Socialismo
sommario: 1. I limiti dello Stato sociale e la critica neoconservatrice: nuove sfide per il socialismo democratico. 2. Socialismo e ‛nuovi movimenti sociali'. 3. Obiettivi a lungo termine: una società fondata sulla solidarietà e sulla crescita culturale. □ Bibliografia.
1. I limiti dello Stato sociale e la critica neoconservatrice: nuove sfide per il socialismo democratico
Dopo il ‛periodo di ricostruzione', iniziato con la fine della seconda guerra mondiale, la crisi petrolifera del 1973 ha provocato nei paesi industrializzati una grave recessione che ha fatto seguito a un periodo di prosperità senza precedenti. La temporanea ripresa successiva e l'attuale congiuntura favorevole (1986) non sono riuscite però a ridurre in molti paesi la disoccupazione di massa (più di 3 milioni di disoccupati in Inghilterra, più di 2 milioni nella Repubblica Federale). L'indebolimento dei sindacati e dei partiti operai, dovuto alla crisi economica, è stato sfruttato in modo relativamente efficace dai politici e dagli ideologi neoconservatori, per lanciare un attacco generalizzato allo Stato del benessere.
Gli strumenti tradizionali della politica congiunturale, usati per migliorare, mediante l'aumento della spesa pubblica, la situazione occupazionale e indirettamente, quindi, per stimolare la domanda, si sono rivelati in parte inefficaci e sono stati - sotto la pressione di un'ideologia economica conservatrice - abbandonati o usati in maniera più limitata persino dagli stessi governi socialdemocratici (in particolare negli ultimi anni del governo Schmidt nella Repubblica Federale di Germania e con il governo Fabius in Francia). Negli Stati Uniti e in Inghilterra è stata attuata una politica economica e sociale neoconservatrice; questa politica mirava a stimolare l'attività economica diminuendo i salari reali e la spesa per i servizi sociali, da un lato, e riducendo, dall'altro, le tasse per i ceti più abbienti.
Con la restrizione dei servizi sociali si è cercato di spingere i lavoratori a offrire la loro forza lavoro in cambio di salari più bassi, nella convinzione che questa offerta di forza lavoro a più buon mercato avrebbe portato a una diminuzione della disoccupazione. Questo tipo di approccio - almeno a prima vista - si è rivelato efficace negli Stati Uniti, anche se, a un'analisi più attenta, si deve però constatare che la ripresa economica e la creazione di posti di lavoro che si sono verificate sono dovute a un deficit spending (per spese di armamento) storicamente senza precedenti e sono collegate a una sensibile riduzione della produttività del lavoro pro capite. Questi due elementi non si adattano alla situazione in cui si trovano gli Stati industrializzati dell'Europa, dove persino i difensori del sistema del libero mercato, naturalmente i meno ortodossi, dubitano dell'efficacia, nel lungo periodo, della via neoconservatrice americana.
Se malgrado tutto questo il neoconservatorismo è riuscito in Europa ad attirare anche molti lavoratori salariati, ciò è dovuto al fatto che la sua critica demagogica e ‛populista' della burocrazia e della conseguente deresponsabilizzazione del cittadino, costretto ormai a vivere di assistenza sociale, è caduta su un terreno assai fertile. Stravolgendo la realtà storica, il neoconservatorismo individua nei socialisti democratici e nei sostenitori dello Stato del benessere i ‛colpevoli' della situazione attuale. Ideologi conservatori come Helmut Schelsky riconducono l'esistenza dello Stato del benessere al ‛bisogno di dominio' di molti intellettuali che cercherebbero in questo modo di rendersi indispensabili. In realtà, lo Stato del benessere è solamente un mezzo con cui compensare le sofferenze che il sistema economico del capitalismo industriale impone a singoli individui e a interi gruppi sociali.
