muscolatura distale. Una simile organizzazione anatomica può spiegare, anche nell'uomo, le maggiori possibilità di ripristino dei movimenti prossimali (soprattutto nell'arto inferiore) nell'emiplegia emisferica e il costante minor interessamento della muscolatura assiale e cefalica. D'altra parte il doppio incrociamento, a livello piramidale e midollare, di fibre corticospinali, dimostrato da Liu e Chambers (ibid.), può giustificare certi recuperi di funzione nell'arto inferiore omolaterale all'emilesione spinale e il fugace interessamento dell'arto controlaterale (v. Negri, 1952).
L'efficacia del compenso esercitato dai contingenti corticospinali ipsilaterali che decorrono nel cordone anterolaterale del midollo spinale (fascio di Déjerine) è infine suggerita dai risultati delle cordotomie cervicali nelle quali, dopo il taglio del fascio piramidale crociato, si osserva un buon ripristino dei movimenti anche complessi quando restano indenni le fibre discendenti ipsilaterali del cordone anterolaterale (v. Putnam e Herz, 1950).
La capacità di supplenza funzionale, da parte dei contingenti corticospinali ipsilaterali, è certamente superiore nell'età infantile. Sono noti a questo proposito i risultati di Kennard (v., 1942) sulle ablazioni delle aree 4 e 6 operate in scimmie di diverse età e dimostranti la differenza di recupero motorio fra gli animali operati in tenera età e quelli operati in età adulta.
Anche nell'uomo i reperti anatomici di ipertrofia compensatoria di una via piramidale, in casi di aplasia congenita o di lesione prenatale della via controlaterale (v. Déjerine, 1901; v. Verhaart, 1950) e dei contingenti corticospinali omolaterali nelle emisferectomie, sono confermati dai risultati chirurgici, spesso clamorosi (v. Ueki, 1966), di certe emisferectomie operate nell'infanzia, in cui il recupero motorio degli arti ha consentito addirittura anche il ripristino di movimenti fortemente specializzati. Quanto alla funzione motoria vicaria esercitata da centri corticali e vie discendenti che si collocano fuori dalla via piramidale, gli esperimenti sui Primati suggeriscono che i centri corticali siano rappresentati nella stessa corteccia motoria precentrale e nelle aree supplementari motorie situate in aree proiettive (premotorie), associative (parietale, temporale, preoccipitale) e limbicorinencefaliche; le vie centrifughe sono costituite da proiezioni prevalentemente omolaterali ai gangli della base, al subtalamo e al tegmento del tronco encefalico, articolate a loro volta con vie tegmentospinali (v. Crosby e altri, 1962 e 1966).
La funzione di supplenza esercitata da contingenti di fibre che prendono origine dalla stessa corteccia precentrale e che non raggiungono la piramide bulbare è dimostrata dal fatto che la diplegia provocata dalla lesione bilaterale delle aree precentrali è parzialmente reversibile, con difetto residuo che investe la muscolatura prossimale e distale degli arti (v. Crosby e altri, 1966); invece la diplegia da taglio della piramide è reversibile con difetto residuo molto più lieve (motilità fine distale: v. Tower, 1949; v. Lawrence e Kuypers, The functional... I, 1968; v. Gilman e Marco, 1971). D'altra parte, l'importanza delle aree supplementari motorie nel ripristino di un certo tipo di motilità volontaria è suffragata a sua volta dai seguenti dati: a) è possibile evocare movimenti mono o bilaterali della muscolatura cefalica e degli arti stimolando le aree motorie supplementari in assenza della corteccia precentrale (v. Crosby e altri, 1962); b) in questi centri vi è una rappresentazione somatotopica di tutti i movimenti corrispondenti alle varie parti del corpo (v. Crosby e altri, 1962 e 1966); c) il deficit motorio bilaterale si aggrava quando all'ablazione dell'area motoria precentrale si aggiunge quella delle aree motorie supplementari.
