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SLOVENIA

di Giovanni MAVER - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)
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SLOVENIA (XXI, p. 959)

Giovanni MAVER

A seguito degli avvenimenti che, nella primavera 1941, portarono allo smembramento della Iugoslavia (v. in questa Appendice), la Slovenia fu oggetto degli accordi Ribbentrop-Ciano (Vienna, 20 aprile 1941) e divisa in due parti rispettivamente attribuite alla Germania e all'Italia, mentre piccole zone già ungheresi, del Medio-Mur e dell'Oltre-Mur, furono attribuite all'Ungheria.

La parte settentrionale, tra le sorgenti della Sava e Lubiana (Alta Carniola, ted. Oberkrain, sloveno Gorenjsko "paese alto"), più alpestre, ricca d'industrie e di miniere, fu annessa alla Germania (9620 kmq. e 775.000 ab.), che ripartì il territorio tra la Carinzia e la Stiria (denominando le nuove provincie Savekärnten e Untersteiermark), mentre la regione carniolina interna (ted. Innerkrain; sloveno Notranjsko) e meridionale (Unterkrain e Dolenjsko), con decreto legge del 3 maggio 1941 fu annessa all'Italia, come provincia di Lubiana, comprendente un territorio di 4545 kmq., con 337000 ab. (densità 74 per kmq.).

Il confine tra le due parti, del tutto artificiale, dalla frontiera italiana (pendici meridionali delle Giulie) a S. del passo di Ziri, correva verso oriente, tenendosi a 15 ÷ 20 km. dalla valle della Sava, mentre a oriente ed a mezzogiorno il confine era rimasto nelle linee generali quello del banato della Drava. Tre distretti del banato della Drava erano passati integralmente all'Italia (Kočevje, Novo Mesto e Černomelj), mentre degli altri quattro, ripartiti con la Germania, Longatico aveva perduto solo una piccola porzione di territorio, Lubiana era stata aggregata all'Italia per i tre quarti, Krško quasi per metà e Litija per un terzo. Era stato perciò necessario creare delle unità più omogenee, suddividendo la nuova provincia in 5 distretti: Longatico (kmq. 560), Kočevje (kmq. 1064) e Čeernomelj (kmq. 664), rimasti quasì invariati, mentre si era integrato il distretto di Lubiana (diminuito della parte passata alla Germania) con la porzione meridionale del distretto di Litija (kmq. 964), e quello di Novo Mesto con una porzione di quello di Krško (kmq. 1288). La provincia era ulteriormente suddivisa in 95 comuni. Il suo territorio era formato in prevalenza da colline e da ripiani carsici a idrografia superficiale incerta, alternati con fondi vallivi, e costituiva una regione eminentemente boschiva ed agricola. Pur essendo diventata una provincia italiana, era previsto per Lubiana un ordinamento particolare, che riconosceva il carattere sloveno delle popolazioni. I poteri non venivano esercitati in essa da un prefetto, ma da un alto commissario (avente sede a Lubiana, ab. 79.000), assistito da una consulta, nominata secondo i principî corporativi, dalla classe produttrice e lavorativa della popolazione slovena. Altre norme riguardavano il servizio militare, che non era obbligatorio, e l'insegnamento dello sloveno, che veniva impartito in tutte le scuole elementari. Era anche disposto che gli atti ufficiali venissero redatti in italiano e in sloveno.

I Tedeschi mostrarono subito di voler procedere ad una radicale germanizzazione della zona ad essi assegnata, riprendendo l'opera da essi già svolta in passato e che aveva subìto un arresto, anzi un regresso, negli ultimi tempi dell'impero asburgico e dopo lo sfacelo di esso. Facendo capo nei centri di Marburgo, Pettau, Cilli e Assling, dove avevano le loro centrali propagandistiche del cosiddetto Kulturbund, costituirono le due provincie della Stiria meridionale (sotto il Gauleiter Siegfried Ueberreiter) e della Carinzia meridionale (Gauleiter Friedrich Rainer, fatto processare poi e giustiziare da Tito nell'estate del 1947). Nella zona annessa all'Italia, primo alto commissario fu Emilio Grazioli, ex segretario federale di Trieste; in essa affluirono molti Sloveni della zona tedesca, attratti dalla relativa autonomia linguistica e amministrativa concessa. Ciò nonostante, l'opinione pubblica si mostrò notevolmente disorientata; il popolo, cattolico e legato al tradizionale partito popolare di mons. Korošec, seguì le direttive del vescovo di Lubiana Rozman (salvatosi dopo il crollo presso il vescovo di Klagenfurt), che si adattò a collaborare con le autorità fasciste. Per sua influenza, i preti dei villaggi diedero grande impulso alla "milizia di difesa anticomunista" detta belogard. Nella parte tedesca il gen. iugoslavo Rupnik (processato e giustiziato da Tito nel 1947), creò in collaborazione coi Tedeschi la milizia dei cosiddetti domobranci.