Anche se la critica dei neoconservatori allo Stato del benessere è infondata, l'attuale situazione è tuttavia fonte di nuove sfide per i socialisti democratici. La Bozza di Irsee per un nuovo programma della SPD (v. Irseer Entwurf.., 1986) contiene proposte concrete in grado di rispondere a queste sfide. La richiesta più importante è quella di una ‟profonda riforma di struttura" del sistema fiscale, con una riduzione delle agevolazioni fiscali e un finanziamento degli oneri sociali non più esclusivamente a carico delle imprese secondo il numero e il livello di remunerazione dei lavoratori e degli impiegati. La Bozza attribuisce un ruolo quasi altrettanto importante al potenziamento della ‟politica sociale preventiva", che non dovrebbe più solamente correggere a posteriori le conseguenze sociali dello sviluppo economico. Nel programma, infine, si prende posizione a favore di maggiori incentivi per chi fornisce privatamente servizi sociali e per forme di decentramento dei servizi organizzati su base cooperativistica (ibid., pp. 88-89).
Anche alcuni neoconservatori sostengono il decentramento nei settori più diversi, ma il loro scopo è prevalentemente quello di indebolire i sindacati e i partiti socialisti, che rappresentano l'interesse dei lavoratori salariati nel loro insieme. Il metodo preferito dei neoconservatori per attuare questo tipo di decentramento consiste nell'utilizzazione delle moderne tecnologie elettroniche allo scopo di dislocare le mansioni lavorative nelle abitazioni degli operai e degli impiegati. Isolati dai loro colleghi e quindi potenzialmente incapaci di solidarizzare con altri, questi lavoratori e lavoratrici sono più facili da controllare. Per questa ragione i sindacati sono assai diffidenti nei confronti di questo tipo di decentramento del lavoro, anche se non escludono però forme di organizzazione decentrata o privata dei servizi sociali da parte di piccole cooperative autonome.
In futuro dovrebbe crescere anche l'importanza della lotta per la riduzione dell'orario di lavoro. In primo luogo si tratterà di una diminuzione del tempo di lavoro medio settimanale, perché ciò consentirebbe immediatamente di aumentare il numero degli occupati. La battaglia del 1984 tra il sindacato tedesco dei metalmeccanici e il governo cristiano-liberale, per arrivare progressivamente alla settimana di 35 ore, fu condotta con un accanimento e una durezza insoliti per quel paese. Un osservatore esterno poteva avere l'impressione che, nonostante le prese di posizione ufficiali, l'élite dell'economia tedesca fosse convinta della fondatezza di una delle teorie più diffuse nel periodo del capitalismo nascente, e già criticata da Marx, per cui solamente durante le ultime ore della giornata lavorativa sarebbe possibile per i capitalisti conseguire un profitto adeguato. Friedrich Engels, nel suo articolo su Il capitale, del 1868, ha così descritto la disputa sulla riduzione della giornata lavorativa in Inghilterra: ‟Il capitalista ha interesse che la giornata lavorativa sia più lunga possibile. Più la giornata lavorativa è lunga, più alto è il plusvalore prodotto. L'operaio ha giustamente la sensazione di venire privato in maniera illegittima di ogni ora di lavoro impiegata oltre il tempo che corrisponde al suo salario; sulla propria pelle egli può così provare cosa significhi lavorare troppo a lungo. Il capitalista lotta per il suo profitto, l'operaio per la propria salute, per qualche ora di riposo giornaliero, per non dover solamente lavorare, dormire e mangiare, ma potersi inoltre anche realizzare come uomo. Detto incidentalmente, il fatto che i singoli capitalisti intendano o meno impegnarsi in questa lotta, non dipende dalla loro buona volontà. La concorrenza, infatti, costringe anche i filantropi meglio intenzionati ad adeguarsi agli altri capitalisti e ad attenersi a orari di lavoro lunghi.
La lotta per determinare la durata della giornata di lavoro è in atto fin da quando è apparsa storicamente la figura dell'operaio libero e si protrae fino ai nostri giorni" (cfr. Das Kapital, Berlin 1955, p. 821).