Come è stato precedentemente accennato nel cap. 1, gli eccitamenti di moto provenienti dall'area primaria (area 4) e dalle aree supplementari motorie fruiscono di una doppia via discendente per raggiungere la sostanza grigia motrice del midollo spinale: quella corticospinale e quella cortico-subcorticospinale. Quando la via corticospinale è interrotta, l'altra può sostituirsi efficacemente, come si osserva negli esperimenti di piramidotomia eseguiti da Lawrence e Kuypers (v., The functional... I, 1968) e come è stato suggerito da Schwartzman (v., 1978), mentre quando ambedue sono interrotte il deficit motorio diviene inemendabile, anche per l'insorgenza di gravi modificazioni del tono muscolare (v. Lawrence e Kyupers, The functional... II, 1968).
In questa funzione di compenso, esercitata mediante circuiti cortico-subcorticospinali, la corteccia cerebrale assume maggiori responsabilità negli encefali filogeneticamente più evoluti, in cui le decorticazioni provocano difetti motori inemendabili e ipertonia marcata; mentre in specie filogeneticamente meno evolute le decorticazioni consentono ancora una ripresa di attività motorie complesse governate da strutture sottocorticali. Infine, nell'ambito dei meccanismi di compenso dopo lesioni della via piramidale, è doveroso segnalare che sono stati osservati fenomeni di rigenerazione di fibre corticospinali, dopo la sezione del midollo spinale, nei mammiferi meno evoluti (v. Feringa e altri, 1977).
4. Le sindromi anatomo-cliniche.
La diagnosi di localizzazione del settore in cui è lesa la via centrale della motilità volontaria può essere formulata valutando il comportamento dei sintomi caratteristici e la presenza di sintomi associati. A tale scopo è opportuno premettere alcuni cenni riassuntivi sull'organizzazione topografica dei vari contingenti che compongono la via piramidale (v. sistema piramidale: Fisiologia del sistema piramidale).
Secondo la concezione classica (v. Déjerine, 1901; v. Foerster, 1936) esiste il seguente ordinamento topografico delle fibre piramidali che discendono dalla corteccia precentrale. Nella capsula interna (ginocchio e 2/3 anteriori del braccio posteriore) si succedono, in direzione rostrocaudale, le fibre provenienti dalle aree corticali corrispondenti alla rappresentazione dei movimenti del settore cranico, degli arti superiori, del tronco e degli arti inferiori; nei 3/5 mediani del piede del peduncolo cerebrale si succedono, in direzione mediolaterale, le fibre corrispondenti al settore cranico, agli arti superiori, al tronco e agli arti inferiori. Le ricerche sperimentali, anatomo-cliniche e neurochirurgiche più recenti hanno in parte modificato questo schema. Nella capsula interna il ginocchio è occupato da fibre provenienti dall'area 8 (non appartenenti al fascio piramidale), mentre più caudalmente si succedono le fibre provenienti dall'area 6 e dall'area 4 (v. Minckler e altri, 1944; v. Levin, 1949): pertanto, le fibre precentrospinali (dall'area 4) sarebbero situate più posteriormente di quanto non sia ammesso dai testi classici. Gli studi di Smith (v., 1960), Hirojama e altri (v., 1962) e Brion e Guiot (v., 1964) confermano che in casi di sclerosi laterale amiotrofica la degenerazione delle fibre provenienti dall'area 4 occupa, nella capsula interna, il terzo quarto posteriore, o più esattamente, la zona deputata, secondo la tradizione, al passaggio delle fibre provenienti solo dall'area corticale corrispondente all'arto inferiore. Inoltre, alcuni studi anatomo-clinici, (v. Englander e altri, 1975; v. Hanaway e Young, 1977), relativi a una lesione vascolare di piccole dimensioni e molto circoscritta nella capsula interna, confermerebbero nell'uomo la localizzazione del fascio piramidale nei 3/4 anteriori del braccio posteriore della capsula interna. Infine E. D. Ross (v., 1980), in seguito a studi condotti mediante dissezione e ricostruzione tridimensionale di sei cervelli umani, conclude che il fascio piramidale entra nella capsula interna nella metà anteriore del braccio posteriore e più caudalmente si sposta progressivamente nella sua metà posteriore. Il complesso di questi dati è in accordo con i risultati delle stimolazioni capsulari stereotassiche eseguite dai neurochirurghi, che con tale tecnica hanno ottenuto risposte motorie da una zona situata più posteriormente che non negli schemi classici.
