SOCIETA DELL'INFORMAZIONE
SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE. – Gli italiani e l’informazione. Dalla televisione alla rete: dalla ‘democrazia del pubblico’ alla ‘controdemocrazia’. La società ibrida. La sfiducia digitale: fra virtù democratica e distacco interpersonale. Bibliografia
Società dell’informazione è una definizione ampia, che comprende fenomeni e aspetti diversi. Sottolinea, comunque, l’importanza crescente e determinante assunta, appunto, dai processi informativi, sotto diversi profili: tecnico, economico e produttivo, ma anche sociale e dei rapporti fra le persone. Infine, sul piano politico e pubblico. In questa sede, l’attenzione verrà posta, principalmente, sull’ambito sociale e politico, con particolare riguardo per il contesto italiano nella fase più recente.
Gli italiani e l’informazione. – Per verificare quanto sia fondata e reale l’idea di ‘società dell’informazione’ è sufficiente scorrere i dati relativi al rapporto fra gli italiani e l’informazione (Osservatorio Demos-coop, 2007-14).
Se facciamo riferimento al 2014, infatti, la frazione di coloro che affermano di non consultare nessun mezzo di informazione è inferiore al 3%. E, dunque, statisticamente irrilevante. Il resto della popolazione – cioè tutta – dichiara di accedere a uno o più mezzi di informazione con diversa frequenza.
La televisione, in particolare, costituisce ancora il canale più frequentato: 8 persone su 10 dichiarano di utilizzarlo praticamente ogni giorno; il 12% più volte alla settimana. Circa 9 persone su 10, dunque, attingono dalla TV, con una certa continuità, le informazioni sugli avvenimenti e sulle questioni più rilevanti del momento, ma non solo. La radio e, soprattutto, i giornali vengono, invece, ‘consultati’ da una quota di persone molto più ridotta (e in continuo calo). Circa il 40% la radio, mentre non più di una persona su quattro si informa regolarmente sui giornali. Ma il nuovo medium, che sta assumendo un’importanza crescente, a grande velocità, è Internet: la rete. Ormai metà dei cittadini si informa ogni giorno attraverso Internet. Il doppio rispetto al 2007 e quasi 10 punti in più rispetto a due anni fa. Solo la televisione, ormai, supera – ancora largamente – la rete, come canale di informazione ‘quotidiana’. Ma la distanza fra la TV e la rete, dal 2007, si è dimezzata: da circa 60 punti ai 30 attuali. D’altronde, le differenze socioanagrafiche tra gli utenti di Internet e quelli della televisione appaiono rilevanti, a conferma del digital divide osservato e descritto da tempo dagli studi sulla comunicazione.
Coloro che si informano assiduamente attraverso la rete sono, infatti, mediamente più giovani e istruiti. E, quindi, più presenti fra gli studenti, i liberi professionisti e i ceti medi ‘intellettuali’. Perché, per muoversi nella rete, servono abilità ‘digitale’ e capacità di accesso alle informazioni. E ciò sottolinea un’ulteriore specificità del digital divide, che si è accentuata insieme alla diffusione della rete. Riguarda i diversi usi, collegati alle diverse competenze di chi si serve di Internet.
All’opposto, coloro che seguono quasi esclusivamente la televisione – per oltre 4 ore al giorno: 12% – sono, mediamente, (molto) più anziani, meno istruiti, più presenti fra le casalinghe e i pensionati.
Tuttavia, la s. dell’i. prevede un ricorso frequente e incrociato ai diversi media. Così, coloro che si informano quotidianamente solo in rete costituiscono una componente limitata: intorno al 6%. Mentre nella maggioranza dei casi (per la precisione: il 44%) Internet viene associato ad altri media. La TV e i giornali, in particolare. Quasi due terzi di coloro che utilizzano Internet, d’altronde, lo fanno per leggere i quotidiani. Che prevedono, quasi tutti, edizioni digitali. Ma su Internet, ormai, è possibile accedere anche alle principali reti televisive e radiofoniche. E, reciprocamente, tutti i programmi televisivi e radiofonici sono in comunicazione diretta e continua con il pubblico mediante Internet. Attraverso i social network: Facebook e Twitter. È la ‘comunicazione ibrida’, per citare una nota definizione di Andrew Chadwick (2013). Dove il ricorso ai new media non esclude i media tradizionali. Anzi: se ne serve per allargare il suo spazio. L’accesso a Internet, d’altronde, nella maggioranza dei casi, avviene attraverso strumenti ‘personalizzati’. I tablet e gli smartphone, in primo luogo. Non a caso, negli ultimi due anni la quota di coloro che si collegano a Internet mediante i cellulari oppure i tablet è cresciuta sensibilmente. Di 20 punti: dal 37% al 57%. Così, la comunicazione e l’informazione sono divenute pratiche comuni, quotidiane.
