cooperativa, societa
cooperativa, società Società che persegue uno scopo mutualistico, ossia fare avere ai soci, rinunciando al proprio profitto imprenditoriale, beni o servizi (c. di consumo) oppure occasioni di lavoro o di collocamento dei loro apporti (c. di produzione e lavoro), a condizioni più favorevoli rispetto a quelle di mercato (ingl. labour-managed firm). La c. (disciplinata negli artt. 2511 e segg. c.c.) rappresenta un tipo di società distinto dalle società lucrative, le quali perseguono la realizzazione di un utile da distribuire tra i soci come remunerazione dell’investimento. A livello europeo è stato istituito un modello comune di società c., secondo il regolamento CE /1435/2003.
Le c. sono società con personalità giuridica (delle obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio, art. 2518), disciplinate dalle norme sulle S.p.a. (➔ azioni, società per ), o, se lo prevede l’atto costitutivo, da quelle della S.r.l. (art. 2519; ➔ responsabilità limitata, societa a), pur con le peculiarità previste dal codice. Esse sono caratterizzate, in ragione della loro connotazione solidaristica: dal principio della porta aperta e della conseguente variabilità del capitale (l’art. 2527 stabilisce che chi possiede i requisiti previsti dall’atto costitutivo secondo criteri non discriminatori è ammesso in società con delibera degli amministratori); dalla presenza di forti limiti dimensionali alla partecipazione di ciascun socio (art. 2525); dal principio tendenziale del voto capitario (art. 2538). Per la costituzione occorrono almeno 9 soci (3, se si adottano le norme sulla S.r.l.), numero minimo che deve permanere per tutta la durata della società, pena il suo scioglimento.
Società che svolgono la loro attività esclusivamente in favore dei soci. Il vantaggio mutualistico è realizzato da ciascun socio in proporzione non alla quota di partecipazione di cui è titolare, bensì all’entità degli scambi mutualistici intercorsi con la società e consiste, nelle c. di consumo, in un risparmio di spesa sui beni acquistati, nelle c. di produzione e lavoro, in un maggiore corrispettivo percepito per l’opera o l’apporto prestato. In sostanza, la società, che è a tutti gli effetti imprenditore, svolge l’attività secondo criteri di semplice economicità (ponendosi come obiettivo il pareggio di costi e ricavi), senza fini di lucro. È naturale che al rapporto sociale si affianchi dunque, tra lo stesso socio e la società, un distinto rapporto mutualistico, sebbene non vi sia alcun obbligo, da parte del primo, di acquistare i beni dalla c. o di prestare alla stessa il proprio lavoro. Il vantaggio mutualistico può essere riconosciuto direttamente (come sconto sul bene venduto o come maggiore compenso per l’apporto), oppure praticando inizialmente, nello scambio, normali condizioni di mercato e redistribuendo ai soci i proventi dell’attività, successivamente alla chiusura dell’esercizio sociale, a titolo di ristorni, assegnati a ciascuno in proporzione alla quantità e qualità degli scambi intercorsi (art. 2545 sexies).
A carico delle c. non vi è alcun divieto di operare anche (al limite persino prevalentemente) con terzi non soci, né di distribuire l’eventuale profitto d’impresa ai soci a titolo di dividendo (proporzionalmente alla quota da ciascuno posseduta); è previsto soltanto che l’atto costitutivo indichi la percentuale massima dei dividendi distribuibili (art. 2545 quinquies). Accanto alle c. pure sono dunque molto diffuse le c. cosiddette a mutualità spuria. La legge definisce inoltre le c. a mutualità prevalente (art. 2512), rilevanti per lo più per l’accesso a talune agevolazioni.
Le 3 principali associazioni di c. (Confcooperative, AGCI e Legacoop) rappresentano, insieme, circa 43.000 imprese (90% del totale), sparse in tutto il territorio nazionale, con oltre un milione di occupati e un fatturato complessivo di circa 127 miliardi di euro, pari a circa il 7,5% del PIL.