Non solo la lotta per la limitazione legale o concordata della giornata lavorativa si svolge fin dall'inizio dell'epoca capitalista, ma questa lotta viene portata avanti ancora oggi servendosi sempre degli stessi mezzi o, almeno, di mezzi pressoché uguali. Fin dagli inizi gli imprenditori inglesi hanno tentato - e non senza successo - di impedire la realizzazione della ‛legge delle 10 ore' riducendo i salari fino al 25% e ponendo gli operai - in un periodo di disoccupazione cronica - di fronte all'alternativa di diventare disoccupati o di accettare una giornata di lavoro più lunga. Il rapporto tra tempo di lavoro (e lavoro straordinario), da un lato, e disoccupazione dall'altro è dunque bidirezionale: una notevole riduzione del tempo di lavoro rende necessario l'impiego di forza lavoro supplementare e diminuisce perciò la disoccupazione, mentre un alto numero di disoccupati, indebolendo i sindacati, rende più difficile la lotta degli operai per una riduzione del tempo di lavoro.
La controversia sulla ‛settimana di 35 ore', terminata con un compromesso (una settimana lavorativa di 38,5 ore), ha comunque - secondo stime prudenti - portato alla creazione, nella Repubblica Federale, di un numero di nuovi posti di lavoro oscillante tra le 150 e le 200.000 unità. Il governo cristiano-liberale, che si era decisamente impegnato contro ogni riduzione del tempo di lavoro, ha in seguito cercato di attribuirsi il merito per la creazione di questi nuovi posti di lavoro.
In alcuni paesi europei (soprattutto in Francia, nel Regno Unito e nella Repubblica Federale di Germania) la posizione dei lavoratori in questi anni è risultata più debole per il fatto che una parte notevole degli occupati era formata da stranieri senza diritto di voto (in Inghilterra si tratta, per giunta, di persone appartenenti a paesi del Commonwealth e, quindi, per la maggior parte, di gente di colore). Questi lavoratori stranieri svolgono normalmente lavori mal remunerati e sgradevoli, e tra loro vi è un tasso di disoccupazione mediamente più alto che tra gli altri lavoratori.
I socialisti si impegnano, in linea generale, per ottenere l'eguaglianza politica e sociale per questi lavoratori, quando essi hanno l'intenzione di stabilirsi in maniera permanente nel paese dove lavorano. Nei Paesi Bassi i lavoratori stranieri, dopo aver vissuto per un certo periodo nel paese, possono votare per le elezioni comunali; anche la Bozza di Irsee prevede di conferire il diritto di voto per i consigli comunali agli stranieri con residenza permanente. I sindacati sono impegnati da sempre affinché i lavoratori stranieri siano remunerati allo stesso modo degli altri. Lo sfruttamento supplementare degli immigrati clandestini da parte degli intermediari fa parte degli abusi non seriamente combattuti dai conservatori, contro i quali i socialisti devono promuovere energiche misure. Inoltre i pregiudizi razziali contro i lavoratori stranieri, diffusi nei periodi di recessione anche tra una parte dei lavoratori, vengono sfruttati da demagoghi conservatori e da estremisti di destra allo scopo di diminuire la solidarietà e accrescere la frammentazione tra i lavoratori salariati.
Se si vuole realizzare il diritto al lavoro, che già oggi si trova iscritto in alcuni ordinamenti costituzionali, occorre non solo realizzare una riduzione del tempo di lavoro parallela all'aumento della produttività, ma creare anche le condizioni per il ‛lavoro per se stessi'. Con questa espressione s'intende quel tipo di attività produttiva finalizzata esclusivamente alla soddisfazione dei propri bisogni e non alla produzione di beni da vendere sul mercato. Il ‛valore' di questo tipo di lavoro non viene misurato secondo i criteri della ‛creazione di valore', ma dipende dall'efficacia con cui queste attività riescono a soddisfare i bisogni di chi le esegue (v. Irseer Entwurf.., 1986, p. 83). I partiti socialisti non si spingono così avanti quanto André Gorz in un suo recente libro (v. Gorz, 1983), nel quale dipinge una società del futuro che metterà tutti in condizione di scegliere il periodo in cui lavorare in uno dei settori tradizionali dell'economia, a patto però che vi si lavori complessivamente per un arco di tempo prestabilito. Questo lavoro in un settore tradizionale dell'economia continuerà a essere - secondo Gorz - alienante e insoddisfacente, ma una sua ulteriore riduzione e la possibilità di svolgerlo secondo decisioni individuali prese liberamente consentirebbero a tutti di lavorare parallelamente e successivamente nel ‟settore non convenzionale" dell'economia, dove la legge del valore non vale e dove le forme di lavoro sono tali da garantire al lavoratore la maggiore soddisfazione possibile.
