Allevatori, società di
La pastorizia è un tipo di economia produttiva basata sull'allevamento di animali ruminanti che si nutrono di erbe e arbusti spontanei. Mangiando la vegetazione spontanea, gli animali trasformano sostanze non commestibili in cibo adatto agli uomini e forniscono loro altre materie prime essenziali. La terra da pascolo in genere non si presta ad essere coltivata; così la pastorizia costituisce un adattamento all'ambiente che consente di sfruttare al meglio un territorio desertico o semiarido, montagnoso e accidentato o dal clima gelido. Gli allevatori passano la maggior parte del loro tempo ad accudire gli animali sui quali basano la propria sussistenza (mucche, pecore, capre, cavalli, cammelli, renne).La pastorizia pura, cioè l'allevamento degli animali non accompagnato da qualche attività agricola, è rara ed è possibile solo dove gli allevatori hanno accesso a prodotti della terra. Quando la cura degli animali fornisce gran parte dei mezzi di sostentamento o, più esattamente, quando le esigenze degli animali sono così importanti da regolare l'organizzazione della vita di una comunità, allora si può definire quest'ultima una comunità di allevatori. Non c'è un confine netto tra allevatori che svolgono un lavoro agricolo ausiliario e contadini che allevano bestiame.
Dato che il bestiame deve periodicamente trasferirsi alla ricerca di erba fresca, di nuovi pascoli e di acqua quando si prosciugano le sorgenti, e deve inoltre far fronte ad altre necessità stagionali, gli allevatori sono di norma nomadi: è perciò appropriato chiamarli pastori nomadi. Ci sono tuttavia alcune popolazioni di pastori che non cambiano abitualmente la loro residenza, mentre esistono popolazioni di cacciatori che sono nomadi: di conseguenza pastorizia e nomadismo non sono sinonimi. La pastorizia nomade presenta varie forme, ma in ogni caso non è mai un vagabondare senza scopo per il territorio, perché gli spostamenti di gente, animali e masserizie avvengono sempre entro limiti territoriali stabiliti, definiti chiaramente e accettati tanto dai nomadi stessi che dai loro vicini.
Esistono due forme fondamentali di nomadismo: lo spostamento libero all'interno di un territorio determinato e la transumanza (v. Khazanov, 1984). Nel primo caso i pastori si spostano con i loro animali (e con i loro accampamenti) all'interno di limiti territoriali da loro stessi stabiliti, a seconda delle necessità e delle opportunità. Nel secondo caso gli animali sono trasferiti tra due località fisse, al variare delle stagioni. La transumanza è caratteristica della pastorizia di montagna, che utilizza i pascoli montani d'estate e le pianure d'inverno. Questi pastori hanno in genere due case, o una casa stabile e un accampamento fisso cui fanno ritorno con periodicità stagionale. Il viaggio dai pascoli invernali a quelli estivi sulle montagne è spesso ostacolato da gravi difficoltà.
Per comprendere l'inizio della pastorizia dobbiamo risalire ai primordi della domesticazione dei ruminanti. È ragionevole ipotizzare che i cacciatori del Paleolitico abbiano avuto, gradualmente o con un'intuizione improvvisa, l'idea di rinchiudere in recinti, addomesticare e allevare le loro prede. Due ragioni rafforzano questa tesi. In primo luogo tra le popolazioni non agricole di pastori di renne dell'Artico eurasiatico ci sono diversi gradi di domesticazione: dal controllo stretto per tutto l'anno, che comprende la mungitura e l'utilizzo degli animali come cavalcature, alla mancanza totale di qualsiasi tipo di controllo (limitandosi solamente alla caccia dei caribù allo stato selvaggio); tutto ciò potrebbe far pensare che queste differenze rappresentino stadi nello sviluppo della domesticazione, ma, come vedremo, questo è un errore. In secondo luogo, dato che le popolazioni di pastori sono, dal punto di vista tecnologico e dell'organizzazione sociale, molto simili ad altre popolazioni che si trovano 'a metà' dello sviluppo sociale - cioè tra i cacciatori-raccoglitori, da una parte, e gli agricoltori, dall'altra - si può essere tentati di considerarle rappresentanti di una tappa nell'evoluzione della società.
