SOCIETÀ D'INVESTIMENTO
Società per l'investimento collettivo in valori mobiliari. - Fra le società finanziarie si designano con la denominazione di società d'investimento quelle che hanno per attività specifica l'impiego di fondi, raccolti mediante l'emissione di proprie azioni e obbligazioni, in altre azioni e obbligazioni emesse da società industriali e da enti diversi e quotate di regola alle borse valori. Tali società, che non hanno come tali alcun riconoscimento formale nell'attuale assetto giuridico italiano, sono conosciute all'estero con appellativi diversi: investment trusts o companies o mutual funds (S. U. A., Regno Unito, Canada); sociétés d'investissement o fonds des placements (Francia, Belgio, Svizzera); Investmentfonds (Germania) e beleggingsmaatschappigen (Olanda).
Le s. d'i. non vanno confuse con le società che si dedicano al commercio dei titoli e che mirano a realizzare rapidi guadagni attraverso la frequente rotazione del proprio portafoglio. Rispetto alle holdings e alle società di partecipazione vere e proprie, esse si distinguono parimenti perché non esercitano alcun controllo sulle operazioni delle società cui partecipano.
In confronto agli organismi sopra menzionati e ad altri aventi attività simili a quelli, le s. d'i. presentano almeno tre caratteri distintivi. Innanzitutto esse non perseguono, in generale, scopi speculativi. In tutti i paesi dove operano esiste una speciale legislazione che regola la costituzione e l'attività delle s. d'i., che stabilisce la distribuzione dei loro impieghi, che limita la percentuale dei titoli che esse possono possedere di una stessa società o l'ammontare massimo che esse possono investire in una singola impresa, e, infine, che subordina la concessione di certe facilitazioni fiscali ad operazioni che non rivestano carattere speculativo. Sul piano pratico le possibilità speculative delle s. d'i. risultano annullate dal fatto che l'alea di una politica che lasciasse ampio respiro alle operazioni speculative non tornerebbe gradita al tipo di clientela di cui esse godono i favori, clientela costituita prevalentemente da risparmiatori meno provveduti e dotati. In secondo luogo, le s. d'i. si distinguono per la diversificazione dei loro impieghi di portafoglio, in senso economico, geografico e tecnico. E ciò indipendentemente dalle prescrizioni legali che arrivano a stabilire le percentuali dei fondi che le società devono investire nelle diverse specie di titoli (come, titoli di stato, obbligazioni e azioni). Infine le società di cui si tratta si caratterizzano per la permanenza nel tempo del loro intervento, cioè per la più lunga durata dei loro investimenti. Quest'ultimo aspetto è da porsi in relazione sia con le finalità di lungo periodo cui tende la partecipazione dei risparmiatori a dette società, sia con le modalità di sottoscrizione delle azioni (che può avvenire ratealmente o secondo un piano pluriennale stabilito a priori).
I caratteri distintivi sopra accennati non sono in realtà così netti e precisi. E ciò non soltanto per l'indeterminatezza delle rispettive zone di attività, ma anche per la generalità dei fini che spesso le s. d'i. si attribuiscono. Malgrado la loro poliedrica fisionomia le s. d'i. possono essere definite, in generale, come una commistione di fondi appartenenti in modo indivisibile a molti investitori allo scopo di realizzare quei vantaggi, diversamente irraggiungibili, derivanti da una vasta diversificazione o da una oculata gestione dei portafogli. Esse possono essere assimilate a grossi conti titoli che invece di appartenere a singoli individui appartengono ad un gruppo più o meno numeroso di azionisti. Naturalmente, i vantaggi derivanti dall'investimento del capitale sono attribuiti agli azionisti in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione.
