SITI CONTAMINATI, BONIFICA DEI.
– Identificazione di un sito contaminato. Strategie e interventi di bonifica. Webgrafia
Con sito contaminato si intende, usualmente, una porzione di territorio nella quale, a seguito di attività umane in corso o svolte nel passato, si sia determinata una modifica significativa delle caratteristiche naturali delle matrici ambientali suolo e acque sotterranee per la presenza di sostanze naturalmente non riscontrabili a una determinata concentrazione. Per b. dei s. c. si intende quindi l’insieme delle azioni volte a riportare le matrici ambientali interessate al proprio stato qualitativo naturale.
La definizione ‘amministrativa’ di sito contaminato e di b. dei s. c. dipende invece dalla legislazione in vigore nel Paese a cui ci si riferisce. In Italia le norme specifiche che regolano la gestione dei siti contaminati, dalla loro caratterizzazione fino agli interventi di bonifica e/o messa in sicurezza, sono state inizialmente introdotte con il d.m. 25 ott. 1999 nr. 471 per essere poi integralmente sostituite da quanto contenuto nella parte quarta, titolo V (Bonifica dei siti contaminati), del d. legisl. 3 apr. 2006 nr. 152 (Norme in materia ambientale) e successive modifiche e integrazioni. Il titolo V «disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio chi inquina paga».
Nella normativa italiana vigente la definizione di sito contaminato, e conseguentemente quella di b. dei s. c., si basa su di un criterio di carattere sanitario. Un sito è considerato contaminato quando la concentrazione di una o più sostanze risulti, a seguito di un’esposizione prolungata, superiore a quella che, nella particolare condizione del sito in esame, potrebbe provocare un effetto sulla salute umana considerato non accettabile. Queste concentrazioni vengono determinate attraverso una procedura di valutazione del rischio che sostanzialmente include l’identificazione delle interrelazioni tra sorgente di contaminazione, vie di migrazione e recettori presenti sul sito in esame.
Identificazione di un sito contaminato. – Schematicamente l’identificazione di un sito contaminato avviene secondo la procedura di seguito riportata. Al verificarsi di un potenziale evento di contaminazione, o all’accertamento di una contaminazione storica ancora in grado di compromettere la qualità delle matrici ambientali, il responsabile della contaminazione, dopo aver eseguito i necessari interventi per limitare la possibile dispersione dei contaminanti, esegue una indagine preliminare; e ciò allo scopo di verificare se la concentrazione di almeno una delle sostanze potenzialmente rilasciate superi il corrispondente valore di riferimento, definito concentrazione soglia di contaminazione (CSC, allegato 5 parte quarta, titolo V del d. legisl. 152/06). La CSC per ogni sostanza è in pratica un ‘campanello di allarme’, un valore di attenzione superato il quale si rende necessaria una più approfondita analisi della situazione per comprendere se nel sito in esame quella concentrazione risulti effettivamente pericolosa per la salute di recettori umani presenti.
Quando la concentrazione misurata di almeno una delle sostanze in esame risulta superiore alla corrispondente CSC, il sito diventa potenzialmente contaminato e il responsabile della contaminazione deve avviare una fase di caratterizzazione più approfondita per verificare la sussistenza o meno di un reale rischio sanitario ambientale.
Sulla base dei risultati della caratterizzazione del sito si esegue quindi una procedura per la valutazione del rischio che le sostanze riscontrate esercitano nel sito sui recettori umani considerati. Tale procedura va sotto il nome di analisi di rischio sito specifica (AdR) e viene eseguita secondo standard internazionalmente riconosciuti e indicati dalla normativa vigente. Si costruisce quindi il modello concettuale del sito contaminato in cui si definisce la relazione tra sorgente di contaminazione e recettore attraverso i percorsi attivi (quali, per es., il contatto dermico diretto, la ingestione, la inalazione di vapori ecc.). Queste informazioni sono parametrizzate e inserite in modelli analitici standardizzati che, sulla base di un rischio considerato accettabile e in una condizione di cautela per la salute umana, consentono di calcolare le concentrazioni ammissibili nel sito per le singole sostanze in esame. Si determinano quindi le concentrazioni soglia di rischio (CSR) definite come i livelli di contaminazione il cui superamento richiede la bonifica o messa in sicurezza del sito.
Se le concentrazioni delle diverse sostanze risultano inferiori alle corrispondenti CSR il sito viene considerato non contaminato, mentre se si osserva anche un solo superamento il sito diventa contaminato e devono essere attuate tutte quelle azioni in grado di riportare le concentrazioni delle diverse sostanze al di sotto della corrispondente CSR, che diventa così l’obiettivo della bonifica/messa in sicurezza.
