Società contadine
La ricerca sulla struttura e sull'evoluzione delle società contadine ha conosciuto un impetuoso sviluppo negli ultimi decenni. La cultura contadina è stata oggetto di studio non solo da parte di storici, sociologi ed economisti, ma anche di antropologi, psicologi ed etnologi, che con i loro lavori hanno contribuito a un notevole arricchimento dell'apparato terminologico e concettuale. Importanti sollecitazioni per lo studio delle società contadine sono scaturite dal confronto dei paesi occidentali con quelli del Terzo Mondo (Asia, Africa, America Latina), dove in generale i contadini rappresentano tuttora la maggioranza della popolazione. Il disgregamento degli imperi coloniali europei in Africa e in Asia nel secondo dopoguerra ha stimolato una quantità di lavori sui cosiddetti paesi sottosviluppati e ha portato ad una presa di coscienza generale dei problemi economici, sociali e culturali di questi paesi. Al di fuori del mondo comunista, l'India risultava essere la nazione in cui la popolazione contadina era più numerosa, e di conseguenza i problemi sociali ed economici che tale paese si è trovato ad affrontare dopo l'acquisizione dell'indipendenza hanno destato un particolare interesse e sono stati oggetto di numerosi studi. La mescolanza di tradizioni hindu, musulmane e britanniche nell'agricoltura e nella cultura contadina rendevano l'India un interessante oggetto di analisi sociologiche e culturali: l'espansione demografica, la scarsità di terre e le tradizionali gerarchie di casta contribuivano a rendere ancora più scottanti i problemi della società indiana.Il confronto con i problemi del Terzo Mondo ha ridestato inoltre l'interesse della società urbanizzata e industrializzata dell'Occidente per il proprio passato contadino e per i vari aspetti della vita rurale nella storia europea. Sino a buona parte del XIX secolo la maggioranza della popolazione europea viveva nelle campagne, e l'agricoltura costituiva la sua principale risorsa. La responsabilità del temporaneo oblio di queste radici rurali va imputata in buona parte anche agli studiosi della storia della società europea. Con gli occhi rivolti ai problemi della realtà contemporanea, sia gli storici che i sociologi per lungo tempo hanno posto al centro delle loro ricerche gli elementi distintivi della civiltà urbana e industriale. L'attenzione si è quindi focalizzata sugli sviluppi dell'industrializzazione, sull'espansione urbana, sull'ascesa della classe operaia e sulla nascita di nuovi valori nella società industriale, mentre sono stati trascurati i fenomeni della società agraria che l'ha preceduta. Nel fissare queste priorità, anche gli studiosi hanno contribuito quindi a quell'oblio collettivo in cui per un certo tempo è caduto il mondo rurale. Naturalmente non sono mancati gli autori che si sono occupati delle antiche società contadine dell'area europea. Tra questi studiosi peraltro dominava la tendenza ad una trasfigurazione romantica del mondo rurale del passato, ad una idealizzazione dei contadini, della loro cultura e delle loro forme sociali. Indulgendo ad un rimpianto nostalgico per una forma di vita irrimediabilmente perduta, codesti autori credevano di poter scoprire nel mondo del villaggio valori e norme di cui si registrava con rammarico l'assenza nella cruda realtà sociale del presente. Esemplare a questo riguardo è la figura e l'opera di W. H. Riehl, il precursore del folklore tedesco, che alla metà del XIX secolo descrisse e idealizzò la forma di vita rurale. Alla base del suo interesse per la società contadina prima della Rivoluzione francese e dell'industrializzazione vi era un atteggiamento fortemente critico nei confronti dei processi sociali del presente. I fenomeni di crisi dello Stato e della società manifestatisi nella prima metà dell'Ottocento a seguito dei rivolgimenti sociali, economici e politici dell'epoca si sarebbero potuti superare, secondo Riehl, con un ritorno ai valori e alle norme tradizionali. Punto di riferimento di questi sforzi di restaurazione del passato erano proprio i contadini, il loro modo di vita e le loro forme sociali che Riehl ammirava e proponeva come modello.
A dare nuovo impulso alla ricerca sui contadini nel passato e nel presente ha contribuito in misura notevole l'antropologia sociale e culturale, che attraverso numerosi studi sulle società contadine (peasant societies) in Africa, in Asia e nell'America Latina, ma anche in Europa, ha fornito preziose precisazioni concettuali e terminologiche. In questi studi la peasant society viene distinta sia dalla società tribale primitiva, sia dalla moderna società industriale, e viene analizzata nei suoi specifici elementi strutturali. Nell'area anglosassone le caratteristiche della società contadina e le linee fondamentali della sua evoluzione sono state studiate in particolare da E.R. Wolf (v., 1966). Le moderne società industriali si sono sviluppate per aspetti essenziali dalla società contadina, e proprio ciò conferisce loro, secondo Wolf, una particolare rilevanza storica. Nelle società preindustriali i contadini sono integrati in una organizzazione politica in cui sono soggetti ad una serie di obblighi e di pretese da parte dei membri del ceto non rurale, che per garantirne l'ottemperanza possono anche far ricorso a sanzioni. Ciò che segna "la distinzione cruciale tra i contadini e i coltivatori primitivi", scrive Wolf, è "la produzione di un fondo di rendita. Tale produzione a sua volta è alimentata dall'esistenza di un ordinamento sociale in cui alcuni individui, in virtù del potere che detengono, esigono pagamento da altri, dando luogo a un trasferimento di ricchezza da un settore della popolazione ad un altro" (v. Wolf, 1966, p. 10). L'azienda e la famiglia contadine rappresentano una comunità di produzione e di consumo che unisce in sé tutte le persone che vi appartengono. A differenza del 'contadino' (peasant) l''agricoltore' (farmer) moderno negli Stati Uniti è un imprenditore la cui forza lavoro non è più integrata nel gruppo familiare.
Importanti contributi alla definizione e alla concettualizzazione delle società contadine sono stati offerti anche da T. Shanin. Egli definisce i peasants come "piccoli produttori agricoli che, con l'ausilio di attrezzature semplici e con il lavoro dei familiari, producono perlopiù per il proprio consumo diretto o indiretto, e per assolvere le obbligazioni nei confronti dei detentori del potere politico ed economico" (v. Shanin, 1987², p. 3). Le definizioni e le tipologie sociologiche tuttavia riescono a cogliere solo alcuni aspetti di un fenomeno complesso come la società contadina. Shanin indica quattro criteri in base ai quali definire la categoria dei 'contadini': 1) l'azienda agricola a conduzione familiare come unità di base multidimensionale di organizzazione sociale; 2) l'agricoltura come fonte di sussistenza primaria; 3) la presenza di specifici modelli culturali legati alla forma di vita propria di una piccola comunità rurale; 4) la subordinazione ad autorità e potenze esterne (ibid., pp. 3-5).
