Vedi SKOPAS dell'anno: 1966 - 1997
SKOPAS (v. vol. VII, p. 364)
Nonostante un venticinquennio di ricerche sono le fonti letterarie, piuttosto che i monumenti, che continuano a fornire indicazioni circa la personalità di questo scultore. Un esame critico rigoroso, infatti, obbliga a concludere, con un certo sconforto, che nessuna delle attribuzioni avanzate sulla base di copie che sembrano echeggiare famosi capolavori di S. è sicura; di conseguenza l'unica possibilità di accostarsi alla sua opera passa attraverso i miseri resti dei frontoni del Tempio di Atena Alea a Tegea. Qui però, come in tutti gli altri casi di sculture relative a strutture monumentali messe in rapporto con S., bisogna chiedersi quanto peso abbia avuto la sua partecipazione diretta. Soltanto una schiera di scalpellini, p.es., può aver eseguito la decorazione a tutto tondo del Mausoleo con le sue trecento figure in parte di formato colossale, e di fronte a queste dimensioni risulta semplicemente assurdo il gioco, spesso esercitato in passato, delle attribuzioni dei varî rilievi ai quattro scultori impegnati sul monumento. D'altro canto non c'è motivo di considerare come una favola romantica la collaborazione di S. al Mausoleo perché non si può spiegare altrimenti la presenza della coppia dinastica caria su un rilievo rinvenuto a Tegea dove S. era appunto occupato nel cantiere del Tempio di Atena Alea.
Di recente si è supposto che a S., attivo a Tegea come architetto e impegnato nel Mausoleo come scultore o capo di un atelier di scultori, sia stato commissionato anche il propileo di Samotracia. Affinità stilistiche tra i rilievi dei cassettoni di tale edificio e le sculture tegeati da un lato, dall'altro le fonti che vi testimoniano l'esistenza di un gruppo scopadeo, potrebbero rafforzare questa opinione. Meramente ipotetico rimane invece il tentativo di attribuire a S. il fregio arcaistico presente su tale struttura, e quindi di dedurne una personale tendenza che farebbe appunto del maestro pario l'inventore di statue di culto arcaistiche come l’Apollo Sminteo.
Secondo Plinio (Nat. hist., XXXVI, 95), S. avrebbe eseguito una delle trentasei columnae caelatae del nuovo Artemìsion di Efeso; se tuttavia già su uno solo dei rocchi si possono individuare diverse mani e una precisa divisione del lavoro quale principio di base, anche per tale edificio sarà difficile quantificare l'apporto personale del maestro. Una prova a favore della fondatezza della notizia pliniana è fornita almeno dalla scelta dei temi: le figure marine dell'Artemìsion, infatti, fanno ricordare che S. creò un famoso gruppo con tiaso marino. L'influsso scopadeo andrebbe semmai rintracciato a livello di scelta dei temi e di concezione piuttosto che di esecuzione materiale; l'idea che S. abbia scolpito proprio il rocchio meglio conservato dell'Artemìsion, invece, risulta fin troppo ingenua.
Naturalmente si può ben credere che una personalità così prorompente abbia conferito all'intero atelier l'impronta di un linguaggio formale originale. Meglio comprensibile, nella sua genesi, diventa allora il fenomeno delle teste tegeati dallo sguardo patetico che da sempre vengono considerate tipiche dello stile di Skopas. L'implicazione dell'artista, con incarichi chiaramente direttivi, in tutti i più grossi progetti architettonici del IV sec., dimostra infine quanto egli fosse quotato nell'ambiente.
Indiscusse opere scopadee dovrebbero essere riconosciute nell’Eracle Lansdowne con la testa tipo «Genzano» e nella Menade di Dresda. Anche di tali figure, tuttavia, non abbiamo un'idea precisa dal momento che di ciascuna di esse resta un'unica replica: l’Eracle Hope è stato infatti considerato un'opera eclettica ed escluso dalla discussione circa il tipo statuario dell’Eracle Lansdowne, ed è venuta altresì a cadere l'opinione che una statuetta a Burgos (J. M. Luzon, in MM, XIX, 1978, p. 284, tav. lxviii) restituirebbe una copia della Menade.
