Solare, sistema
(XXXII, p. 39; App. II, ii, p. 856; III, ii, p. 765)
L'esplorazione dallo spazio del sistema solare
Dopo le numerose missioni di esplorazione umana della Luna negli anni Settanta, l'uomo non è più tornato nello spazio se non limitatamente alla sottile fascia tra 300 e 600 km di quota, a bordo degli Shuttle statunitensi o della stazione russa MIR. Purtuttavia, l'esplorazione spaziale è proseguita incessantemente con vari tipi di sonde; a essa si è associata la crescente presa di coscienza dei vantaggi scientifici e metodologici che derivano dal considerare anche la Terra come uno dei nove pianeti del s. s., con il graduale ingresso di geologi, chimici, biologi nella ricerca spaziale a fianco di astronomi e fisici, e la nascita di una disciplina detta planetologia comparata. Non essendo possibile fornire una panoramica di tutta l'attività svolta o in procinto di essere intrapresa, verranno date nel seguito notizie di alcune missioni eseguite a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, con l'intento di privilegiare nell'esposizione il concetto di esplorazione piuttosto che la completezza storica, rimandando alle voci astronomia e spazio, esplorazione dello, in questa Appendice, per informazioni di carattere più astronomico e tecnologico.
Lo spazio extraterrestre consente di osservare tutto lo spettro elettromagnetico, dai raggi γ alla banda radio, superando le limitazioni imposte dalla nostra atmosfera; questa proprietà è sfruttata da qualunque missione spaziale di tipo astronomico, sia in orbita bassa, come con lo Hubble Space Telescope, sia in orbita geostazionaria, per es. con l'International Ultraviolet Explorer, o in orbita fortemente ellittica, come con il satellite astrometrico Hipparcos. Ma in questa voce si approfondiranno gli altri peculiari vantaggi offerti dallo spazio nell'esplorazione del s. s., e che già agli inizi del 21° secolo si potranno applicare anche a quella delle stelle più vicine.
L'osservazione può essere condotta dalle immediate vicinanze del pianeta o cometa o asteroide, e da diversi angoli di vista, con una visione direttamente tridimensionale dell'oggetto. L'osservazione può essere ampliata attraverso altri due canali di informazioni preziose: quello materiale, con la raccolta di gas atomici e molecolari e particelle solide, allo stato neutro o ionizzato, e quello gravitazionale, mediante la precisa misura delle accelerazioni della sonda, che forniscono dati sulla distribuzione di masse sulla struttura interna del corpo celeste. Nel caso in cui la sonda atterri sulla superficie del pianeta o attracchi sul nucleo cometario può depositarvi strumenti per analisi chimico-fisiche o sismologiche in situ. Già sono in corso di realizzazione varie missioni in grado anche di riportare al laboratorio terrestre campioni di materiale planetario, come è avvenuto finora solo per le missioni lunari; queste missioni 'di ritorno' assumeranno sempre maggior importanza con l'avvento della stazione spaziale, che può essere dotata di sofisticati laboratori di analisi che evitino ogni possibile contaminazione dei campioni raccolti al rientro nell'ambiente terrestre.
Questi vantaggi tuttavia possono entrare in conflitto con l'altra connotazione del concetto di esplorazione, che per sua natura indica un'attività il cui esito non è garantito. L'agenzia spaziale statunitense NASA sta facendo grandi passi, in una prospettiva chiamata New Millennium, per accelerare e rendere più economico l'accesso allo spazio, con imprese veloci e affrontabili da piccoli gruppi di ricercatori e tecnici per superare quella che è stata la più forte limitazione scientifica dello spazio, cioè la durata troppo corta delle missioni rispetto all'eccessivo intervallo di tempo tra l'una e l'altra.
Per completare queste considerazioni iniziali citiamo la straordinaria importanza assunta nelle esplorazioni planetarie dall'effetto 'fionda gravitazionale' (v. navigazione: Navigazione spaziale, App. V), che sfrutta la dinamica dei tre corpi (Sole, pianeta, sonda) per impartire a quest'ultima un'energia molto superiore a quella di lancio, e arrivare da Terra a destinazione con un maggior carico utile scientifico, con la sola penalizzazione, in alcuni casi, del più lungo tempo di volo rispetto alla traiettoria diretta. Tale tecnica ha raggiunto ormai un altissimo grado di precisione, con sonde che sorvolano la Terra, Venere, Marte o altri pianeti, a poche centinaia di chilometri di quota per massimo trasferimento di impulso meccanico.
Sole. - Il Sole è stato naturalmente indagato in grande dettaglio da tutta una serie di satelliti. Tra le missioni più recenti di carattere prettamente esplorativo, analizziamo di seguito la missione congiunta ESA-NASA effettuata dalla sonda Ulysses. Lanciata nell'ottobre 1990, la sonda ha sfruttato un fortissimo effetto fionda su Giove, raggiunto nel febbraio 1992, per uscire dal piano dell'eclittica e navigare ove nessun'altra sonda era ancora andata (da qui, appunto, il nome del satellite), cioè verso il Polo sud e poi quello nord del Sole, sorvolati rispettivamente tra giugno e novembre 1994 e giugno e settembre 1996. La massima latitudine eliografica raggiunta è di 80° in entrambi gli emisferi; la minima distanza dal Sole (perielio) è di 1,3 Unità Astronomiche (UA). In tal modo, nella prima fase di crociera Ulysses ha indagato il piano eclittico e l'ambiente gioviano, e poi finalmente ha osservato la struttura tridimensionale del campo magnetico e del vento solare da posizioni uniche, diverse da quelle usuali degli altri satelliti che stanno nelle vicinanze dell'orbita terrestre o del piano eclittico. Il veloce movimento della sonda da un polo all'altro evita che l'attività del Sole cambi troppo tra le due posizioni, con il rischio di confondere l'interpretazione dei dati. Poiché il periodo orbitale di Ulysses, di 6,2 anni, è la metà di quello del ciclo solare, mentre il primo passaggio è avvenuto in fase di minima attività, il successivo copre la fase di massima; nella seconda orbita, l'afelio è stato raggiunto nell'aprile 1998, mentre il secondo passaggio per il Polo sud solare si prevede tra il settembre 2000 e il gennaio 2001, e quello per il Polo nord tra il settembre e il dicembre 2001. L'orbita della sonda è dunque simile a quella di alcune comete della famiglia di Giove, tra cui la celebre Hale-Bopp, per cui alcuni fenomeni manifestati da queste ultime si capiranno meglio a partire dalle caratteristiche dell'ambiente determinate da Ulysses. Una scoperta avvenuta nel 1996, ma la cui importanza è stata compresa soltanto nel 2000, è l'enorme estensione della coda della cometa Hyakutake (oltre 3 UA, cioè molto al di là della coda visibile), attraverso cui la sonda passò registrando variazioni allora inspiegabili del vento solare, che apparve scomparire sostituito da gas non trovati normalmente nel vento solare stesso.
