Società animali
Le società animali, perlomeno quelle più famose e complesse delle api e delle formiche, costituivano già per Darwin un appassionante enigma: come conciliare la struggle for life, quella lotta per la vita che dà un senso e una direzione al caso con il gesto eroico dell'ape che per difendere l'alveare punge l'intruso, e così facendo sacrifica la propria vita? La società delle api introduceva nell'universo darwiniano un fantasma difficile da esorcizzare, l'altruismo. Se la vita consiste in una hobbesiana lotta di tutti contro tutti, come mai certi individui sembrano propensi a sacrificarsi per gli altri? Se la selezione naturale agisce sugli individui, favorendo i più adatti, se chi sopravvive e si riproduce in misura maggiore vince la gara della vita, perché mai le operaie delle api rinunciano a una propria progenitura, dedicandosi totalmente alla prole della regina e ai fuchi, i quali dal canto loro non sono altro che semplici 'contenitori di sperma'?Dopo lunghe riflessioni Darwin decise che la risposta a questo problema non andava cercata negli individui, bensì nell'intera famiglia. L'idea di Darwin venne ripresa e sviluppata nel 1964 da un biologo inglese allora poco noto alla comunità scientifica, W.D. Hamilton, il quale la pose a fondamento della sua teoria della selezione parentale (kin selection). Dalla fitness, o idoneità, degli individui, Hamilton sposta l'accento su una fitness inclusiva, e cioè sull'idoneità del pool di geni dei consanguinei. Da sempre chi non crede in un aldilà ritiene che la sola forma reale di sopravvivenza siano i figli, che la discendenza consenta, per così dire, di vivere in loro per delega. Hamilton suggerisce che, di fatto, l'altruismo è la forma più alta, si potrebbe dire la sublimazione dell'egoismo, perché il buon samaritano persegue i propri interessi, ossia ama nel prossimo suo se stesso, o meglio i propri geni.
Per chiarire questa ipotesi, sarà utile far riferimento a un'opera di R. Dawkins, Il gene egoista, del 1976, in cui le idee di Hamilton vengono commentate e divulgate. Dawkins ci invita a cambiare livello, prendendo in considerazione non più il corpo bensì i geni, non la fabbrica ma i costruttori. Com'è noto, ogni cellula ospita il DNA, una doppia spirale costituita da sequenze di geni, ossia dalle istruzioni biochimiche per la costruzione dei vari mattoni, o caratteri, che compongono gli organismi. Queste entità - responsabili ad esempio del colore dei nostri occhi, o della forma della nostra testa - sarebbero i registi occulti delle nostre azioni, per cui se un essere vivente sembra agire da 'altruista', ciò si deve al fatto che i suoi geni, sempre 'egoisti' nella loro tendenza a conservarsi e a propagarsi, trovano conveniente tale comportamento.
Samuel Butler ha osservato, con un certo umorismo, che la gallina è semplicemente il mezzo attraverso cui un uovo fabbrica un altro uovo. Il nostro corpo non sarebbe altro che la gallina di Butler, un mezzo attraverso cui i geni si moltiplicano e si trasmettono di generazione in generazione. Ogni genitore, uomo o animale che sia, si limita a recitare un copione che i geni hanno scritto per lui.Queste idee, che sembrano ai limiti della fantascienza, hanno in realtà rivoluzionato la biologia della seconda metà del Novecento.
Per tornare a Hamilton e alle api, si è osservato che la particolare forma di riproduzione di questi insetti laboriosi ci fornisce la chiave di volta del problema, o perlomeno così è sembrato all'inizio. Le api hanno un modo di riprodursi particolare in cui compare la partenogenesi - detta, in questo caso, arrenotoca -, in forza della quale da uova regolarmente fecondate nascono femmine diploidi, mentre da uova non fecondate nascono maschi aploidi, i fuchi (aplodiploidia). Di conseguenza, se le operaie si riproducessero, trasmetterebbero alle figlie soltanto la metà dei loro geni, mentre prendendosi cura delle proprie sorelle, si dedicano a creature dotate del 25% dei geni materni e del 50% di quelli paterni. Queste operaie dunque non sono delle semplici sorelle, ma per così dire una sorta di supersorelle, con il 75% dei geni in comune. L'altruismo delle operaie sarebbe allora un sistema per favorire la propagazione dei geni comuni.
Quando E.O. Wilson, un valido entomologo con una spiccata propensione alla speculazione filosofica, lesse il lavoro di Hamilton, ne rimase estremamente colpito, e in occasione di un simposio della Società Entomologica di Londra annunciò che uno sconosciuto biologo aveva scoperto l'origine e il fondamento della straordinaria coesione delle società degli insetti: il fattore chiave sarebbe il gran numero, o meglio il supernumero, di geni condivisi. Nel 1971 Wilson pubblicò un'opera, La società degli insetti, in cui sviluppò le teorie di Hamilton, e quattro anni dopo produsse il suo capolavoro, Sociobiologia, una nuova sintesi, in cui diede vita a una nuova disciplina, la sociobiologia appunto. Tale disciplina, peraltro alquanto controversa, si rifà all'etologia, alla biochimica e a un neodarwinismo abbastanza ortodosso per chiarire il fenomeno 'società' in un vertiginoso excursus che va dagli animali direttamente all'uomo. In seguito Wilson, che era soprattutto un mirmecologo, pubblicò un'opera enciclopedica sulle formiche e si interessò della 'biodiversità'.
Riassumendo, le società sarebbero delle amplificazioni della famiglia, e l'aplodiploidia avrebbe costituito una delle principali cause della loro comparsa. Nel caso delle api, però, la teoria di Hamilton è stata recentemente messa in discussione. Il suo ragionamento infatti sarebbe valido solo se la regina ricevesse lo sperma, e dunque il patrimonio genetico maschile di un solo fuco, ma le cose stanno diversamente. Nel corso del volo nuziale l'ape regina fa, per così dire, incetta di sperma, tesaurizzandolo in un apposito contenitore annesso all'apparato genitale, detto per l'appunto spermateca. Essa dunque non copula con un solo fuco, ma con una decina di maschi, in certi casi addirittura con poco meno di venti. L'alveare non sarebbe dunque un operoso falansterio di supersorelle, ma un bazar di sorelle e sorellastre, per cui i geni condivisi possono scendere sino al 25%.