Dalla televisione alla rete: dalla ‘democrazia del pubblico’alla ‘controdemocrazia’. – Anche per questo motivo la s. dell’i. ha profondamente modificato il rapporto fra i cittadini e la politica. Anzitutto, ha accompagnato – e accelerato – il declino dei partiti di massa, presenti e organizzati nella società, fondati su identità storiche radicate. Così, la «democrazia dei partiti» ha lasciato spazio alla «democrazia del pubblico», come la definisce Bernard Manin (1997). Dove le persone contano più dei partiti, l’organizzazione sociale e territoriale è stata rimpiazzata dalla comunicazione: dall’informazione. In particolare dalla televisione, dove i programmi vengono elaborati non più in base alle ideologie, ma ai consigli degli esperti di marketing politico. I cittadini, così, sono divenuti ‘pubblico’, dunque spettatori (perlopiù, televisivi). Cioè, audience. Mentre la politica si è trasformata in uno spettacolo, recitato da attori politici. O meglio, da politici-attori. Non è un caso che il leader politico più noto, negli ultimi vent’anni, sia stato Silvio Berlusconi. Imprenditore mediatico e, soprattutto, televisivo, prima che politico. Tutti i principali partiti hanno seguito lo stesso percorso. Si sono, cioè, personalizzati e mediatizzati. E il loro percorso, i loro destini sono stati strettamente collegati a quelli dei leader. I quali, spesso, hanno già avuto esperienze nel mondo dello spettacolo e della televisione.
Il problema, al tempo della ‘democrazia del pubblico’, è che la comunicazione si presenta ‘verticale’, condotta e controllata dall’alto. Mentre lo spazio dei cittadini si riduce a quello di ‘spettatori’.
La crescente importanza della rete, negli ultimi dieci anni, ha contribuito a modificare profondamente questa relazione. La rete può, infatti, favorire l’accesso diretto dei cittadini al circuito della politica. In una certa misura, ha prodotto e accelerato la tendenza alla dis-intermediazione. In altri termini, ha permesso ai cittadini di agire e intervenire, sui problemi di pubblico interesse, saltando la mediazione dei partiti e delle organizzazioni di rappresentanza, ma anche la mediazione dei media e dei ‘mediatori’ tradizionali. Televisione, giornali e giornalisti. La rete e la partecipazione in rete, dunque, danno senso e concretezza alla domanda dei cittadini di ‘contare’. Di intervenire su temi concreti, in modo ‘orizzontale’. In contrasto con la comunicazione verticale, dall’alto, proposta e imposta dai media tradizionali. Internet, non a caso, è considerato il canale più libero e indipendente dal 40% degli italiani. Il doppio rispetto alla televisione. Nonostante sia molto meno frequentato. Anche per questo, l’uso della rete appare legato, in modo piuttosto evidente, alla sfiducia nei confronti della politica e dei politici. Ma anche verso le istituzioni. La fiducia verso i partiti, il Parlamento, le organizzazioni di rappresentanza, infatti, appare più ridotta fra i ‘professionisti digitali’ – o, comunque, i navigatori esperti della rete. Tuttavia, la sfiducia, in politica, non è, necessariamente, un ‘vizio’. Nella tradizione liberale, al contrario, costituisce una virtù ‘pubblica’, democratica. Come annota Benjamin Constant (nel 1829): «Ogni buona Costituzione è un atto di sfiducia» (Recueil d’articles, 1829-1830, 1992, p. 53). In quanto deve tutelare e garantire i cittadini dalle ingerenze dello Stato e degli altri poteri. Così la rete, insieme ad altre forme di mobilitazione e di associazionismo, favorisce la vigilanza civica nei confronti del potere. E, al tempo stesso, agisce da incentivo alla partecipazione dei cittadini che intendano esercitare una funzione critica verso l’azione dei politici e della politica (come ritengono 7 italiani su 10, sondaggio Demos, novembre 2014).
Internet è, dunque, un mezzo di ‘partecipazione diretta’ e di ‘monitoraggio’ democratico, per citare John Keane (2009). Un canale di e-democracy, democrazia elettronica, digitale.
È uno strumento di «contro-democrazia», come la definisce Pierre Rosanvallon (2006), volta alla ‘sorveglianza’ politica e istituzionale, attraverso cui la società, nell’era della sfiducia, esercita poteri di controllo e di correzione, più che di governo e direzione.
