RIARIO SFORZA, Sisto
RIARIO SFORZA, Sisto. – Nacque a Napoli il 5 dicembre 1810, terzogenito del duca Giovanni Antonio e di Maria Gaetana Cattaneo della Volta, dei principi di Sannicandro; suoi fratelli maggiori furono Augusto e Nicola Giovanni.
Il padre, membro della libera muratoria, già accusato di coinvolgimento nella ‘congiura giacobina’ del 1794, partecipò attivamente, insieme ad alcuni fratelli, alla rivoluzione del 1799, svolgendo vari incarichi politici e militari sotto il governo repubblicano. Condannato a morte al ritorno dei Borbone, la pena gli fu commutata nell’ergastolo, venendo liberato dopo la pace di Firenze (1801); nel decennio francese fu ambasciatore per il Regno di Napoli in Vestfalia e nei Paesi Bassi. Suo fratello minore Giuseppe fu decapitato nel 1799 per la sua adesione alla Repubblica.
Fin dal 1824 fu ascritto allo stato ecclesiastico: nel gennaio del 1825 vestì l’abito, il 13 febbraio 1825 fu tonsurato e il 17 dicembre 1826 ricevette gli ordini minori con dispensa d’età. Dopo gli studi umanistici a Napoli, nell’autunno del 1827 si trasferì a Roma presso lo zio, il cardinale Tommaso Riario Sforza, per frequentare come esterno i corsi filosofici e teologici del seminario di S. Apollinare. Consacrato suddiacono il 7 aprile 1832 e diacono il 22 dicembre, fu ordinato prete il 15 settembre 1833. Proseguì gli studi a Roma, all’Accademia dei Nobili ecclesiastici, forse con l’idea di intraprendere la carriera diplomatica, e poi alla Sapienza, conseguendo il dottorato in utroque iure (il 23 aprile 1845 gli fu conferito anche quello in teologia per breve apostolicum). In quegli anni si dedicò a varie opere di apostolato e direzione spirituale, nell’ospizio di S. Michele a Ripa e nelle scuole serali popolari, ma anche nei salotti dell’alta società, dove contribuì alla conversione di alcuni giovani diplomatici stranieri.
Nel novembre del 1827 fu fatto abate commendatario di S. Paolo, ad Albano; nel marzo del 1829 partecipò, come dapifero dello zio, al conclave di Pio VIII; nel luglio del 1837 divenne vicario capitolare della diaconia cardinalizia di S. Maria in Via Lata, di cui era titolare lo zio, e il 30 settembre 1838 canonico della basilica di S. Pietro. Il 16 maggio 1839 venne ammesso nell’Accademia romana di religione cattolica.
Nominato cameriere segreto soprannumerario, nel febbraio del 1836 si recò in Francia come ablegato pontificio per recare la berretta cardinalizia all’arcivescovo di Bordeaux Jean-Louis Lefebvre de Cheverus; al suo ritorno fu promosso quarto cameriere partecipante e nel gennaio del 1844 secondo cameriere (segretario d’ambasciata). Seppe guadagnarsi la stima e l’affetto di Gregorio XVI, che lo volle presso di sé come segretario particolare.
Essendo vacante l’episcopato di Napoli, Gregorio XVI avrebbe voluto destinarlo a Riario Sforza, ma la scelta, per la sua giovane età e forse per sospetto politico verso la sua famiglia, non fu avallata da Ferdinando II, che preferì designarlo alla sede di Aversa (12 aprile 1845). Preconizzato il 24 aprile e consacrato il 25 maggio, egli rimase ad Aversa solo pochi mesi: già nel concistoro del 24 novembre il papa, vinte le ultime resistenze del re, ne annunciò la traslazione a Napoli, dove egli fece il suo ingresso solenne l’8 dicembre. Riario Sforza guidò la diocesi partenopea per trentadue anni, fino alla morte; nel 1855 Pio IX avrebbe voluto spostarlo a Bologna, ma egli declinò la proposta.
Il 19 gennaio 1846 fu elevato al cardinalato e il 16 aprile ricevette il titolo presbiteriale di S. Sabina. Il giorno dopo fu ascritto alle Congregazioni del Concilio, dei Vescovi e regolari, della Disciplina regolare e dell’Immunità ecclesiastica; il 12 dicembre 1857 divenne membro anche di quella dell’Indice. Dal marzo del 1865 al gennaio del 1866 fu camerlengo del Sacro collegio.
Nel 1848 si mantenne piuttosto neutrale verso il nuovo corso politico: si batté con successo per far inserire nella costituzione la censura preventiva in materia religiosa e per ovviare ai pericoli della libertà di stampa, ma rifiutò di assecondare i tentativi reazionari e respinse una petizione per la revoca della costituzione. Da Gaeta, nel dicembre del 1848, Pio IX lo inserì nella commissione cardinalizia chiamata a valutare l’opportunità di definire il dogma dell’Immacolata concezione.