In una recente ristampa del suo libro del 1989, Dawkins tiene conto di questa obiezione, e attenua la sua adesione, prima entusiasta, alla teoria di Hamilton. I sociobiologi dal canto loro hanno cercato di controbattere alla stessa obiezione asserendo che, di solito, negli imenotteri solitari la femmina riceve lo sperma di un solo maschio, per cui l'aplodiploidia potrebbe aver funzionato all'origine come il fattore chiave della socializzazione, per poi cedere il passo ad altre necessità, come ad esempio quella di preservare una certa diversità genetica nell'alveare.
Resta peraltro da spiegare perché nelle stesse condizioni solo talune specie, e senza dubbio la netta minoranza, sono pervenute alla socialità, mentre la grande maggioranza è rimasta solitaria. Altri fattori concomitanti devono essere intervenuti: la tendenza, propria di certi imenotteri aculeati, a costruire nidi pedotrofici (quelli in cui le larve si sviluppano e vivono fino allo sfarfallamento); la loro abitudine di paralizzare le prede e di metterle a disposizione delle larve; la propensione a edificare molti nidi contigui, che si osserva ad esempio tra le api muratrici, e via dicendo. Ma alla fin fine, se l'ape guardiana, che punge l'intruso sacrificando la propria vita, lo fa per difendere i propri geni presenti nelle sorelle, deve necessariamente esistere una possibilità di riconoscere i parenti; in caso contrario, l'altruismo sarebbe davvero tale, ovvero completamente disinteressato e quindi biologicamente ingiustificato. Esiste, in altre parole, la possibilità che i geni si riconoscano tra loro attraverso i corpi?
In anni recenti una nutrita schiera di ricercatori, per lo più 'simpatizzanti' della sociolobiologia, ha affrontato il problema arrivando a conclusioni di grande interesse scientifico. Se un tempo la 'voce del sangue' in forza della quale riconosceremmo (istintivamente?) i nostri congiunti era sembrata un'ipotesi metafisica o, al peggio, un espediente da romanzo d'appendice, oggi è necessario cambiare idea e ammettere che tale riconoscimento è possibile e più diffuso di quanto si sia ritenuto sinora. Esso sarebbe presente non solo negli animali, ma anche nei vegetali. La piantaggine minore, ad esempio, sembra crescere più abbondante in presenza di individui affini, e i messaggi tra 'consanguinei' sarebbero scambiati mediante segnali chimici emessi dalle radici.
Per tornare al caso dell'alveare, si pensa che le api, sorelle o sorellastre, sarebbero in grado di discriminarsi, perché è stato dimostrato che lo scambio di cibo bocca a bocca, detto trofallassi, è tanto più intenso quanto più è elevato il numero dei geni condivisi. Questa discriminazione di parentela dipenderebbe dagli odori, da quello che Dawkins ha chiamato, con un certo umorismo, 'effetto ascella', e che comporterebbe un'autoanalisi chimica. Ciò significa che le api allevate in isolamento imparerebbero a riconoscere il proprio odore e in seguito quello delle sorelle, distinguendole dalle sorellastre. Questa verifica chimica sarebbe legata a una sorta di imprinting olfattivo.
Un altro esempio, preso dai mammiferi, può dimostrare quanto il fenomeno sia di ordine generale. Nel topolino delle case (Mus musculus) il riconoscimento tra parenti si fonda sui geni del complesso della istocompatibilità, che tendono a essere i medesimi nei membri di una singola famiglia, conferendo loro lo stesso odore. È stato osservato che le femmine di Mus musculus preferiscono accoppiarsi con maschi di odore diverso, evitando così i rischi della consanguineità, mentre fanno preferibilmente il nido assieme alle sorelle, che hanno il loro stesso marchio olfattivo.
Partendo dal presupposto che ogni società abbia il suo fondamento nella famiglia, e nei geni condivisi il suo collante, per spiegarne le origini sono state formulate di recente due ipotesi suggestive: la prima, che si deve a R. Alexander, è quella del conflitto generazionale; la seconda, proposta da C. Michener, è quella della manipolazione parentale. Le due ipotesi sono abbastanza simili, tanto che spesso vengono confuse. Entrambe partono dal presupposto che esista un forma di tirannia esercitata dai genitori sulla prole, per tenerla per lungo tempo, se non per sempre, in uno stato di dipendenza. I figli, così plagiati, rinuncerebbero a riprodursi a loro volta, lasciando tale funzione ai genitori, e li aiuterebbero ad allevare la prole successiva, o quelle successive, alla propria.
Alexander si dimostrò un biologo dotato di un notevole potere di precognizione scientifica. Nel 1974, infatti, affermò che la struttura delle società degli insetti è un evento evolutivo così ben congegnato da farne ritenere altamente probabile la comparsa in altri gruppi di animali, anche molto lontani dal punto di vista sistematico come i mammiferi. Alexander formulò la previsione che una simile società di mammiferi entomomorfi sarebbe stata scoperta in un territorio arido, che avrebbe abitato in tane scavate nel suolo e si sarebbe cibata di grossi tuberi sotterranei ricchi di amido e di acqua.
La supposizione di Alexander trovò conferma poco meno di vent'anni dopo, allorché J. Jarvis scoprì nella regione arida che si estende tra il Kenia e la Somalia l'eterocefalo (Heterocephalus glabrus), detto ratto-talpa, un piccolo roditore completamente privo di peli, che vive in una tana scavata nella terra in gruppi di un centinaio di individui. Si tratta di una società del tutto simile a quella di un termitaio, con una sola femmina addetta alla riproduzione e uno o, più raramente, due maschi fornitori di sperma; gli altri ospiti della tana, legati da rapporti più o meno stretti di consanguineità, sono operai e operaie, destinati alla cura della prole, alla difesa, al reperimento del cibo, e via dicendo. La regina impedisce la riproduzione delle operaie attraverso un continuo, intenso maltrattamento, che provoca nelle vittime una sorta di 'castrazione psicosomatica'. Lo stesso comportamento si può osservare nelle vespe: la femmina riproduttrice frusta le sue suddite con le antenne (il cosiddetto 'trillo antennale'), inibendo il funzionamento delle gonadi.