Idee simili sono state sviluppate dallo scienziato e filosofo Klaus Michael Meyer-Abich e dall'economista Bertram Schefold. Anche questi autori si occupano del problema di un lavoro per tutti e della creazione di forme di lavoro soddisfacenti e non alienanti. Una conclusione cui essi arrivano è che, una volta creata questa ‟economia a due settori", per reperire lavoratori qualificati anche le imprese industriali del settore tradizionale sarebbero costrette a preoccuparsi della creazione di posti di lavoro più gratificanti. Per reclutare i lavoratori sul mercato il criterio della qualità del posto di lavoro potrebbe sostituirsi al criterio basato sui livelli di remunerazione (v. Meyer-Abich e Schefold, 1981).
In futuro quindi il tempo di lavoro sarà sempre più ridotto, ma già oggi le diverse attività hanno subito mutamenti notevoli di cui il socialismo democratico non può non occuparsi. Le vecchie qualifiche invecchiano sempre più velocemente a causa dei rapidi cambiamenti tecnologici; il lavoro industriale viene sempre di più sostituito da attività terziarie, e anche la natura di queste ultime cambia a causa, per esempio, dell'introduzione dell'informatica. Tutto questo non è senza conseguenze per quanto riguarda i caratteri di un tipo di lavoro qualificato, non alienante e in grado di evitare la disoccupazione dovuta a una formazione professionale inadeguata o unilaterale. Alla formazione professionale altamente specializzata dovrà effettivamente sostituirsi un'educazione di tipo politecnico, già prevista da Marx, accompagnata da corsi di riqualificazione e di perfezionamento professionali per tutte le età.
La politica sociale non diventerà per questo superflua, ma dovrà sempre più trasformarsi da politica sociale che cerca di correggere a posteriori gli errori in politica sociale ‛preventiva' (v. Irseer Entwurf.., 1986, p. 89). In questo contesto occorre anche ricordare il miglioramento delle condizioni abitative, una realizzazione più completa dell'uguaglianza delle opportunità nel settore educativo e, soprattutto, la creazione di un sistema sanitario preventivo che contribuisca a eliminare malattie sociali come l'alcolismo, l'infarto, ecc.
2. Socialismo e ‛nuovi movimenti sociali'
Per ‛nuovi movimenti sociali' si intendono - soprattutto in Germania, nei Paesi Scandinavi e nei Paesi Bassi - i movimenti per la pace, i movimenti ecologici e quelli delle donne. (Nella Repubblica Federale il partito dei Verdi, anche se nato come movimento ecologico, ritiene di rappresentare tutti e tre questi movimenti.)
Negli ultimi anni il socialismo democratico, in molti paesi, ha tratto impulso da questi movimenti, senza per questo potersi identificare completamente con essi. Mentre i seguaci più radicali del movimento tedesco per la pace chiedono l'uscita dalla NATO, i socialdemocratici, che condividono comunque gli obiettivi di molti seguaci del movimento, si battono per una maggiore consultazione degli europei all'interno dell'alleanza, per una ripresa delle trattative sul disarmo e per la creazione in Europa di zone denuclearizzate e libere da armi chimiche. Anche la politica degli Stati Uniti, che mira a utilizzare l'alleanza per interventi fuori dai confini europei, incontra la resistenza dei socialisti democratici. Nella Bozza di Irsee, per esempio, si può leggere tra l'altro: ‟La Repubblica Federale realizza il massimo livello di sicurezza cui può aspirare all'interno dell'Alleanza Atlantica, se in quella sede riesce a rappresentare e a realizzare i propri interessi di sicurezza, compreso l'interesse rivolto alla sicurezza comune. L'alleanza viene invece compromessa se la potenza guida, ovvero gli Stati Uniti, cerca la superiorità e porta avanti una politica di potenza a livello internazionale senza tener conto degli alleati europei e dei loro interessi" (v. Irseer Entwurf.., 1986, p. 21). Oltre alla creazione in Europa di zone denuclearizzate e libere da armi chimiche, la socialdemocrazia tedesca mira a una ristrutturazione dell'arsenale bellico in grado di combinare, sia a Est che a Ovest, ‟la capacità di difesa con l'incapacità strutturale di attacco" (ibid., p. 22).