Anche nel piede del peduncolo cerebrale le fibre precentrospinali (dall'area 4) sono situate nel terzo quarto esterno (v. Brion e Guiot, 1964), mentre quelle provenienti dall'area 6 occupano il secondo quarto interno (v. Minckler e altri, 1944). Nella porzione basilare del ponte le fibre piramidali si dispongono come segue: ventrolaterali quelle corrispondenti ai movimenti degli arti superiori, intermedie quelle corrispondenti ai movimenti degli arti inferiori, dorsomediali quelle relative ai movimenti della faccia (v. Crosby e altri, 1962).
La decussazione, all'altezza del midollo allungato, riguarda il 70-90% delle fibre piramidali, con notevoli variazioni da caso a caso: in circa l'11% dei casi la decussazione è totale, mentre in un altro 10% dei casi la decussazione è totale da un lato e parziale dall'altro (v. Flechsig, 1876). Dalla decussazione hanno origine tre fasci principali corticospinali: 1) un cospicuo tratto corticospinale laterale, crociato; 2) un tratto corticospinale anteriore (in gran parte non crociato); 3) un tratto anterolaterale, di piccole dimensioni, non crociato (v. Carpenter, 1976). Un recente studio sperimentale (v. Armand e Kuypers, 1980) ha dimostrato che, nel gatto, l'area motoria primaria (area 4) dà origine a tutti i contingenti della via piramidale nella loro traiettoria spinale, cioè sia i contingenti crociati sia quelli non crociati, mentre le fibre che originano dalla corteccia somatosensitiva primaria e secondaria sono raccolte solo nella via laterale crociata. Le fibre destinate ai motoneuroni che innervano gli arti superiori si incrociano più cranialmente, quelle destinate ai motoneuroni che innervano gli arti inferiori più caudalmente. Nel midollo spinale il fascio piramidale crociato presenta più lateralmente le fibre destinate alla motilità degli arti inferiori, più medialmente quelle destinate alla motilità degli arti superiori (v. Crosby e altri, 1962; v. anche fig. 2; v. fig. 4).
a) Lesioni corticali.
Quando la lesione è corticale interessa, in genere, solo una parte della corteccia motoria a causa dell'estesa superficie occupata dalla circonvoluzione precentrale e dal lobulo paracentrale. Perciò compare una sintomatologia piramidale deficitaria localizzata a determinate parti dell'emicorpo controlaterale o comunque prevalente in un settore dell'emisoma controlaterale: sono tipiche delle lesioni corticali, quindi, le monoparesi o le monoplegie. Inoltre, è caratteristico della paralisi corticale il prevalente interessamento delle porzioni distali degli arti o del settore facciale, a causa del maggior sviluppo del relativo territorio di rappresentazione corticale motoria (v. Phillips e Porter, 1977). Si osservano, infine, paralisi parcellari di un arto limitate solo a determinati gruppi muscolari, tali da simulare distribuzioni radicolari (paralisi pseudoradicolari): ad esempio, nell'arto superiore si possono osservare paresi centrali di tipo cubitale (muscoli interossei, eminenze tenar e ipotenar), radiale o, più raramente, mediano; nell'arto inferiore il più frequente è il tipo radicolare lombo-sacrale (v. de Aiuriaguerra e Hecaen, 1964, per la letteratura). Data la rara evenienza che una lesione di origine circolatoria o tumorale resti circoscritta all'area 4, i sintomi motori deficitari si associano, di norma, ad altri sintomi propri delle localizzazioni corticali adiacenti.
b) Lesioni capsulari.