In base ai criteri di Shanin, dunque, a fondamento della società contadina vi è l'azienda a gestione familiare, al cui centro vi è la fattoria annessa al podere da cui la famiglia contadina deriva le entrate necessarie per il sostentamento dei suoi membri e per il pagamento dei tributi al signore. La coltivazione della terra e l'allevamento del bestiame costituiscono le basi dell'economia agraria, che nel complesso è poco specializzata. L'influenza dell'ambiente e della natura viene risentita soprattutto dai piccoli contadini, che hanno una quantità di terra limitata e sono maggiormente esposti ai mutamenti climatici e alle catastrofi naturali. La vita dei contadini si svolge nell'ambito di piccole comunità, in cui l'esistenza rurale con le sue forme specifiche di associazione e di riproduzione sociale trova la sua cornice ideale. La cultura contadina presenta determinate peculiarità, come la dominanza di forme di pensiero e di comportamento tradizionali, l'esistenza di norme specifiche relative al possesso e all'eredità della terra, alla formazione di comunità e all'esclusione sociale.Il ceto contadino di norma è dominato da potenze esterne. Alla subordinazione politica è associata una subordinazione culturale e lo sfruttamento economico attraverso tributi, corveés e tasse. L'oppressione cui sono soggetti i contadini dà origine periodicamente a rivolte nonché a varie forme di resistenza, come il ritardo nella corresponsione dei tributi, l'inosservanza delle norme giuridiche e la migrazione. Questi quattro criteri che definiscono il mondo contadino devono essere considerati globalmente nelle loro interrelazioni reciproche; quando uno di essi manca, muta anche la configurazione delle altre componenti. Quali aspetti e quali prospettive emergono quando si applicano il concetto di 'contadini' e i criteri di definizione della società contadina alla storia europea premoderna? Come ceto sociale (distinto dall'aristocrazia e dalla borghesia urbana) i contadini fanno la loro comparsa solo all'inizio del basso Medioevo, con un complesso di caratteristiche che presentano sorprendenti affinità con quelle osservate in generale dagli etnologi e dagli antropologi nei contadini di altre aree del mondo. Questo complesso di elementi distintivi (v. Fallers, 1961, p. 108) può essere descritto nel modo seguente. I contadini appartengono ad una società caratterizzata dalla divisione del lavoro in cui la massa della popolazione partecipa alla produzione delle risorse alimentari. La differenziazione riguarda in particolare anche le attività artigianali - il ceto contadino fa parte infatti di una società complessiva in cui sono già presenti insediamenti urbani e mercati. Esistono quindi rapporti reciproci tra città e campagna, nonché legami sociali tra la popolazione rurale e quella non rurale. I contadini sono assoggettati a potenze e autorità esterne, e si trovano in una condizione di subordinazione. I prodotti agricoli forniscono la maggior parte dei beni di consumo necessari; la produzione delle risorse alimentari assicura una relativa autonomia alla famiglia contadina, da cui proviene pressoché tutta la manodopera necessaria alle attività agricole. Nell'organizzazione sociale domina il modello patrilineare, cui fa riscontro una dominanza maschile nelle attività agricole. Per il resto, i ceti rurali sono contraddistinti da un forte legame con la tradizione, nonché dall'esistenza di saldi vincoli comunitari che contrastano con le forme di organizzazione sovraregionali tipiche della società industriale. A tutti questi elementi, tuttavia, la letteratura attribuisce un peso e un'interpretazione diversi. Cosa distingue il peasant dal semplice coltivatore? Secondo Wolf, la principale differenza tra le due categorie risiede nel fatto che il coltivatore semina e raccoglie per il proprio consumo personale (agricoltura di sussistenza), oltre che per assolvere le obbligazioni legate alla parentela e al rituale, ma non in vista di un guadagno. Il surplus di raccolto pertanto viene scambiato con altri beni in natura, oppure barattato con prodotti artigianali. I contadini per contro vendono la produzione eccedente sul mercato, che secondo Wolf (v., 1966) costituisce uno dei presupposti fondamentali per lo sviluppo della città. Un'interpretazione per certi versi differente è data da Fallers (v., 1961), il quale definisce condizione di 'semiautonomia' delle società contadine quella che Wolf interpreta come posizione intermedia tra le tribù primitive e la società industriale. Le unità fondamentali delle società contadine sarebbero semiautonome sul piano economico (autarchia da un lato e dipendenza dalla vendita sul mercato e dal commercio dall'altro), sul piano politico (le comunità di villaggio sono subordinate al gruppo politico dominante, ma godono nello stesso tempo di una relativa autonomia nei suoi confronti), e sul piano culturale (la cultura popolare del mondo contadino si contrappone alla cultura 'alta' dei ceti urbani, ma nello stesso tempo dipende da essa). Sotto tutti e tre i profili - economico, politico e culturale - i gruppi locali delle società primitive o tribali secondo Fallers sono completamente autonomi, mentre non lo sono le unità sociali fondamentali del mondo industrializzato in ragione dell'estesa specializzazione e della stretta interdipendenza di tutti gli ambiti della vita.Questo complesso di caratteristiche che emerge nelle società contadine studiate dagli antropologi si ritrova in larga misura anche nel ceto contadino europeo che fa la sua comparsa nell'XI secolo, e che nel tardo Medioevo e nella prima età moderna ha improntato la vita sociale ed economica della maggioranza della popolazione.
La figura idealtipica del contadino mitteleuropeo, definita sulla base del modo di produzione, del livello tecnologico e dell'organizzazione del lavoro, presenta secondo Wenskus (v. Wenskus e altri, 1975, pp. 1-28) i seguenti tratti distintivi. In primo luogo, il contadino è produttore di risorse alimentari (animali e vegetali), e pratica l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. Ciò lo distingue sia dai gruppi di coltivatori e cacciatori-pescatori, i quali utilizzano tecniche agricole ancora primitive, ma anche dai gruppi nomadi di semplici allevatori. In secondo luogo, il contadino in senso proprio svolge la sua attività produttiva nel contesto di un'unità economica autonoma, e si distingue quindi sia dagli schiavi del grande latifondo, sia dagli agricoltori moderni, sia anche dai piccoli coltivatori e dai braccianti salariati, che possiedono solo una piccola azienda autonoma e coprono la maggior parte del loro fabbisogno lavorando per un altro signore o con l'attività artigianale. In terzo luogo, il contadino non si serve più del bastone da scavo né pratica l'ortocoltura, ma coltiva il podere con l'aratro. Soprattutto nell'area europea, l'impiego di questo attrezzo è considerato un criterio essenziale per distinguere i contadini dai semplici coltivatori. In quarto luogo, il contadino gestisce in proprio la sua azienda, a differenza del grande proprietario e del signore, i quali danno in concessione le proprie terre ad altri. A ciò sono legate alcune caratteristiche dei contadini che, sebbene non sempre siano necessariamente presenti, tuttavia si riscontrano nella generalità dei casi. In molte regioni europee, ad esempio, non è concepibile un contadino che non sia sposato, in quanto la presenza di una massaia e le mansioni che essa svolge sono indispensabili alla conduzione della fattoria. In quinto luogo, il contadino lavora fisicamente nell'azienda. In che misura ciò si verifica dipende dalla quantità di manodopera servile e familiare di cui può disporre, dalle dimensioni dell'azienda e dal carattere più o meno intensivo della produzione. Quando il lavoro dell'agricoltore si limita esclusivamente all'organizzazione del lavoro dei servi e dei braccianti, non si tratta più di un contadino ma di un grande proprietario.