Alcuni dei risultati ottenuti sinora sono assolutamente inaspettati. Consideriamo, per es., il vento solare; esso è composto da nuclei di H (protoni), di He (particelle α) e di altri elementi, da elettroni e da campo magnetico congelato nella materia ionizzata. La sua esistenza fu ipotizzata intorno al 1950 appunto per spiegare il comportamento delle code cometarie, e fu provata sperimentalmente dal Mariner 2 nel viaggio verso Venere nel 1962. Ulysses ha trovato che il vento esce con velocità molto diverse a seconda della latitudine eliografica: su una stretta fascia di latitudini attorno all'equatore il vento si origina dai cosiddetti streamer coronali, e ha velocità con valore medio di circa 400 km/s (seppur con forti oscillazioni); verso i poli, il vento si origina dai cosiddetti buchi coronali polari, e la sua velocità passa in modo brusco a circa 750 km/s al di sopra dei±20°, avendo caratteristiche di grande uniformità, maggior temperatura protonica e maggior flusso di momento meccanico, pur se con minore densità di particelle.
Invece, contrariamente a quanto ci si aspettava, non si è osservata la dipendenza dalla latitudine nella componente radiale del campo magnetico, prevista in aumento in base al modello di campo di dipolo. Inoltre il flusso di raggi cosmici è risultato essenzialmente lo stesso ai poli e all'equatore, di nuovo a differenza di quanto previsto da tale modello di campo magnetico. Molte delle proprietà osservate non dimostrano forte asimmetria N-S. Fa eccezione, per es., il flusso di elettroni di bassa energia, che ha mostrato nel primo passaggio periodici aumenti con periodicità di 25 giorni (la stessa della rotazione equatoriale) verso il Polo sud, ma non verso il Polo nord. Sarà interessante vedere il comportamento di tali caratteristiche nel prossimo passaggio, cioè in fase di massima attività solare.
Come è noto, tutto il s. s. si muove con velocità di circa 25 km/s rispetto al circostante mezzo interstellare (che contiene gas, polvere e raggi cosmici) in direzione della costellazione di Ofiuco (direzione detta apice del moto), e il vento solare si scava in esso una vera e propria 'nicchia', chiamata eliosfera, le cui dimensioni e forma sono al momento ancora oggetto di verifica; la zona di confine, o eliopausa, si ha quando le pressioni, interna ed esterna, si equivalgono. Tale confine, che dalla parte dell'apice solare dovrebbe essere a non più di circa 150 UA, ben più vicino cioè della nube cometaria di Oort, è attraversato senza problemi dalle particelle interstellari elettricamente neutre. Non essendo deflesse dal campo magnetico del vento solare, esse possono arrivare nei pressi del Sole e mischiarsi con la materia interplanetaria. Ma a distanza sufficientemente piccola dal Sole non tutti gli atomi interstellari possono rimanere neutri, sia per scambio di carica elettrica con il vento sia per assorbimento di fotoni solari ultravioletti; essi sono quindi parzialmente ionizzati e immediatamente inglobati e trascinati nel vento solare (sono i cosiddetti ioni di pick-up). I dati sperimentali permettono di separare la componente di origine interstellare da quella solare, e quindi di avere un'idea della composizione chimica rispettiva. In particolare, gli elementi di più alto potenziale di ionizzazione, soprattutto He, ma anche N, O, Ne, Ar, che rimangono neutri nell'ambiente interstellare, sono ionizzati una volta sola, potendo così essere facilmente distinti sul generale sfondo di raggi cosmici che sono invece nuclei totalmente ionizzati; li si chiama pertanto componente anomala dei raggi cosmici. Tali misure di abbondanza rivestono un interesse molto più generale di quanto attiene solamente al Sole o al s. s.; infatti il rapporto isotopico dei nuclei di ³He⁺ rispetto al ⁴He⁺ (che, misurato da Ulysses, risulta essere circa 2 parti su 10.000), così come quello del D rispetto all'H, può dare informazioni sulle prime fasi di vita dell'Universo, ed è correlato al rapporto tra particelle ordinarie (barioni) e fotoni, nonché alla quantità di antimateria rispetto alla materia ordinaria. Le misure di Ulysses relative al mezzo interstellare contribuiranno perciò potentemente a vincolare le condizioni iniziali durante il Big Bang, nonché i mutamenti avvenuti per nucleosintesi nell'interno delle stelle.
La limitazione più forte di Ulysses consiste nel non avere a bordo alcun sistema per immagini. Ma immagini solari sono ottenute da varie altre missioni di carattere più prettamente astronomico, tra cui la missione congiunta ESA-NASA SOHO (Solar and Heliospheric Observatory), lanciata nel 1994 verso la particolare posizione di parcheggio corrispondente al punto lagrangiano L1 del sistema dei tre corpi sonda-Terra-Sole (a circa 1,5 milioni di km dalla parte del Sole), che è stabile per lungo tempo e permette una visione ininterrotta del disco solare per vari anni. Non avendo le interruzioni di visibilità degli osservatori terrestri o spaziali in orbite convenzionali, SOHO fornisce dati di caratteristiche altrimenti non ottenibili. Tra questi vanno citati quelli relativi al campo di velocità, che costituiscono la base osservativa più importante per una vera e propria eliosismologia, mediante la quale è possibile indagare la struttura interna dell'astro. È ben noto che sotto la superficie visibile il Sole ha una fascia in equilibrio convettivo la cui estensione verso l'interno è solo grossolanamente stimabile da considerazioni teoriche: SOHO ne permetterà invece la misurazione diretta. Un'altra caratteristica importante riguarda la capacità di osservazioni coronografiche, realizzabile occultando il brillante disco solare come avviene durante le eclissi. Questa modalità osservativa ha già permesso di registrare la caduta sul Sole di varie comete, fenomeno interessante in sé ma anche ai fini di una migliore stima della quantità di materiale che piove all'epoca presente dalla periferia verso il centro. I dati di Ulysses sono anche utilmente confrontati con quelli di un altro satellite solare di grande successo, il satellite giapponese Yohkoh, che fornisce ottime immagini in raggi X.
Nel futuro si dovrebbe eseguire una missione che faccia penetrare una sonda nell'atmosfera solare. La minima distanza raggiunta a tutt'oggi è essenzialmente quella dell'orbita di Mercurio, mentre è prevedibile che a distanze ancora minori debbano presentarsi fenomeni interessantissimi. Le sfide tecnologiche per arrivare a circa 5 raggi solari sono formidabili, ma non insuperabili anche con l'attuale tecnologia.