La teoria della 'manipolazione parentale', assai simile, è stata proposta da Michener per spiegare il comportamento di un genere di api, Halictus, che costruisce nidi nel suolo e mostra una certa eusocialità. La madre e le figlie, difatti, vivono insieme e collaborano in una sorta di 'condominio ipogeo'. Uno degli esempi più persuasivi di manipolazione parentale è offerto da un alitto americano, Lasioglossum zephyrus. Ogni volta che si imbatte in una figlia, la regina la maltratta duramente, tanto più se questa esibisce degli ovari ben sviluppati, dopodiché la trascina nelle cellette entro cui le larve aspettano di essere nutrite. L'ape vessata, non potendo riprodursi a sua volta, finirà per salvaguardare i propri geni attraverso la cura delle larve sue sorelle, che ne sono portatrici.
La stragrande maggioranza degli animali è solitaria, e ogni individuo deve svolgere tutti i compiti essenziali per la sua sopravvivenza: procacciarsi il cibo, cercare il partner, spesso sedurlo attraverso rituali di corteggiamento, battersi con i rivali, in numerosi casi provvedere alle cure dei piccoli, giungendo così alle soglie della socialità vera e propria, ma varcandola raramente. Nel caso degli insetti, solo il 23% del milione di specie che costituiscono questa classe formidabile si consorzia in società.
Poiché il confronto tra le società degli invertebrati e quelle dei vertebrati può essere azzardato, e spesso le analogie sono inconsistenti, è opportuno precisare, prima di continuare, che è lecito parlare di eusocialità solo nel caso di consorzi di individui che presentino le seguenti caratteristiche: gli adulti si prendono cura dei giovani, per cui individui di due o tre generazioni convivono pacificamente nel nido; la popolazione del nido è articolata in caste, con una netta divisione dei compiti tra i riproduttori, detti anche 'reali', e gli operai e le operaie, che svolgono tutte le altre mansioni eccettuata quella riproduttiva.
Gli animali eusociali per eccellenza sono senza dubbio gli insetti. Tutte le specie di termiti, l'ordine è quello degli isotteri, sono eusociali, e così tutte le formiche, che costituiscono una famiglia dell'ordine degli imenotteri. Le api e le vespe presentano alcune specie eusociali e altre decisamente solitarie o con una qualche tendenza a vivere in gruppo.
Tra gli uccelli, come vedremo in seguito, troviamo specie che manipolano la prole, o che vivono in nidi collettivi di grandi dimensioni. I mammiferi, a parte l'eterocefalo, non presentano casi palesi di eusocialità, e di solito vivono in gruppi più o meno complessi.
Ad ogni modo, la regolamentazione della sessualità e delle funzioni riproduttive sembra essere generalizzata, ed è presente sia nelle società vere e proprie, dove è rigorosa, sia nei gruppi parasociali, dove ha un carattere più elastico.
Ciò sembra confermare la tesi dell'ultimo Freud, ripresa da Norman Brown e rivisitata in chiave filosofica da Herbert Marcuse, secondo la quale la nascita delle società coincide con una repressione sessuale più o meno intensa.
La rarità del fenomeno sociale tra gli animali sembrerebbe indicare che si tratta di una strategia evolutiva non troppo conveniente, e tuttavia esistono ampie prove del contrario. Infatti, se le società non sono troppo diffuse, il numero dei loro componenti può raggiungere valori estremamente elevati, dimostrando quanto sia biologicamente vantaggioso vivere insieme.
A riprova di ciò si possono addurre i seguenti esempi. Nelle foreste dell'Amazzonia sono presenti quasi tutti gli ordini e le famiglie della classe degli insetti. Ora, le specie sociali costituiscono il 75% della biomassa di tutti gli esapodi presenti, per cui un entomologo collezionista avrà sette probabilità su dieci di imbattersi in un individuo sociale.
Gli uomini costituiscono attualmente un contingente di sette miliardi di individui, un numero irrisorio se confrontato a quello delle formiche. È stato calcolato difatti che se tutte le formiche viventi in un dato momento sul pianeta si mettessero in fila indiana, formerebbero un nastro lungo settanta milioni di chilometri, pari a novanta viaggi di andata e ritorno tra la Terra e la Luna. Le società delle formiche sono così ben congegnate dal punto di vista della risposta vincente alle sfide della sopravvivenza che tendono addirittura a dilatarsi in grandi confederazioni. Ad esempio le formiche rosse (Formica yessensis) osservate lungo la costa della baia di Ishikan, nel Mar del Giappone, hanno dato vita a una confederazione di 45.000 formicai, dispersi su 270 ettari, con più di 300 milioni di operaie e più di un milione di regine. Le piste che collegano i diversi nidi sono lunghe più di 100 chilometri - una vera e propria rete autostradale in miniatura.
Ogni società, per funzionare, deve aver elaborato un efficiente sistema di comunicazione tra gli individui che la compongono. La comunicazione è il fondamento necessario di ogni coordinazione, e nelle società degli insetti tale capacità si manifesta al più alto grado, talvolta, come nel caso delle api, mediante un linguaggio vero e proprio.
Va rilevato innanzitutto che gli animali si scambiano segnali, non segni. Quando un uccello che fa parte di un gruppo alla pastura vede profilarsi nel cielo la sagoma minacciosa di un falco, emette un grido che allerta i compagni e li fa volare via. Tale grido trasmette un'emozione, la paura del falco provata dall'improvvisata sentinella, ed è, quindi, solo la comunicazione di un'emozione.
Quando invece un uomo in un gruppo di cacciatori avvista un leopardo in agguato e grida "leopardo!", senza dubbio questo suono ha una valenza emozionale che fa parte del messaggio, ma per convenzione avverte il clan precisamente della presenza di un leopardo, cioè di un predatore a quattro zampe e non, ad esempio, di un'aquila, perché in questo caso il suono sarebbe stato diverso.