Nel corso di forme morbose che si localizzano nella capsula interna, ove le fibre motorie si raggruppano in un breve tratto del braccio posteriore, la via piramidale può essere colpita nella sua totalità: di conseguenza, il deficit motorio interessa tutto l'emisoma controlaterale. Compare quindi un'emiparesi o un'emiplegia facio-brachio-crurale che evolve più o meno precocemente verso la spasticità (emiplegie pure di Fisher e Curry: v., 1965). Non si escludono, per lesioni parcellari della capsula interna, anche monoplegie facciali, brachiali o crurali (v. Déjenne, 1914). Si possono associare anestesie o ipoestesie dell'emisoma controlaterale, emianopsia. omonima laterale, ipercinesie, alterazioni sensitive irritative (iperalgesia, iperpatia) o percettive (agnosie). Questi sintomi compaiono per lesioni associate della radiazione sensitiva somatica o genicolata, dei gangli della base, del talamo.
Un commento a parte merita la cosiddetta emorragia capsulare, la cui sintomatologia è più complessa (insulto apoplettico). Si osserva la perdita improvvisa delle funzioni cerebrali di senso, di moto, di controllo delle funzioni vegetative. Già nella fase di coma si osservano importanti asimmetrie, come espressione dei fenomeni iniziali dell'emiplegia flaccida (deviazione in basso, verso il lato opposto alla lesione emisferica, della rima labiale per paralisi del facciale inferiore, appiattimento della coscia dal lato emiplegico, rotazione del capo e dello sguardo verso il lato della lesione per interessamento dei centri oculo-cefalogiri). Superato il coma apoplettico, nel malato che sopravvive l'emiplegia flaccida iniziale si modifica lentamente per il recupero di parte della motilità volontaria e il ritorno, con accentuazione, della motilità riflessa e del tono muscolare. Compaiono, inoltre, fenomeni nuovi come le sincinesie e taluni riflessi patologici (Babinski ed equivalenti). Queste modificazioni avvengono in un tempo variabile, ma generalmente la fase di stato dell'emiplegia, nella maggioranza dei casi tipici, è instaurata entro tre mesi. A causa della paralisi, che interessa prevalentemente la muscolatura estensoria dell'arto superiore e quella flessoria dell'arto inferiore, e della spasticità, che interessa prevalentemente la muscolatura antagonista, l'atteggiamento degli arti nell'emiplegico è il seguente: nell'arto superiore, flessione dell'avambraccio sul braccio e delle dita, adduzione e rotazione interna dell'omero, pronazione dell'avambraccio; nell'arto inferiore, adduzione della coscia e iperestensione di tutti i segmenti dell'arto. Raramente questa distribuzione è invertita. Con questi recuperi parziali della motilità volontaria diventano possibili la conservazione della stazione eretta e il cammino. Peraltro l'andatura risente, nel recupero motorio, della decisa prevalenza dei movimenti prossimali e del difetto flessorio dell'arto inferiore: l'arto non viene flesso, il piede punta in basso e il cammino diviene falciante.
c) Lesioni del tronco dell'encefalo.
Le lesioni della via piramidale nel tronco dell'encefalo determinano un'emisindrome deficitaria motoria controlaterale associata generalmente a una paralisi alterna periferica (cioè omolaterale alla lesione) di nervi cranici o per interessamento dei loro nuclei d'origine o per lesioni delle fibre efferenti intraassiali (sindromi alterne ventrali). Nelle alterazioni circolatorie, che costituiscono la causa più frequente delle sindromi alterne motorie, la via piramidale viene interessata quando è colpito il territorio irrorato dalle arterie paramediane. Nelle lesioni mesencefaliche, che interessano il piede del peduncolo cerebrale, vengono colpite le fibre del terzo paio dei nervi cranici (oculomotore comune) alla loro emergenza dalla fossa interpeduncolare: pertanto compare una paralisi periferica omolaterale del terzo paio (oftalmoplegia) associata a una sindrome emiplegica o emiparetica controlaterale, facio-brachio-crurale (sindrome di Weber). Nelle lesioni ventrali del terzo caudale del ponte si associa alla paresi o paralisi controlaterale degli arti un deficit omolaterale del sesto (oculomotore esterno) o settimo (facciale) paio di nervi cranici (paralisi del muscolo retto esterno dell'occhio o della muscolatura mimica facciale: sindrome di Millard-Gubler). Invece, per rammollimenti ventrali della porzione media e rostrale del ponte sono state descritte emiplegie pure (v. Fisher e Curry, 1965). Nelle lesioni ventrali del midollo allungato si osserva la sindrome bulbare alterna anteriore (interolivare), descritta per la prima volta da Goukowski (1895) e Giannuli (v., 1897) e caratterizzata da: a) emiplegia brachiocrurale controlaterale per lesione della via piramidale; b) paralisi omolaterale del XII paio di nervi cranici (ipoglosso), con conseguente emiatrofia linguale; c) eventuale emianestesia profonda controlaterale per lesione del lemnisco mediale.