Oltre a queste cinque caratteristiche fondamentali, nei contadini del Medioevo e dell'età moderna si possono individuare altri elementi distintivi. In primo luogo, un modo di pensare e modelli di comportamento fortemente conservatori, che differenziano culturalmente il ceto contadino dalla popolazione urbana con la sua cultura scritta. Rispetto a quest'ultima, i contadini sono ancorati a forme di vita tradizionali e antiquate, e si dimostrano maggiormente attaccati alla tradizione. La mentalità conservatrice spiega il relativo ritardo con cui la secolarizzazione penetra nel mondo rurale, e quindi la persistente religiosità che lo caratterizza. Un altro elemento tipico dei contadini europei è la sedentarietà. Al 'radicamento nel suolo' tipico del contadino è associato un complesso di aspetti economici, sociali e politici. Max Weber ha dimostrato come tale radicamento costituisse una conseguenza del progresso tecnico (uso dell'aratro a ruote, sistema della rotazione delle tre colture, ecc.) e dell'accresciuta densità della popolazione. Secondo Weber l'intensificazione del lavoro comportò un crescente vincolamento alle attività agricole, e con l'aumento della densità della popolazione l'allevamento del bestiame, che in origine aveva un ruolo preponderante, passò in secondo piano rispetto all'agricoltura intensiva. "Quanto più divenne indispensabile il lavoro costante dell'uomo nell'agricoltura, tanto meno egli era disponibile per le imprese militari e i saccheggi; quanto più rara divenne la possibilità di queste forme di guadagno, tanto più egli si attaccò per così dire al suolo, divenne economicamente ancorato alla zolla e - naturalmente in senso relativo - non bellicoso" (v. Weber, 1924, p. 338). Queste trasformazioni sociali, economiche e politiche - l'affermarsi dell'agricoltura intensiva da un lato e del sistema feudale dall'altro - determinarono a partire dal basso Medioevo nei paesi dell'Europa centrale e occidentale la separazione tra il ceto dei cavalieri e il ceto dei contadini. Storicamente, quindi, il termine 'contadini' si può legittimamente applicare esclusivamente ai membri del ceto rurale dell'Europa medievale; solo con la formazione di questo ceto a partire dall'XI secolo il termine andò acquistando il suo significato proprio.
Poiché l'attività economica dei contadini è legata alla natura, essi dipendono in misura notevole dalle condizioni climatiche e ambientali. La ricerca sulla società rurale europea premoderna deve pertanto tener conto delle differenze relative alle condizioni geografiche e insediative. Fattori naturali quali il suolo, il clima e le variazioni meteorologiche rendevano estremamente difficile la sopravvivenza ai contadini, in particolare in un'epoca in cui il lavoro nelle campagne era reso particolarmente duro dall'insufficiente sviluppo delle tecniche agricole. Un altro fattore di cui occorre tener conto è l'ineguale sviluppo storico delle diverse regioni. Le diverse forme di vita e di comunità rurali vanno pertanto ricollegate alle differenti strutture insediative (il villaggio, il piccolo agglomerato di fattorie, o un'unica grande fattoria).
Lo sviluppo demografico ebbe anch'esso una notevole influenza sulla situazione delle campagne. A seguito dell'incremento demografico verificatosi tra l'XI e il XIV secolo, che portò la popolazione europea a raddoppiare o addirittura a triplicare, e dell'espansione della colonizzazione, il rapporto tra superfici coltivate e popolazione subì un radicale mutamento. In molte regioni alla fine del XIII secolo si arrivò ad una palese situazione di sovrappopolamento. L'espansione forzata delle terre coltivate a scapito dei boschi e dei pascoli sconvolse il precario equilibrio tra allevamento del bestiame e agricoltura; la riduzione dell'allevamento del bestiame significava infatti una diminuzione della concimazione organica e quindi una minore produttività del suolo. Il fabbisogno alimentare di una popolazione in costante aumento costrinse a uno sfruttamento eccessivo del terreno, che finì per esaurirsi. Fasi analoghe di espansione demografica, con le relative conseguenze per la popolazione rurale, si ebbero anche nel XVI e nel XVIII secolo.
Per quanto riguarda le condizioni di esistenza dei contadini nei diversi contesti climatici e ambientali, si possono distinguere in Europa quattro zone agrarie: settentrionale, centro-occidentale, meridionale e orientale. Nella prima area, grazie all'azione delle correnti del Golfo che mitigano il clima, i confini della cerealicoltura si spostano molto a nord. L'orzo costituisce il principale cereale coltivato nella regione agricola settentrionale, che comprende una notevole porzione della Scandinavia; nella zona agraria a sud di quest'area domina invece la coltivazione dell'avena e della segale. Entrambe le varietà di cereali hanno bisogno di un clima notevolmente più caldo rispetto all'orzo, e l'avena richiede inoltre molta umidità. Nell'Europa settentrionale si ha nel complesso una combinazione equilibrata di allevamento del bestiame, agricoltura ed economia forestale. La vasta zona agraria dell'Europa centrale e occidentale, i cui principali paesi sono l'Inghilterra, la Francia e la Germania, è caratterizzata dalla coltivazione di una varietà di piante e dalla associazione di diverse attività agricole. Alle zone costiere in cui prevalgono i terreni adibiti a pascolo fa seguito un'area nella quale la coltura dominante è rappresentata dalla segale. Più a sud l'Europa centrale è attraversata da ovest a est da una cintura di depositi di löss, in cui alle spalle della mezza montagna si estendono fertili terreni agricoli.
Nell'Europa meridionale troviamo la vasta zona agraria mediterranea a carattere pianeggiante, che abbraccia in gran parte i territori di Spagna, Portogallo, Francia meridionale, Italia e dell'area sudeuropea. In questa regione la coltura dominante è il grano invernale, seguito dal mais e dalla vite. La regione agraria dell'Europa orientale ha confini meno netti rispetto a quelle sopra menzionate. Dalla Polonia alla Slovacchia all'Ungheria sino all'area russa, si estende un vasto territorio che nella zona settentrionale è caratterizzato dalla coltivazione dell'avena e della segale, e a sud, nelle fertili pianure, da quella del frumento e del mais. In tutte le quattro zone agrarie europee si ha in genere un sostanziale equilibrio tra agricoltura e allevamento del bestiame. Le regioni in cui l'allevamento del bestiame è praticato in modo particolarmente intensivo si trovano nella Francia settentrionale, nei Paesi Bassi, in Danimarca, nella Germania settentrionale e sulle Alpi. Spesso allevamento intensivo e agricoltura intensiva sono strettamente collegati.Il feudalesimo, il sistema manoriale, la rotazione delle tre colture e la comunità di villaggio, che costituiscono gli elementi essenziali della società contadina europea, si svilupparono nei principali paesi del continente per poi espandersi gradatamente nelle aree periferiche. Nella storia quasi millenaria delle società contadine europee - che ebbero il loro periodo di massima fioritura nell'arco di tempo compreso tra l'inizio del basso Medioevo e l'emancipazione dei contadini nel XIX secolo - è possibile individuare un nucleo di elementi comuni: la dipendenza dal grande proprietario o dal signore locale; il sistema della rotazione delle tre colture nei campi del villaggio; il predominio dell'azienda a conduzione familiare; un notevole grado di autonomia della comunità di villaggio e infine una relativa omogeneità di sistemi di valori tra i ceti contadini.