Per illustrare la comunicazione tra gli animali sceglieremo come esempi rappresentativi due fra i gruppi socialmente più evoluti degli insetti: le formiche e le api.Per comunicare con le compagne le formiche si servono di suoni, ma soprattutto di sostanze chimiche, dette feromoni, che formano una sorta di alfabeto, o meglio un lessico molecolare. I suoni vengono prodotti dal cosiddetto organo stridulante, posto tra il terzo e il quarto segmento dell'addome: si tratta di due conformazioni anatomiche, una sorta di raschietto e una zona rugosa, il cui sfregamento produce un rumore caratteristico, flebile ma a volte percepibile dall'orecchio umano. Queste stridulazioni sono emesse dalle operaie per chiedere aiuto alle compagne, ad esempio quando vengono sepolte dal crollo di una galleria, oppure per segnalare, come nelle formiche tagliafoglie, il reperimento di un cibo particolarmente gradito. In questo caso la stridulazione è tanto più intensa quanto maggiore è il gradimento, a riprova che si tratta di una comunicazione con una forte valenza emozionale. Certe specie allertano le compagne battendo il capo contro il legno di un albero e producendo una sorta di tam-tam. Il mezzo di comunicazione più importante è tuttavia di natura chimica, e le formiche possono essere considerate dei piccoli laboratori biologici che sintetizzano e diffondono numerose sostanze chimiche con differenti funzioni: allertare le compagne, richiamarle e reclutarle, discriminare le formiche appartenenti al nido da quelle estranee, contrassegnare le piste di bottinamento, inibire lo sviluppo degli ovari delle operaie, se tali sostanze sono emesse dalla regina, e via dicendo.
Oltre che con i segnali acustici, percepiti attraverso le vibrazioni del supporto, e con i segnali chimici destinati ai chemiorecettori, le formiche comunicano attraverso le posture del corpo e le gesticolazioni antennali. La comunicazione visiva ha però un'importanza minore, dato che molte specie di formiche hanno una vista cattiva o sono addirittura cieche. Per questo motivo spesso la gesticolazione viene percepita per via tattile.
Nelle api la comunicazione avviene attraverso suoni emessi mediante la contrazione ritmica dei muscoli alari (fenomeno di interpretazione ancora dubbia) e attraverso i feromoni, che determinano importanti comportamenti sociali. Ad esempio, un feromone emesso dalla regina ordina chimicamente alle operaie di non costruire le celle per allevare le rivali: le celle saranno costruite solo alla cessazione di questa ingiunzione molecolare.
Ma come abbiamo già accennato, la comunicazione nelle api avviene principalmente mediante una danza, che equivale a un vero e proprio linguaggio gestuale. Le api avrebbero, per così dire, varcato il confine del simbolo, elaborando un mezzo di comunicazione segnico simile, per taluni elementi, a quello umano. La scoperta, che giovò a K. von Frisch il premio Nobel del 1973, fu resa nota nella sua compiutezza alla metà degli anni quaranta, e benché più volte posta in discussione ha superato sino a oggi ogni verifica sperimentale.
Le api si orientano principalmente con il Sole, di cui sono in grado di compensare gli spostamenti giornalieri, usandolo come una sorta di bussola astronomica. Dopo aver individuato una sorgente di cibo - fiori ricchi di polline e di nettare - le bottinatrici rientrano nell'alveare e compiono sui favi verticali delle curiose evoluzioni che attirano l'attenzione delle altre operaie. Se la fonte trofica è nei pressi dell'alveare, a distanze che variano a seconda delle popolazioni e delle specie (il che darebbe origine a dialetti o lingue), la bottinatrice compie una 'danza in tondo' che significa "il cibo è nei paraggi". Se il cibo è più lontano, l'ape passa dalla 'danza in tondo' alla 'danza a otto'. Più precisamente, compie sul favo verticale una sorta di coreogramma che ha la forma di un otto orizzontale, cioè due semicerchi uniti da un tratto rettilineo. Poiché l'ape, percorrendo questa pista lineare, fa oscillare l'addome con un movimento pendolare, la danza viene detta anche 'dell'addome' o 'scodinzolante'.
Il percorso rettilineo indica alle compagne la direzione della fonte trofica. Se questa si trova sulla linea che collega l'alveare al punto a terra del Sole, il tratto rettilineo risulterà perpendicolare al suolo, e cioè nella direzione della gravità, e l'ape danzerà con il capo sempre puntato verso l'alto. Se è l'alveare a trovarsi tra la fonte trofica e il punto a terra del Sole, il coreogramma avrà la stessa configurazione, ma l'ape danzerà con la testa puntata verso il basso. Se infine la fonte trofica si trova a destra o a sinistra dell'alveare, il tratto rettilineo sarà obliquo rispetto alla direzione della gravità, formando con essa un angolo pari a quello formato dalle due linee immaginarie che vanno dall'alveare alla fonte trofica e dall'alveare al punto a terra del Sole. Per quanto riguarda la distanza della fonte trofica, sin dal principio von Frisch aveva notato che il ritmo della danza si fa tanto più rapido quanto più questa è vicina. Si potrebbe quasi dire che l'entusiasmo delle api cresce quando i fiori sono più prontamente raggiungibili, e questa può essere considerata la componente emozionale residua nella comunicazione segnica. Esiste dunque una correlazione inversa tra il numero degli 'otto' descritti sul favo in un dato tempo, ad esempio quindici secondi, e la distanza dei fiori. Una correlazione abbastanza precisa si può osservare anche tra il numero dei tratti rettilinei percorsi e quello degli scodinzolamenti, sicché con un goniometro e un cronometro è possibile decodificare il messaggio della bottinatrice, individuando il luogo indicato dalla danza.
È lecito considerare i coreogrammi delle api un vero e proprio linguaggio? La 'danza in tondo' presenta ancora i caratteri di un segnale, ma quella 'a otto' possiede sicuramente una valenza simbolica, ossia si basa su segni. Le figure della danza e la sua cinematica infatti indicano oggetti lontani nel tempo e nello spazio, e sono convenzionali, nel senso che il messaggio presuppone un accordo tra l'emittente e il ricevente sul loro significato. Infine, tra le sedici caratteristiche del linguaggio umano stabilite da Hockett e Altmann, almeno sei (l'intercambiabilità, la specializzazione, la semanticità, l'arbitrarietà, la traslatività, il feed-back completo) sono presenti nella danza delle api. E poiché si è osservato che le danzatrici giovani danzano peggio delle anziane, si può anche ipotizzare un certo coefficiente di apprendimento.