Strenuo difensore dei diritti della Chiesa, Riario Sforza si impegnò a più riprese per smantellare il giurisdizionalismo borbonico. Su stimolo papale, nel novembre-dicembre del 1849 presiedette a Napoli una conferenza dell’episcopato meridionale, che sollecitò, senza grande successo, un più attivo intervento del governo in favore della religione e della morale e una maggiore libertà d’azione per i vescovi. La questione si ripropose nel 1857, quando fu lo stesso Ferdinando II a promuovere una riforma della legislazione giurisdizionalista: Riario Sforza animò la commissione ristretta formata a tale scopo e contribuì direttamente alla redazione dei decreti emanati nel giugno del 1857, i quali rafforzavano il controllo episcopale sulla censura e sulla scuola, confermavano certe immunità giudiziarie del clero, abolivano l’exequatur e garantivano piena libertà ai sinodi diocesani e provinciali.
Dedicò grande impegno a migliorare la qualità del clero secolare, selezionando più attentamente i candidati al sacerdozio, riformando gli studi seminariali, fondando biblioteche e accademie ecclesiastiche. Sul piano pastorale, istituì nuove parrocchie, fronteggiò la secolarizzazione dei costumi vivificando la catechesi, intensificando predicazioni e missioni popolari e, dopo il 1860, incoraggiando la nascita di giornali e periodici cattolici, anche politici; favorì l’insediamento a Napoli di nuovi ordini religiosi e stimolò la nascita di molte opere caritative e di preghiera. Secondo il modello devozionale intransigente, incentivò i culti mariani e quello al S. Cuore, al quale consacrò la sua diocesi nel 1875. Precoce sostenitore della rinascita neotomista, incoraggiò le iniziative di Gaetano Sanseverino (come la rivista «La scienza e la fede» e l’Accademia di filosofia tomista, da lui fondate nel 1841 e nel 1846) e ne sostenne le lotte contro le idee di Antonio Rosmini, di Vincenzo Gioberti e l’ontologismo. Sempre sollecito nel soccorrere i bisognosi, anche a spese del suo patrimonio, diede prova di grande abnegazione durante le epidemie di colera del 1854-55 e del 1873 e l’eruzione del Vesuvio del 1861, guadagnandosi la stima generale e la fama di ‘Borromeo redivivo’.
Dopo l’ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, il 21 settembre 1860 Riario Sforza fu espulso dalla città per aver sospeso i cappellani garibaldini ed essersi rifiutato di benedire la ‘crociata’ patriottica, e riparò a Roma. Richiamato dalle autorità italiane, rientrò a Napoli alla fine di novembre, ma non tardò a scontrarsi con la politica ecclesiastica del governo e fu quindi nuovamente allontanato, il 31 luglio 1861. Rimase in esilio per cinque anni, soggiornando tra Roma, Terracina e Civitavecchia, e poté rientrare a Napoli solo il 6 dicembre 1866.
La sua linea politica subì, dopo il 1860, una certa evoluzione. Se in un primo momento rimase vicino a Francesco II, di cui fu a Roma uno dei consiglieri più ascoltati, e non depose la speranza di una restaurazione legittimistica (congiunta però a certe concessioni costituzionali), dopo il 1866, si separò progressivamente dalla causa borbonica e cercò di instaurare un modus vivendi con le autorità italiane, per preservare al meglio gli interessi religiosi. Il suo fu un atteggiamento pragmatico, rigoroso nella difesa dei diritti della Chiesa, ma flessibile quanto ai principi politici; se si mostrò critico verso il nuovo corso, fu per sollecitudine religiosa più che per fedeltà dinastica. Fermo a una prospettiva di cristianità, Riario Sforza non arrivò mai a concepire la società in termini pluralistici e liberali, ma colse nondimeno la necessità di separare la religione dai destini di un regime politico e di rivendicare l’indipendenza della Chiesa da un governo che non offriva più garanzie di protezione confessionale.
Partecipò al Concilio Vaticano primo, cercando di coordinare l’episcopato meridionale, e nel dicembre del 1869 fu fatto membro della commissione dei postulati. Membro moderato della maggioranza infallibilista, tenne sull’infallibilità un atteggiamento cauto. Dopo qualche incertezza, nel gennaio del 1870 fu convinto dall’arcivescovo di Westminster Henry Edward Manning a promuovere un postulato dei vescovi meridionali in favore della definizione, ma auspicò poi (9 febbraio) che essa venisse espressa in termini moderati, per raccogliere il maggior numero di voti. Di fronte all’acuirsi delle divisioni, egli fu preso da scrupoli di coscienza e propose un postulato in cui esprimeva dubbi sull’opportunità della definizione; cercò fino alla fine di mediare con la minoranza moderata, dialogando soprattutto con il vescovo di Magonza Wilhelm Emmanuel von Ketteler, ma il 13-15 luglio si rassegnò a ratificare uno schema che non lo soddisfaceva del tutto. Insieme all’arcivescovo di Perugia Gioacchino Pecci, operò inoltre perché il concilio condannasse esplicitamente l’ontologismo, ma la questione rimase irrisolta per la sospensione del concilio.
Negli ultimi anni di Pio IX, Riario Sforza fu indicato come uno dei principali papabili («il più moderato fra gli zelanti», Bonghi, 1877, p. 134), ma morì prematuramente a Napoli, il 29 settembre 1877. Sepolto nella chiesa di S. Maria del Pianto, nel 1927 la sua salma venne traslata nella cappella di famiglia, nella chiesa dei Ss. Apostoli. È in corso il processo di beatificazione, iniziato nel 1927, ufficialmente aperto nel 1947 e ripreso nel 1995 dopo una lunga interruzione; nel giugno del 2012 Riario Sforza è stato dichiarato venerabile.
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