Le specificità della società contadina occidentale emergono con particolare evidenza qualora le si ponga a confronto con le società contadine di altre aree, ad esempio i paesi islamici. Le antiche regioni agricole dell'Egitto, della Siria e della Mesopotamia, con i loro sistemi di irrigazione altamente evoluti, presentavano condizioni ambientali e climatiche assai diverse da quelle dell'Europa occidentale. Le zone costiere e le oasi fluviali, in cui le abbondanti precipitazioni o l'irrigazione artificiale consentivano l'agricoltura intensiva, erano regioni assai fertili. Nei territori delle steppe, là dove i terreni erano di buona qualità, si praticavano la cerealicoltura e l'allevamento intensivo del bestiame (in particolare pecore e capre). Ai nomadi di quest'area si contrapponevano però gli agricoltori dei grandi bacini fluviali. Il successo dell'economia agraria in questi territori dipendeva soprattutto dalla distribuzione razionale dell'acqua; solo il controllo centralizzato del lavoro dei contadini rendeva possibile la realizzazione di imponenti sistemi di irrigazione e di canali.
L'organizzazione quasi anarchica propria delle zone desertiche dei beduini era in netto contrasto con il forte potere statale che caratterizzava le regioni irrigue. Spesso il lavoro nelle campagne era controllato dalle città, che esigevano in cambio una quota consistente della produzione agricola. Da questo rapporto di dipendenza si sviluppò il peculiare ceto contadino orientale, rappresentato dai fellahin delle grandi oasi fluviali. I fellahin costituivano una società a sé stante, distinta sia dai beduini che dagli abitanti delle città, la quale come discendente diretta della popolazione indigena preesistente alla conquista araba aveva conservato molti aspetti dell'antica cultura contadina. Lo status sociale dei fellahin era relativamente modesto, poiché la loro condizione di affittuari comportava un rapporto di stretta dipendenza dai grandi proprietari. L'allevamento del bestiame per i fellahin era meno importante che per i contadini europei, in quanto sebbene anche in Oriente gli animali venissero usati per coltivare i campi, nel complesso essi avevano un ruolo più marginale nell'agricoltura. Il pesante aratro su ruote era utilizzato in alcune regioni per dissodare i terreni più fertili, ma il primitivo aratro a chiodo restava il principale attrezzo per lavorare la terra. In Egitto, tuttavia, la fertilità del suolo consentiva un'agricoltura intensiva. Rispetto ai contadini europei, i fellahin orientali nel complesso si trovavano in una condizione sostanzialmente peggiore, godevano di scarsa autonomia nell'ambito del villaggio e poterono sviluppare solo in misura molto limitata una propria dinamica.
L'unità fondamentale delle società contadine europee fu per secoli l'azienda agricola a conduzione familiare. La comunità di lavoro costituita dalla famiglia contadina coltivava un podere le cui dimensioni variavano a seconda della posizione geografica e delle condizioni economiche. Per molto tempo il manso (hide, Hufe) costituì la dotazione di terra standard di una famiglia contadina; relativamente eguali all'interno di uno stesso villaggio, i poderi per il resto potevano avere dimensioni alquanto variabili, e in epoca più antica misuravano in media dai 10 ai 16 ettari. A partire dal basso Medioevo le dimensioni dei lotti di terra assegnati ai piccoli contadini si accrebbero costantemente. Il fine primario della azienda contadina a conduzione familiare era quello di assicurare la sussistenza della famiglia con i proventi della coltivazione della terra e dell'allevamento del bestiame. La regolamentazione della produzione e del consumo era orientata primariamente ai bisogni dell'economia domestica, tendenzialmente autarchica e relativamente chiusa, che produceva le principali risorse alimentari e le materie prime per la sussistenza e la conduzione dell'azienda. L'entità della produzione era commisurata in larga misura alle necessità di consumo della famiglia e all'ammontare dei tributi dovuti al signore.
L'azienda rurale dell'Europa premoderna rappresentava dunque un sistema sui generis, che copriva il proprio fabbisogno alimentare con l'economia domestica e organizzava la propria vita economica per quanto possibile in modo indipendente dal mondo esterno. Il lavoro tuttavia non era finalizzato in prima linea al guadagno, bensì alla sussistenza della famiglia. Strettamente legata al sistema feudale e signorile, l'azienda contadina a gestione familiare ebbe per secoli un ruolo centrale nella società agraria europea del Medioevo e della prima età moderna, e conserva tuttora un ruolo di primo piano nelle aree agricole extraeuropee, in particolare nei paesi in via di sviluppo dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina.La famiglia contadina costituiva il perno dell'intero complesso delle attività rurali, sia domestiche che agricole, in quanto i suoi componenti - che comprendevano oltre ai familiari anche le persone di servizio - fornivano la manodopera necessaria al loro svolgimento.La dottrina medievale dell'oikos, la 'scienza della casa', si occupava di tutti gli aspetti economici e culturali di questo sistema, che è rimasto in vita nelle campagne del basso Medioevo sino al XIX secolo (v. Brunner, 1968², pp. 103-127). L'economia contadina costituiva il fondamento della struttura economica e sociale dell'antica Europa, e per lungo tempo rimase sostanzialmente immune dai numerosi mutamenti politici e sociali.Il punto di forza dell'azienda contadina a conduzione familiare, che le consentì di conservarsi così a lungo nel tempo, era costituito dal fatto che il contadino non considerava il suo podere come una fonte di reddito che si poteva abbandonare quando fosse diventato infruttuoso, come accadeva invece tipicamente tra gli agricoltori americani. Nell'Europa premoderna il contadino continuava a lavorare la terra anche quando il reddito che ne traeva risultava inferiore a quello corrente del lavoro salariato, e in questo modo conservava i fondamenti della sussistenza per il futuro. Poiché l'economia contadina si basava sostanzialmente sul lavoro non retribuito dei membri familiari, in tempi di crisi la manodopera si limitava esclusivamente a questi ultimi. Tuttavia le famiglie contadine si assicuravano la sussistenza riducendo i consumi e intensificando il lavoro. Nell'epoca preindustriale, quando la compenetrazione dei mercati nelle campagne era ancora relativamente scarsa e i contadini erano toccati in misura minore dalle crisi, questi principî dell'economia rurale rivestivano una grande rilevanza.Importanti chiarimenti sulle modalità di funzionamento dell'antica azienda contadina a conduzione familiare sono stati offerti dall'economista russo A.V. Chayanov (v., 1966), che sulla base delle sue ricerche empiriche sulle campagne russe prima del 1914 ha elaborato una teoria generale dell'economia rurale premoderna. Chayanov ha messo in rilievo come nell'azienda agricola a gestione familiare la produzione e il consumo fossero regolati da proprie leggi economiche; in particolare la produzione non era finalizzata al profitto, bensì principalmente a garantire la sussistenza della famiglia. In questo tipo di organizzazione economica contavano i guadagni lordi del lavoro complessivo di tutti i membri familiari, non gli utili netti. Quando a seguito dell'eccessiva frammentazione e riduzione delle dimensioni dei poderi, o di un sensibile incremento demografico il reddito diminuiva, la famiglia contadina reagiva aumentando il grado di intensità del lavoro, che poteva superare quello standard del lavoro salariato nella misura in cui la sussistenza della famiglia era in pericolo e si offrivano possibilità di guadagno addizionali. Il comportamento della famiglia contadina che vedeva minacciata la propria sussistenza non era guidato da considerazioni di redditività dell'impresa, bensì dall'intento di massimizzare i redditi complessivi da lavoro, e in questo modo le sue possibilità di sopravvivenza erano garantite anche in situazioni di crisi. Tra la produzione e il consumo, tra l'ammontare del reddito da lavoro e il livello dei consumi sussisteva dunque, secondo Chayanov, un sostanziale equilibrio. Sebbene la famiglia contadina sfruttasse ogni opportunità di guadagno, tuttavia nel complesso perseguiva obiettivi economici piuttosto limitati; prima che alla produzione di surplus, essa mirava al soddisfacimento dei bisogni tradizionali della forma di vita rurale. "Di conseguenza, ogni azienda rurale ha un limite naturale alla sua produzione, determinato dal rapporto tra intensità del lavoro annuo della famiglia e livello di soddisfacimento dei suoi bisogni" (v. Chayanov, 1966, p. 82).