Termiti. - Le termiti sono insetti molto antichi. Al contrario delle api e delle formiche, le quali appartengono all'ordine degli imenotteri che hanno metamorfosi completa, le termiti sono degli eterometaboli, hanno cioè metamorfosi modeste e graduali. L'ordine degli isotteri, ovvero delle termiti, comprende circa duemila specie, tutte sociali. Le termiti presentano un netto polimorfismo, con una società divisa in caste: nel nido troviamo una coppia reale, formata da una femmina riproduttrice (che nelle termiti più evolute può arrivare a deporre trentamila uova al giorno) e un maschio che la feconda diverse volte nel corso della vita coniugale. Nelle termiti che costruiscono nidi di dimensioni considerevoli la coppia reale occupa una cella centrale dotata di aperture così anguste da impedire l'uscita alla regina quando il suo addome aumenta di volume. I sessuati, sia maschi che femmine, compaiono a tempo debito e volano all'esterno in grandi sciami per andare a fondare le nuove colonie. L'accoppiamento non avviene in volo ma a terra, dopo varie evoluzioni e la formazione di un curioso tandem. Entrambi i sessi collaborano alla fondazione della società. Gli altri componenti di questa complessa struttura sociale sono i neutri, che svolgono tutte le mansioni, eccettuata quella riproduttiva, e sono divisi in operai e soldati (tutti organismi sterili, sia maschi che femmine) provvisti di grosse mandibole e talora, come nel caso dei cosiddetti nasuti, di un'appendice piriforme che secerne un liquido tossico. Il termitaio quindi viene difeso con armi sia chimiche che meccaniche. Quando, per le ragioni più varie, la coppia reale viene a mancare, è rimpiazzata da individui giovani. Le termiti si nutrono principalmente di legno vivo, morto o anche putrescente, nonché di humus. Per procacciarsi il cibo costruiscono dei tunnel che collegano il termitaio e la fonte trofica, e ciò consente loro di restare costantemente al riparo dalla luce. Le termiti sono in grado di digerire la cellulosa grazie alla presenza nell'intestino di flagellati che demoliscono il polisaccaride rendendolo disponibile come cibo. In diverse termiti la stessa funzione è svolta da batteri, come nei mammiferi ruminanti, e persino da funghi. I nidi delle termiti possono essere sotterranei o scavati nel legno degli alberi, e quindi nascosti. Le termiti più evolute edificano termitai che possono raggiungere un'altezza di sette metri e un diametro di quindici metri. Le forme dei termitai sono estremamente varie: possono ergersi come monoliti, o assumere le sembianze di fantastici castelli o di giganteschi funghi. Queste costruzioni sono dotate a volte di camini di aerazione; nel cuore di esse alcune specie preparano il substrato per un 'orticello' in cui vengono coltivati basidiomiceti. Questi miceti attaccano la lignina e ne liberano la cellulosa, sviluppando alla superficie del substrato delle sferule biancastre, le micoteste, che assieme alla cellulosa entrano nella dieta giornaliera delle termiti.In conclusione, si può affermare che le termiti sono i più valorosi architetti del regno animale, in grado di realizzare edifici che, con le dovute proporzioni, rivaleggiano con le costruzioni più monumentali dell'uomo.
La diffusione delle termiti, che si sono impadronite di gran parte del pianeta (Asia, Africa, Australia, ecc.), è stata fermata dalla comparsa, più recente, delle formiche, le loro più irriducibili avversarie.
Formiche. - Le formiche, come abbiamo già accennato, costituiscono una famiglia dell'ordine degli imenotteri, e sono tutte sociali. Più recenti delle termiti, sono insetti evoluti, a metamorfosi completa, organizzati in società caratterizzate da un notevole grado di eclettismo e di complessità, che possono ampliarsi in confederazioni. Organismi eusociali, le formiche sono divise in caste con una precisa suddivisione dei compiti. Accanto alla regina, che ha il compito di deporre le uova, vi sono le operaie, che svolgono tutte le funzioni tranne quella riproduttiva, i soldati che difendono il formicaio, e infine gli alati maschi e femmine, che compaiono a un certo momento per sciamare in massa, copulando in volo. Successivamente la femmina fonda da sola il nuovo nido, perché i maschi nelle società delle formiche, e degli imenotteri in genere, hanno l'unica funzione di fecondare la regina - sono, per così dire, semplici donatori di sperma. Mentre nel termitaio i neutri, ossia operai e soldati, sono di ambo i sessi, nel formicaio sono soltanto femmine; la società delle formiche, si potrebbe dire, è un matriarcato.
Esistono circa diecimila specie di formiche, diffuse in quasi tutto il pianeta, fatta eccezione per le estreme regioni meridionali e settentrionali. Questi insetti possono essere dotati di possenti mandibole, di dimensioni maggiori e di forme diverse nei soldati, e di un apparato che secerne acido formico, situato all'estremità dell'addome. Si tratta di un composto con proprietà urticanti e asfissianti, che costituisce una delle armi più potenti di cui dispongono le formiche. È stata addirittura avanzata l'ipotesi che l'alta percentuale di acido formico presente nell'atmosfera dell'Amazzonia derivi dalle emissioni difensive e offensive delle formiche.
Molte specie, come Myrmica rubra, presente nei nostri giardini, scavano gallerie a una cinquantina di centimetri di profondità, con fori d'uscita contraddistinti da minuscoli coni di terra. Altre, come Lasius niger, aprono delle gallerie sotto una pietra, che costituisce un buon volano per gli squilibri termici e un tetto efficiente per le piogge torrenziali. Le formiche rosse delle Alpi, del gruppo rufa, Formica lugubris, aquilonia, polyctena, ecc., costruiscono, solitamente in corrispondenza di un vecchio ceppo, un nido formato da un labirinto di tunnel e di camere sotterranee che fungono da celle per la regina e per la covata, da magazzini per il cibo, da discariche, ecc., e da un cono, detto acervo, alto talvolta poco meno di un metro, costituito principalmente da aghi di conifera e frustule vegetali portati in loco dalle operaie. Il cono viene costantemente rimescolato nei suoi materiali, ed è percorso in lungo e in largo da numerose gallerie, con quadrivi e solari. Altre formiche vivono nelle cavità di certe piante tropicali, instaurando con le specie ospiti una vera e propria simbiosi. Le formiche Messor, per citare un altro esempio, sono granivore e costruiscono nidi sotterranei, dotati di camere speciali in cui vengono accumulate grandi quantità di semi. Alcune specie (ad esempio Camponotus) vivono nel legno di alberi morti, occupando anche nidi abbandonati dalle termiti.
