MEDICI, Sisto
MEDICI, Sisto. – Nacque a Venezia nel 1502 da una famiglia di origini bresciane.
Rimasto orfano, fu allevato dalla nonna e dalla zia. Già intorno ai dieci anni manifestò il desiderio di abbracciare la vita claustrale, persuaso da un religioso del convento domenicano dei Ss. Giovanni e Paolo, convento del quale un antenato del M., Niccolò, era stato priore nel 1417. Dopo avere superato le resistenze delle parenti, il 13 maggio 1512 entrò nell’Ordine domenicano. Nel corso del noviziato fu vicino all’anziano confratello Francesco Colonna, l’autore dell’Hypnerotomachia Poliphili, come si evince da un sonetto di pugno del M. sedicenne contenuto in un esemplare dell’opera custodito presso la University Library di Cambridge (Inc., 3.B.3.134 [1830]; cfr. Fumagalli).
Nel 1519 fu destinato dai superiori agli studi nel convento di S. Agostino a Padova, dove ebbe come maestri di dialettica Michelangelo da Faenza e Angiolo Statella. Divenne poi uditore di filosofia e teologia presso lo Studio pubblico, dove ascoltò in filosofia Giovanni Spagnolo, Marcantonio Zimara e Marcantonio Genua e per la teologia Alberto Pasquali, Gianfrancesco Beato e Gaspero da Perugia. Nel 1525 divenne magister studentium in S. Agostino, nel 1527 Studii cancellarius e nel 1529 ottenne il titolo di baccelliere. Infine, nel capitolo generale celebratosi a Roma nel 1530, ricevette le insegne del magistero.
Assai intensa fu in quegli anni l’attività predicatoria, nel 1526 a Capo d’Argine e ad Arquà, poi a San Vito, nel 1529 nella diocesi di Concordia e a Legnago. Nel contempo il M. si dedicò agli studi, e scrisse la prefazione ai commentari di s. Tommaso al De generatione et corruptione (Venezia, A. Scoto, 1530; un’edizione peggiore ibid., B. e O. Scoto, 1539). Nel 1534 fu scelto come priore del convento dei Ss. Giovanni e Paolo (carica che ricoprì di nuovo nel 1541, 1553 e 1560) e fu incaricato anche della cura del convento di S. Nicolò di Treviso. Nel 1541 il vicario generale della Congregazione di S. Domenico, Francesco Grazia, rinunciò all’ufficio e il 10 novembre il M. ne assunse il posto ad interim. Fu in questa veste che nel marzo 1542 commissionò a Lorenzo Lotto una pala (L’elemosina di s. Antonino) per la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo. Alla fine dell’anno Lotto dipinse per il M. anche due teste di Cristo, per le quali si fece aiutare da Gerolamo Santacroce.
Nell’aprile 1542 il M. divenne vicario provinciale a tutti gli effetti. Confortato anche dal vescovo di Verona G.M. Giberti, si adoperò per rimediare agli abusi perpetrati dai frati del convento dei Ss. Giovanni e Paolo. Nel frattempo, attraverso il «nuovo amico» Pietro Aretino cercò invano di entrare nelle grazie del cardinale Giovanni Salviati. Ma l’amicizia fra il letterato e il M. fu di breve durata: nel 1544, quando terminò il mandato, il M. patì le ritorsioni di quanti aveva emarginato durante la sua reggenza; fra coloro che spesero parole di sdegno nei suoi confronti fu lo stesso Aretino, secondo il quale «il ribaldo Sisto vicario» aveva incarcerato ingiustamente frate Giampietro Martini (Aretino, III). Per sottrarsi al clima ostile, il M. accettò la carica di reggente presso S. Maria Novella a Firenze e si allontanò da Venezia.
Nel 1544 a Firenze poté riprendere i suoi studi e si dedicò anche alla poesia latina e volgare. Il medico di Cosimo I Andrea Pasquali, già suo allievo a Padova, lo presentò al duca, il quale offrì al M. la cittadinanza e una cattedra di teologia a Pisa. Il M. preferì tuttavia lasciare la Toscana e riprendere la reggenza a Padova, per la quale tenne l’8 maggio 1545 una prolusione a S. Agostino, e tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno ottenne la cattedra di teologia presso lo Studio pubblico, succedendo a Bartolomeo Spina, richiamato a Roma come maestro di Sacro Palazzo. Occupò la cattedra pubblica di teologia «in via Thomae» per otto anni e quella dello Studio conventuale per altri tre.
L’attività accademica non distraeva il M. dagli interessi letterari; nel 1546 scrisse un’epistola in difesa del plurilinguismo della commedia Il Travaglia su richiesta dell’autore Andrea Calmo. Il 18 maggio 1549 fu eletto vicario generale della Congregazione a Padova. Nel 1550, mentre teneva ancora nella facoltà di arti la cattedra in teologia cominciò a promuovere la laurea nella sua disciplina con la propria autorità di teologo pubblico, «ablato iure hoc reliquis Collegii magistris» (Facciolati), cosa che parve suscitare un certo scandalo. Forse a seguito delle critiche, suscitate nel 1553 fu chiamato a Venezia per assumere la cattedra di filosofia naturale alla Scuola di Rialto, al posto del defunto Sebastiano Foscarini. A eleggerlo furono i sei procuratori di S. Marco, sebbene spettasse ai tre riformatori conferire quel ruolo. Per il nuovo incarico, che assunse il 19 ott. 1553, compose l’orazione De humanae industriae praestantia. Mantenne la cattedra fino al 1558, e nel 1560 tornò a ricoprire la carica di priore del suo convento.