Trattative bilaterali con il gruppo dirigente della RDT, portate avanti dalla SPD, erano volte a dimostrare che interessi analoghi esistono anche nell'altro Stato tedesco. Colloqui tra esponenti politici dell'Ungheria, dell'Austria, della RFT e della RDT, tenuti a Vienna, hanno fatto emergere - nonostante tutte le differenze ideologiche - l'interesse comune degli Stati e dei popoli europei alla distensione, alla collaborazione culturale e al miglioramento dei rapporti economici. In un volume pubblicato a seguito di questi colloqui Peter Glotz, responsabile della SPD per il coordinamento nazionale, insiste sulla necessità di una comune linea europea in tre settori: politica della pace, politica economica e politica culturale, mentre Fred Sinowatz, cancelliere austriaco nello stesso periodo, aggiunge un ulteriore settore: la politica dell'ambiente (v. Glotz e altri, 1985). All'interno della Comunità Europea i partiti socialisti rappresentati a Strasburgo (compreso il PCI) sono impegnati su una linea politica per il rafforzamento dell'Europa, per una politica estera e di sicurezza comune e per un miglioramento dei rapporti con l'Europa dell'Est.
Erhard Eppler, Klaus Traube, Johano Strasser e altri da molto tempo si sono fatti portavoce di argomenti ecologici nella SPD. I successi elettorali dei Verdi e lo spostamento della SPD dai banchi del governo a quelli dell'opposizione hanno cambiato i rapporti di maggioranza all'interno del gruppo dirigente del partito in direzione di un ripensamento in senso ecologico. A differenza però dei Verdi più radicali, la SPD non vuole l'uscita immediata dal ‛nucleare' e non rifiuta integralmente la società industriale. La formula adottata dai redattori della Bozza di Irsee parla di ‟rinnovamento ecologico della società industriale" o anche di un' ‟attività economica ecologicamente e socialmente responsabile" (v. Irseer Entwurf.., 1986, pp. 56 ss.), ma la discussione per quanto riguarda l'ulteriore elaborazione di questo punto del programma non è ancora conclusa. Nel frattempo, però, la resistenza iniziale di quasi tutti i dirigenti sindacali a questo nuovo orientamento del partito è stata superata, anche se le riserve di alcuni singoli dirigenti non sono ancora state del tutto superate. L'incidente di Černobyl ha comunque rafforzato la volontà di un'uscita graduale dall'energia nucleare, tanto più che nel frattempo i reattori autofertilizzanti si sono rivelati antieconomici e le previsioni sul fabbisogno energetico futuro sono state corrette verso il basso, da quando il risparmio di energia con uguali consumi permette di mantenere inalterati gli attuali livelli di benessere.
Contemporaneamente si è cominciato a comprendere che il passaggio a un tipo di produzione più compatibile con le esigenze dell'ambiente crea posti di lavoro supplementari; nella Bozza citata si legge quanto segue: ‟La riorganizzazione e il rinnovamento in senso ecologico della nostra economia devono estendersi dall'ideazione e programmazione del prodotto al processo di produzione, fino al consumo e al riciclaggio dei materiali consumati. La riorganizzazione deve caratterizzare e penetrare tutti i processi economici" (ibid., p. 57). Come nel campo della politica sociale, anche qui la prevenzione ha la precedenza sugli aggiustamenfi e sugli interventi operati a posteriori.
A differenza dagli ecologisti più radicali, la Bozza non rifiuta in linea di principio la crescita economica. La crescita va però indirizzata attraverso opportuni interventi statali allo scopo di rendere il lavoro meno pesante, difendere l'ambiente, ridurre il fabbisogno di materie prime e di energia, diminuire la creazione di rifiuti (o consentirne il riciclaggio) e infine ‟non ricorrere a misure di sicurezza incompatibili con le libertà della persona".