I motivi che giustificano l'istituzione di tali organismi intermediarî fra il mercato dei capitali e i risparmiatori sono di varia natura. Sotto il profilo economico-finanziario, il motivo fondamentale è quello del minor rischio che le società di questo tipo consentono di realizzare rispetto agli investimenti fatti dai singoli risparmiatori. E ciò a causa del maggior volume dei mezzi amministrati, delle diverse specie dei titoli posseduti (azioni e titoli a reddito fisso), ma soprattutto per il fatto che i fondi disponibili sono investiti in titoli di numerose società ed enti diversi, i quali esercitano la loro attività in distinti settori economici e in varie regioni e paesi. Sotto il profilo tecnico, i vantaggi di una combinazione organizzata risiedono specialmente nella bontà delle scelte che le società d'investimento possono compiere sulla base di un più cospicuo materiale di informazione, elaborato e vagliato continuamente da gruppi specializzati di esperti. A ragione, dunque, esse possono essere considerate come un sistema organizzato al fine di massimizzare il profitto conseguibile dagli investimenti in titoli alle condizioni del minimo rischio. Sotto un profilo più generale, le s. d'i. costituiscono uno strumento efficace con cui il flusso dei risparmî viene convogliato verso il mercato azionario, sia perché la forma azionaria meglio si adatta alle esigenze di finanziamento dei complessi industriali, sia perché la loro funzione intermediaria comporta una mobilitazione di risparmî anche di dimensioni modeste che altrimenti andrebbero dispersi o fuorviati verso impieghi non immediatamente produttivi.
Le s. d'i. possono essere classificate a seconda della loro struttura giuridica in società a capitale fisso e società a capitale variabile. Rifacendosi all'esperienza anglo-americana, che ha ispirato quella degli altri paesi, le società a capitale fisso (closed-end) hanno un capitale che varia solo saltuariamente, dato che la raccolta di fondi avviene ad epoche diverse, come per le società industriali, mediante l'emissione di nuove azioni offerte in sottoscrizione al pubblico. Inoltre, tali società hanno una struttura più complessa per quanto riguarda le fonti di provvista dei loro fondi, potendo emettere ammontari cospicui di obbligazioni. All'opposto le società a capitale variabile (open-end) raccolgono i loro fondi quasi esclusivamente sotto forma di azioni, azioni che sono emesse di continuo, giorno per giorno, ogni qualvolta i risparmiatori ne facciano richiesta. D'altra parte, le società di questo tipo, provvedono in proprio a rimborsare le azioni in precedenza emesse sempre a richiesta dei risparmiatori-azionisti. Il rimborso avviene ad un prezzo pari al valore di bilancio del giorno in cui la richiesta è fatta. In conseguenza il capitale delle società non rimane fisso; ma si sposta continuamente a seconda della domanda e dell'offerta di azioni. Non deve meravigliare, dunque, se le azioni delle open-end non sono quotate alla borsa valori, come si verifica per le azioni delle closed-end. Per queste, all'infuori della sottoscrizione iniziale e degli apporti richiesti in occasione di aumento di capitale, le operazioni di acquisto e di vendita avvengono infatti solo per il tramite del mercato, a prezzi variabili, al di sopra o al di sotto del valore di bilancio dei titoli stessi. Entrambi i tipi di società rivestono la forma di società per azioni. Tuttavia le possibilità di applicazione del concetto di capitale variabile si estende anche ad altri istituti o meccanismi. Ad esempio esso si applica ai cosiddetti trusts, cioè a rapporti giuridici particolari che si avvicinano a quelli dell'amministrazione fiduciaria o del mandato previsti dalle legislazioni europee. In questo caso si stabiliscono delle associazioni in partecipazione che non hanno una personalità giuridica propria e distinta da quelle dei partecipanti, ma che in sostanza funzionano e operano con gli stessi fini e risultati delle società a capitale variabile.
Un altro criterio di classificazione delle s. d'i. può essere stabilito a seconda della politica d'impiego seguita dalle società stesse. Tale politica può essere regolata in armonia al principio di una composizione rigida del portafoglio ovvero in base al principio della libera destinazione dei fondi raccolti. La prima è attualmente in disuso; dopo essere stata in auge nel periodo fra le due ultime guerre mondiali e specialmente dopo la grande crisi del 1929, essa fu applicata specialmente nel quadro dell'istituto giuridico del trust e portò alla formazione degli unit fixed trusts cioè trust con portafogli titoli a composizione fissa, prestabilita, le cui parti (units) corrispondevano ad un certo numero di titoli in portafoglio. La forma più moderna di s. o di trust per l'i. collettivo in valori mobiliari è costituita dalle cosiddette management companies o flexible trusts, istituti cioè che gestiscono fondi raccolti o loro affidati senza limiti di scelta circa la natura e la specie degli impieghi possibili tra quelli segnati dalla legge o previsti genericamente dagli statuti.