La maggior parte delle opere del M. fu pubblicata in questo periodo. La più nota è il De foenore Iudaeorum (Venezia, G. Griffio il Vecchio, 1555), in origine dedicata a papa Marcello II, ma infine, morto il pontefice, indirizzata al doge Francesco Valier.
In quegli anni, quando a Venezia si riaccendeva la persecuzione contro gli ebrei, culminata nel 1553 col rogo di una nuova edizione del Talmud, si stava cercando di dare forza ai Monti di pietà. Ma l’istituzione cattolica non era sufficiente a sostenere i bisognosi, che spesso preferivano chiedere credito ebraico. Nella sua opera il M. giunge a giustificare l’usura per i soli ebrei, in quanto è bene che siano essi a farsi carico del peccato. Chi prende soldi a usura, invece, si rende colpevole solo di scandalo passivo ed è per questo scusabile. Il M. afferma esplicitamente che l’usura è un sistema valido per aiutare i poveri e che al contempo permette di evitare furti, rapine e prostituzione. In ogni caso i Monti di pietà hanno ragione di esistere, anche se l’usura garantisce di avere soldi più rapidamente e senza pubbliche umiliazioni.
Nello stesso volume sono comprese il De ingenio theologicis facultatibus excolendo (1555), orazione recitata l’8 nov. 1545 al momento di salire alla cattedra teologica di Padova e dedicata a Bernardo Navagero; la De humanae industria praestantia; l’Oratio in funere Aloisii Grifalconi, letta il 24genn. 1555. Il De Latinis numerorum notis (Venezia, G. Griffio il Vecchio, 1557) è il racconto di un sogno nel quale il M. immagina di essere visitato da Domenico Moresini, Bernardo Navagero, Francesco Badoer e Domenico Venier, e nel quale viene spiegata una data (MDLV) incisa sul muro dei Ss. Giovanni e Paolo. Alla sua interpretazione che fondeva sensi greci e latini, si oppose Orazio Toscanella con una lettera privata, poi pubblicata nelle sue Bellezze sopra il Furioso (Venezia 1574, pp. 260 s.). In gran parte inediti rimasero gli Stromata, raccolti a partire dal 1558 e conservati nella Biblioteca nazionale Marciana (Mss. lat., cl. XIV, 58-66 [=4272-4600]) oltre al singolo volume presente a Camaldoli (Arch. del Sacro Eremo, Mss., 1202), dove era giunto dalla Biblioteca di S. Michele a Murano passando per S. Gregorio al Celio a Roma.
Il volume degli Stromata dedicato alla fortuna e al libero arbitrio risultava perduto già nel Settecento (Degli Agostini, p. 453). Nei volumi che ci sono giunti sono comprese, fra le altre, le seguenti opere: Epigrammata principum Venetorum (1530); In Theologiae Thomae expositionem (1544); Axiomata peripatetica (agosto 1544); Compendium de sensu et de sensato; Praelectio super tractatum de angelis (15 sett. 1544); Sermo in incarnatione (1544); Compendium de anima (gennaio 1545); Super primum Posteriorum; Super secundum Posteriorum; De somniis (1561); sermoni, sommari di prediche e lezioni, varie epistole (pubblicate da G.B. Contarini nelle Epistolae, editae et illustratae, in Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, XV, Venezia 1767, pp. 389-474; XVI, ibid. 1768, pp. 279-359), fra le quali una indirizzata a Giovan Battista Ramusio, nella quale il M. espone le sue censure ad alcune opere del defunto Girolamo Fracastoro. Fra gli scritti del M., il postumo Lume della santa fede (Venezia, G. Varisco e soci, 1566) era invece un’opera di edificazione diretta a predicatori e curati. Dissapori e liti avevano accompagnato invece l’edizione di Aristotelis Politicorum sive De republica libri octo Leonardo Aretino interprete cum d. Thomae Aquinatis explanatione (Venezia, Giunti, 1558), della quale Giuliano Marziano Rota si era preso ogni merito, sopprimendo i nomi del M. e di Marc-Antoine Muret.
Fu durante quegli ultimi anni veneziani che si rafforzò l’amicizia fra il M. e Paolo Manuzio. Tra il febbraio e il settembre 1558 lesse il De Deo di Marcantonio Natta, che con massicce correzioni sarebbe comparso per i tipi di P. Manuzio l’anno seguente. Proprio nelle stanze del M. nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo, avrebbe trovato rifugio, nel febbraio 1559, P. Manuzio, citato in giudizio per violazione della legge nella condotta del pesce da Ferrara a Venezia. Lo stesso Muret fu ospite del M. nel luglio 1559.