L'ultimo punto si riferisce in particolare ai pericoli che in molti studi vengono collegati a un ulteriore sviluppo dell'energia nucleare, sviluppo che porterebbe, secondo Robert Jungk, alla creazione di uno ‟Stato nucleare". Le nuove tecnologie, legate all'elettronica, agli elaboratori, ai robot, ecc., non sono necessariamente in contrapposizione con questi obiettivi di tipo ecologico e sociale, ma non convergono neppure spontaneamente con essi. La socialdemocrazia individua comunque in questo ambito nuovi compiti con cui è necessario misurarsi. Mentre lo sviluppo dei mezzi di produzione è avvenuto finora ‛spontaneamente' e senza interventi programmatori, e mentre anche gli Stati del socialismo reale hanno adottato quasi senza mutamenti i mezzi di produzione utilizzati negli Stati industriali capitalistici, oggi si pone il problema di scegliere accuratamente - nell'interesse dell'ambiente e della gente che vi lavora - tra diverse soluzioni tecnologiche e di mettere al servizio di queste scelte gli aiuti (o, se necessario, i divieti) statali.
In parte per reazione alla delusione nei confronti dei movimenti studenteschi e giovanili, rimasti condizionati in senso maschilista, il movimento delle donne, che a partire dagli anni settanta ha guadagnato molto in importanza e influenza, ha criticato il movimento operaio per il suo scarso impegno per l'emancipazione femminile. All'interno della SPD, il Gruppo di lavoro delle donne socialdemocratiche, sotto l'influenza del movimento femminista formatosi all'esterno del partito, ha formulato in maniera più radicale le sue richieste e i suoi obiettivi. Questo Gruppo di lavoro è diventato anche un gruppo militante, del quale i dirigenti del partito hanno dovuto tener conto.
Mentre in paesi come la Svezia e la Danimarca la donna è già molto vicina a una reale parità, in paesi come la Germania Federale, la Francia e l'Italia vi sono molti ritardi da recuperare. Il governo socialista francese aveva costituito un apposito ministero per la parità delle donne, che nel 1986 è stato sciolto dal governo Chirac. Tra le conquiste più importanti di questo ministero va annoverata l'eliminazione delle tendenze discriminatrici in senso ‛sessista' presenti nel linguaggio quotidiano e burocratico. Il ministero ha compilato tra l'altro un elenco di proposte per l'eliminazione dei termini discriminatori e per la loro sostituzione con termini più appropriati. Analoghe proposte sono state formulate in Italia da un'apposita Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio durante il governo Craxi.
La Bozza di Irsee dedica un intero capitolo ai rapporti tra i sessi, riprendendo le linee della risoluzione approvata nel 1975 dalla SPD al Congresso di Mannheim, che aveva trovato però un'accoglienza piuttosto tiepida nell'opinione pubblica. Nella Bozza si parte dalla constatazione, autocritica, che il partito, nelle sue file, non ha risposto adeguatamente alle richieste di parità di diritti da parte della donna: il suo compito sarebbe ora di far seguire all'uguaglianza giuridica, da molto tempo codificata, un'effettiva uguaglianza sociale; inoltre, la riduzione del tempo di lavoro e l'introduzione del lavoro part time sarebbero ora in grado di facilitare l'inserimento di tutte le donne nel sistema del lavoro salariato. La creazione poi di nuove infrastrutture per bambini piccoli, malati, portatori di handicap e anziani dovrebbe diminuire i pesi della famiglia, mentre entrambi i sessi dovrebbero occuparsi della casa e dei bambini, superando la stereotipata divisione dei ruoli. ‟Chi vuole una società a misura d'uomo, deve voler superare la società maschilista" (v. Irseer Entwurf.., 1986, p. 44). Con questa frase solenne termina il capitolo in questione.