Riscontri archeologici mostrano che così non è, ma che la domesticazione degli animali è iniziata parallelamente alla coltivazione delle piante. Le tracce più antiche di caprini e ovini domestici sono state rinvenute a Zawi Chemi Shanidar in Iraq e risalgono al 9000 a. C. circa; altre tracce, scoperte a Tepe Sarab e a Jarmo, in Iran, risalgono, rispettivamente, all'8000 e al 7000 a. C.; in tutti questi casi si trattava di popolazioni che coltivavano anche cereali. Il processo indusse graduali cambiamenti genetici sia nelle piante che negli animali, cambiamenti che li resero più utili all'uomo: nel caso degli animali alterazioni nel pelo, nella produzione del latte e nelle caratteristiche comportamentali. A partire dal 5000 a. C. gli ovini e i caprini domestici sono ormai diffusi dall'Europa meridionale al Nordafrica, dall'Europa orientale al Sudovest asiatico. La quasi contemporaneità delle più antiche tracce di domesticazione rinvenute in una vasta area del Vicino Oriente fa pensare che la nuova pratica si sia diffusa rapidamente.
Anche il miglioramento del bestiame fu rapido, come mostra una statuetta del sesto millennio raffigurante una pecora lanosa trovata a Tepe Sarab, in Iran, che ne evidenzia l'adattamento genetico all'utilizzo della lana da parte dell'uomo (cfr. M. L. Ryder, in Mason, 1984, pp. 65-70).I bovini discendono dagli Uri (ora estinti) e furono addomesticati intorno al 6000 a. C. Alcuni resti provenienti da Çatal Hüyük, nel sud dell'Anatolia, risalgono al 5800 a. C., e una pittura murale della fine del sesto millennio raffigura dei tori che scalpitano. La diffusione dei bovini non fu così rapida come quella degli ovini, ma a partire dal terzo millennio i resti di bovini portati alla luce dai diversi scavi archeologici diventano più numerosi di quelli di ovini e caprini (cfr. H. Epstein e I. L. Mason, ibid., pp. 8-16).
Il cavallo fu addomesticato quando l'uomo si rese conto dei vantaggi che potevano derivare dall'impiego di animali addestrati. La prima data certa cui far risalire la domesticazione dei cavalli è circa il 3500 a. C., quando nell'Ucraina meridionale i cavalli incominciarono a essere allevati come bestie da carne; più tardi furono impiegati come bestie da soma e da tiro. La diffusione dell'allevamento del cavallo fu rapida durante la seconda metà del quarto millennio, ma i cavalli non divennero numerosi fino a quasi il 2000 a. C. (cfr. S. Bokonyi, ibid., pp. 162-174).
Il dromedario fu addomesticato intorno al 3000 a. C., presumibilmente in Arabia; il cammello battriano nel 2500 a. C. circa: ne sono stati trovati resti nel Turkmenistan (Unione Sovietica) e in Iran (v. Mason, 1984). Si pensa che i camelidi del Nuovo Mondo fossero già stati parzialmente addomesticati nel 4000 a. C., ma lo furono pienamente solo due millenni dopo.
Sulle Ande, come nel Sudovest asiatico, la domesticazione del bestiame ebbe inizio contemporaneamente alla coltivazione delle piante - in questo caso della patata - e fu il risultato della transumanza delle popolazioni di cacciatori (v. Lynch, 1973 e 1982; v. Clutton-Brock, 1981).Questi dati ci dicono quando gli animali furono addomesticati, ma non quando la pastorizia nomade apparve per la prima volta come stile di vita, in quanto si riferiscono tutti a popolazioni sedentarie di agricoltori. Per loro natura, d'altronde, le comunità di pastori non lasciano molti reperti archeologici e non è facile, quindi, stabilire gli inizi della pastorizia nomade. Dai resti ritrovati a Mari, il regno sorto sulle rive dell'Eufrate all'inizio del secondo millennio a. C., si desume che gli allevatori di pecore locali erano organizzati in tribù e mantenevano rapporti stretti e permanenti, a volte ostili, a volte pacifici, con i regni circostanti. Questi pastori giocarono un importante ruolo politico ed economico (v. Kupper, 1957 e 1959). Non sappiamo esattamente quanto fosse antica la pastorizia nomade a quel tempo, ma doveva risalire almeno al terzo e forse al quinto millennio.