Come abbiamo già accennato, formiche e termiti sono in stato di guerra permanente, e si può assistere a scontri tra i soldati dei due popoli che si prolungano per ore e comportano vere e proprie ecatombi. Nelle formiche non sono rare le guerre tra specie diverse della stessa famiglia, allo scopo sia di depredare i formicai delle riserve di semi, sia di fare incetta di schiave. Alcune specie di formiche infatti non sono in grado di procurarsi il cibo da sole e di allevare la propria prole, in quanto sono formate solo da regine e soldati, incapaci di svolgere qualsiasi altra funzione se non quelle di deporre le uova le une e di combattere le altre. Per procurarsi un contingente di operaie, queste formiche invadono i nidi di altre specie, uccidono i difensori e rapiscono i bozzoli delle larve. Portate nella roccaforte degli aggressori, le larve sono allevate dalle schiave già catturate, e una volta uscite dal bozzolo svolgeranno le mansioni necessarie all'esistenza del formicaio, accudendo la regina e i soldati come se fossero della propria specie.
Al pari delle termiti, anche le formiche hanno inventato l'agricoltura, milioni di anni prima dell'uomo. Le formiche sudamericane del genere Atta tagliano le foglie degli alberi, le portano nel formicaio, e dopo averle triturate ne fanno un substrato per la coltivazione di funghi, che digeriscono la cellulosa e offrono il proprio micelio come cibo. Ma non solo l'agricoltura, anche l'allevamento del bestiame è praticato da questi insetti prodigiosi. Le formiche sono estremamente ghiotte di 'melata', una sostanza zuccherina escreta dagli afidi, i pidocchi delle piante. Tamburellando con le antenne sull'addome di questi insetti, le formiche effettuano una sorta di mungitura, sollecitando l'emissione di gocce di melata. In cambio di questa sostanza zuccherina, le formiche difendono gli afidi dai predatori, e se si tratta di afidi che vivono sulle radici, costruiscono addirittura per loro minuscoli recinti di terra. Alcune specie (Anomma dell'Africa ed Eciton del Sudamerica) compiono spostamenti in massa di milioni di individui su fronti di diverse decine di metri, trascinando con loro un'enorme regina. Tutti gli organismi che queste orde incontrano sulla loro strada - insetti, millepiedi, ragni, ma anche piccoli roditori e uccelli non abbastanza pronti a levarsi in volo, o animali feriti, anche di una certa taglia - vengono divorati.
Api. - La famiglia degli Apidi, di cui fa parte Apis mellifera, nota anche come ape del miele, comprende specie eusociali, altre specie a socialità, per così dire, in progress, e altre ancora decisamente solitarie. Apis mellifera, che d'ora in poi chiameremo semplicemente ape, non presenta una struttura di casta, ma data la complessità della sua organizzazione sociale la si può annoverare a pieno titolo tra gli insetti eusociali. Tra le operaie difatti esiste una divisione del lavoro che si evolve nel tempo. L'adulta uscita dalla celletta di allevamento svolge in successione i lavori di spazzina, balia, costruttrice, guardiana e bottinatrice. Oltre alle operaie tuttofare, che sono esclusivamente femmine, l'alveare ospita una sola regina che depone, nella buona stagione, più di mille uova al giorno, e i maschi, o fuchi, che compaiono quando le operaie iniziano l'allevamento. I fuchi fecondano la regina durante il volo nuziale, e restano per così dire evirati a morte dopo la copula; i sopravvissuti sono scacciati dall'alveare e condannati a morire d'inedia, in quanto sono incapaci di procacciarsi il cibo da soli, oppure vengono uccisi. Quando compare la nuova regina, quella precedentemente insediata nell'alveare va in cerca di un nuovo ricovero per il nido, portando con sé metà del suo popolo. Si dice allora che l'alveare sciama.La straordinaria coesione delle società degli insetti indusse nel 1911 il mirmecologo W.M. Wheeler ad avanzare l'ipotesi che non si tratti di società nel senso usuale del termine, ma di organismi, o meglio di 'superorganismi'.
L'ipotesi venne applicata al termitaio da E. Marais e M. Maeterlinck, ed è stata poi ripresa da R. Chauvin e più di recente da R.F.A. Moritz ed E.E. Southwick con riguardo all'alveare. La regina e i fuchi sarebbero così assimilabili alle gonadi, e le operaie rappresenterebbero la struttura somatica del superorganismo. Si possono poi trovare corrispondenze con un sistema immunitario (le api guardiane come leucociti), una circolazione delle sostanze nutritive (la trofallassi), un sistema endocrino (la secrezione di feromoni all'interno dell'alveare), e infine con una omeostasi notevolmente efficiente. Durante l'estate, difatti, le api riescono a mantenere la temperatura dell'arnia intorno ai 36-37 gradi centigradi agitando le ali e spingendo l'aria calda fuori dall'alveare, oppure raccogliendo acqua dall'esterno e passandola alle compagne, che la spruzzano sui favi e nelle cellette vuote in modo che l'evaporazione provochi una diminuzione della temperatura. Il mantenimento del livello termico dipende da una sorta di feed-back, in quanto via via che si abbassa la temperatura le spruzzatrici rallentano la loro attività, intensificandola nuovamente quando essa aumenta.In occasione del Congresso internazionale sugli insetti sociali tenutosi a Parigi nel 1994, E.G. Robinson ha proposto di considerare l'alveare come una sorta di 'supercervello'. Le capacità psichiche delle api (si pensi solo al loro linguaggio) hanno da sempre costituito un appassionante enigma per gli scienziati, soprattutto se si considera che questo insetto non ha più di un milione di neuroni. È lecito ipotizzare che le api abbiano imparato a 'pensare insieme', interconnettendo le loro strutture cerebrali così intimamente da ottenere un cervello collettivo, un 'supercervello' appunto?