Mercurio. - Mercurio non è più stato visitato dopo il Mariner 10 del 1974-75, che riuscì a fotografarlo per circa metà della sua superficie, mostrando un terreno craterizzato come quello lunare. Il cratere maggiore da impatto è chiamato Caloris, e ha un diametro di 1300 km. Ai suoi antipodi si presenta una serie di colline e fratture probabilmente causate dalla focalizzazione di onde sismiche conseguenti all'impatto. Al forte bombardamento della superficie, durato presumibilmente come per la Luna sino a circa 3,8 miliardi di anni fa, si dev'essere accompagnata un'intensa attività vulcanica, con fiumi di lava che hanno riempito il terreno tra i crateri. Mercurio mostra poi una peculiare storia di deformazioni della crosta, con un sistema globale di fratture di compressione, come è osservabile, per es., nella scarpata detta Discovery, che è alta circa 3 km e corre per oltre 500 km. Probabilmente nelle prime fasi di raffreddamento il raggio del pianeta si è ristretto di circa 3 km. Questi stress di compressione riuscirono a chiudere le fratture da cui usciva il magma, per cui, a parte occasionali impatti con meteoriti, la storia geologica attiva di Mercurio si chiuse dopo i primi 800 milioni di anni. Il Mariner 10 misurò anche il vero periodo di rotazione (58,6 giorni, esattamente due terzi di quello di rivoluzione), e dimostrò la presenza di un debole campo magnetico, caratteristica in comune con la Terra; data l'alta densità (5,4 g/cm³) si deve ipotizzare un nucleo centrale di ferro di enormi dimensioni, oltre il 75% del diametro, e fluido nelle sue parti esterne per giustificare il magnetismo. Mercurio ha una tenuissima atmosfera di Na e K, anch'essa con molte somiglianze con quella lunare, e da osservazioni radar sembra mostrare presenza di ghiaccio d'acqua nei crepacci polari più profondi, ove non penetra la luce del Sole.
L'analogia con la Luna non può però essere spinta troppo avanti, dato che vi sono importanti differenze geologiche: i crateri sono meno profondi di quelli lunari di pari diametro a causa del più forte campo gravitazionale mercuriano; mancano i cosiddetti mari lunari, e la riflettività complessiva del terreno (frazione di luce solare riflessa o albedo) è nettamente maggiore. Ma, come si è rilevato all'inizio, metà della superficie del pianeta rimane ancora inesplorata, e una futura missione spaziale potrà mutare molto di quanto qui descritto.
Venere. - Il Pioneer Venus nel 1979 ottenne immagini ultraviolette della spessa coltre di nubi che impedisce di vedere il suolo venusiano. Tali nubi sono fatte di gocce di acido solforico sospese in un'atmosfera essenzialmente di anidride carbonica, e ruotano in verso retrogrado (opposto a quello di rotazione della Terra) in circa 4 giorni, mentre il sottostante suolo solido ruota, sempre in verso retrogrado, in 243 giorni. Della superficie sappiamo oggi molto di più, grazie ai radar delle sonde sovietiche Venera 15 e 16 (1983-84) e, soprattutto, della sonda statunitense Magellan (1990-94), che ha inviato a terra immagini con risoluzioni tra 150 e 300 m di quasi tutta la superficie. Il radar funzionava a lunghezze d'onda di 12 cm; per interpretare correttamente le immagini si tenga presente che un terreno liscio appare al radar molto più scuro di un terreno frammentato con sassi e detriti di dimensioni superiori a quelle della lunghezza d'onda del radar. Magellan ha anche prodotto una mappa gravimetrica ad alta risoluzione di oltre il 95% della superficie venusiana. Tali dati, ottenibili solo dalle immediate vicinanze del pianeta, confermano che il vulcanismo e i movimenti tettonici hanno avuto un grande ruolo nella formazione ed evoluzione della crosta e dell'atmosfera del pianeta. Dalla scarsità di crateri di grandi dimensioni (l'atmosfera è così densa da distruggere tutti gli oggetti incidenti relativamente piccoli prima che arrivino al suolo) si deduce che circa 500 milioni di anni fa la gran parte del suolo venusiano debba essere stata ricoperta da un manto di lava, anche se all'epoca presente non v'è traccia di attività vulcanica in corso. Magellan ha sperimentato con successo anche una nuova tecnica orbitale, il frenamento atmosferico controllato per discendere a bassa quota; inoltre, usando i pannelli solari come pale di un mulino a vento e misurandone la variazione di momento angolare durante la discesa, ha ottenuto dati sulla densità atmosferica. Alla fine della sua vita, Magellan è stato intenzionalmente fatto cadere sul suolo venusiano. Come dimostrato da quattro precedenti esperienze sovietiche, le sonde sono in grado di atterrare sul suolo venusiano e funzionarvi almeno per qualche ora nonostante le difficilissime condizioni ambientali (temperatura di oltre 400 °C, pressione di oltre 90 atmosfere, ambiente acido); pertanto una futura missione potrà ritrovarne i frammenti e verificarne le alterazioni.
Certamente rimane l'affascinante interrogativo del perché un pianeta così simile al nostro per massa, dimensioni, densità e distanza dal Sole abbia invece caratteristiche così dissimili di rotazione diurna, assenza di campo magnetico, assenza di lune, assenza di acqua, assenza di tettonica a zolle. Anche la distribuzione dei vulcani è molto diversa da quella terrestre: Venere è letteralmente coperta da milioni di vulcani che si incontrano un po' dovunque, e da cui partono canali lunghi anche migliaia di chilometri.
Terra e Luna. - L'esplorazione spaziale della Terra è ormai materia di routine quotidiana, non solo in virtù degli Shuttle o della MIR, ma anche grazie alla relativa facilità di inviare strumentazione scientificamente importante con piccoli ed economici razzi o, al limite, con palloni stratosferici. Nella prospettiva di esplorazione planetaria di questa rassegna si possono ricordare almeno alcuni importanti risultati globali. Innanzitutto l'esplorazione della cosiddetta geocoda magnetica compiuta dalla sonda ISEE-3 per gran parte del 1983, tra 60 e 240 raggi terrestri (il progetto congiunto tra ESA e NASA, International Sun-Earth Explorer, è stato di estremo successo; in particolare ISEE-3 è uno dei satelliti dalla dinamica orbitale più complessa mai realizzata, combinando manovre di propulsione interna con altre di 'fionda gravitazionale'). La lunga coda magnetica della Terra è dovuta al vento solare, che trascina il campo magnetico terrestre a grandi distanze, e il satellite per primo ne ha aperto l'esplorazione. Si deve inoltre ricordare l'identificazione mediante immagini dello Shuttle dei grandi crateri da impatto sulla superficie terrestre, quasi irriconoscibili con metodi convenzionali perché troppo grandi e perché in gran parte cancellati dagli agenti tettonici, atmosferici e umani; infine, la dinamica complessiva dei mari e dell'atmosfera, e i loro effetti sul clima globale, studiati da missioni spaziali come la Topex-Poseidon.