Per lesione localizzata all'incrocio delle piramidi compare emiplegia crociata: in questi casi si realizza una monoplegia omolaterale di un arto e controlaterale dell'altro, poichè alcuni contingenti piramidali sono già incrociati mentre altri devono ancora incrociarsi.
d) Lesioni del midollo spinale.
Le lesioni midollari determinano sempre paralisi o paresi omolaterali al lato della lesione: emiparesi o emiplegie senza interessamento della muscolatura facciale e linguale per localizzazioni cervicali alte, monoparesi o monoplegie crurali per localizzazioni toraciche. È frequente l'associazione, ai sintomi motori deficitari, di anestesia profonda omolaterale per lesione dei fasci di Goll e Burdach omolaterali e anestesia termodolorifica controlaterale per lesione dei contingenti spinotalamici crociati (sindrome di Brown-Séquard).
5. Patologia clinica.
a) Malattie degenerative sistemiche del neurone motore: sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
A J. M. Charcot (v., 1874) dobbiamo la prima documentazione anatomo-clinica della patologia sistemica del sistema motorio, caratterizzata dalla sclerosi simmetrica dei fasci piramidali nel midollo spinale e dalla diffusione del processo degenerativo sia cranialmente lungo il tronco cerebrale fino alle cellule motorie della corteccia cerebrale, sia ai motoneuroni dei nuclei dei nervi cranici e delle corna grigie del midollo spinale. La forma sporadica di SLA, secondo la concezione classica, costituirebbe un esempio di malattia abiotrofica (Gowers) del sistema nervoso centrale dovuta a una debolezza congenita del sistema motorio centrale (via piramidale) e periferico (motoneurone spinale). In realtà, il concetto di abiotrofia, come quello di ‛forma idiopatica', copre una sostanziale ignoranza eziologica. In anni a noi più vicini (v. Kurland, 1963) è stata prospettata l'ipotesi di un difetto biochimico genetico, che troverebbe conferma in modificazioni riscontrate nel derma in più del 50% dei casi di SLA, modificazioni consistenti nell'aumento di polisaccaridi e di elastasi e nella disorganizzazione delle strutture del collageno. Viene formulata anche l'ipotesi di una componente eziologica virale, per quanto non vi sia, per ora, alcuna prova attendibile in proposito. L'esistenza di una forma eredofamiliare di SLA con eredità dominante, seppure limitata a circa il 6% dei pazienti (v. Mulder ed Espinosa, 1968), avvalorerebbe la possibilità di una predisposizione genetica.
Un nuovo e interessante elemento di discussione eziopatogenetica è venuto in luce in seguito alla scoperta di una forma endemica di SLA in un gruppo di isole del Pacifico occidentale, le isole Marianne. Questa forma morbosa, descritta per la prima volta da Arnold e altri (v., 1953) in 50 abitanti dell'isola di Guam, colpisce in maniera pressoché elettiva la popolazione dei Chamorro, indigeni, appunto, dell'isola di Guam. Fra i colpiti dalla malattia si è potuta rilevare una ricorrenza familiare nel 57% dei casi, senza però caratteri di dominanza genetica come nelle rare forme familiari di SLA cosiddette abiotrofiche (v. Mulder ed Espinosa, 1968).
