SĪTĀ
. Eroina del grande poema di Vālmīki, il Rāmāyaṇa (v. india, Letteratura).
Figlia di Janaka, re di Mithilā, capitale del Videha (parte del Nepal e del Bengal), fu da lui così chiamata, perché sortagli da un solco (sitā) mentre egli arava il terreno per preparare il luogo dove avrebbe dovuto celebrare il sacrificio da lui istituito per ottenere prole. Altro nome di S. fu perciò Ayonijā "non nata da seno materno" e pure Dharāputrī "la figlia della terra", e finalmente Vaideḥ "la Videhese", Maithilī "la Mithilese Sposa di Rāma, il grande eroe nazionale dell'India, le cui gesta sono appunto cantate nel Rāmayaṇa, venne un giorno rapita dal demonio Rāvaṇa, re di Laṇkā (Ceylon?), durante l'esilio nella selva, cui era stato condannato il marito per malvagità di una delle sue matrigne. Ma dopo lungo assedio, Rāma riuscì ad uccidere Rāvaṇa e a distruggerne l'esercito e a riconquistare Sītā. Ma, pure essendogli stata fedelissima sposa, questa dovette, per far trionfare la sua purezza, della quale Rāma aveva ingiustamente dubitato per il lungo soggiorno di lei nella casa di Rāvaṇa, sottoporsi al giudizio del fuoco, da cui uscì trionfatrice. Non di meno Rāma, per malignità dei sudditi che ancora dubitavano di lei, l'abbandonò, quando ella stava per divenire madre. Il grande asceta Vālmīki l'accolse allora nel suo eremo, ove Sītā diede alla luce Kuśa e Lava i quali divennero scolari dello stesso Vālmīki, e, appresa da lui la grande storia del padre, la divulgarono col canto. Per esso un giorno Rāma li riconobbe, e fatto certo inoltre da Vālmīki della purezza della sposa, avrebbe voluto riprenderla con sé, ma Sītā, invocato ad attestazione della sua fedeltà maritale il ritorno alla madre terra, venne da questa rapita.