Il Gruppo di lavoro delle donne socialdemocratiche che, per ragioni di principio, ha combattuto a lungo contro la creazione di un numero di posti riservati per le donne, ha dovuto nel frattempo riconoscere che, per un periodo di transizione, solo questa norma è in grado di garantire alle donne maggiori opportunità di accesso a posti di responsabilità nei partiti, nei sindacati, nell'amministrazione pubblica e nelle imprese. La direzione del partito, in occasione delle elezioni europee del 1979, si è per la prima volta preoccupata di riservare un determinato numero di candidature alle donne; nonostante questo, le donne continuano a essere poco rappresentate nei posti direttivi del partito e del parlamento. La richiesta delle donne socialdemocratiche trova sostegno anche nel fatto che oggi votano per la SPD più donne che uomini (almeno per quanto concerne gli elettori più giovani o di media età).
3. Obiettivi a lungo termine: una società fondata sulla solidarietà e sulla crescita culturale
Secondo le sue stesse parole, Eduard Beinstein fu più interessato al ‟movimento" che non alla ‟meta finale" del socialismo, ma al tempo stesso fu anche convinto che uno sviluppo di tipo evoluzionistico e graduale avrebbe portato infine alla realizzazione del socialismo democratico. La maggior parte delle socialdemocrazie europee ha ormai ritegno a parlare del ‛socialismo' come dell'obiettivo della propria attività politica. Anche nella Bozza di Irsee si parla del socialismo come di un ‟obiettivo permanente", ma il problema non viene più trattato concretamente da molto tempo. Nè la socializzazione dei mezzi di produzione nè l'internazionalismo (la solidarietà tra le classi operaie di tutti i paesi), per esempio, trovano menzione nel programma. Nonostante ciò, nella maggior parte delle dichiarazioni programmatiche dei partiti socialisti europei ricorre la formulazione di alcuni ideali alla cui realizzazione dovrebbero, in ultima analisi, concorrere tutti gli sforzi dei riformisti. In primo luogo, la creazione di uguali opportunità per tutti nell'ambito dell'educazione dovrebbe permettere almeno di evitare che, all'interno dell'attuale struttura sociale, il rapporto tra i meno privilegiati e il proprio status si trasformi in un fatto ereditario. Inoltre, con la protezione contro i rischi materiali si intende liberare l'uomo dalle sue paure di fronte alla miseria, alla vecchiaia e alla malattia. La garanzia di un posto di lavoro e di un'attività il più possibile soddisfacente servono poi a salvaguardare la dignità dell'individuo, mentre una politica sanitaria preventiva dovrebbe servire a creare la base per una vita realizzata e vissuta al meglio delle proprie forze fisiche. La partecipazione della gente a tutti i settori della vita sociale - dalle scuole alle università, dalle imprese alle associazioni, ecc. - trasformerebbe la democrazia in una realtà concreta vissuta da tutti. Ma soprattutto, tenendo conto della riduzione del tempo di lavoro e dell'innalzamento del livello culturale complessivo, l'accesso alla cultura dovrebbe essere aperto a tutti.
Se si mettono insieme tutti gli obiettivi appena menzionati, ne esce il quadro di una società futura caratterizzata non più dall'angoscia per la sopravvivenza e dall'invidia per gli altri, ma dalla solidarietà; una società nella quale tutti possono sviluppare liberamente le differenti doti individuali e partecipare del generale progresso culturale. Nel pensiero del socialismo democratico la possibilità di agire per la realizzazione di un simile obiettivo è data dall'esistenza e dal corretto funzionamento della democrazia. Anche se gli interessi di proprietà continuano a esercitare la loro influenza, lo Stato democratico non è più uno strumento del dominio di classe. La società è ancora una società di classe dove permangono le ingiustizie, ma lo Stato democratico non è più - o non lo è più necessariamente - uno Stato di tipo classista. Attraverso leggi democratiche e una partecipazione alle decisioni a tutti i livelli della società, il peso della proprietà privata dei mezzi di produzione risulta assai limitato; al tempo stesso però - anche ricorrendo a un controllo pubblico - vengono preservati i vantaggi dei meccanismi di mercato.
