Vedi Slovenia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Già regione storica dell’Impero austroungarico e, successivamente, parte del Regno di Iugoslavia, dal 1945 al 1991 la Slovenia è stata una repubblica socialista federata alla Iugoslavia del maresciallo Tito, da cui è divenuta indipendente nel giugno del 1991. Prima tra le repubbliche iugoslave ad aver dichiarato unilateralmente la propria indipendenza, la Slovenia è riuscita a portare a termine il distacco dalla federazione dopo un conflitto breve e di bassa intensità contro l’esercito federale, noto come la ‘Guerra dei dieci giorni’. In ogni caso è rimasta sostanzialmente al riparo dalla violenza della guerra civile che ha invece caratterizzato la secessione delle altre repubbliche balcaniche.
Fin dai primissimi anni dopo l’indipendenza, la Slovenia ha notevolmente ampliato la presenza a livello internazionale e nel 2004 è entrata a far parte delle principali organizzazioni multilaterali di matrice euro-atlantica, dalla Nato all’Unione Europea (Eu). Inoltre, nel primo semestre del 2008 ha assunto, prima tra i ‘nuovi’ membri europei, la presidenza di turno del consiglio dell’Eu.
A livello bilaterale la Slovenia mantiene relazioni amichevoli con i principali paesi europei, in particolare con Italia, Germania, Francia e Austria, che rappresentano anche i suoi maggiori partner commerciali. Solo con la vicina Croazia i rapporti sono stati altalenanti fin dall’indipendenza, soprattutto a causa della controversia sulla demarcazione del confine comune, delle rispettive acque territoriali (Baia di Pirano) e della difficile gestione (smaltimento dei rifiuti radioattivi) dell’impianto nucleare di Krško, situato sul territorio sloveno ma la cui proprietà è condivisa tra i due paesi. La disputa territoriale è stata alla base del veto posto dalla Slovenia, nel dicembre 2008, all’apertura di nuovi capitoli negoziali nel percorso verso l’ingresso della Croazia nell’Eu. Solo il raggiungimento nel 2009, a seguito di un arbitrato internazionale, di un accordo sulla demarcazione del confine ha indotto la Slovenia, dopo un voto parlamentare di ratifica e un referendum popolare, a ritirare il veto sull’avanzamento dei negoziati tra l’Unione Europea e la Croazia.
La Slovenia è una repubblica parlamentare nella quale vige un bicameralismo imperfetto. L’assemblea nazionale è la principale istituzione legislativa del paese: vi siedono 90 membri eletti negli 88 collegi in cui è suddiviso il territorio sloveno (gli altri due seggi sono riservati alla comunità italiana e a quella ungherese). Viceversa le prerogative del consiglio nazionale, la camera alta slovena, attengono alla presentazione di proposte legislative all’assemblea nazionale e alla possibilità di rigettare le leggi già vagliate da quest’ultima, sottoponendole a una seconda deliberazione. La sua composizione è peculiare, in quanto i suoi 40 membri sono espressione dei principali gruppi di interesse della nazione: da quelli territoriali ai rappresentanti di categorie come i datori di lavoro, i dipendenti, i contadini, i liberi professionisti e gli artigiani. Il capo di stato sloveno è il presidente della repubblica, che viene eletto ogni cinque anni con suffragio diretto e possiede alcune prerogative che ne fanno una figura istituzionale rilevante: oltre a rappresentare l’unità della nazione è capo delle forze armate, nomina gli ambasciatori e promulga trattati internazionali e leggi. Attualmente, il presidente è Borut Pahor, vincitore delle elezioni di dicembre 2012.
Gran parte del potere esecutivo è invece detenuto dal governo, che dipende dalla fiducia dell’assemblea nazionale. In seguito alla grave crisi economica nazionale, il premier uscente Janez Janša si è dimesso, lasciando il compito di formare un nuovo governo di coalizione ad Alenka Bratušek, leader del partito Slovenia positiva. L’estrema eterogeneità dei quattro partiti componenti la coalizione di governo, le tensioni al loro interno (dimissioni dei ministri delle finanze e della salute), nonché la grave stagnazione economica rendono altamente instabile e incerto il futuro del paese, ponendo così le condizioni per un ritorno anticipato alle urne.