La Terra come pianeta ha anche un'altra caratteristica, oltre alla grande estensione di oceani e atmosfera che la rende peculiare in tutto il s. s., cioè la presenza della Luna. Visto dallo spazio (per es. nelle splendide immagini della sonda Galileo), il sistema Terra-Luna visualizza il concetto di pianeta doppio, cui spesso conviene far ricorso per spiegare varie caratteristiche, come per es. la grande stabilità del clima terrestre in conseguenza della regolarissima precessione dell'asse di rotazione. I grandi successi tecnologici e scientifici dei programmi Ranger, Surveyor, Apollo, e dei corrispondenti programmi sovietici, fanno parte ormai della storia dell'esplorazione umana.
Dalla Luna gli astronauti hanno riportato a terra circa 380 kg di rocce, che sono state fondamentali per datare l'età del s. s., nonché frammenti del Surveyor rimasti per 31 mesi nell'ambiente del suolo lunare.
Ma anche recentemente la Luna è stata oggetto di studi locali, dimostrando che ancora molto vi è da esplorare e scoprire. La piccola sonda dell'US Air Force chiamata Clementine (quindi una sonda con finalità principalmente militari e non scientifiche; v. spazio, esplorazione dello: La sonda Clementine, App. V) ha ottenuto nel 1995 una visione completa dei due emisferi, producendo una mappa altimetrica che rivela monti alti sino a 16 km sul suolo circostante, e una dettagliata mappa gravimetrica. Unendo queste informazioni a quelle mineralogiche, è risultata chiara la capacità delle missioni spaziali di ottenere informazioni per programmare e guidare future attività di sfruttamento pratico degli elementi lunari, tra cui per es. il ³He impiantato dal vento solare sulla regolite superficiale (è detto regolite il materiale finemente fratturato, a causa essenzialmente del bombardamento meteoritico, che copre la superficie lunare, e il cui spessore dev'essere di una decina di metri). Clementine ha dato indizi sulla presenza di ghiaccio di acqua in un cratere permanentemente in ombra nel Polo sud lunare; anche se l'evidenza non è del tutto stringente, la semplice possibilità costituisce un ulteriore incentivo a future esplorazioni robotiche o umane del nostro satellite.
Marte e la fascia asteroidale. - Marte, l'ultimo dei pianeti rocciosi prima dei giganti gassosi, è oggetto di una serie di missioni via via più sofisticate, che preparano anche future missioni umane. La strada fu aperta dai Mariner, e proseguita dai Viking 1 e 2, entrambi lanciati nel 1975 e arrivati sul pianeta l'anno successivo. I due Viking erano distinti in moduli orbitali e modulo di atterraggio predisposti per eseguire misure in situ, di tipo sismologico (fu riscontrata un'attività trascurabile), meteorologico (temperatura, velocità del vento, umidità ecc.) e naturalmente chimico-fisico e biologico. L'opinione pubblica è sempre stata molto attenta a questi ultimi dati, anche per la speranza di trovare organismi viventi; in effetti, l'ambiente marziano tende ad autosterilizzarsi, per l'estrema secchezza e natura ossidante del suolo, per le basse temperature (fino a −120 °C) e per l'intensa radiazione ultravioletta di origine solare non schermata dalla tenue atmosfera. A ciò si aggiunga che la forte eccentricità dell'orbita congiura a far variare di oltre il 40% l'irradiazione solare nell'anno marziano. Non bisogna quindi stupirsi dei risultati negativi sulle possibilità di vita ottenuti dai Viking nei due particolari siti di atterraggio. Indubbiamente l'esplorazione andrà estesa ad altre località; sarà necessario riportare a terra campioni di rocce, anche per verificare con prove dirette la suggestiva ipotesi che alcuni meteoriti raccolti in Antartide siano davvero di origine marziana (tali meteoriti dovrebbero essere stati eiettati a causa di impatti di altri meteoriti col suolo marziano circa 10 milioni di anni fa, con una successiva migrazione verso il nostro pianeta); si dovranno eseguire trivellazioni in profondità per sondare la presenza di acqua, e inviare robot verso le calotte polari per esaminare la struttura dei ghiacci. Sono tutte operazioni che rientrano nelle attuali capacità tecnologiche, come dimostrato in concreto dalla missione Pathfinder atterrata sul pianeta nel luglio 1997.
Le conoscenze su Marte subiranno una tale evoluzione nei prossimi anni che è illusorio dare qui una panoramica delle esplorazioni: ci limiteremo a riassumere alcuni elementi ormai assodati. L'atmosfera è costituita essenzialmente di diossido di carbonio (ma contiene anche azoto in quantità superiore al previsto), che ghiaccia per formare un'immensa calotta polare, e sublima d'estate, alternativamente nei due emisferi. Almeno nel Polo nord, il ghiaccio residuo che permane nel periodo estivo è certamente di acqua. In conseguenza di questa fase ghiacciata, varia la pressione atmosferica, tra circa 6 (inverno) e circa 10 (estate) millibar. L'acqua, che dev'essere stata abbondante sulla superficie nelle ere passate, e la cui presenza si manifesta anche in rivi e canyon, può essere intrappolata nel sottosuolo (permafrost). I venti possono soffiare a velocità alta, ma non così alta come previsto; la massima osservata è stata di circa 120 km/h. La missione Pathfinder ha dato infatti chiare indicazioni che l'acqua è stata in passato l'agente dominante nel formare le strutture superficiali, mentre ora questa azione è svolta principalmente dal vento. Facendo inoltre riferimento alla posizione del modulo di atterraggio mentre Marte ruota intorno al proprio asse, è possibile calcolare le oscillazioni del pianeta e risalire così alle sue caratteristiche interne. L'elaborazione di questi dati fornirà informazioni più precise sulla massa e densità di Marte, e dirà se il nucleo è attualmente solido o liquido. La sonda successiva al Pathfinder, cioè il Global Surveyor, in orbita dal settembre 1997, ha permesso di misurare per la prima volta l'esistenza di un debole campo magnetico localizzato in varie aree della crosta, ma non generato nel nucleo. Mentre Terra, Giove e Saturno hanno campi dipolari e una grande magnetosfera, e Venere ha una forte ionosfera, i piccoli campi marziani, localizzati in alcuni lineamenti topografici e rotanti con la rotazione diurna, devono causare interazioni con il vento solare molto più complicate e ancora tutte da capire. Marte è accompagnato anche da due piccole lune, Phobos e Deimos, la cui densità (misurata dalle perturbazioni indotte sulla navigazione delle sonde) è risultata essere di appena 2 g/cm³, rafforzando la convinzione che si tratti di due asteroidi catturati gravitazionalmente. Su un piano più generale, è utile ricordare che sfruttando i segnali radio tra i Mariner e la Terra in fase di congiunzione con il Sole si è potuto misurare il ritardo previsto dalla teoria della relatività generale con la precisione dello 0,1%, circa 20 volte migliore di altri test precedenti.