Una possibile obiezione a questi progetti potrebbe basarsi sui notevoli strumenti di potere economico delle imprese nazionali e internazionali, e sugli stretti vincoli tra tutte le economie del mondo occidentale e, quindi, sulla loro dipendenza nei confronti dei rapporti economici internazionali. Ma una politica di distensione verso l'Est può anche contribuire ad allentare la dipendenza esclusiva delle economie dei paesi europei dal mercato mondiale occidentale. L'europeismo dei partiti socialisti della socialdemocrazia tedesca, del socialismo francese e spagnolo, e della socialdemocrazia austriaca, ad eccezione dei laburisti inglesi - si muove proprio in questa direzione, nella consapevolezza che l'obiettivo ideale a lungo termine del socialismo democratico può essere realizzato solo nel contesto di una Europa più unita politicamente, economicamente e culturalmente.
La vecchia concezione marxista di una rivoluzione proletaria mondiale e la tesi leninista di una collaborazione tra i movimenti nazionali e anticoloniali del Terzo Mondo e i movimenti operai rivoluzionari delle metropoli vengono sostituite dal socialismo democratico con una politica di solidarietà e di aiuto fraterno alle popolazioni del Terzo Mondo. Questa scelta era già contenuta nel Quadro di orientamento 85 della SPD (v. Oertzen e altri, 1976); nella Bozza di Irsee questa richiesta diventa un elemento di una più generale politica di pace. A questo proposito si distinguono tre momenti: 1) utilizzare le risorse rese disponibili dalla riduzione degli armamenti più sofisticati per un aiuto veramente efficace ai paesi più poveri e per ridurre il disavanzo dei paesi maggiormente indebitati; 2) eliminare da questi paesi le strutture di proprietà e di potere ormai superate e incoraggiare forme di evoluzione in senso democratico; 3) perseguire un ordinamento economico mondiale più giusto, in grado di garantire una maggiore influenza dei paesi in via di sviluppo sulle organizzazioni internazionali, in particolare su quelle operanti nell'emisfero meridionale (v. Irseer Entwurf.., 1986, p. 27).
Questi obiettivi sono parzialmente in contrasto con l'attuale politica del governo Reagan negli Stati Uniti, che dimostra un'estrema diffidenza nei confronti sia dell'ONU sia di altre organizzazioni internazionali, in parte boicottandole, in parte abbandonandole, come è successo, ad esempio, nel caso dell'Unesco.
Nei confronti dei partiti comunisti e dei loro esponenti il socialismo democratico continua a difendere una ‛terza via' che non accetta nè il capitalismo liberista dei neoconservatori nè il socialismo burocratico di Stato. Anche in alcuni partiti comunisti occidentali è cresciuta nel frattempo la consapevolezza della necessità di un orientamento nuovo in direzione di una terza via, non essendo effettivamente possibile giungere in maniera diversa alla formazione di maggioranze democratiche in grado di promuovere una politica di radicali riforme di struttura (è il caso, per esempio, del PCI).
Non di rado l'unico ostacolo a questo mutamento è rappresentato dal peso della tradizione leninista, anche se possiamo supporre che lo stesso Lenin, di fronte alla nuova situazione venutasi a creare, non avrebbe esitato ad avviare una ridefinizione degli obiettivi perseguiti. Rosa Luxemburg, per esempio, la sua sostenitrice critica in Germania, già nel 1918 nella sua Critica della rivoluzione russa comprese meglio di Lenin l'importanza della democrazia politica e vide il pericolo di degenerazioni connesso alla mancanza di un'opinione pubblica e di una critica dal basso efficaci . Lo stesso gruppo dirigente sovietico attuale, consapevole del problema, tenta probabilmente oggi di correggere questo difetto strutturale della società russa: la richiesta di una ‛critica dal basso' compare di continuo, per esempio, nei discorsi del segretario del partito, Michail Gorbačëv.
Nonostante un certo avvicinamento attuale tra socialismo democratico e comunismo restano comunque tra le due correnti enormi differenze sul piano dell'ideologia e dell'organizzazione. Tuttavia, nella lotta contro il pericolo della guerra e per la riduzione degli armamenti esiste un vasto accordo tra le due parti. Infatti, nè la società basata sulla solidarietà e sulla crescita culturale, auspicata dal socialismo democratico su scala mondiale, nè i tentativi di passare alla fase comunista nelle società postrivoluzionarie sono realizzabili senza una decisa inversione di rotta nella politica della sicurezza e degli armamenti.
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