Dal punto di vista patologico la SLA classica, incluse le forme familiari, è caratterizzata da una degenerazione del sistema motorio. Sono colpiti ambedue i neuroni motori, sia quello centrale a livello della corteccia precentrale (cellule di Betz e altre di tipo piramidale), sia quello periferico a livello del midollo allungato e del midollo spinale. Lungo il fascio piramidale le alterazioni assoniche e mieliniche (degenerazione secondaria) sono più gravi a livello del midollo allungato, diminuiscono gradualmente verso l'alto e divengono talora più diffuse oltre la capsula interna. In altri casi le lesioni corticali si estendono oltre l'area 4 (v. Davison, 1949) e quelle del centro ovale e della capsula interna oltre il fascio piramidale (Greenfield, 1963).
Nelle forme endemiche di SLA, oltre alle lesioni degenerative dei neuroni motori già descritte nella forma classica, sono stati osservati (v. Malamud e altri, 1961) altri tipi di alterazioni istopatologiche, in settori indipendenti dalla via motoria, caratteristici di un'altra malattia endemica della stessa popolazione, la sindrome Parkinson-demenza (degenerazione neurofibrillare di Alzheimer, degenerazione granulo-vacuolare, inclusioni eosinofile a struttura cristalloide: v. Hirano e altri, 1968).
Quanto alle caratteristiche cliniche e di decorso della SLA, è noto che la forma classica, anche nella più rara casistica familiare, colpisce individui di età media, con frequenza maggiore fra i 40 e i 60 anni (v. Mulder ed Espinosa, 1968; v. Merritt, 1963). Il sesso maschile è colpito con una frequenza doppia o anche maggiore (a seconda delle varie casistiche) rispetto al sesso femminile, tranne che nelle forme familiari (v. Mulder ed Espinosa, 1968). La durata media della malattia si aggira, nella maggioranza dei casi, intorno ai tre anni. La SLA si distribuisce uniformemente in tutto il mondo, con un'incidenza di circa 4 casi su 100.000 abitanti, per cui appare poco probabile l'influenza di fattori eziologici esogeni importanti (v. Kurtzke, 1968). I sintomi fondamentali sono rappresentati da: a) deficit motorio prevalente nel settore cranico (innervazione bulbare) e nei segmenti distali degli arti; b) iperreflessia propriocettiva con diminuzione dei riflessi superficiali e comparsa tardiva del segno di Babinski; c) ipertonia; d) atrofie muscolari; e) fascicolazioni. L'esordio della malattia è caratterizzato da disturbi motori, atrofie e fascicolazioni a carico del territorio di innervazione bulbare (lingua, palato, laringe, faringe) in un discreto numero di casi (forma bulbare); a carico degli arti superiori in un numero maggiore di casi (forma cervicale o tipica); a carico degli arti inferiori in un minor numero di casi (forma pseudopolinevritica). La debolezza motoria è proporzionata all'atrofia muscolare ma talora precede l'instaurarsi delle atrofie. La comparsa dei sintomi può essere asimmetrica o simmetrica ed evolvere, inizialmente, sotto forma emiparetica e paraparetica. Gli stadi terminali sono caratterizzati da tetraplegia e paralisi bulbare. I disturbi sfinterici si riscontrano tardivamente e solo nel 15-20% dei casi.
Nelle sindromi tipo SLA dell'isola di Guam e delle isole adiacenti della Micronesia l'età di inizio è minore, l'incidenza familiare maggiore (57%), mentre la durata della malattia è più lunga e predominano i sintomi da lesione del motoneurone centrale: paresi spastica, doni, Babinski, scomparsa dei riflessi superficiali (v. Mulder ed Espinosa, 1968).
b) Sclerosi combinate o atrofie primarie eredo-degenerative (eredoatassie).
Questo paragrafo comprende le degenerazioni cordonali eredo-familiari del midollo spinale nelle quali esiste un fattore genetico dominante o recessivo che condiziona il quadro morboso. Si distinguono le seguenti forme cliniche.