La fascia degli asteroidi (il primo oggetto di tale numerosissima popolazione fu scoperto da G. Piazzi a Palermo, il capodanno del 1801, e chiamato Cerere) è ormai stata attraversata da un buon numero di sonde dirette verso lo spazio esterno. La sonda Galileo tra il 1991 e il 1993 ha ottenuto le prime immagini ad alta risoluzione di due oggetti, Gaspra e Ida, di cui il secondo si è anche rivelato accompagnato da un piccolo satellite (chiamato poi Dactyl, dal nome della creatura mitologica che sarebbe vissuta sul monte Ida; la possibilità che due o più asteroidi ruotino attorno al comune centro di massa era stata già ipotizzata negli anni Sessanta). Nel giugno 1997 è stata individuata un'altra coppia asteroidale, con la scoperta di un compagno di 3671 Dioniso avvenuta studiando la curva di luce con il telescopio da 60 cm dell'ESO. Recentemente la sonda NEAR ha potuto ottenere immagini dirette di un terzo asteroide, di dimensioni simili a Ida (circa 50 km), chiamato 253 Mathilde. Mentre Ida e Gaspra sono di tipo morfologico S, cioè con rocce silicatiche, Mathilde è di tipo C, essendo composto di materiale ricco di carbonio, molto scuro e di età precedente a quella delle rocce terrestri. L'eccellente risoluzione delle immagini, che evidenziano corpi di forma irregolare con crateri su tutte le scale dimensionali, rivela chiaramente l'importanza evolutiva degli impatti nelle prime fasi di vita di tutto il s. s.; mappe in particolari colori, analoghe a quelle lunari, danno anche la possibilità di un'indagine mineralogica. NEAR ha proseguito il viaggio verso un altro asteroide, 433 Eros, di particolare importanza storica perché le misurazioni della sua parallasse effettuate nell'ultimo secolo permisero migliori determinazioni del valore dell'UA. Si sa oggi, molto meglio rispetto a un decennio fa, che vi è una numerosa popolazione di asteroidi la cui orbita li porta in prossimità della Terra; essi vengono comunemente detti Near Earth Asteroids (NEA); più precisamente, sono detti di tipo Athen gli asteroidi con orbita interna a quella terrestre; di tipo Apollo gli asteroidi con orbita intersecante quella terrestre; di tipo Amor gli asteroidi con orbita intermedia tra quella della Terra e quella di Marte. I NEA potranno quindi essere usati come fonte di minerali, e anche come veicolo di trasporto sia verso l'interno sia verso l'esterno dell'orbita terrestre. Naturalmente vi può essere una seppur piccola possibilità di collisione di un NEA con la Terra, per cui la scoperta e la sorveglianza di tali oggetti è di concreto interesse anche al di fuori dell'ambiente astronomico, e potrà essere più efficacemente condotta da piccoli telescopi spaziali destinati allo scopo. A questo proposito, si ricorda l'esplosione avvenuta a Tunguska, in Siberia, il 30 giugno 1908: un oggetto di origine extraterrestre, probabilmente un piccolo asteroide, esplose a una quota tra 5 e 10 km rilasciando un'energia pari a circa 15 megaton e devastando circa 2000 km² di foresta. Tra i molti studi compiuti su questo evento catastrofico va citata la spedizione dell'università di Bologna (S. Cecchini, M. Galli, G. Longo, R. Serra) nel luglio 1991, che riuscì a recuperare particelle del corpo astrale inglobate nella resina degli alberi.
I pianeti giganti gassosi. - I quattro pianeti gassosi esterni (Giove, Saturno, Urano, Nettuno), composti essenzialmente di H ed He, non hanno una superficie solida. Al loro centro vi dev'essere un nucleo di ghiacci e rocce in fase liquida; con i loro sistemi di lune e di anelli si sono formati ed evoluti in una regione molto più fredda e buia dei pianeti rocciosi interni, ma hanno un'importante sorgente di calore interno che fa loro irraggiare più calore di quanto ne ricevano dal Sole. I composti di zolfo e ammoniaca danno all'atmosfera di Giove le tipiche tinte giallo-arancio, su cui spiccano bianche nubi e vortici rossastri; Saturno presenta minor colorazione intrinseca, riflettendo di più il giallo pallido del Sole, ma in compenso è circondato da una splendida serie di anelli; il metano presente nelle atmosfere di Urano e Nettuno dà loro una tipica colorazione bluastra. Dopo i Pioneer 10 e 11 nei primi anni Settanta, essi furono oggetto di esplorazione negli anni Ottanta da parte dei due Voyager NASA, che chiameremo nel seguito V1 e V2.
È difficile riscontrare nella storia dell'umanità un'altra esplorazione che abbia avuto altrettanto successo di quelle dei Voyager, per la straordinaria durata della vita scientifica, per la qualità dei dati, per il significato profondo di esplorazione da essi conseguito e su cui ritorneremo anche più avanti. La missione fu pianificata per avvantaggiarsi di un allineamento geometrico dei quattro pianeti che dura circa 3 anni, ma che avviene solo ogni 176 anni; i primi anni Ottanta cadevano appunto in una di quelle rare occasioni. Entrambi i Voyager ebbero incontri ravvicinati con Giove e Saturno, ma solo V2 (partito in realtà qualche settimana prima di V1, nell'agosto 1977, a bordo di un razzo Titan/Centaur da Cape Kennedy) continuò il suo viaggio verso Urano e Nettuno. V1 fu avviato in un'orbita che gli permettesse di avere incontri non solo con i due pianeti maggiori ma anche con le rispettive lune. Vengono qui esposte brevemente le principali scoperte dei Voyager sui quattro pianeti.
Giove presenta un sottile sistema di anelli di polvere dinamicamente guidati da quattro lune interne a Io (di cui tre scoperte dai Voyager, che hanno portato a 16 il numero totale); aurore ultraviolette polari; circolazione atmosferica con cicloni e anticicloni; vulcanesimo di Io da almeno otto vulcani attivi e peculiare interazione con il campo magnetico e il toro di plasma gioviano in cui la luna è immersa; intensa corrente elettrica (oltre 10⁶ A) tra Giove e Io; crosta ghiacciata di Europa e possibile oceano liquido sottostante; processi tettonici globali su Ganimede (la luna più grande del s. s., del cui diametro si ha una misura precisa); craterizzazione intensa della superficie di Callisto, che ha un enorme bacino da impatto; estensione della magnetosfera di Giove oltre Saturno (a parte la coda di H di qualche cometa come la Hale-Bopp, che però ha vita limitata, la magnetosfera di Giove è l'entità più estesa del s. s.).
