SOCIALDEMOCRAZIA
. Nome assunto in Germania dal partito socialista tedesco al suo nascere, generalizzatosi poi a tutti i partiti socialisti di altri paesi, che si sono formati sul modello di quello, dopo il dissolvimento dell'Associazione internazionale dei lavoratori (v. internazionale). La socialdemocrazia tedesca nacque al congresso operaio di Lipsia (1863), con l'accettazione del programma di F. Lassalle (v.): la classe operaia si distaccava dal partito progressista e da tutta la classe borghese, affermando la necessità di una propria azione politica autonoma, fondata sull'idea sua propria della solidarietà umana, e tendente alla conquista dello stato col suffragio universale. "Trasformare lo stato per giungere così a modificare anche le condizioni sociali", ossia a sostituire al salariato la produzione cooperativa con l'aiuto dello stato: ecco il fine che le due frazioni (lassalliana e eisenachiana), distintesi dapprima nella socialdemocrazia tedesca, propugnano del pari e riaffermano all'atto della loro fusione nel programma di Gotha (1875). Sorgendo in paesi dove il movimento sindacale era ancora arretrato e ostacolato, la socialdemocrazia doveva concepire l'azione politica quale leva anche per ogni azione economica; e preoccuparsi quindi della partecipazione alla vita dello stato, e assumere così dappertutto un carattere nazionale, pur con spirito d'internazionalismo. Alle critiche dell'Internazionale Bebel rispondeva: "È indispensabile l'organizzazione nazionale, senza cui l'internazionale non sarebbe che un'ombra".
La socialdemocrazia è nata così quale partito politico, partecipe della vita delle singole nazioni, operante sul terreno legale per la trasformazione dello stato e della società: e tale si mantiene anche quando il crescente influsso marxistico sostituisce al programma di Gotha quello di Erfurt (1891), divenuto ben presto comune alle socialdemocrazie degli altri paesi. Il partito afferma la lotta di classe quale fatto reale e quale mezzo per l'emancipazione del proletariato; ma non è costituito, come i sindacati, sulla base dell'appartenenza alla classe, bensì su quella dell'adesione individuale al socialismo. Tuttavia suppone che di regola tale adesione sia promossa dalla coscienza di classe; e, pur distinguendosi dall'organizzazione sindacale, ritiene questa suo necessario complemento e le vuol conquistare con l'azione politica le indispensabili condizioni di libertà e l'attuazione dei suoi postulati nella legislazione sociale. "Un movimento operaio puramente sindacale (dichiara Liebknecht nel 1893) non può condurre al fine. Un movimento operaio puramente politico non può condurre al fine. Le due forme di organizzazione sono indispensabili l'una all'altra".
Ma senza dubbio il partito politico si assume la funzione direttiva del movimento proletario, per guidarlo all'attuazione delle finalità socialistiche. E da questa sua funzione preminente e dal trasferimento dell'azione sul terreno legale della lotta politica nascono le scissioni di tendenze, via via insorgenti a costituire il travaglio interiore del partito. L'adozione del metodo legalitario per progressive conquiste graduali (propugnato anche da F. Engels dopo il 1880) significava allontanamento da ogni programma di azione violenta e di rivoluzione prossima: quindi scissione dagli anarchici, partecipazione alla lotta parlamentare, svolgimento di una azione riformistica, che si concreta anche in un programma minimo o immediato, da sviluppare via via nella direzione del programma massimo. Con ciò la visione catastrofica di un immiserimento crescente del proletariato, che debba fatalmente sboccare in una rivoluzione violenta, è sostituita da uno sforzo di conquista continua e di ascensione progressiva materiale e morale delle classi lavoratrici, con sviluppo delle loro istituzioni proprie, in cui si prepari la loro coscienza e maturità alla futura gestione sociale.
A questa prassi riformistica intorno al 1900 il revisionismo di E. Bernstein chiede che si conformi anche la dottrina: il socialismo si deve concepire come processo di sviluppo della democrazia, sempre più impregnantesi di esigenze e forme operaie, col fine della progressiva elevazione materiale e morale delle classi lavoratrici. Il revisionismo per altro viene con ciò a dare maggior rilievo all'azione autonoma di queste classi, che a quella del partito: onde tende a spostare da questo a quelle il centro del movimento. E questa concezione, suggerita dalla prassi delle Trade Unions, viene poi accentuata, contro la socialdemocrazia, dal sindacalismo. Mentre la socialdemocrazia è scissa dai contrasti di tendenze fra riformisti e rivoluzionarî, complicati dalle dispute sulla partecipazione di socialisti a governi borghesi e sulla compatibilità fra collaborazione e lotta di classe, il sindacalismo sferra contro di essa il suo assalto, opponendo i sindacati al partito, la violenza alle riforme, il mito dello sciopero generale alla conquista dello stato.
L'atmosfera internazionale intanto si fa carica di minacce di guerra, cui la socialdemocrazia invano oppone la propaganda antimilitaristica e le manifestazioni d'internazionalismo del 1° maggio. La guerra mondiale, la rivoluzione russa, l'agitato dopoguerra segnano una serie di dure prove per la socialdemocrazia: che si riprende poi dove aveva potuto opporre più efficace resistenza al bolscevismo, ma vien disciolta altrove (Italia, Austria, Germania) dalla vittoria di correnti nazionali, affermanti l'unità della nazione contro la lotta di classe e l'autorità dello stato contro la democrazia.
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