Non per caso, i cittadini che utilizzano la rete in modo esclusivo si dimostrano particolarmente orientati verso il Movimento 5 stelle, che ha fatto della comunicazione digitale un simbolo di democrazia diretta, senza mediazioni. Un’alternativa «iperdemocratica», come la definisce Stefano Rodotà (2013), apertamente critica nei confronti della democrazia rappresentativa, che sarebbe, in effetti, affidata alle scelte di pochi mediatori. Si tratterebbe, dunque, per citare Nadia Urbinati (2013), di una «reazione della democrazia in diretta, o via web, contro quella indiretta», mediata dai partiti e dai giornalisti.
Tuttavia, conviene coltivare la prudenza quando si celebra la ‘libertà’ della rete. Sia perché, come rammenta Evgeny Morozov (2011), è spesso sottoposta a interferenze e controlli. Sia perché la stessa libertà di accesso rende difficile verificare le informazioni che circolano. Sia perché, infine, c’è ancora un’ampia fascia di popolazione che ne è estranea, esclusa. In Italia (fonte: The World bank group), infatti, ha accesso alla rete il 59% della popolazione (il 71% in Europa e il 41% nel mondo).
Il rapporto fra gli italiani e la politica appare, come si è detto, ancora largamente mediato dalla televisione. Il canale attraverso cui si informano, regolarmente, 8 persone su 10. Per il 23% della popolazione, inoltre, si tratta del mezzo di informazione (quasi) esclusivo. Queste persone sono particolarmente diffuse fra gli elettori più indecisi. E ciò rende la TV determinante in campagna elettorale. Per convincere gli elettori che scelgono solo alla fine. Che sono molti: il 14% decide, infatti, se e per chi votare nei giorni delle elezioni.
La società ibrida. – La s. dell’i., dunque, è ibrida. In quanto è attraversata da diversi media che si incrociano e si intrecciano reciprocamente. Gli stessi cittadini sono divenuti ‘ibridi’, perché, a loro volta, combinano l’uso dei diversi media.
La rivoluzione digitale, come abbiamo detto, non ha cancellato l’era degli old media. Ne riproduce, anzi, molti tratti.
La televisione, anzitutto, continua a dettare gli standard dell’immagine e del linguaggio. Mentre, d’altra parte, i social media – Twitter, Facebook – dialogano in contatto costante con i media tradizionali. Per prima la TV. E viceversa. Una convergenza espressa dalla cosiddetta social TV. Ben raffigurata dalla striscia di tweets che corrono sugli schermi, a commento dei talks politici trasmessi dalle reti televisive. Peraltro, Twitter è utilizzato soprattutto dalla cerchia degli opinion makers, influencers, celebrities. Per fare e scambiare opinioni, appunto. O per comunicare ‘in diretta’ posizioni e valutazioni. In qualche misura, è entrato in concorrenza con le agenzie stampa. Ne ha segnato la crisi.
Anche i giornali tradizionali, d’altronde, hanno cambiato approccio, modo di gestire l’informazione e, in generale, il rapporto con la società. Le edizioni on-line favoriscono il legame diretto con le esperienze di partecipazione e di mobilitazione, cui si è fatto riferimento. Alcuni giornali le utilizzano per testare – e, anzi, sollecitare – il parere dei lettori. Comunque, le edizioni on-line si intrecciano strettamente con i social media. Rilanciano e moltiplicano i tweets, promuovono l’informazione sulla loro pagina Facebook. Di conseguenza, divengono anch’esse attori della democrazia diretta. Di network-democracy. Luoghi dove si promuovono appelli, sottoscrizioni, campagne tematiche. Mobilitazioni popolari. Talora, in qualche misura populiste.
Allo stesso tempo, la rete e l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione favoriscono la pluralizzazione e la personalizzazione dell’opinione pubblica. La personalizzazione, cioè, diventa una tendenza pervasiva, ma diversa dal passato recente. Perché attraversa i diversi livelli della ‘sfera pubblica’ e, anzi, li moltiplica. Li frammenta, insieme ai media. E insieme ai pubblici. Se il singolo leader comunica in prima persona attraverso i social network, ogni singola persona può, a sua volta, fruire dei messaggi politici, ma anche reagire a essi, in modo e in un contesto personale, concreto, orizzontale. Ciascuno con la propria faccia, la propria identità, il proprio account, contribuisce a costruire, in questo modo, uno spazio pubblico ibrido. Che supera, scavalca la separazione fra spazio pubblico e privato, come ha osservato Manuel Castells (2009).