Strategie e interventi di bonifica. – Una volta appurato lo stato di contaminazione è possibile procedere, a seconda delle specifiche caratteristiche del sito, a un intervento di bonifica (insieme degli interventi atti a eliminare le sostanze inquinanti o a ridurne le concentrazioni al di sotto della corrispondente CSR) o di messa in sicurezza (operativa o permanente). Mentre gli interventi di bonifica sono quindi indirizzati alla rimozione effettiva delle sostanze che hanno provocato la contaminazione, gli interventi di messa in sicurezza sono realizzati in modo tale da evitare la propagazione della contaminazione e comunque la possibilità che i contaminanti possano entrare in contatto con i recettori considerati. La messa in sicurezza permanente (MISP) viene utilizzata per l’isolamento definitivo delle fonti inquinanti dalle matrici ambientali circostanti e deve garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. La MISP viene impiegata quando la rimozione o la riduzione delle fonti di contaminazione (bonifica) risultino tecnicamente impraticabili o quando i costi associati agli interventi appaiano non sostenibili e consiste essenzialmente nell’incapsulamento permanente della fonte di contaminazione. La messa in sicurezza operativa (MISO) è, invece, un intervento che può essere realizzato solo su siti con attività in esercizio e rappresenta l’insieme delle azioni volte a evitare la propagazione della contaminazione al di fuori del sito e a garantire un adeguato livello di sicurezza per i lavoratori presenti e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi definitivi da realizzarsi al termine delle attività. È in pratica un’opportunità offerta al proprietario di un sito contaminato con attività in esercizio di rendere le attività che in esso si svolgono compatibili con un adeguato livello di sicurezza per l’ambiente e per i lavoratori, rimandando al futuro la soluzione definitiva del problema.
La selezione degli interventi per la bonifica di un sito contaminato è un processo particolarmente complesso per la molteplicità dei fattori che agiscono contemporaneamente e che di fatto rendono ogni sito diverso da un altro. La estrema varietà di contaminanti e delle loro caratteristiche chimico-fisiche, la presenza simultanea di sostanze con comportamento profondamente diverso, le varie caratteristiche idrogeologiche del sito, la modalità con cui la contaminazione è avvenuta (accidentale, limitata cioè nel tempo, o cronica) e la modifica delle interazioni con le diverse matrici ambientali in funzione del tempo, rendono di fatto impossibile definire un intervento di bonifica per ogni tipo di contaminazione. Piuttosto si preferisce parlare di strategia di bonifica complessiva applicabile per il recupero dei siti contaminati che generalmente comprende azioni e interventi diversi in grado complessivamente di risolvere il problema.
L’insieme delle tecnologie di bonifica può essere vantaggiosamente sistematizzato secondo diverse modalità di classificazione che riguardano la matrice ambientale da trattare, il meccanismo alla base dell’intervento e la modalità con cui la matrice viene trattata.
In generale, gli interventi di bonifica sono suddivisi in due grandi categorie: interventi in situ, che vengono eseguiti senza necessità di ‘movimentare’ la matrice contaminata (cioè escavare il suolo o emungere l’acqua) prima del trattamento vero e proprio; interventi ex situ, eseguiti, invece, dopo che la matrice contaminata è stata rimossa.
Se il trattamento avviene poi all’interno del sito contaminato l’intervento viene definito on site mentre se esso si effettua in un impianto collocato esternamente al confine di proprietà del sito contaminato l’intervento è definito off site.
Una seconda modalità di classificazione è relativa al processo che viene utilizzato nell’intervento di bonifica. Indipendentemente dal fatto che il processo sia eseguito in situ oppure ex situ, in questo caso si usa generalmente parlare di: processi fisici, in cui, usualmente, il contaminante è trasferito dalla matrice contaminata, suolo o acqua di falda, a una fase fluida, gassosa o liquida, che viene veicolata esternamente e trattata in idoneo impianto per la rimozione del contaminante mobilizzato; processi chimici, in cui il contaminante viene effettivamente convertito in forme ambientalmente accettabili, generalmente attraverso l’aggiunta alla matrice contaminata di reagenti chimici; processi termici, che sfruttano l’incremento di temperatura per favorire processi di natura fisica (trasferimento in una fase fluida) oppure una trasformazione chimica vera e propria (ossidazione, combustione, pirolisi); processi biologici, che usualmente utilizzano quei microrganismi naturalmente presenti nelle matrici contaminate, i quali possono essere stimolati nelle loro attività metaboliche o cometaboliche mediante la modifica delle condizioni ambientali, per la trasformazione efficace dei contaminanti in forme ambientalmente accettabili (bioremediation). In questo caso possono essere anche vantaggiosamente utilizzati organismi superiori, quali funghi e specie vegetali, nei processi convenzionalmente definiti micorimedio o fitorimedio, rispettivamente.
Ognuno dei processi descritti può essere potenzialmente impiegato per la bonifica sia della zona insatura o vadosa (la porzione di suolo al di sotto del piano campagna in cui gli spazi vuoti lasciati liberi dalle particelle solide sono parzialmente occupati da gas e parzialmente occupati da liquido) che della zona satura, quella cioè in cui tutti gli spazi vuoti sono riempiti dall’acqua e che, se dotata di una permeabilità sufficiente, può divenire sede di una falda acquifera. Inoltre essi possono essere utilizzati quando la contaminazione è ascrivibile a sostanze sia organiche sia inorganiche.