Alcune stimolanti osservazioni sulla struttura e sullo sviluppo dell'economia contadina nel Medioevo si devono a R.H. Hilton, il quale ne ha sottolineato le peculiarità criticando implicitamente le teorie sulla peasant society di antropologi quali T. Shanin, E.R. Wolf e R. Redfield. L'antropologia culturale distingue l'economia contadina sia dalle forme di produzione delle società tribali primitive, sia dal sistema economico delle moderne società industriali. Nelle società agrarie analizzate dagli antropologi i 'contadini' - che come strato sociale rappresentano la maggioranza della popolazione - costituiscono il fondamento del sistema politico ed economico. La produzione eccedente il consumo viene in parte venduta sul mercato, in parte devoluta ai ceti dominanti. Hilton tuttavia osserva, a ragione, che l'economia contadina non può essere svincolata dallo specifico contesto storico in cui si colloca di volta in volta. Di conseguenza, nell'analizzare le società contadine dell'Europa premoderna occorre inquadrarle nel contesto della società feudale e dei suoi stadi di sviluppo. Le comparazioni tra le forme di organizzazione economica e sociale dei contadini nelle diverse società sono senz'altro lecite, ma vanno prese con grande prudenza. Nella società europea del Medioevo e della prima età moderna i contadini non costituiscono un mondo autonomo, ma sono dominati da un ceto feudale al quale devono devolvere gran parte della produzione eccedente il consumo. L'entità di questi tributi in denaro o in servizi fu sempre causa di aspri conflitti tra i signori feudali e i contadini.
Il lavoro del contadino si svolgeva di regola nell'ambito di un villaggio, e doveva assoggettarsi al suo ordinamento agrario, in particolare agli obblighi del regime colturale e dell'uso comune dell'acqua, dei boschi e dei pascoli. Il sistema della rotazione delle tre colture portò ad una regolamentazione universalmente vincolante dell'epoca della semina, del raccolto e del maggese nei terreni recintati. Per l'accesso ai pascoli esistevano normative che fissavano il numero di animali per le diverse categorie di contadini. Oltre ai campi coltivati e ai pascoli, un elemento essenziale dell'economia contadina era rappresentato dai boschi, che fornivano bacche, selvaggina, legna da ardere e da costruzione, nonché ghiande per la pastura dei maiali.
Una della caratteristiche distintive più importanti della famiglia contadina è costituita dal fatto che essa non rappresenta solo una comunità di consumo, ma anche un'unità fondamentale di organizzazione del lavoro e dei guadagni. La famiglia contadina è una comunione di beni e di proprietà la cui base di sussistenza è costituita dall'agricoltura. Nei paesi occidentali ciò implicava una spiccata sedentarietà: il figlio che ereditava la terra di norma continuava a risiedere nella casa paterna anche dopo il matrimonio. Mentre negli altri tipi di famiglia i giovani in generale sono relativamente liberi per quanto riguarda la scelta della residenza, nelle famiglie contadine domina il modello di residenza patrilocale. In questo sistema di formazione della famiglia, tuttavia, la giovane coppia, in particolare la donna, si trova in una situazione significativamente più svantaggiata, in quanto non può dispiegare la propria personalità e sviluppare uno stile autonomo di vita familiare.
Al centro della società contadina, comunque, non vi è tanto la famiglia coniugale quanto piuttosto la comunità domestica, che comprende oltre ai congiunti altre persone coresidenti. In molti paesi nelle zone rurali il termine 'famiglia' veniva usato molto raramente, e le persone erano designate e classificate come membri di una determinata comunità domestica. Là dove era in uso, come nell'Inghilterra del XVI e del XVII secolo, il termine 'famiglia' designava tutti coloro che vivevano nella fattoria, fossero o meno legati da vincoli di parentela. La comunità domestica era un'unità rigidamente organizzata, e tutti i suoi membri contribuivano a garantirne la sopravvivenza. La famiglia contadina, la singola fattoria, era responsabile dell'adempimento di tutti i doveri legati alla terra. L'importanza di un dato contadino e la considerazione di cui godeva nella comunità di villaggio dipendevano dal prestigio della casa cui apparteneva e dalla posizione che deteneva al suo interno. Gli individui trascorrevano l'intera esistenza nell'ambito di questa comunità familiare, costantemente circondati dalle persone che ne facevano parte. Nelle condizioni abitative tipiche della famiglia contadina vi era ben poco spazio per una sfera privata autonoma; nella maggior parte dei casi nella fattoria tutti i coresidenti vivevano, mangiavano e dormivano in un'unico grande ambiente; solo le case dei contadini benestanti erano fornite di più stanze.
La famiglia contadina comprendeva, oltre ai congiunti, anche le persone di servizio che vivevano sotto lo stesso tetto. In quasi tutti i paesi europei l'impiego a servizio rappresentava una tappa normale nella vita degli adolescenti; ragazzi e ragazze si allontanavano per alcuni anni dalla propria famiglia per andare a servizio come garzoni o come domestiche. Perlopiù non si spostavano a grandi distanze, ma erano presi a servizio in una famiglia vicina; solo raramente erano costretti a trasferirsi in località lontane. Quasi sempre le persone di servizio erano trattate come membri della famiglia, condividendone tutte le attività: mangiavano, dormivano e lavoravano con i familiari e prendevano parte alle loro feste. Di norma i giovani restavano a servizio sino all'età adulta, e lasciavano la famiglia ospite solo quando si sposavano, fondavano una propria famiglia o si rendevano indipendenti economicamente trovando lavoro come braccianti salariati. Molti peraltro continuavano anche in età adulta a prestare servizio come domestiche o servi. Secondo stime relative all'Inghilterra, tra l'inizio del XVI e la metà del XVIII secolo perlomeno un terzo delle famiglie contadine ospitava persone di servizio coresidenti.
L'espressione 'gruppo domestico' si rivela particolarmente adatta per indicare i vari tipi della famiglia contadina premoderna, in quanto mette in luce la funzione di comunità di produzione e di consumo di questa forma sociale - il suo carattere di 'casa' intesa in senso ampio. A capo di questa comunità vi erano il fattore e la moglie, che organizzavano l'amministrazione della casa e la vita quotidiana dei suoi membri. La 'scienza della casa' dell'Europa premoderna aveva per oggetto in particolare l'organizzazione ottimale dei grandi gruppi domestici e dell'economia contadina (v. Brunner, 1968², pp. 103-127). Oltre che degli aspetti economici, essa si occupava anche del complesso dei rapporti umani e delle attività domestiche: il rapporto tra il capofamiglia e la moglie, tra i genitori e i figli, tra il padrone e i servi. Il trattato di economia di Konrad von Megenberg (v., 1973), apparso tra il 1348 e il 1352, esaminava dettagliatamente tutte le questioni e i problemi relativi al rapporto tra coniugi, genitori e figli, padrone e servi, nonché ai beni necessari per la conduzione della casa. La trattatistica medievale sull'oikos, che trova la sua continuazione nella prima età moderna nella vasta letteratura sui doveri e sui compiti del capofamiglia, conteneva dunque consigli e indicazioni sull'organizzazione della vita quotidiana nell'ambito della casa e della famiglia, sulla disciplina domestica e sull'educazione dei figli, sulla sorveglianza della servitù e in generale sull'organizzazione della casa e delle attività agricole. Fra i trattati della prima età moderna su questo tema si segnala in particolare l'opera di Wolf Helmhard von Hohberg, intitolata significativamente Georgica curiosa (v. Brunner, 1949).