Saturno mostra un rapporto He/H minore di 1/3 rispetto a quello solare e inferiore alla metà di quello di Giove; presumibile individuazione della sorgente di calore interno (il pianeta irraggia l'80% in più di quanto riceve dal Sole) nella precipitazione verso il basso di He e conseguente rilascio di energia gravitazionale; corrente a getto equatoriale a velocità di circa 2000 km/h; sistemi di uragani nell'alta atmosfera; risoluzione delle particelle degli anelli, con dimensioni da piccoli grani sino alle decine di metri; esilissimo spessore degli anelli, non molto maggiore di quello delle particelle più grandi; piccole lune entro gli anelli a guidarne la dinamica (il numero totale di lune saturniane conosciute grazie ai Voyager è 18, ma almeno un'altra luna interna è stata individuata da HST, Hubble Space Telescope, durante il particolare fenomeno di allineamento degli anelli sul piano eclitticale avvenuto nel 1995); campo magnetico globale circa il 5% di quello gioviano ma con asse quasi perfettamente allineato con quello di rotazione meccanica; periodo di rotazione di 10 h 39 min determinato dalle sporadiche e forti emissioni a radiofrequenza (i cosiddetti burst); fotochimica di Titano, luna di dimensioni appena inferiori a quelle di Ganimede e nella cui spessa e fredda atmosfera possono avvenire reazioni che convertono il metano in altre molecole organiche, con una qualche somiglianza con quanto avvenne nella primitiva atmosfera terrestre; estrema attività tettonica su Encelado; enorme cratere di impatto su Mimas.
Urano è caratterizzato dalla nota difficoltà di studiare il pianeta dai pressi della Terra, dato che l'asse di rotazione giace praticamente nel piano dell'orbita. Questa peculiarissima disposizione può essere dovuta a un impatto in epoche passate con un corpo di massa circa terrestre. Prima dell'arrivo di V2, tra il 1985 e il 1986, si conosceva un sistema di nove anelli e cinque lune equatoriali; V2 ha scoperto altre dieci lune (e altre tre sono state scoperte dalla Terra tra il 1997 e il 1999), alcune delle quali aventi la funzione di guida dinamica degli anelli, il cui numero è stato portato a 11 e di cui si è accertata la diversa natura rispetto a quelli di Giove e Saturno. La circolazione atmosferica è assai diversa da quanto ci si attendeva: per es., la temperatura delle nubi alte è pressoché uniforme e non più calda al polo illuminato dal Sole. Il campo magnetico ha una configurazione molto particolare: non solo il dipolo è inclinato di ben 59° rispetto all'asse di rotazione, ma il suo centro è distante dal centro di massa del pianeta di circa il 30% del raggio. La geologia della piccola luna Miranda è straordinariamente tormentata ed è stata accertata la presenza di acqua in tutte le lune.
Nettuno è stato raggiunto nell'agosto 1989, quando era il pianeta più distante dal Sole (Plutone ha un'orbita molto ellittica, per cui dal 1999 è ritornato a essere il pianeta più esterno). Se ne conosceva così poco che ogni dato trasmesso da V2 rappresentò una scoperta. Ci si aspettava che un pianeta così freddo avesse un'atmosfera praticamente immobile, mentre è risultato il contrario: i venti misurati da V2 spirano verso O in verso contrario a quello di rotazione, e sono i più veloci di tutti, oltre 2000 km/h, pur se in regime poco turbolento. Su questa circolazione si possono innestare grandi vortici: come Giove presenta una grande macchia rossa che dura da secoli, così Nettuno mostra una grande macchia scura di diametro pari a circa due volte quello terrestre; si osservano poi nubi più alte e biancastre con peculiare circolazione. Come per Urano, il campo magnetico è molto inclinato sull'asse di rotazione (47°) e ancor più spostato dal centro verso circa la metà del raggio. Alcune teorie fanno risalire queste peculiarità magnetiche di Urano e Nettuno a una particolare fase elettricamente conduttrice dell'acqua alla pressione che si incontra nelle zone intermedie tra superficie e nucleo centrale. V2 ha trovato anche un sistema di anelli polverosi e rocciosi complicato e difficile da capire, nonché sei piccole e oscure lune che si sono aggiunte alle due già note mediante osservazioni terrestri. Di queste la maggiore, Tritone, in orbita retrograda opposta alla rotazione del pianeta, dotata di una sottile atmosfera di H e metano in cui si verificano aurore ultraviolette (come capita solo su Titano), e di un suolo di ghiaccio di acqua, si è rivelata anche il corpo più freddo sino allora misurato, circa −200 °C, e tuttavia con geyser eruttivi di idrocarburi capaci di alzarsi sino a vari chilometri.
Si descriverà nel seguito quanto è stato scoperto dopo il passaggio dei due Voyager in prossimità di Giove e Saturno.
Per quanto attiene a Giove, è difficile dare adeguato risalto agli eccezionali risultati della sonda Galileo, costruita e gestita dalla NASA ma con un efficace supporto di vari istituti europei. Poiché la missione è ancora in corso, e molti risultati emergono ora, si possono dare solo schematici cenni. La missione condotta dalla Galileo si è rivelata appunto un'esplorazione: del comportamento umano richiesto per superare una serie di difficoltà gravissime, della resistenza dei materiali in condizioni ambientali estreme e, ovviamente, di Giove, del suo ambiente e delle sue lune.
Parliamo innanzitutto delle difficoltà, tecniche ma anche politiche (per es. per la presenza a bordo di generatori di energia al plutonio), che richiesero un'enorme forza di volontà per proseguire a tutti i costi nell'impresa. Dopo il lancio, avvenuto nel 1989 per mezzo di uno Shuttle, si riscontrò che l'antenna ad alto guadagno non si era aperta correttamente, per cui tutti i preziosi dati scientifici avrebbero dovuto essere trasmessi dall'antenna a basso guadagno, con una perdita di efficienza di circa 10.000 volte. Furono sviluppati pertanto opportuni algoritmi, di grande eleganza teorica, capaci di comprimere a bordo l'informazione pur senza perdere in precisione, e procedure a terra per captare i debolissimi segnali mediante più antenne operanti in parallelo e in grado di ripristinare l'informazione compattata. Con tali metodologie si riuscì a riportare l'efficienza a valori accettabili, recuperandola per circa un fattore 100. L'unica limitazione nell'impresa è dovuta al ritardo con cui le immagini arrivano (anche alcuni mesi dopo essere state ottenute), ma la qualità è comunque eccellente. Quanto è stato prodotto nel campo della compressione del segnale e dell'analisi di immagini e dati rimarrà dunque come uno dei lasciti più importanti della missione stessa.