Meglio noto da un gran numero di copie è il tipo statuario identificato come Pothos. Gruppi scultorei comprendenti la figura di Pothos e attribuiti a S. sono attestati a Samotracia e a Megara, ma non sappiamo quale dei due sia riprodotto nelle repliche romane; le forme corporee così femminee non sembrano a ogni modo obbedire ai concetti stilistici ricavabili dall' Eracle Lansdowne e dalle teste di Tegea. Per questo motivo, cui si possono aggiungere la bidimensionalità della statua e il suo impianto diagonale, si è datato il Pothos in età tardoellenistica e lo si è connesso con uno scultore omonimo attivo nel I sec. a.C. (Skopas Minor).
Altre opere di S. sono certo rintracciabili nel nostro patrimonio monumentale, ma dalle copie affiora ben poco delle peculiarità del maestro. Ciò vale sia per l’Afrodite Pàndemos, che ha lasciato echi soltanto nell'ambito delle arti minori e dei rilievi, sia per l’Apollo Palatino, la cui immagine appare sulla base di Sorrento e le cui repliche a tutto tondo restituiscono una figura convenzionale di citaredo panneggiato nel quale sarebbe ben difficile individuare analogie con la Menade o trovare elementi per assegnare il Pothos allo S. del IV secolo. Il monumentale frammento di testa rinvenuto durante gli scavi del Tempio di Apollo Palatino e considerato, pur con qualche reticenza, quale resto originale della statua di culto, infine, non è di grande aiuto a causa del suo cattivo stato di conservazione (H. G. Martin, in Kaiser Augustus und die verlorene Republik, cat., Berlino 1988, p. 262, n. 118).
Dal momento che le copie romane sembrano impedire ostinatamente un accostamento all'opera di S., si tenta, con dubbio successo, di scovare capolavori scopadei in frammenti originali. Ha suscitato enorme risonanza una testa marmorea al Getty Museum che oscilla tra quelle dei frontoni di Tegea e le repliche del volto del Pothos, suggerendo analogie di stile; la dipendenza più che casuale da una delle teste tegeati ne lascia però trasparire assai chiaramente la scarsità di forza interna, e permette di giudicare il pezzo come un falso (G. Hafner, in AW, XV, 2, 1984, pp. 27-32). Le differenze stilistiche inducono a dubitare dell'attribuzione alle sculture frontonali di una testa barbata di Eracle conservata nel museo di Tegea, mentre sembra più verosimile, nonostante alcune voci di dissenso, il tentativo di identificare un frammento della parte superiore di un corpo femminile, anch'esso nel museo di Tegea, quale resto della statua di culto di Igea, vista da Pausania nel tempio tegeate e attribuita, insieme a quella di Asclepio, alla mano di Skopas.
L'incertezza mostrata da Plinio nell'attribuire a Prassitele o a S. un gruppo di Niobidi nel Tempio di Apollo Sosiano a Roma sembrerebbe un indizio della pari qualità formale dei due artisti, ma la distruzione quasi completa della produzione scopadea non permette di verificare la fondatezza di tale giudizio. La situazione cambierebbe tuttavia di colpo se si potesse davvero assegnare a S. il famoso gruppo dei Niobidi conservato a Firenze: un'idea almeno dello stile di questo scultore avrebbe finalmente la possibilità di basarsi su un complesso di statue costituito da figure singole o raggruppate secondo articolati schemi di movimento. Non risulta in realtà difficile notare nei volti dei Niobidi tratti scopadei quali sono presenti nelle teste di Tegea, né si possono negare affinità con la c.d. Atalanta o con il Pothos, senza contare la possibilità di instaurare un confronto preciso con il citato frammento originale di busto femminile a Tegea. Sullo sfondo del gruppo dei Niobidi ritornerebbe di attualità anche il problema dell'eventuale assegnazione allo scultore del IV sec. del tiaso marino, che è stato ritenuto una creazione di Skopas Minor, così come i Niobidi sono stati considerati un'opera realizzata nella tarda età ellenistica. A questo punto è lecito chiedersi se nell'arte di S. non ci siano elementi che possano essere scambiati per classicistici. Sulla base di tali premesse sarebbe forse anche possibile riconoscere, dietro al gruppo di Asclepio e Igea noto da due copie romane finora giudicate classicistiche, le statue di culto di Gortina in Arcadia. Fino a quando mancheranno elementi concreti sull'arte di S. basati su opere a lui attribuibili con certezza non avranno alcun fondamento le attribuzioni prive di rapporto con le fonti letterarie, e in primo luogo quella del tipo celeberrimo del Meleagro. Altrettanto arbitrario sarebbe il tentativo di ordinare cronologicamente il poco materiale noto. In generale si può dire soltanto che finora non esistono motivazioni per datare una qualche opera già prima del 360 a.C.
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