La forma sociale del gruppo domestico contadino trovò il suo terreno di sviluppo ideale nella fattoria rurale, in cui l'unità di produzione, consumo e riproduzione nella casa e nella famiglia emerge con particolare chiarezza. Il 'capoccia' non era solo capo di una unità economica in senso moderno, ma anche padrone di casa e capofamiglia; egli poteva disporre dei mezzi di produzione e delle persone che risiedevano sotto il suo tetto, e dettava le regole relative alla disciplina dei processi di lavoro e alle forme di comportamento. Ma l'economia contadina è una forma sociale che oltre agli aspetti economici include anche il complesso dei rapporti umani. La 'casa' nella società premoderna non era solo un'abitazione, ma anche un luogo che assicurava ai suoi membri diritti e protezione; essa rappresentava un elemento fondamentale di un ordinamento in cui dominava un tipo particolare di pace, la 'pace domestica'. In una società in cui veniva praticata in misura notevole l'autotutela, anche il capo della famiglia contadina disponeva di ampi poteri nei confronti delle persone che vivevano sotto il suo tetto, sino al diritto di somministrare punizioni corporali. Inoltre egli godeva nella comunità di villaggio di importanti privilegi, poiché il possesso di un lotto di terra costituiva un presupposto fondamentale per il riconoscimento e l'esercizio dei pieni diritti nell'ambito del vicinato e della comunità di villaggio (v. Bader, 1957-1973).
In molti paesi dell'Europa rurale i gruppi domestici erano formati perlopiù dalla famiglia nucleare (padre, madre e figli) e dai servi, ma in alcune regioni erano strutturate secondo altri modelli. Una variante era rappresentata dalla cosiddetta 'famiglia ceppo', in cui il figlio sposato destinato a ereditare la proprietà restava a vivere con i genitori, mentre gli altri lasciavano la casa paterna. In un'altra variante tutti i figli restavano nella casa, cosicché il gruppo domestico era formato da una pluralità di famiglie coniugali legate da vincoli di parentela diretti o acquisiti con il matrimonio. I membri di questo gruppo domestico, detto anche 'famiglia multipla', vivevano sotto lo stesso tetto o in un fabbricato diviso in una pluralità di edifici, avevano la proprietà comune della terra, di cui si spartivano i prodotti, e di regola non possedevano proprietà private, a parte i capi di vestiario e altri oggetti personali. Spesso uno stesso gruppo domestico subiva una serie di modifiche strutturali nel corso del tempo. All'origine vi poteva essere una singola famiglia nucleare, costituita da una coppia con i figli; quando questi si sposavano e si stabilivano con le mogli nella casa paterna, la famiglia si ampliava, per poi restringersi riducendosi nuovamente alla coppia d'origine quando i figli se ne andavano, e terminava il suo ciclo con la morte dei genitori e la divisione del podere tra gli eredi.Il modello della famiglia multipla era diffuso soprattutto tra le popolazioni slave dei Balcani nonché in alcune regioni di Boemia, Moravia, Slovacchia, Polonia meridionale, Ungheria, Romania e Russia. Verso la fine del XIX secolo, quando la famiglia multipla appariva da tempo tramontata, secondo stime attendibili nell'area in questione il 30-40% delle terre continuava a restare in possesso di gruppi familiari di questo tipo. Nel resto d'Europa per contro la famiglia multipla fu piuttosto rara sin dall'inizio, e nel XVIII e nel XIX secolo era dato trovarla solo nelle regioni periferiche e arretrate dell'Europa occidentale e centrale.
La tendenza alla formazione di famiglie nucleari quale tipo strutturale dominante della famiglia contadina si affermò già nel corso dello sviluppo agrario del basso Medioevo. Il passaggio all'agricoltura intensiva, il notevole incremento della piccola proprietà contadina e della densità d'insediamento nei villaggi favorirono la tendenza a limitare l'espansione numerica delle famiglie contadine. Nelle zone ad alta intensità di insediamento i lotti di terra collegati alla fattoria nei campi parcellizzati del villaggio potevano garantire la sussistenza solo a un numero limitato di persone. Nelle zone in cui veniva praticata l'agricoltura intensiva, data la ristrettezza delle risorse alimentari, diventava più difficile assicurare il sostentamento di gruppi familiari più estesi, tipici per contro dei territori in cui prevaleva l'allevamento del bestiame. A seguito dei profondi mutamenti nella struttura agraria determinati dal movimento di colonizzazione del basso Medioevo, nella maggior parte delle campagne dell'Europa centrale e occidentale la famiglia nucleare composta da marito, moglie e figli sembra essere stato il sistema di formazione della famiglia dominante tra i contadini. Le famiglie complesse che si affermarono in seguito comprendevano invece due o tre famiglie nucleari, che assieme ai fratelli non sposati formavano gruppi domestici più estesi. Nel tardo Medioevo, ad esempio in alcune regioni della Francia, si affermò la cosiddetta frérèche - un tipo di famiglia multipla formata da più fratelli sposati. La comparsa di questi tipi di famiglia multipla va ricollegata al sistema fiscale dell'epoca, in cui i contadini erano tassati per unità familiari; le comunità domestiche ampliate quindi consentivano di risparmiare sulle tasse. Anche nell'Europa sudorientale, in particolare nelle regioni in cui predominava l'allevamento del bestiame, troviamo gruppi familiari più estesi, in particolare nella forma della zadruga degli Slavi meridionali.Nel XVIII secolo, nell'area complessiva dell'Europa centro-occidentale la tipologia delle famiglie contadine era assai diversificata. In alcuni villaggi ogni gruppo domestico era formato da una famiglia multipla, mentre in altri si aveva una coesistenza di famiglie multiple e di famiglie nucleari. Nelle aree con insediamenti sparsi sia le une che le altre vivevano in fattorie isolate, oppure in piccoli agglomerati rurali formati da tre o quattro tenute. La casa di una famiglia multipla in certi casi poteva comprendere sino a ottanta persone, ma di regola il numero dei suoi componenti andava dalle dieci alle venti persone, spesso anche assai meno. In molti casi le famiglie multiple duravano al massimo per tre generazioni (dal nonno ai nipoti), per poi disgregarsi, sia a causa delle rivalità all'interno dell'ultima generazione, in cui i legami di parentela erano meno stretti che nella seconda, sia a causa dell'estensione stessa della famiglia, che ne rendeva più oneroso il sostentamento e creava maggiori difficoltà nel governo della casa. La proprietà veniva allora divisa tra i figli, che fondavano a loro volta altri nuclei familiari dai quali potevano svilupparsi nuove famiglie multiple (v. Blum, 1961).