Per quanto riguarda la resistenza dei materiali, la Galileo ha trasportato una sonda, detta probe, che, rilasciata nel luglio 1995, è piombata il successivo 7 dicembre entro l'atmosfera gioviana a velocità di oltre 170.000 km/h, la maggiore mai raggiunta da una macchina umana. L'apertura di uno speciale paracadute e la protezione di uno scudo termico sulle pareti entranti hanno permesso alla sonda di funzionare per oltre 57 minuti, trasmettendo una quantità di dati utilissimi e sorprendenti. Tra questi possiamo citare la mancanza di umidità nella località di entrata, del tutto imprevista. Dopo una lunga analisi, con l'aiuto anche dei dati degli altri strumenti a bordo, gli esperti hanno concluso che non è tutto Giove che manca di acqua, ma che la meteorologia è molto più complicata dei modelli teorici correnti. Esistono dunque nell'atmosfera del pianeta zone essenzialmente aride come deserti terrestri, e altre in cui invece il vapor d'acqua è molto abbondante, in condizioni di saturazione e quindi con la produzione di vere e proprie gocce di pioggia, e in cui si possono generare fulmini (già scoperti da V1 e osservati anche dalla sonda della Galileo). Il clima gioviano assomiglia per certi versi a quello terrestre, ma Giove non ha una superficie solida, e la sorgente di calore che governa il clima proviene dal profondo interno di Giove (il pianeta emette circa il 67% di calore in più di quanto ne riceve dal Sole), a differenza della Terra, che riceve il calore dal Sole. Il processo atmosferico principale è quello di una colonna di 'aria gioviana' (un miscuglio di H ed He) calda in moto ascendente, che si raffredda man mano che si espande, sino a condensarsi in nubi (fatte di gocce d'acqua in basso e cristalli di ghiaccio in alto) e pioggia e neve, e più in alto ancora in solfito di idrogeno e ammoniaca a temperatura di −130 °C. La circolazione atmosferica globale avviene su scale di oltre 500.000 km all'equatore, con venti che soffiano verso E sino a latitudini intermedie e verso O a latitudini maggiori. Un'osservazione interessante riguarda la composizione chimica dell'atmosfera (oltre a H ed He, che però sono nettamente meno abbondanti rispetto al Sole, vi sono tracce di elementi quali C, N, P, S, combinati anche in molecole semplici quali vapor acqueo, ammoniaca, metano e vari idrocarburi), che è molto simile a quella delle comete. Potrebbe pertanto darsi che la composizione originaria dell'atmosfera gioviana sia stata gradualmente modificata dal bombardamento cometario (di cui la Shoemaker-Levy nel 1994 ha fornito un concreto esempio); tuttavia l'assenza di una superficie solida impedirebbe alle molecole più complesse, che sono presenti nel materiale cometario, di mantenersi stabilmente.
L'esplorazione di Giove e del suo ambiente è grandemente facilitata dalle tecnologie successive a quelle impiegate dai Voyager. In particolare, per quanto riguarda le immagini, l'utilizzo di rivelatori a stato solido di tipo CCD (Charge Coupled Device) consente migliorie in molti aspetti, dall'intervallo spettrale accessibile, alla linearità e contrasto, alla dinamica del rivelatore. Pertanto si possono scorgere dettagli morfologici nuovi, per es. sulle quattro lune medicee. Tra queste ha assunto una grande importanza Europa, con il possibile oceano di acqua liquida e calda sotto la crosta superficiale; inoltre, è ulteriormente migliorata la conoscenza dell'attività vulcanica di Io. Possiamo ben dire che con le missioni su Marte e su Europa di fine secolo è concretamente iniziata la nuova disciplina dell'esobiologia.
Per quanto riguarda Saturno e Titano, si deve rimanere in attesa dei risultati della missione ESA/NASA Cassini-Huygens, partita il 15 ottobre 1997. L'Agenzia spaziale italiana (ASI) ha fornito l'antenna ad alto guadagno della sonda, mentre il modulo Huygens è interamente di costruzione europea. L'arrivo in prossimità di Saturno è previsto per il 2004 e la durata nominale della missione è di 4 anni, durante i quali verranno eseguite dettagliate osservazioni dell'atmosfera del pianeta, della sua magnetosfera, degli anelli e dei suoi satelliti ghiacciati. Mentre la Cassini vera e propria orbiterà nel sistema di Saturno, Huygens effettuerà un atterraggio morbido sul suolo (non necessariamente solido, potrebbe essere anche un oceano di metano liquido) del maggiore dei satelliti, Titano. A questa esplorazione è dato particolare risalto per la presenza su Titano di un'atmosfera di azoto, metano, idrogeno e forse argon, che assomiglia fortemente all'atmosfera prebiotica terrestre. La fotolisi del metano a opera della radiazione ultravioletta e dei raggi cosmici innesca una serie di complesse reazioni chimiche, creando un ambiente in continua evoluzione che sarà interessantissimo studiare per verificarne le possibili analogie con i processi di formazione di composti organici che iniziarono sulla Terra 4,5 miliardi di anni fa. La Cassini avrà anche un'importante funzione storica, essendo l'ultima, almeno per il prevedibile futuro, delle grandi missioni planetarie NASA.
Recentissime osservazioni del telescopio spaziale Hubble hanno intanto fornito chiare indicazioni di presenza di ossigeno e ozono su due satelliti di Saturno, Rea e Dione. Il bombardamento della superficie ghiacciata da parte dei raggi cosmici e del vento solare provoca la dissociazione dell'acqua con liberazione di idrogeno e ossigeno. L'idrogeno, più leggero, si disperde nello spazio, mentre gli atomi di ossigeno si ricombinano in ozono e ossigeno molecolare. Questi dati, uniti alle precedenti scoperte di una tenuissima atmosfera di ossigeno sui satelliti gioviani Europa e Ganimede, sembrerebbero indicare che la produzione di questi gas in presenza di ghiaccio potrebbe essere un fenomeno molto diffuso nel sistema solare.
Plutone, con la luna Caronte, rimane l'ultimo dei pianeti non ancora visitato da una missione terrestre, e pertanto si può solo auspicare in questa sede che si trovino le risorse necessarie per una sua prossima esplorazione. Purtroppo il ritardo rispetto ai piani formulati nel decennio scorso ha notevoli implicazioni scientifiche, dato che il pianeta si sta allontanando dal Sole e presumibilmente raffreddando. Anche con il miglior ottimismo, la prima data di arrivo di una piccola e veloce sonda sarà attorno al 2010. Parimenti da esplorare saranno i grandi asteroidi transnettuniani scoperti negli anni Novanta e la cui massa complessiva deve superare 1/10 di quella terrestre; la loro morfologia e composizione chimica sarà di fondamentale importanza per capire le fasi iniziali del s. s. esterno.
Va ora esaminata un'altra classe di corpi celesti oggetto di grandi scoperte grazie a osservazioni in situ, cioè le comete. Tra queste, riveste una fondamentale importanza storica la cometa di Halley, raggiunta tra il 1985 e il 1986, in occasione del suo più recente passaggio al perielio, da sei sonde artificiali: due giapponesi, due sovietiche, una americana e la europea Giotto. Quest'ultima, in particolare, è stata capace di penetrare all'interno della chioma sino a una distanza di appena 600 km dal nucleo e di inviare a terra immagini di grande interesse scientifico (interesse destato a loro volta anche nel pubblico). Per la prima volta si è ottenuta l'immagine diretta ad alta risoluzione di un nucleo cometario, che si è dimostrato corpo di circa 16×8×8 km³, con vari crateri e crepacci da cui uscivano fiotti di vapor acqueo e polvere. La Giotto ha fatto ben più che fornire le immagini, ha misurato flussi di particelle, campi elettrici e magnetici, composizione chimica ecc. della Halley, prima di essere successivamente diretta verso un'altra cometa, la Grigg-Skjellerup, nel 1990.