Nella tabella sono riassunti alcuni tra i principali processi di bonifica disponibili per il recupero di siti contaminati, classificati per matrice di impiego, tipologia di meccanismo e modalità di realizzazione. Di seguito vengono sinteticamente descritti i principi di funzionamento di alcuni di essi a rappresentare le diverse tipologie.
Tra i processi di bonifica in situ basati su meccanismi di tipo fisico, soil venting (ventilazione del terreno o estrazione di vapori) e air sparging sono quelli maggiormente utilizzati nel caso di contaminazione da sostanze organiche volatili, quali idrocarburi da petrolio o sostanze organiche clorurate (solventi clorurati), rispettivamente nella zona vadosa e nella zona satura del suolo. Nel soil venting, attraverso la opportuna collocazione di pozzi di estrazione all’interno della zona insatura contaminata, si induce un flusso di aria (ventilazione) nel quale i contaminanti vengono trasferiti in base alla loro volatilità per poi essere rimossi con opportuni impianti collocati in superficie (fig. 1). L’air sparging si utilizza, invece, nel caso in cui la stessa tipologia di contaminanti si trova nella zona satura del terreno, prevedendo questa volta l’iniezione di aria attraverso pozzi fenestrati; l’aria immessa si arricchisce di contaminanti volatili risalendo verso la zona insatura da dove possono essere rimossi attraverso un sistema di soil venting (fig. 1). In entrambi i processi la circolazione di aria nelle zone contaminate fornisce conseguentemente ossigeno che in molti casi è in grado di sostenere processi di trasformazione di natura biologica (bioventing e biosparging) che facilitano l’intervento di bonifica.
Nel caso in cui la contaminazione sia dovuta a sostanze difficilmente trasferibili in una fase fluida quali, per es., metalli pesanti, pesticidi, idrocarburi policiclici aromatici e comunque composti organici ad alto peso molecolare con volatilità limitata, il soil washing può rappresentare una ottima opzione tecnologica. Il processo, applicabile alla zona insatura e previa escavazione, si basa sulla constatazione che generalmente i contaminanti sono associati alla frazione più fine del terreno. Attraverso un’operazione di vagliatura meccanica il suolo contaminato viene suddiviso in una frazione fine di minor volume e contenente la maggior parte dei contaminanti, e in una grossolana che usualmente diviene pulita semplicemente per lavaggio con una soluzione acquosa e può essere successivamente riutilizzata nello stesso sito. La frazione fine carica di contaminanti, di volume significativamente minore di quello iniziale, può essere quindi più agevolmente trattata in modo specifico oppure smaltita in discarica.
Interessante è l’utilizzo del calore per sostenere e accelerare i processi sopra descritti. Oltre ai tradizionali processi di desorbimento termico ex situ, sono ormai largamente diffusi e disponibili sistemi in grado di riscaldare in situ sia la zona insatura sia quella satura mediante l’infissione di elettrodi o pozzi per l’iniezione di vapore direttamente all’interno della zona contaminata. L’aumento di temperatura raggiungibile, usualmente intorno ai 100 °C, favorisce il trasferimento dei contaminanti nella fase gassosa che viene trattata esternamente, riducendo significativamente il tempo complessivo di bonifica e consentendo il raggiungimento di concentrazioni residue inferiori.
Nel caso in cui la contaminazione interessi le acque sotterranee, il pump & treat rappresenta uno dei processi di bonifica maggiormente utilizzato, seppure presenti una serie di problemi legati alla sua sostenibilità economica ambientale. In questo caso tutta l’acqua contaminata viene intercettata da un sistema di pozzi di emungimento, inviata a un impianto di trattamento esterno e quindi, usualmente, scaricata in un corpo superficiale o in rete fognaria. Tra i maggiori problemi connessi a questa tecnologia si ricordano la necessità di restare in funzione per lunghi periodi di tempo con conseguenti costi di gestione degli impianti, che spesso diventano insostenibili, e lo spreco della risorsa idrica. Proprio per superare alcune di queste limitazioni, negli ultimi anni si sono affermate strategie di intervento basate sulle barriere permeabili reattive (PRB). In questo caso, invece di estrarre l’acqua contaminata e trattarla esternamente, si realizza, quando possibile, il trattamento direttamente all’interno dell’acquifero contaminato; si scava quindi una trincea che intercetta il flusso dell’acqua e si riempie di materiale reattivo e permeabile opportuno in grado di trasformare i contaminanti in forme ambientalmente accettabili o di ridurne la concentrazione mediante processi di immobilizzazione/adsorbimento (fig. 2).
Webgrafia: APAT-ISPRA, Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati (rev. 2), 2008, http://www.isprambiente.gov.it/files/temi/siti-contaminati-02marzo08.pdf (13 sett. 2015); Interstate technology & regulatory council, Permeable reactive barrier: technology update, PRB-5, Washington (D.C.) 2011, http://www.itrcweb.org/ GuidanceDocuments/PRB-5-1.pdf (13 sett. 2015). Si veda inoltre: Environmental protection agency (EPA), Contaminated site clean-up information, http://clu-in.org/.