La popolazione slovena si è stabilizzata da diversi anni intorno ai due milioni e, in linea con l’andamento europeo, sta progressivamente invecchiando. La popolazione è composta in massima parte da Sloveni (circa il 90% del totale), mentre le principali minoranze sono quella serba e quella croata, che insieme raggiungono il 5%. Altre minoranze più ridotte sono quella ungherese e quella italiana, quest’ultima geograficamente concentrata in Istria.
L’immigrazione, proveniente prevalentemente dalle vicine repubbliche dell’ex Iugoslavia, riesce tuttavia a bilanciare la tendenza del tasso demografico altrimenti in negativo. La diminuzione delle nascite si riflette anche nel calo delle iscrizioni registrate negli ultimi anni nella scuola primaria mentre, di converso, l’istruzione terziaria è in netta crescita: le immatricolazioni nelle università slovene sono più che raddoppiate dalla metà degli anni Novanta.
La Costituzione slovena tutela i diritti e le libertà civili e politiche e fin dall’indipendenza le elezioni sono state considerate libere e corrette. L’amministrazione, specie nel rapporto tra pubblico e privato, è inquinata da sacche di corruzione ancora diffuse, anche se a livelli più bassi rispetto agli altri paesi dell’Europa centro-orientale.
Comparata con i paesi dell’Europa centro-orientale e della penisola balcanica, l’economia slovena ha i livelli di PIL pro capite più elevati, a testimonianza di un rapido sviluppo, iniziato già nei primi anni di indipendenza. Il settore industriale conta per un terzo del totale del pil, mentre il contributo proveniente dal comparto primario è marginale. Il terziario è il settore più sviluppato e genera più il 65% del pil. La crescita di quest’ultimo settore ha tratto particolare vantaggio tanto dal progressivo processo di integrazione con le principali economie europee, quanto dalla posizione geografica di porta d’ingresso settentrionale della penisola balcanica: due ragioni che hanno dato un forte impulso al miglioramento del sistema di trasporto nazionale, tradottosi in un aumento delle entrate. Lo sviluppo delle infrastrutture e l’ammodernamento delle strutture del turismo hanno poi agevolato il decollo di quest’ultimo settore, oggi tra i più importanti.
Negli anni Novanta la modernizzazione dell’economia, che già partiva da un livello di relativo sviluppo (la Slovenia era la regione commercialmente più attiva dell’ex Iugoslavia), è stata intrapresa in maniera graduale, evitando così strategie e programmi di riforme drastici e repentini, come quelli che invece hanno caratterizzato, durante gli stessi anni, le politiche economiche di altri paesi dell’Europa centro-orientale.
Se la crescente partnership economica con l’Unione Europea – culminata con l’ingresso nell’eurozona nel 2007 – è stata un importante catalizzatore per la crescita dell’economia slovena, allo stesso tempo ha rappresentato la principale causa della brusca battuta d’arresto del pil nazionale, contrattosi dell’8% nel 2009 e nuovamente del 2,5% nel 2012. Le previsioni anche per il 2013 dovrebbero essere negative con un tasso di crescita che si aggirerà intorno al -2,6%. Nel corso degli ultimi dodici mesi l’Eu ha invitato Lubiana ad attuare quanto prima le riforme (privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, ai salari e alle pensioni) necessarie per avviare la ripresa e per scongiurare un nuovo bailout europeo – secondo gli analisti servirebbero 5 miliardi di euro – dopo quello di Cipro, dello scorso marzo. La difficile situazione economica del paese, unita alle accuse di finanziamento illecito delle proprie attività industriali, ha costretto alle dimissioni il ministro delle finanze Stanko Stepišnik sostituito con Uroš Čufer.