Nel 1996, le osservazioni della cometa Hyakutake da parte del satellite tedesco ROSAT hanno portato alla scoperta di un'intensa e inattesa emissione di raggi X dalla chioma, con il massimo dal lato rivolto verso il Sole. Era la prima volta che un tale fenomeno veniva individuato in una cometa, ma successivamente è risultato un effetto abbastanza comune. Una possibile ipotesi sulle cause di questo fenomeno consiste nell'ammettere che esso derivi dalla violenta collisione fra il materiale cometario e il vento solare, con forte ionizzazione degli atomi e delle molecole che formano i gas della chioma e successiva emissione di fotoni ad alta energia dalla ricombinazione degli elettroni. Questa produzione di raggi X è un importante strumento per controllare l'attività cometaria alle varie distanze dal Sole e per darci nuove indicazioni sulla composizione e intensità del vento solare.
Un'osservazione compiuta dal satellite denominato Polar getta ulteriore luce sulla possibile influenza delle comete nel processo di deposizione dell'acqua sulla Terra e quindi nello sviluppo della vita. Attraverso un anno di immagini della Terra ottenute tra il 1996 e il 1997, Polar ha evidenziato una classe di oggetti celesti simili a piccolissimi nuclei cometari (dimensioni intorno alla decina di metri), composti essenzialmente di ghiaccio d'acqua, che si disintegrano a quote molto alte (circa 10.000 km) e il cui numero è così elevato da fornire una sorgente importante, e sinora sconosciuta, di acqua.
Le informazioni sulla natura del materiale cometario sono particolarmente significative in quanto esso non ha praticamente subito alterazioni da quando si è condensato dalla nebulosa protosolare. Si tratta quindi di un serbatoio unico di dati preziosi sui processi di formazione dei planetesimi prima e dei corpi planetari poi. In quest'ottica è stata progettata la missione europea Rosetta, uno dei punti chiave del programma a lungo termine dell'ESA Horizon 2000, cui collabora anche la NASA. La missione prevede il lancio nel gennaio 2003, un rendez-vous con la cometa Wirtanen nel 2011, con analisi in situ del materiale del nucleo e della chioma, e due incontri ravvicinati con asteroidi. Rosetta studierà i gas e le polveri in grande dettaglio per un periodo di circa due anni, nelle condizioni ottimali di bassa temperatura e di microgravità che dovrebbero garantire il minimo disturbo alle condizioni originarie. Sarà anche possibile osservare da vicino i meccanismi di sviluppo dell'attività cometaria.
Consideriamo infine l'esplorazione in corso del s. s. esterno, al di là dell'ultimo pianeta conosciuto, in cui si stanno muovendo le sonde Pioneer e Voyager: va quindi sottolineato che l'uomo con le sue macchine è oggi al di là dell'ultimo pianeta. Dopo l'incontro con Saturno, il Voyager 1 è stato deflesso fuori dal piano eclittico con un angolo di 35,5° verso N, nella generica direzione dell'apice del moto solare rispetto al materiale interstellare. Nell'anno 2000 si trova a circa 75 UA dalla Terra e a latitudine eclitticale di +35°, che manterrà costante fino al 2020, anno in cui nominalmente terminerà la missione, viaggiando a una velocità di circa 3,6 UA/anno. Il Voyager 2 è stato invece deflesso da Nettuno in direzione di circa 48° a sud dell'eclittica, e a circa 90° dal Voyager 1. Si trova nel 2000 a 60 UA dal Sole a latitudine di circa −20°, discendendo continuamente verso i −35° previsti nel 2020, e viaggiando a 3,1 UA/anno. Da queste posizioni uniche, le sonde stanno compiendo misure importantissime; per es. hanno determinato con ottima precisione l'inizio del minimo di attività del Sole nella seconda metà del 1996, e hanno scoperto una variabilità del vento solare con periodo di 1,3 anni e che si mantiene, per qualche motivo ancora non compreso, evidente sino a così grande distanza dall'astro. Prima del termine della loro vita attiva, le due sonde dovrebbero incontrare le due maggiori discontinuità previste nel vento solare dalla parte verso cui si stanno muovendo, cioè verso l'apice del moto solare: la prima è il cosiddetto fronte d'urto terminale, in cui la velocità del vento solare è rallentata a subsonica dalla pressione della materia interstellare (valutata di circa 3×10⁻¹² dyne/cm²), e che si prevede essere tra 80 e 110 UA. La seconda è la cosiddetta eliopausa, al di là della quale prevale la pressione del materiale interstellare, e che dovrebbe essere appena più distante dello shock terminale; dopo l'eliopausa, tutto il materiale raccolto dalle sonde dovrebbe essere di origine extrasolare. Esiste dunque la concreta possibilità di passare questi due ignoti confini, per cui i Voyager verranno seguiti, pur se con forze molto ridotte, sino al 2020; purtroppo i forti tagli di bilancio hanno costretto a spegnere le telecamere, la spettroscopia UV e la navigazione, anche se gli strumenti ancora funzionano e potrebbero essere riaccesi sulla spinta di una forte motivazione scientifica.
In conclusione, i Pioneer e i Voyager ci portano ad approfondire la natura della variabile tempo, che scorre in un solo verso ed è indipendente dal controllo umano. Se non interverranno perturbazioni durante il loro cammino, i Voyager raggiungeranno tra circa un secolo la distanza di 500 UA dal Sole. È questa una distanza critica, perché qui il campo gravitazionale solare focalizza i raggi provenienti da oggetti remoti. Le due sonde saranno cioè sulla superficie focale della lente gravitazionale solare, e potrebbero osservare fenomeni interessantissimi se le loro camere televisive saranno tenute accese. In un lontano futuro, V1 passerà a 0,5 pc dalla stella AC+79 3888 nell'anno 40.272, e V2 a 0,5 pc dalla Ross 248. Non sarebbe tecnologicamente impossibile ibernare le due sonde e riattivarle o a date programmate o in corrispondenza di certi eventi. Forse si potranno ridurre tali tempi di navigazione di un fattore 100 o 1000. Consideriamo per es. l'ipotesi di navigare sfruttando il vento solare con adatte vele; mentre i Voyager viaggiano a circa 3 UA/anno, il vento solare percorre circa 100 UA/anno. Probabilmente altre stelle vicine hanno venti ancor più veloci. Diventa molto attraente pensare allora a sistemi misti di navigazione, a vela di vento stellare e a propulsione veloce (per es. a perdita ionica) tra un vento e l'altro, in modo da portare i tempi di viaggio interstellare dagli attuali 100 secoli verso un secolo, che è un'unità di misura umana sufficientemente buona. Potremo allora dare un significato ancor più completo all'esplorazione umana dello spazio.