L'entrata in guerra dell'URSS (giugno 1941) rese più saldi i primi accenni di resistenza, organizzata da prima, timidamente, dai comunisti coi malcontenti, i perseguitati, e i resti dei 16 partiti locali. Si formò il "fronte di liberazione" che incitò alla rivolta generale e sostenne, nel luglio 1941, i primi scontri con Italiani e Tedeschi. E poiché non tutti gli Sloveni rispondevano all'appello, anzi facevano opera più o meno aperta di collaborazione con gli occupanti, decine di migliaia di Sloveni cattolici finirono nelle "foibe" del Carso, trucidati dai loro connazionali. Poi la lotta di resisteuza si organizzò militarmente con una sequela d'imboscate, rappresaglie, ecc.

Da Lubiana, sede del comando della 2ª armata italiana (tenuto successivamente dai gen. V. Ambrosio, M. Roatta, M. Robotti e T. Orlando), partivano le direttive militari e politiche poi estese, con la cosiddetta "Supersloda" fino al Montenegro. Ma esse non valsero a domare la resistenza e nemmeno ad aumentare il numero dei simpatizzanti, i quali, al momento dell'armistizio italiano (8 settembre 1943) si trovarono esposti senza difesa in un paese travolto dal caos. I Tedeschi presero il luogo degli Italiani, ma con la loro maniera dura e pesante portarono alla fuga di vasti strati della popolazione, che finì col vedere nel movimento di resistenza l'unica via a un qualunque ritorno all'ordine. Tito trovò, allora e poi, fra la gente seria e laboriosa degli Sloveni i suoi migliori collaboratori (Kardelj, legislatore; Boria Kidrić, esecutore del piano economico quinquennale; Alessandro Bebler, ministro degli Esteri; Miha Marinko, presidente della Repubblica federale popolare di Slovenia) e riuscì in breve tempo a raccogliere intorno a sé tutte le forze, comuniste e nazionali (i collaborazionisti fuggirono parte in Austria, parte in Italia) e a dare dopo le vittorie militari (maggio 1945) anche alla Slovenia organizzazione federale.

Il 30 novembre 1946 la Costituente slovena (primo avvenimento del genere nella modesta storia del popolo sloveno) ha approvato lo statuto compilato sul tipo di quello delle altre 6 repubbliche federali iugoslave. La Repubblica federale popolare slovena, che abbraccia tutti i territorî abitati da Sloveni, ha ricuperato le sue regioni della Mur, riprese all'Ungheria, e rivendica rumorosamente la Carinzia slovena (con Klagenfurt e Villaco) che nel 1920 aveva preferito, con un plebiscito, restare unita all'Austria cattolica piuttosto che essere incorporata alla Iugoslavia ortodossa, e le poche terre abitate da Sloveni entro i confini d'Italia ad occidente dell'Isonzo (comprese le valli del Natisone e della Resia, fino al Tagliamento). La repubblica misura in tutto 16.229 kmq., ed ha poco più d'un milione di ab.; confina con l'Austria, l'Ungheria, la repubblica croata e l'Italia. La linea ferroviaria Lubiana-S. Pietro del Carso-Abbazia-Fiume corre ora tutta in territorio iugoslavo e facilita i rapporti di Lubiana col mare, in modo da favorire lo sviluppo industriale del capoluogo della Slovenia.

Marburgo, dopo la rioccupazione iugoslava, ha visto completamente mutata la sua configurazione etnica con la quasi completa eliminazione dell'elemento tedesco e sta diventando un centro industriale notevole, che si avvantaggerà di una grande centrale idroelettrica che sfrutterà le acque della Drava e fornirà l'energia elettrica a tutta la parte occidentale della Slovenia, per le ferrovie e per nuove imprese industriali.