Rispetto alle forme sociali della famiglia e della casa le dimensioni e le funzioni della Sippe o Sib e dei gruppi parentali estesi non sono definibili in modo altrettanto netto. Il termine Sippe o Sib designa in generale quei tipi di raggruppamento sociale basati sulla parentela, più ampi della famiglia nel senso tradizionale. Nel Medioevo la Sippe conservava una notevole importanza sociale accanto alla famiglia e al gruppo domestico. Si parla di 'Sippe agnatizia' per indicare un gruppo di discendenza patrilineare, in cui cioè i legami di parentela sono calcolati solo in linea maschile, mentre per 'Sippe cognatica' si intende un gruppo di discendenza bilaterale, che riconosce i legami di parentela sia attraverso la linea maschile che attraverso la linea femminile.Il gruppo di discendenza patrilineare assumeva particolare rilievo nelle faide e nelle vendette di sangue. L'istituto della faida nelle società contadine non fu un fenomeno limitato al Medioevo, ma in alcune regioni perdurò sino all'età moderna. La faida e le vendette di sangue, con i loro strascichi di violenza, dominarono per molto tempo in alcune libere comunità contadine lungo le coste del Mare del Nord e nella regione alpina.Nell'area mitteleuropea il sistema della faida sopravvisse a lungo soprattutto in alcuni cantoni svizzeri. La ragione della durata del fenomeno in quest'area va ricercata fondamentalmente nella forte coesione delle famiglie e dei gruppi di parentela contadini, nel persistente senso della famiglia e non da ultimo nel tenace attaccamento al diritto consuetudinario che caratterizzava le comunità rurali svizzere. In altre regioni europee - ad esempio in Corsica, Albania e Montenegro - la prassi della vendetta di sangue rimase in uso sino al XX secolo. In generale, la persistenza della faida è legata al grado di coesione della famiglia e del gruppo di parentela. All'interno della Sippe i vincoli di solidarietà erano molto forti - come attesta tra l'altro l'istituto del 'cogiuramento', in virtù del quale i membri del gruppo si impegnavano a giurare in tribunale sull'innocenza di un imputato - e le discordie che insorgevano venivano sedate il più velocemente possibile. L'obbligo di mutua assistenza nei confronti dei familiari e dei parenti di sangue valeva sia per situazioni di bisogno generalizzate, sia in particolare nei casi di omicidio.
Accanto alla famiglia e alla fattoria, l'altro elemento cardinale della vita rurale era rappresentato dal villaggio - una comunità fortemente coesa di contadini che conducevano una vita stentata al limite della sussistenza. Per assicurarsi la sopravvivenza, gli abitanti del villaggio dovevano creare e mantenere un difficile equilibrio tra le loro diverse risorse, e ciò spiega in parte la refrattarietà al mutamento e la strenua resistenza dei ceti rurali di fronte alle istanze di trasformazione provenienti dall'esterno. La tradizione aveva dato buona prova di sé, e di conseguenza gli abitanti del villaggio restavano fedeli ai loro modelli di vita e alle usanze tradizionali.Il villaggio nella sua forma pienamente sviluppata non è sempre esistito; al pari della città, anch'esso è frutto di un lungo processo evolutivo che ha il suo culmine nel basso e nel tardo Medioevo, in particolare tra l'XI e il XIV secolo.
Quando si cerca di definire il 'villaggio' nel significato proprio del termine e di individuarne gli elementi essenziali, oltre al criterio dimensionale occorre tener conto anche di specifiche caratteristiche qualitative e funzionali. La semplice coesistenza di un certo numero di fattorie non costituisce ancora un villaggio; una condizione necessaria affinché un agglomerato rurale possa essere definito tale è l'esistenza di un complesso di rapporti che trascendono la singola azienda. Accanto alla presenza di infrastrutture comuni - la piazza, la fontana e le strade - un altro elemento essenziale al villaggio è l'esistenza di un complesso di regolamentazioni comuni di tipo economico e giuridico. Secondo la definizione di K. S. Bader, allora, il villaggio è "una unità di insediamento più o meno chiusa, formata da un insieme di piccole proprietà contadine, che, come tale, viene percepita come comunità economica e come comunità di vita" (v. Bader, 1957-1973, vol. I, p. 21).
Nel tipo di villaggio più diffuso nell'Europa centrale alla fine del Medioevo, il cosiddetto 'villaggio agglomerato' costituito da una distesa di campi lottizzati e da un territorio comune o Allmende (bosco e pascolo), si possono distinguere tre zone. Al centro del villaggio, che costituiva la prima zona, vi erano le fattorie e i fabbricati rurali recintati; nelle immediate vicinanze delle case si trovavano gli orti, anch'essi recintati. Tutto intorno al villaggio, nella seconda zona, si estendevano i terreni coltivati, divisi in grandi campi frammentati a loro volta in numerosi lotti formati da strette strisce di terreno. Ogni contadino del villaggio possedeva di norma in ciascun campo uno o più di questi lotti, raramente contigui. Le parcelle erano quindi disperse, sicché là dove mancavano sentieri potevano essere raggiunte solo attraversando i lotti del contadino confinante. Se veniva adottato il sistema della rotazione delle tre colture, le terre del villaggio erano divise in tre grandi campi, in cui si avvicendavano grano autunnale, orzo marzolino e maggese. Oltre la cinta dei terreni coltivati si estendeva la terza area del villaggio, il territorio comune o Allmende, costituito da pascoli e boschi.
I campi del villaggio erano coltivati in parte individualmente, in parte collettivamente, ed erano soggetti a una rigida regolamentazione: la comunità o il capo del villaggio stabilivano i tempi della semina e del raccolto, quando il campo seminato doveva essere recintato e quando invece la recinzione andava rimossa. Chi non rispettava il termine previsto per il raccolto, poteva aspettarsi di vedere il grano non ancora mietuto distrutto dal bestiame lasciato pascolare nel suo terreno dagli altri contadini. L'estrema frammentazione e la dispersione dei campi rendevano impossibile per il singolo contadino svincolarsi dal rigido ordinamento agrario del villaggio, in quanto di solito poteva raggiungere il proprio fondo solo attraverso quello dei suoi vicini. Alle terre comuni o Allmende avevano diritto di accesso tutti i contadini proprietari di un appezzamento: sia i pascoli che i boschi delle terre comuni erano a disposizione di tutti gli abitanti del villaggio. Il bosco, in parte fustaia in parte macchia intervallata da pascoli, forniva ai contadini la pastura per i maiali, e costituiva inoltre una riserva di legna da ardere e da costruzione.
