Smultronstället
(Svezia 1957, Il posto delle fragole, bianco e nero, 91m); regia: Ingmar Bergman; produzione: Svensk Filmindustri; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; scenografia: Gittan Gustafsson; costumi: Millie Ström; musica: Erik Nordgren, Göte Lovén.
Il batteriologo Isak Borg, che si definisce 'pedante e cocciuto', racconta di avere settantotto anni. Ha un figlio sposato, Evald, e una vecchia madre ancora viva, mentre la moglie, cui lo ha legato un matrimonio felice, è morta. Deve partire per Lund, dove festeggia il giubileo professionale. Durante la notte sogna di camminare in una strada: gli orologi non hanno lancette, un uomo senza volto si accascia a terra, un carro funebre si schianta contro un lampione, ne cade una bara e si apre: una mano afferra Isak, che riconosce nel morto sé stesso. L'indomani Marianne, sua nuora, si offre di accompagnarlo in automobile. Durante il viaggio la donna lo rimprovera di essere egoista e avaro con il figlio. Si fermano nella casa dove Isak ha vissuto vent'anni e l'uomo, preso dai ricordi, rivede l'amata cugina Sara mentre coglie le fragole in compagnia di Sigfrid, suo futuro marito, che a tradimento la bacia. Isak è svegliato da una ragazza, anch'essa di nome Sara, che insieme a due amici gli chiede un passaggio. Ripreso il cammino, la nuova compagnia raccoglie anche una coppia di coniugi; ma presto Marianne, irritata dai loro litigi, li invita a scendere. A pranzo i ragazzi hanno una discussione accesa sull'esistenza di Dio. Isak fa visita alla madre, quindi, ripreso il viaggio, ha un nuovo incubo nel quale Sara lo invita a guardarsi allo specchio, annunciando la sua morte imminente. Nel sogno, il professore si ritrova in un'aula dell'università, dove non riesce a sostenere l'esame da medico: l'esaminatore gli spiega che il primo dovere di un dottore è chiedere perdono, e lo taccia d'indifferenza e incomprensione, destinandogli la pena della solitudine. Al risveglio Isak confessa a Marianne di sentirsi "come un morto pur essendo vivo". La donna, allora, gli parla della crisi che la sta allontanando dal marito: Evald non vuole il bambino che lei porta in grembo. Arrivati a Lund, ha luogo la cerimonia. La sera il professore parla con inusitata gentilezza alla governante e chiama Evald per tentare una riconciliazione tra lui e Marianne. Prima di coricarsi, torna ancora una volta ai luoghi dell'adolescenza e chiude gli occhi, sul posto delle fragole, sull'immagine solare dei genitori che lo aspettano.
Smultronstället è il film di Ingmar Bergman che ha riscosso in assoluto più successo: osannato dalla critica, adorato dal pubblico, vinse nel 1958 l'Orso d'oro al Festival di Berlino e il Premio Speciale della Critica a Venezia. Tornano, nel viaggio del professor Borg, i temi ricorrenti dell'autore: la morte, la maschera, l'inferno coniugale e la fede (quest'ultimo in una visione più 'risolta', soprattutto se lo si confronta con il simbolico Det sjunde inseglet ‒ Il settimo sigillo, 1957, anch'esso sulla tematica del viaggio interiore). La struttura del film ha un'impronta 'classica', e al termine del viaggio il processo di trasformazione del protagonista risulta compiuto: il vecchio Isak è infine redento grazie ai segni chiari che gli offre il suo inconscio, e salvato dal baratro della solitudine e della freddezza nella quale ha vissuto l'intera esistenza. Gli anni 'delle fragole' sono quelli ai quali Isak torna, proustianamente, perché gli unici segnati e contraddistinti dalla freschezza e dalla passione della giovinezza, che il tempo ha poi indurito nelle emozioni inespresse e contenute alle quali il professore è stato educato e che ha impartito rigidissime al figlio Evald. Nell'autobiografia Bergman racconta di aver voluto inizialmente ispirarsi, per la figura del professore, al proprio padre per scoprire poi con il passare degli anni che in realtà si trattava di un suo personale ritratto.
In un film, dunque, profondamente personale e già testamentario, i sogni del professor Borg sono un'enciclopedia di simboli: le lancette dell'orologio non scandiscono più emozioni da tempo inaridite, il tempo stesso non c'è più perché si è prossimi alla morte. Isak ha voltato lo sguardo ed è reo di non essersi saputo vedere nello specchio della vita, assieme al 'mondo di marionette' che hanno popolato il suo universo. Nel secondo sogno la cugina Sara, curva su una culla, sussurra al bambino che dorme: "Non devi aver paura del letto, dei gabbiani, delle onde del mare. Non temere, tra poco sarà giorno". Le parole di Sara sono rivolte all'uomo bergmaniano, sempre in bilico sulla soglia del terrore, tra il vivere da vivi e quel vivere da morti nel quale tanto Isak Borg quanto il figlio (incapace di accettare una vita che nasce) si sentono immersi. La pena di Isak per la sua indifferenza, per il suo tenere a distanza la vita, è stata la solitudine, e alle soglie della morte il professore si accorge di averla scontata fino in fondo. L'equilibrio che il regista costruisce tra realtà e sogno, tra il ricordo e il presente, è di perfezione matematica: Bergman trascina lo spettatore nell'animo del professore e nella luce del suo passato, un passato nel quale Isak non ritrova mai un se stesso giovane, come in un classico flashback, ma al quale ritorna con il suo corpo e il suo sguardo di vecchio. La straordinaria fotografia di Gunnar Fischer sottolinea la dimensione del sogno, grazie a una voluta rarefazione. Quanto al grande conflitto religioso, altro caposaldo della poetica di Bergman, sono i due amici della giovane Sara (fin troppo chiaro alter ego della cugina amata e perduta nel 'posto delle fragole', interpretata dalla stessa luminosa Bibi Andersson) a lanciarsi nell'energico dibattito teologico, mentre Marianne e il professore si incontrano qui su un identico terreno solido e certo, e recitano insieme le parole "La sua presenza è indubbia e io la sento in ogni fiore e in ogni spiga…". La grande forza del film risiede anche nel volto magniloquente, austero e docile dell'indimenticabile regista e attore svedese Victor Sjöström, "vecchio leone stanco" al quale Bergman dedicò il film. All'epoca Sjöström aveva settantotto anni, la stessa età di Isak; morì il 4 gennaio del 1960, tre anni dopo l'uscita del film.
Interpreti e personaggi: Victor Sjöström (Isak Borg), Ingrid Thulin (Marianne), Gunnar Björnstrand (Evald), Bibi Andersson (Sara), Lena Bergman (Kristina), Björn Bjelfvenstam (Viktor), Gunnel Broström (Berit Alman), Monica Ehrling (Birgitta), Åke Fridell (amante di Karin), Gertrud Fridh (Karin, moglie di Isak), Maud Hansson (Angelica), Jullan Kindhal (Agda), Gunnel Lindblom (Charlotta), Göran Lundquist (Benjamin), Yngve Nordwall (zio Aron), Eva Norée (Anna), Gio Petré (Sigbritt), Vendela Rudback (Elisabeth), Sif Ruud (zia Olga), Gunnar Sjöberg (Sten Alman), Per Sjöstrand (Sigfrid), Per Skogsberg (Hagbart), Folke Sundqvist (Anders), Max von Sydow (Henrik Åkerman), Naima Wifstrand (madre di Isak).
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Sceneggiatura: in I. Bergman, Quattro film, Torino 1961; in "L'avant-scène du cinéma", n. 331-332, juillet-août 1984.