Letteratura.

Il ritmo ascensionale della cultura letteraria slovena diventa, negli ultimi anni prima della seconda Guerra mondiale, ancora più sensibile. Il numero degli scrittori è in continuo aumento e alla pubblicazione delle loro opere provvede un'attrezzatura editoriale che in rapporto all'esiguo numero degli Sloveni può considerarsi perfetta. Cresce il numero delle traduzioni; l'orizzonte letterario si fa più ampio, il processo di sprovincializzazione della cultura slovena più rapido, mentre diminuisce sempre più il prestigio della cultura tedesca come principale intermediaria tra gli Sloveni e l'estero.

Persiste invece ancora l'antagonismo tra posizioni culturali tradizionali, cattoliche e assunti liberali, laicisti, antitradizionali. Ma in esso non si esaurisce più il movimento culturale degli Sloveni: le evasioni sono molte, e dovute soprattutto ad un maggiore e più immediato impegno artistico. Lo si avverte tanto nella poesia che, specie nell'opera di Anton Vodnik (Skozi vrtove, Attraverso gli orti, 1941), mira sempre più ad un'espressione essenziale, senza le divagazioni discorsive e gli accenti sentimentali cari ai precursori, quanto nella narrativa, dove la materia attinta ad ambienti regionali supera la contingenza per mezzo di un naturalismo robusto, scarnificato, denso di umanità. Così nei numerosi romanzi di Meško Kranjec (nato nel 1908), che trattano talvolta con eccessivo lirismo della vita dei proletarî, e soprattutto nell'arte vigorosa di Prežihov Voranc (pseudonimo di Lovrenc Kuhar) i cui racconti (Samorastniki, I senza padre) sulla dura sorte dei montanari della Carinzia meridionale contengono, nella loro crudezza, alcune fra le più riuscite pagine della narrativa slovena. Nel dramma, che resta pur sempre la cenerentola della letteratura slovena, va segnalata la rievocazione della famosa insurrezione dei contadini capitanati da Matija Gubec (1573) dovuta a Bratko Kreft (Velika Puntarija, La grande ribellione, 1937), che si è distinto anche come regista.

L'occupazione del territorio sloveno, avvenuta nell'aprile del 1941, ha avuto per conseguenza un'interruzione completa di qualsiasi attività culturale nella zona annessa dalla Germania e un ristagno in quella sottoposta alla sovranità italiana. Unico centro, Lubiana, che raccoglie intorno alla rivista Dom in Svet i pochi letterati superstiti. Da segnalare, fra questi, A. Gradnik che nel 1942 pubblica una nuova raccolta di versi (Pesmi o Maji, Canti su Maia). Abbastanza numerosi i narratori la cui opera risente però, nella scelta degli argomenti (storici, folkloristici), delle difficoltà del momento. Dopo il settembre del 1943 la situazione peggiora, anche a Lubiana, mentre sempre più attiva diventa, anche nell'ambito letterario, la zona occupata dai partigiani.

Poiché non sono molti, né di particolare valore, i letterati emigrati, la ripresa dell'attività, a guerra finita, non riesce difficile. Lo stesso nestore della poesia slovena O. Zupančič pubblica nel 1945 una nuova raccolta di versi (Zimzelen pod snegom, La pervinca sotto la neve). Anton Vodnik è di nuovo sulla breccia. Sono però le poesie dei partigiani (Vladimir Pavšič, Karel Destovnik, ecc.) che dànno l'impronta alla nuova letteratura. Nel racconto si riaffermano quelli che erano emersi già prima della guerra, primo fra tutti Prežihov Voranc, il cui talento appare ancora più maturato sia nel romanzo (Jammica, 1945, ma scritto nel 1941) sia nelle novelle (Naši mejniki, I nostri cippi di frontiera). Alla vita dei partigiani ci riportano fra l'altro, i bozzetti di Karel Grabeljšek, Za svobodo in kruh (Per la libertà e per il pane) e parecchi drammi (Raztrganci, Straccioni, di Matej Bor; Roistvo z nevihti, Nascita dalla tempesta, di Vitomil Župan; Velika preizkušnja, Il grande esame, di Mira Puc, ecc.) che sembrano preannunciare un fecondo interesse per il genere drammatico.

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