Così, si sviluppano circuiti a spirale che inseriscono diversi modelli di comunicazione – e di partecipazione – politica, uno dentro l’altro. Senza soluzione di continuità. Si tratta di un processo di integrazione e, al tempo stesso, frammentazione, che coinvolge vecchi e nuovi media, soggetti politici e sociali – ma anche individuali – diversi.
La sfiducia digitale: fra virtù democratica e distacco interpersonale. – Un ultimo, importante punto riguarda i cambiamenti che attraversano la dimensione sociale e personale nella società dell’informazione. In particolar modo al tempo della comunicazione ibrida, in cui Internet si incrocia con altri media, senza soluzione di continuità.
Il primo aspetto che abbiamo già messo in evidenza è l’orientamento critico verso le istituzioni. Che è tanto più acuto quanto più esteso è l’utilizzo di Internet. Non è un caso che i soggetti politici maggiormente critici nei confronti delle organizzazioni politiche e delle istituzioni siano quelli che hanno utilizzato la rete non solo per la loro comunicazione, ma anche, in parte, per modellare la loro identità. Promuovendo non partiti che hanno il loro territorio nei blog, dove si discute e si decide di tutto: dalle leggi alle iniziative pubbliche alla scelta dei candidati al Parlamento fino al presidente della Repubblica.
Ma anche i leader dei partiti maggiori, come Matteo Renzi, hanno grande confidenza con la rete e i nuovi media. E se ne sono serviti per amplificare messaggi critici contro i dirigenti del loro stesso partito.
Un altro aspetto che emerge dai sondaggi che indagano sugli effetti dell’uso della rete sul piano sociale e soggettivo è come la confidenza con la rete cresca insieme alla diffidenza verso gli altri.
Ciò avviene, in parte, perché la rete non favorisce relazioni ‘empatiche’. La community non coincide con la ‘comunità’. In quanto non prevede contiguità, compresenza, coabitazione. I navigatori della rete intrattengono molti contatti – frequenti – e, quindi, sono cognitivamente vicini, ma restano fisicamente lontani fra loro. Sono sempre insieme e sempre più soli. Peraltro, la rete favorisce l’incontro fra amici e seguaci, attira i ‘mi piace’ e i followers. Ma non promuove il dialogo, il confronto fra persone di diver sa opinione. Anche perché sulla rete e nei social network la comunicazione trasferisce sentimenti e valutazioni immediate. Senza mediazioni. Espresse da non persone riassunte da accounts. E, dunque, più esplicite. Talora violente.
La società della comunicazione, dunque, tende a coincidere con la società tout court. E procede, cambia, in modo rapido, continuo. Insieme alle tecnologie della comunicazione. Che hanno modificato e continuano a modificare non solo la comunicazione, ma le forme della partecipazione e dell’azione politica, le relazioni sociali e interpersonali. Questi cambiamenti, però, non avvengono in modo lineare. I nuovi media non hanno rimpiazzato i vecchi. Ma li hanno contaminati. E viceversa. I vecchi media hanno incorporato i nuovi. Mentre, per converso, i nuovi sono divenuti mainstream. Si sono, dunque, ibridati reciprocamente e oggi coabitano, coesistono, nella stessa società e nelle stesse persone. Ibride, proprio come la comunicazione.
Bibliografia: B. Manin, The principles of representative government, Cambridge-New York 1997 (trad. it. Bologna 2010); P. Rosanvallon, La contre-démocratie. La politique à l’âge de la défiance, Paris 2006 (trad. it. Roma 2012); M. Castells, Communication power, Oxford-New York 2009 (trad. it. Comunicazione e potere, Milano 2009); J. Keane, The life and death of democracy, New York-London 2009; E. Morozov, The net delusion: the dark side of internet freedom, New York 2011 (trad. it. L’ingenuità del la rete. Il lato oscuro della libertà di internet, Torino 2011); Nuovi media, nuova politica? Partecipazione e mobilitazione online da MoveOn al Movimento 5 stelle, Milano 2011; L. Sartori, La società dell’informazione, Bologna 2012; A. Chadwick, The hybridmedia system. Politics and power, Oxford-New York 2013; S. Rodotà, Iperdemocrazia. Come cambia la sovranità democratica con il web, Roma-Bari 2013; N. Urbinati, Democrazia in diretta. Le nuove sfide della rappresentanza, Milano 2013; Un salto nel voto. Ritratto politico dell’Italia di oggi, a cura di I. Diamanti, F. Bordignon, L. Ceccarini, Roma-Bari 2013; I. Diamanti, Democrazia ibrida, Roma-Bari 2014; L. Ceccarini, La cittadinanza online, Bologna 2015.