L'antico comune rurale, caratterizzato dall'obbligo di coltura unitaria nei campi recintati e dall'uso comune delle terre non recintate, non è esistito sin dalla preistoria nell'Europa centro-occidentale, ma ha avuto origine da diversi elementi e ha conosciuto il suo massimo sviluppo nel corso del basso Medioevo. Il comune rurale come associazione stabile si sviluppò nel corso di un lungo processo storico da forme primitive di vicinato e di cooperazione. Data la diversità delle condizioni insediative e la pluralità di rapporti giuridici, né le origini né la tipologia dei comuni rurali europei mostrano un carattere unitario, e di conseguenza risulta difficile formulare asserzioni di validità generale sulla struttura e sullo sviluppo di questa istituzione.L'uso comune dei pascoli e dei boschi delle terre non recintate costituiva senza dubbio un fattore essenziale per la cooperazione tra gli abitanti del villaggio e contribuiva a mantenere in vita lo spirito comunitario. La disponibilità di queste risorse di cruciale importanza per l'economia delle singole famiglie spingeva gli abitanti del villaggio ad organizzarsi e ad agire come una comunità. L'introduzione della responsabilità collettiva per gli obblighi imposti ai contadini dai grandi proprietari e dai signori locali fu un altro fattore che contribuì in misura notevole a rafforzare lo spirito di cooperazione. Non la singola famiglia, ma l'intera comunità era considerata responsabile per l'assolvimento di determinate obbligazioni; agli abitanti del villaggio era lasciata la responsabilità di ripartire gli obblighi tra le famiglie e di farsi garanti per coloro che, per varie ragioni, non erano in grado di assolverli. Infine, anche l'intimità della vita del villaggio contribuiva ad alimentare un forte spirito comunitario. Le dimensioni ridotte tipiche della maggior parte dei comuni rurali creavano un clima di familiarità, che veniva ulteriormente rafforzato dai legami matrimoniali all'interno della comunità. Gli abitanti del villaggio condividevano gioie e dolori, attività lavorative e occasioni festive, e si riunivano per deliberare collettivamente sulle questioni più importanti. Nel signore essi avevano un antagonista al quale potevano presentarsi in un fronte compatto e solidale come comunità.Il vicinato costituì innanzitutto la base dalla quale poté svilupparsi la forma di vita comunitaria dei contadini, e nell'Europa centrale rappresentava un elemento essenziale del mondo rurale. A seconda del tipo di insediamento - in fattorie isolate o in villaggio - e del diverso grado di contatti sociali, il vicinato poteva limitarsi ad una semplice contiguità abitativa oppure tradursi in forme di attiva cooperazione e di mutuo soccorso. Il legame tra famiglia e famiglia, tra fattoria e fattoria era essenziale per la struttura del vicinato. Nelle forme primitive di insediamento rurale - costituite da piccoli gruppi di fattorie o da un'unica grande fattoria - i primi accenni di cooperazione si manifestarono come limitazione dell'estremo individualismo delle famiglie; i gruppi domestici e le famiglie che vivevano fianco a fianco dovevano rispettare le esigenze reciproche e pervenire ad un accordo ragionevole relativamente alla coltivazione dei campi e all'uso delle terre comuni. A partire da una necessità esistenziale di tutela e di aiuto reciproco, i rapporti e i vincoli di vicinato si andarono rafforzando nel corso del tempo.
Ogni famiglia del villaggio contava sull'aiuto delle altre. Quando si doveva costruire una nuova casa o ripararne una vecchia, quando qualcuno si trovava in una situazione di bisogno, o una famiglia era colpita da una sventura, gli abitanti del villaggio potevano contare sull'aiuto dei vicini. Si sviluppò così un vero e proprio sistema di richieste e controrichieste reciproche tra le singole famiglie. In Danimarca, in Norvegia, in Irlanda e in altri paesi queste prestazioni d'aiuto reciproco, a lavoro concluso, diventavano occasione di festeggiamenti in cui chi aveva beneficiato dell'aiuto offriva da bere e da mangiare. I rapporti di vicinato tuttavia non erano sempre improntati all'armonia: la convivenza a stretto contatto poteva facilmente portare ad uno scarso riguardo per la sfera privata del singolo. Da qui nascevano vere e proprie faide familiari con i loro strascichi di violenze. Nell'Inghilterra del XVI e del XVII secolo in alcuni comuni rurali le inimicizie intestine erano talmente aspre da impedire la regolare celebrazione della messa nella chiesa del villaggio. Le corti di giustizia erano costantemente sommerse di querele di vicini contro vicini. Spesso insorgevano conflitti tra i contadini benestanti, che costituivano il ceto superiore del villaggio, e gli abitanti più poveri, i quali denunciavano la riduzione da parte dei primi dei loro diritti d'uso delle terre comuni e delle risorse del villaggio. Tuttavia nonostante tutte le controversie e le discordie, gli abitanti del villaggio in generale regolavano i propri problemi senza invocare l'intervento di autorità esterne.Chiunque viveva nel villaggio apparteneva alla comunità e doveva rispettarne le leggi scritte e non scritte. Ma il diritto di residenza di norma era un privilegio gelosamente custodito, ed era difficile per un estraneo essere ammesso nella comunità. Da un lato si voleva evitare uno sfruttamento eccessivo delle terre comuni, dall'altro si temeva che i nuovi arrivati potessero dimostrarsi pigri e trascurassero di dare il loro contributo all'adempimento degli obblighi comuni. In molte località pertanto i forestieri potevano stabilirsi nel villaggio solo dopo una decisione favorevole dell'assemblea. In Alsazia gli immigrati dovevano addirittura sostenere un periodo di prova prima di ottenere la residenza nel villaggio, e in numerosi paesi dell'Austria e della Svizzera erano tenuti a versare una tassa d'entrata per avere diritto d'accesso alle terre comuni.
Al centro del comune rurale vi era in genere l'assemblea che decideva su un piano comunitario le sorti del villaggio. In molti borghi, tuttavia, solo i contadini proprietari di un fondo avevano diritto a partecipare attivamente alle deliberazioni dell'assemblea. Di norma solo i capoccia delle famiglie possidenti, a volte solo quelli delle famiglie che avevano una proprietà di determinate dimensioni, potevano diventare membri a pieno titolo dell'assemblea. I piccoli e piccolissimi contadini tuttavia non erano esclusi ovunque; in alcuni villaggi ungheresi e svizzeri anche a questa categoria era riconosciuto pieno diritto di voto nell'assemblea. Le donne di solito non avevano diritto di partecipazione attiva, sebbene vi fossero a questo riguardo alcune eccezioni - ad esempio in caso di morte del capofamiglia. In Francia, a differenza di quanto accadeva nella maggioranza degli altri paesi, anche il signore locale e il parroco potevano essere formalmente membri della comunità del villaggio.
Le faccende di ordinaria amministrazione erano affidate a persone elette dall'assemblea oppure nominate dal signore locale. La massima autorità del villaggio assumeva denominazioni diverse nei vari paesi - sculdascio, borgomastro, scabino, ecc.
Nell'Europa centrale e orientale l'ufficio di borgomastro spesso era ereditario, oppure era legato al possesso di una tenuta di determinate dimensioni e di una grande fattoria. In Norvegia e in Danimarca alla carica si avvicendavano secondo un determinato turno e per un periodo prefissato i capi delle famiglie possidenti. In qualità di principale organo esecutivo, il capo del villaggio rappresentava un elemento di collegamento tra la comunità e il signore, di fronte al quale era responsabile della gestione e dell'amministrazione locale; tra i suoi compiti vi era quello di assicurare che i membri della comunità assolvessero i loro obblighi nei confronti del signore locale e del grande proprietario. Nella maggior parte dei casi il capo del villaggio era assistito da un collegio, con un numero di membri che variava da un minimo di due a un massimo di dodici. Il consiglio poteva agire in nome dell'assemblea, evitando quindi a quest'ultima la necessità di indire frequenti riunioni. Il comune rurale aveva inoltre al suo servizio un personale la cui composizione e le cui funzioni variavano a seconda delle dimensioni dell'insediamento e delle necessità dei suoi abitanti - pastori, sentinelle, guardie campestri, scrivani e via dicendo. Alcuni di essi percepivano uno stipendio, ad altri veniva assegnata una casa con un pezzo di terra, oppure venivano esentati da determinati obblighi e prestazioni. (V. anche Agricoltura; Contadini; Famiglia; Modernizzazione).
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