1. Paraplegia spastica familiare. Con Strumpell (v., 1880) la malattia viene inclusa nelle degenerazioni cordonali del midollo di natura eredo-familiare. La trasmissione autosomica dominante è la più frequente, mentre più rara è la trasmissione autosomica recessiva ed eccezionale la trasmissione recessiva legata al sesso (v. De Recondo, 1977). L'inizio dei sintomi si ha talora nei primi anni di vita, ma può ritardare fino alla pubertà e oltre. Qualche caso inizia anche in età adulta. La sindrome colpisce con maggior frequenza i maschi. L'andatura è lenta, spastica, con movimento a forbice, data la rotazione interna e l'adduzione della coscia, sulla punta dei piedi atteggiati in equino-varismo. I riflessi propriocettivi aumentano, compaiono doni, riflessi di difesa, segno di Babinski.
2. Eredoatassia spinale (morbo di Friedreich, 1863). La sintomatologia compare nel I-II decennio di vita; vi sono forme abortive e forme conclamate. Sono presenti piede varo-equino congenito, atassia del tronco e degli arti di tipo misto (cerebellare e spinale), assenza dei riflessi propriocettivi e conservazione dei riflessi superficiali, alterazioni obiettive della sensibilità profonda, segno di Babinski, disartria, disturbi vegetativi (acrocianosi). Talora si osservano atrofia ottica e muscolare e nistagmo. Sono presenti anche segni disrafici (cifoscoliosi vertebrale) e cardiaci (cardiomegalia).
3. Fredoatassia spastica (morbo di Saenger-Brown, 1892, e Marie, 1893). È caratterizzata dall'inizio più tardivo dei sintomi (oltre il ventesimo anno), dal carattere ereditario più definito (autosomico dominante), dalla frequenza dell'atrofia ottica e delle paralisi oculomotorie e dall'importanza dei segni di interessamento piramidale (aumento dei riflessi propriocettivi, doni, talora Babinski).
4. Eredoatassia di Biemond (1951). È una forma rara, familiare, caratterizzata da segni di interessamento prevalente dei cordoni posteriori (atassia spinale, iporeflessia propriocettiva, ipotonia).
5. Distasia areflessica ereditaria (forma di Roussy e Levy, 1926). È caratterizzata dalla comparsa nell'età adulta e da sintomi di atassia spinale accompagnati da areflessia propriocettiva e da atrofia neurogena periferica prevalente nel territorio di innervazione dello sciatico popliteo esterno.
Nelle forme atipiche di degenerazione spinocerebellare si trovano associati segni anatomo-clinici appartenenti ad altre forme degenerative periferiche (atrofia neurogena distale tipo Charcot-Marie-Tooth, amiotrofie neurogene motoneuronali) o centrali (atrofia cerebellare, degenerazioni sistemiche extrapiramidali). L'alterazione patologica fondamentale è costituita da un'atrofia cordonale primaria. Le fibre di maggior calibro sono colpite prima delle altre e le lesioni iniziano prima alla periferia che non in prossimità del pirenoforo. Le cellule di origine delle fibre colpite subiscono una degenerazione atrofica senza presentare cromatolisi o altri segni di reazione assonica. Nel midollo spinale la degenerazione del fascio piramidale è massima nelle forme di paraplegia spastica familiare, soprattutto dalla regione toracica verso il tratto più caudale del midollo. I cordoni posteriori e laterali sono i più colpiti nella forma di Friedreich, in specie il fascicolo gracile e il fascio spinocerebellare posteriore, mentre sono atrofiche le cellule della colonna di Clarke. Nelle forme di Saenger-Brown e Marie l'atrofia colpisce in sommo grado i fasci spinocerebellari e piramidali, nelle forme di Biemond (una sola autopsia) i cordoni posteriori.
c) Sindromi piramidali nelle cerebropatie infantili.
Il capitolo delle paraplegie, emiplegie ed emiplegie doppie congenite include le forme morbose in cui la sintomatologia piramidale deriva da una cerebropatia congenita o postnatale che coinvolge, elettivamente e contemporaneamente ad altri sistemi, la via di moto.