Afidi. - Se è valida l'ipotesi di Hamilton, ripresa da Dawkins, secondo cui sarebbero i geni a proporre e insieme a disporre il comportamento degli organismi, ne consegue che quanto maggiore è il numero di geni condivisi dagli individui, tanto più aumenta la probabilità che si manifestino tendenze alla socializzazione, e dunque azioni altruiste. Gli afidi (i comuni pidocchi delle piante) alternano una serie di generazioni partenogenetiche con una generazione anfigonica e vivono in gruppi, ma apparentemente senza rapporti tra gli individui che li compongono. È vero che quando uno di essi viene aggredito da un predatore, ad esempio una coccinella, secerne un feromone che allerta le compagne, e tuttavia ci si potrebbe aspettare forme di socialità più sviluppate, dato che la femmina partenogenetica mette al mondo individui che sono in linea di massima la sua copia conforme, con un pool di geni condivisi pari a quasi il 100% (salvo mutazioni e 'aggiustamenti' del genoma). Alcuni ricercatori giapponesi hanno messo in luce di recente che tra gli afidi esistono individui che potrebbero svolgere la funzione di soldati, in quanto dotati di zampe più robuste - soprattutto quelle anteriori - e di un apparato boccale corto e rinforzato, adatto non solo a pungere i vegetali, ma anche a essere usato come arma. I soldati trafiggerebbero le larve di un loro predatore, i ditteri sirfidi, rimettendoci talvolta la vita, e in altri casi succhierebbero le uova di questi predatori, perlomeno quelle il cui corion non è troppo resistente. Perché, allora, tra questi cloni si manifestano atti altruisti, ma non è apparsa alcuna forma di socialità vera e propria? La partenogenesi come sistema riproduttivo presenta alcuni vantaggi a breve termine, ma anche molti svantaggi che aumentano nel tempo. La facilità riproduttiva è controbilanciata da una caduta della biodiversità tra gli individui, che espone la specie al rischio di non poter fronteggiare efficacemente le sfide della selezione naturale - malattie, mutamenti ecologici, ecc. - in una parola il cambiamento. Per questo motivo, mentre le società nel lungo periodo riescono ad affermarsi, gli animali che, come gli afidi, non hanno sviluppato forme di vita sociale, col tempo diventano sempre più vulnerabili.
Uccelli. - Tra gli uccelli non troviamo esempi di eusocialità, ma talune specie hanno sviluppato comportamenti che sembrano confermare l'ipotesi del conflitto intergenerazionale proposta da Alexander, o quella della manipolazione parentale avanzata da Michener. Di solito, si considerano sociali i passeri repubblicani, che costruiscono nidi di enormi proporzioni sugli alberi delle savane dell'Africa meridionale. Queste strutture sono edificate con ogni sorta di rametti o steli vegetali rigidi e secchi, che non vengono intrecciati ma accumulati, al massimo incastrati, casualmente. Nella parte inferiore della struttura sono visibili i fori di accesso ai singoli nidi, il cui numero può arrivare a 150. Spesso esiste una galleria comune che percorre la struttura e che, come nel corridoio di un albergo, porta alle singole stanze del nido. Più che di società vere e proprie, si tratta di comunità riproduttive.Prossime all'eusocialità sembrano essere per contro quelle specie, come il codibugnolo dalla testa bianca o la ghiandaia, in cui esiste una categoria di 'aiutanti', ossia figli che rinunziano a riprodursi per aiutare i genitori nelle cure parentali. Sarebbe sufficiente che tali aiutanti perdessero la capacità di procreare (che invece conservano ed esercitano occasionalmente), per dar luogo a una società simile a quella degli insetti.
Mammiferi. - L'eterocefalo studiato da Jarvis è un mammifero eusociale in senso proprio, ma va considerato un'eccezione. Di norma, infatti, i rappresentanti di questa classe conducono con una certa frequenza una vita di gruppo.
I felini sono animali solitari, e solo i leoni mostrano una qualche tendenza alla socialità. Le leonesse si aggregano in branchi di sei-dieci femmine, spesso legate da vincoli di parentela di diverso grado, e fondano una sorta di nido d'infanzia, allattando i piccoli in comune e allontanandosi a turno per la caccia. Se la preda è di modeste dimensioni, viene inseguita e uccisa da un'unica femmina, mentre le altre stanno a guardare. Se viceversa si tratta di una zebra o di un bufalo, la caccia viene effettuata in gruppo con una tecnica di aggiramento, di finte e di mimetizzazioni tra l'erba che dimostra l'indubbia sapienza venatoria delle leonesse. Il compito dei maschi è di vigilare che il territorio non venga invaso da leoni rivali, che mirano a scacciarli e a impadronirsi delle femmine. I piccoli infatti vengono uccisi al momento della conquista, affinché le femmine possano entrare nuovamente in calore consentendo ai nuovi arrivati di avere una prole portatrice dei loro geni. I leoni che vigilano sulle femmine - da uno a otto - difendono tanto più efficacemente il loro territorio quanto più sono numerosi. Di solito si tratta di individui imparentati, fatta eccezione per quelli che si uniscono al gruppo dopo aver condotto un'esistenza solitaria. Di solito questi outsiders lasciano un numero di figli inferiore rispetto agli altri.I gatti selvatici sono in genere animali solitari, ma negli insediamenti urbani esibiscono comportamenti sociali: i piccoli vengono allattati in comune come nel caso delle leonesse, e i maschi sono tenuti ai margini delle comunità.