Nel quadro dei moderni sistemi finanziarî, la presenza delle s. d'i. risale ad epoche relativamente recenti, che in varî paesi coincidono con questo dopoguerra. Ma l'idea originaria della loro costituzione, specialmente se intesa come accorgimento per dividere i rischi dell'investimento con reciproco vantaggio dei partecipanti, ebbe in Europa le prime applicazioni agli inizi del secolo scorso (in Belgio, Svizzera e Francia). Dal continente europeo le s. d'i. si diffusero nel Regno Unito e da qui negli S. U. A., dove ebbero uno sviluppo notevole e dove rappresentano ormai un nucleo funzionale importante di quel mercato finanziario.
In tempi a noi più vicini, la favorevole congiuntura economica e l'espansione del reddito hanno favorito la formazione e la ripresa delle s. d'i. in molti paesi, sia per gli investimenti all'interno sia per gli investimenti in titoli in altri paesi, secondo lo schema originario che ne distinse la costituzione negli S. U. A. dopo la prima guerra mondiale. Le prime iniziative in questo senso si ebbero nel 1954 in Canada, con capitali in prevalenza americani, in Liberia e nel Panama, per motivi soprattutto di carattere fiscale. Successivamente l'iniziativa è passata al di qua dell'oceano, dove le prospettive economiche sono sembrate specialmente allettanti e dove le possibilità stesse di più cospicui e sicuri impieghi di capitali si sono concretate in seguito alla liberalizzazione dei movimenti di capitali (dal 1957 in poi), all'emanazione di provvedimentí per favorire gli investimenti esteri e all'introduzione della convertibilità delle monete nei maggiori paesi (dal 1° gennaio 1959). Numerose società sono state fondate in questi ultimi anni in Svizzera, in Germania e in altri paesi per l'investimento in titoli emessi da società residenti nell'area del mercato comune europeo.
La funzionalità delle s. d'i. si è palesata utile anche nell'ambito dei programmi di risollevamento regionale allestiti in varî paesi (Belgio e Francia), specialmente quando la carenza in loco di capitali disposti a sopportare il rischio d'impresa si è presentata come un fattore decisivo per l'avvio dello sviluppo economico. A livello internazionale, tali strumenti potranno essere riconosciuti altrettanto efficaci per favorire gli investimenti produttivi nei paesi sottosviluppati in fase di avanzato processo d'industrializzazione.
Nella tabella in calce alla colonna precedente sono riportati alcuni dati sul numero e l'ammontare dei fondi amministrati dalle società d'investimento che operano in alcuni paesi fra i più importanti.
Bibl.: Poiché la legislazione italiana non prevede l'istituto giuridico delle investment companies o trusts come tali, le pubblicazioni qui sotto citate riguardano l'esperienza di altri paesi: R. Lorever, Introduction aux fonds de placement, Bruxelles 1953; J. P. Senn, Les sociétés d'investissement en droit français et comparé, Parigi 1958; J. H. Verteneuil, Statut légal et réglementaire des fonds communs de placement en Belgique, in La revue de la banque, 1958 da 5 a 11, 1959 da 2 a 6; H. Bullock, The story of investment companies, New York 1959; C. O. Merriman, Unit trusts and how they work, Londra 1959; Deutsche Bundesbank, The growth of saving through investment companies, in Monthly Report, giugno 1959; A. Wiesenberger, Investment companies, New York (ediz. annuale).
Fra le opere italiane, possono essere consultate proficuamente: R. Argenziano, L'investment trust. Aspetti caratteristici della gestione degli investimenti nobiliari, Milano 1952; B. Libonati, Holding e investment trust, Milano 1959.