Dal punto di vista dell'eziologia si riconoscono cause prenatali, perinatali e postnatali. Le cause prenatali comprendono le anormalità cromosomiche, le infezioni materne (fra le più frequenti la rosolia), l'anossia materna, la RX-terapia, il diabete materno. I quadri patologici più frequenti sono rappresentati dalla porencefalia, dalla pachigiria e dalla microgiria. La porencefalia è caratterizzata da una perdita di sostanza congenita che si estende dalla superficie emisferica al ventricolo laterale e che ha, più di recente, preso il nome più generico di cavitazione emisferica. Secondo Yakovlev e Wadsworth (v., 1946) vi è un difetto di sviluppo della parete emisferica che si organizza in corrispondenza delle scissure primarie e che si configura a mo' di sacca pio-ependimale, per una saldatura secondaria delle pareti. Nella pachigiria si osserva una riduzione di numero delle circonvoluzioni cerebrali fino, nei casi estremi, alla lissencefalia, e un aumento di spessore della sostanza grigia per un arresto di maturazione dello strato mantellare nella sua fase di dislocamento e differenziazione verso lo strato corticale. Nella microgiria, infine, si osserva un aumento della pieghettatura corticale non legato a un reale aumento di numero delle circonvoluzioni cerebrali (circonvoluzioni in miniatura), bensì a un'anormale solcatura dipendente da un disturbo della differenziazione cellulare corticale.
Le cause perinatali sono legate al parto e consistono soprattutto nell'asfissia neonatale e nelle emorragie intracerebrali (v. fig. 5). I quadri patologici più frequenti sono rappresentati dalla ulegiria (sclerosi atrofica corticale), dalla sclerosi e cavitazione del centro ovale (sclerosi centrolobare di Marie-Foix), dalla degenerazione cistica del centro ovale (Benda).
Le cause postnatali comprendono le encefalopatie acute vascolari che intervengono fra il primo mese e il sesto anno di vita, le encefalopatie infiammatorie e le sclerosi diffuse del centro ovale. Nelle encefalopatie vascolari le alterazioni ischemiche ed edematose provocano sclerosi atrofiche postnatali residue (emiatrofie cerebrali) con o senza spongiosi; nelle encefaliti parainfettive e postvacciniche demielinizzanti di tipo perivenoso, talora a evoluzione emorragica e necrosante, residuano reliquati mono e biemisferici circoscritti o diffusi, di tipo sderoatrofico gliale. Le sclerosi diffuse dell'età infantile sono vere e proprie malattie primarie della sostanza bianca (leucodistrofie) legate a un disturbo metabolico congenito.
La sintomatologia delle diplegie congenite è caratterizzata soprattutto da debolezza motoria e spasticità. Quando la forma è lieve si possono osservare soltanto un aumento dei riflessi propriocettivi, la comparsa del segno di Babinski e una lieve contrattura dei muscoli posteriori della gamba, con modesto equino-varismo del piede. Quando la forma è più grave si ha una paraplegia tipo Little, nella quale gli arti inferiori sono i più interessati e l'ipertonia determina varismo e flessione plantare del piede (il paziente cammina sulle dita), estensione del ginocchio, abduzione e rotazione interna della coscia con andatura a forbice (scissor gait). Tutti i segni della serie piramidale sono presenti. Nelle forme più gravi si osservano difetti mentali (oligofrenia) di vario grado, epilessia, movimenti involontari di tipo coreo-atetosico, sintomi cerebellari, fenomeni di incontinenza emotiva (riso e pianto spastico), disartria, disturbi della fonazione, della masticazione e della deglutizione, movimenti lenti e goffi. Nelle emiplegie sono ugualmente colpiti l'arto superiore e quello inferiore, sono presenti tutti i segni della sezione piramidale e c'è decremento di sviluppo degli arti paralizzati che restano ipotrofici. Nelle forme di emiplegia doppia, a differenza delle diplegie spastiche, anche gli arti superiori sono interessati. Tanto nelle forme unilaterali quanto in quelle bilaterali, oltre ai segni piramidali compaiono epilessia, oligofrenia e movimenti involontari, in misura più rilevante che non nelle diplegie congenite.
(L'articolo e la bibliografia sono stati aggiornati con la collaborazione della dott. Marina Bentivoglio).
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