Le piccole dimensioni dell’economia slovena e il suo alto livello di apertura hanno diffuso un rapido contagio in seguito al rallentamento delle economie dei principali partner commerciali (Italia, Germania, Austria). Le prospettive per i prossimi anni sono di un debole ritorno alla crescita, strettamente collegato al più ampio contesto europeo.
La crisi finanziaria mondiale ha inoltre avuto ripercussioni anche sul livello di investimenti esteri in entrata, cresciuti ininterrottamente dai primi anni Novanta (salvo nel 2001) con una media intorno al 18% annuo e ora ridotti bruscamente.
La Slovenia dipende in maniera rilevante dalle importazioni energetiche: prime fra tutte petrolio e gas, che coprono circa la metà del fabbisogno energetico nazionale; il restante 50% della domanda è ripartito invece tra nucleare, rinnovabili e carbone.
L’esercito sloveno è stato istituito nel 1993 con la riorganizzazione della difesa territoriale slovena,
struttura militare formatasi nel 1991 dalla fusione tra la formazione paramilitare ‘Difesa territoriale’, che dal 1968 era stata istituita come forza di difesa complementare all’esercito federale iugoslavo, e la cosiddetta ‘Struttura di manovra per la protezione nazionale’, antica milizia simile a una guardia nazionale, anch’essa incaricata della salvaguardia del territorio sloveno, ma di natura segreta e quindi sotto il controllo di Lubiana.
Le forze armate slovene sono state sottoposte negli ultimi anni a una radicale modernizzazione, conclusa nel 2010 con la loro piena professionalizzazione. Nonostante le sue ridotte dimensioni in termini numerici, l’esercito sloveno è stato impiegato negli ultimi anni in diverse operazioni militari multinazionali della Nato e delle Nazioni Unite: dalla missione Isaf in Afghanistan a quella in Kosovo (Kfor). Truppe slovene sono state impegnate anche in Bosnia, Libano, Siria, Serbia e Montenegro. Proprio la volontà della Slovenia di partecipare alle missioni internazionali ha rappresentato lo stimolo principale alla riorganizzazione dell’esercito, trasformato da forza di difesa territoriale a forza mobile, con capacità di dislocamento nell’ambito di operazioni di peacekeeping. L’ingresso nella Nato, oltre a consolidare le garanzie di tutela dell’integrità territoriale, ha inoltre permesso alle forze armate slovene di partecipare a diverse esercitazioni congiunte con gli eserciti degli altri paesi membri, aumentando capacità e operatività, ma rendendo al contempo necessari nuovi investimenti per garantire una piena interoperabilità.
Maggio 1992: La Slovenia diventa membro delle Nazioni Unite.
Luglio 1995: Entra a far parte dell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO).
Giugno 1996: Presenta la domanda di adesione all’EU.
1996-2004: Fa parte dell’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale o CEFTA (Central European Free Trade Agreement), insieme ad Albania, Moldavia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria e a tutte le altre repubbliche della ex Iugoslavia.
1998-2000: Biennio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come membro non permanente.
Marzo 1998-dicembre 2002: Apertura e chiusura dei negoziati di adesione all’EU.
Aprile 2003: Ad Atene la Slovenia firma il trattato di adesione all’EU, approvato il mese prima tramite referendum dal popolo sloveno.
Marzo 2004: Insieme a Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia, la Slovenia completa il processo di adesione alla NATO: è il quinto e il più grande allargamento nella storia dell’Alleanza atlantica.
Maggio 2006: La Banca centrale europea e la Commissione europea propongono l’adesione della Slovenia all’eurozona a partire dal 2007.
Gennaio 2007: Adozione dell’euro.
Dicembre 2007: Adesione agli Accordi di Schengen.
Gennaio-giugno 2008: La Slovenia, primo fra i nuovi stati membri, ricopre la presidenza di turno dell’Unione Europea.