Il M. morì a Venezia nel convento dei Ss. Giovanni e Paolo il 28 novembre 1561.
L’allievo Girolamo Vielmi fece preparare una lapide per il chiostro della basilica e, sempre su commissione di Vielmi, nel 1561 Niccolò da Ponte realizzò una medaglia in memoria (cfr. Armand). In onore del M. fu poi pubblicata una raccolta di poesie dal titolo In funus reverendi p. f. Sixti Medices Veneti Ordinis praedicatorum omnium liberalium artium alumni, et sacrae paginae professoris epigrammata (Venezia 1562), che comprendeva anche un componimento di T. Tasso.
Fonti e Bibl.: Camaldoli, Arch. del Sacro Eremo, Mss., 1201, cc. 167-172; 1202; Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerviniane, 41, c. 121; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. VI, 39 (=2527); VII, 207 (=7465); XI, 135 (=3941); P. Manuzio, Epistolarum libri quinque, Venetiis 1561, cc. 81r, 88v-92r; O. Toscanella, La Retorica di M. Tullio Cicerone a Gaio Herennio ridotta in alberi, In Vinegia 1566, c. 156r; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIIII libri, In Venetia 1581, cc. 22r, 276v; M.-A. Muret, Variarum lectionum libri XV, Parisiis 1622, p. 97; Miscellaneorum ex mss. libris Bibliothecae Collegii Romani Societatis Iesu, II, Romae 1758, pp. 389 s.; E. Pastorello, Inedita Manuziana. 1502-1597, Firenze 1960, pp. 115-119, 131-140, 376 s. (lettere di M. Natta al M.); L. Lotto, Il «Libro di spese diverse» con aggiunta di lettere e d’altri documenti, a cura di P. Zampetti, Venezia-Roma 1969, pp. 84, 246, 303; A. Calmo, Il Travaglia, a cura di P. Vescovo, Padova 1996, pp. 14-17, 315-321; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, II, Roma 1998, p. 380; III, ibid. 1999, p. 90; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, II, Roma 2004, pp. 107, 137; F. Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc primum editis illustratae…, Venetiis 1749, p. 255; Acta capitulorum generalium Ordinis praedicatorum, a cura di B.M. Reichert, IV, Romae 1901, pp. 209, 236, 300; J. Quétif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum recensiti, II, Lutetiae Parisiorum 1721, p. 179; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754, pp. 372-410; I. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, III, Patavii 1757, p. 252; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 153, 319, 324; III, ibid. 1830, pp. 50, 59 s., 316; VI, ibid. 1853, p. 679; A. Armand, Les médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, II, Paris 1883, pp. 227 s.; A. Calmo, Le lettere, a cura di V. Rossi, Torino 1888, pp. XLV-L; E. Pastorello, L’epistolario manuziano: inventario cronologico-analitico. 1483-1597, Firenze 1957, p. 305; G. Alberigo, Lo sviluppo della dottrina dei poteri nella Chiesa universale, Roma 1964, pp. 142 s.; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1538 ad annum 1550, a cura di E. Martellozzo Forin, Padova 1971, pp. 382, 394, 397; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1551 ad annum 1565, a cura di E. Dalla Francesca - E. Veronese, Roma-Padova 2001, pp. 37, 65. R. Galli, Trois lettres inédites de Sixte de Sienne O.P., in Archivum fratrum praedicatorum, n.s., XLIV (1974), p. 93; A. Mazza, La pala dell’ «Elemosina di S. Antonino» nel dibattito cinquecentesco sul pauperismo, in Lorenzo Lotto. Atti del Convegno internazionale di studi…, Asolo… 1980, a cura di P. Zampetti - V. Sgarbi, Treviso 1981, I, pp. 349 s., 354, 360, 362; L. Artese, Orazio Toscanella. Un maestro del XVI secolo, in Annali dell’Istituto di filosofia, V (1983), p. 68; F. Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per S. Maria Maggiore in Bergamo, Bergamo 1987, pp. 162, 164; E. Fumagalli, Due esemplari della «Hypnerotomachia Poliphili» di Francesco Colonna, in Aevum, LXVI (1992), pp. 419-422; G. Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Milano 1993, pp. 115-117; O. Logan, The Venetian upper clergy in the sixteenth and early seventeenth centuries: a study in religious culture, Lewiston, NY, 1996, pp. 456-459; E. Peruzzi, Le censure di S. M. O.P. ai dialoghi «De intelletione» e «De anima» di Girolamo Fracastoro, in Per Alberto Piazzi. Scritti offerti nel 50° di sacerdozio, a cura di C. Albarello - G. Zivelonghi, Verona 1998, pp. 299-328; A. Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Soveria Mannelli 2001, pp. 19, 70 s.; B.S. Pullan, Jewish banks and Monti di pietà, in The Jews of early modern Venice, a cura di R.C. Davis - B. Ravid, Baltimore 2001, pp. 53-72; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 221, 234, 246, 264; V, pp. 523, 549; VI, pp. 257-261.
E. Del Soldato