Nemmeno i primati hanno dato origine a società vere e proprie, nel senso della eusocialità, ma tutte le specie vivono in gruppi formati da famiglie permanenti o temporanee, e le femmine si dedicano alle cure parentali, spesso prolungate nel tempo. Talvolta - in genere nelle specie monogame - il maschio aiuta la femmina nell'allevamento dei piccoli, come accade tra i tamarini, che estendono la collaborazione ai fratelli e alle sorelle maggiori. Solo la madre si riproduce, perché la presenza materna inibisce i cicli ormonali delle figlie adulte. Siamo qui in presenza, dunque, di un inizio di manipolazione parentale. Di solito i piccoli delle scimmie sono in grado di aggrapparsi al pelo materno sin dalle prime ore di vita (fanno eccezione quelli dei gorilla, i cui muscoli per alcuni mesi non sono sufficientemente forti). Il trasporto dei piccoli è quasi sempre affidato alla madre, tranne che nel callicebo: in questo caso infatti è il padre a offrire il dorso al figlioletto. Esaminando una novantina di specie, si è osservato che alcune, come ad esempio il gibbone, sono monogame (20%); altre, come ad esempio lo scimpanzé, sono poligame (60%); altre ancora, come ad esempio il tamarino, sono sia monogame che poligame (19%). Gli entelli e i colobi gestiscono un harem, composto di femmine tuttofare, in cui il maschio si occupa solo di difendere le favorite dai possibili rivali. Le amadriadi, invece, si uniscono in gruppi imponenti, formati da diverse centinaia di individui. Anche in questi gruppi si ha un harem con un unico maschio e numerose femmine con i piccoli. Gli harem i cui maschi sono più o meno imparentati si consorziano in un clan e ogni clan, pur facendo parte dello stesso gruppo, costituisce un consorzio autonomo che sfrutta per conto proprio le risorse del territorio. Tra i macachi del Giappone sono stati da tempo osservati casi di trasmissione culturale. Ad esempio la 'scoperta', da parte di una femmina particolarmente inventiva, che le radici lavate in mare per liberarle dalla terra erano più gustose da mangiare, venne prontamente adottata dagli altri componenti del gruppo.
Nelle specie promiscue le relazioni sociali sono piuttosto variabili e la coesione è conservata attraverso una gerarchia più o meno rigida. Gli individui dominanti di solito conquistano la loro posizione attraverso interazioni agonistiche, che prevedono esibizioni di minaccia, vocalizzi e raramente atti di forza veri e propri. I contendenti devono però riconciliarsi, per mantenere la stabilità delle relazioni sociali del gruppo. Di recente sono stati studiati con particolare attenzione i cosiddetti 'segnali di pacificazione'. Tra gli scimpanzé gli antagonisti, dopo il conflitto, si scambiano un bacio, oppure il vincitore porge la mano al vinto. L'eclettismo dei muscoli facciali nelle scimmie antropomorfe favorisce una serie di espressioni - già studiate da Darwin - che assolvono importanti funzioni comunicative tra i membri di un gruppo. Dalle osservazioni ormai classiche di Schaller, e più di recente della Fossey, è risultato che le società dei gorilla sono pacifiche, nel senso che l'ordinamento gerarchico è basato sull'anzianità: i maschi dominanti sono quelli più avanti negli anni, con il dorso color argento. Ogni trasgressione dell'ordinamento gerarchico viene punita bonariamente con uno schiaffo. Il noto gesto di minaccia del gorilla - che consiste nel battere i pugni sul petto come su un tamburo - è un bluff più che un prologo all'attacco. Tra gli scimpanzé, invece, la Goodal ha messo in luce singolari attitudini aggressive, che possono tradursi in vere e proprie spedizioni di guerra contro gruppi territorialmente contigui, o addirittura in uccisioni gratuite. Come quello perpetrato da un gruppo di maschi sorpresi mentre massacravano una femmina e il suo piccolo, incontrati da soli nella foresta. In compenso, gli scimpanzé hanno dato prova, a cominciare dai primi decenni del nostro secolo, di possedere una intelligenza davvero notevole. In cattività, non solo impiegano un bastone per raggiungere del cibo posto fuori dalla portata della mano, ma sanno rendere più lungo l'attrezzo connettendone telescopicamente due tronconi cavi. Mettono, inoltre, delle casse l'una sull'altra per impadronirsi di qualche leccornia sospesa al soffitto della gabbia, e, in natura, schiacciano noccioline impiegando un grosso sasso come fosse una incudine e uno più piccolo come se si trattasse di un martello. Una scimmia, Washoe, ha imparato il linguaggio gestuale dei sordomuti americani, e un'altra, Sarah, ha appreso a leggere e a scrivere con un lessico di parole-oggetti del tutto convenzionali: un triangolo per un piatto e così via. Altri scimpanzé, alfine, sono stati addestrati a comunicare attraverso un computer, o a dipingere, addirittura, dei quadri informali.
Il bonobo, lo scimpanzé nano, o silvestre che dir si voglia, è oggetto attualmente di una intensa attenzione da parte dei primatologi. Si è scoperto che somiglia all'uomo in molte cose: sta lungamente in posizione eretta, fa l'amore faccia-faccia, pratica l'omosessualità con un certo entusiasmo, le femmine conoscono i vantaggi della prostituzione, e così via, possiede un ricco corredo di segnali di riconciliazione. Kanzi, un vero e proprio genio della specie, ha imparato l'inglese sentendo parlare i suoi istruttori, e a scheggiare selci più o meno come i nostri antenati preistorici. In altre parole, il bonobo è probabilmente il nostro parente più prossimo.
Charles Darwin ha descritto la 'struggle for life' come un fatto universale e necessario. Ma a questa 'attitudine gladiatoria', l'esistenza delle società suggerisce che si affianchi una 'attitudine cooperatoria'. P. Jaisson ha evocato il cooperone, una tendenza che spingerebbe gli organismi a venire a patti tra di loro. Questo, fin dal principio. L. Margulis ha supposto, difatti, che il nucleo e gli organelli cellulari, come i mitocondri e i plastidi, che vivevano dapprima autonomamente, abbiano invaso un protoplasma primordiale dando origine a una simbiosi che si è evoluta in una cellula vera e propria. Il cooperone sarebbe stato, per dir così, il regista di tutta la palingenesi societaria, dalla cellula all'uomo. In parole povere, se le cellule sono una società di organelli, possiamo supporre che i tessuti siano una società di cellule, gli organi una società di tessuti, i corpi una società di organi. Attualmente si può fantasticare che il cooperone punti non più sui corpi, ma sulle menti. Dopo aver interconnesso in un supercervello i neuroni delle singole api, avrebbe cominciato a lavorare su di noi, progettando l'avvento di quella che Teilhard de Chardin ha chiamato la noosfera. In futuro, quando i nostri cervelli entreranno in comunicazione diretta, magari attraverso delle protesi, con i computer, diventerà possibile mettersi a pensare in collettivo. La tribù globale avrà un cervello totale. Internet, forse, è il primo mattone di questa rete elettronica che consorzierà e amplificherà le nostre reti neuronali. È un sogno; o forse l'incubo di un entomologo? (V. anche Cultura; Etologia; Evoluzione culturale).
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