Ogni società di allevatori è il risultato di un processo di adattamento unico nel suo genere, che dipende dall'ambiente, dal tipo di animali allevati, dai rapporti con i coltivatori. È possibile comunque abbozzare una classificazione di massima delle società di pastori, in quanto rappresentanti diverse forme generali di adattamento all'ambiente e ampie categorie storico-culturali (v. Spooner, 1973).
Le aree di montagna del Vicino Oriente sono ancora abitate da popolazioni che praticano un tipo di attività che risale alle origini della pastorizia. Raphael Patai (v., 1978) distingue 23 aree culturali nel Medio Oriente, inclusi i deserti dell'Africa, ma individua alla loro base caratteristiche simili. Nel Sudovest asiatico tribù indipendenti di pastori vivono all'interno di Stati-nazione dominati da contadini e abitanti delle città. Questi pastori allevano ovini, caprini e/o bovini, e d'estate li conducono dalle pianure coltivate, dove trascorrono l'inverno, alle montagne.
Esemplificano la condizione moderna di queste genti i Basseri dell'Iran, descritti nel classico studio di Barth (v., 1961), che spiega come lo Stato fortemente centralizzato abbia ormai ridotto e confinato le tribù di allevatori in particolari nicchie ecologiche. D'autunno i Basseri fanno pascolare le loro pecore sui campi di stoppie dei contadini nelle vicinanze di Shiraz, d'inverno si spostano ai piedi delle colline o in pianura e con l'arrivo della primavera si dirigono verso le montagne lungo sentieri stabiliti, secondo una tabella di marcia che consente loro di evitare accuratamente conflitti con altre tribù di pastori che utilizzano lo stesso percorso. Sui monti poi si disperdono in piccoli accampamenti. Gli animali sono di proprietà del capo di ciascuna tenda. Gli accampamenti comprendono generalmente da 2 a 5 tende, anche se in certe stagioni si possono aggregare insieme anche fino a 40 tende. Queste unità si creano spontaneamente, sono transitorie e senza una leadership formale, perché l'indipendenza di ciascun nucleo familiare è un elemento centrale nella gerarchia di valori dei Basseri, sebbene la ricchezza, l'età e le qualità personali creino leaders di fatto. I Basseri possiedono anche un'organizzazione formale sotto un capo (deposto dal governo iraniano all'epoca dello studio di Barth). La tribù era divisa in sezioni e sottosezioni sulla base della genealogia patrilineare, ed era anche confederata con altre tribù. È plausibile ipotizzare che questo sistema di autorità formale fosse più importante quando la rivalità tra le tribù portava allo scontro militare, mentre ora serve soltanto a mantenere i rapporti tra i Basseri e il governo nazionale.
L'habitat degli allevatori a cavallo (nel deserto il cavallo è sostituito dal cammello) è una vasta area che si estende dal Mar Caspio, attraverso il Kazachstan e il Tibet, fino alla Mongolia. Nelle steppe della Russia gli inizi della pastorizia risalgono forse al terzo millennio, con l'allevamento di pecore e forse l'uso di buoi e cavalli come bestie da soma e da tiro. È da questa zona che le grandi orde di popoli di pastori a cavallo si abbatterono sull'Asia e sull'Europa.
I Kazachi del Kazachstan (Unione Sovietica) costituiscono un esempio recente di questo sistema di vita (v. Hudson, 1938). L'unità sociale di base, l'aul, era un accampamento formato da poche tende abitate da nuclei familiari imparentati tra loro per parte di padre. I singoli aul, separati gli uni dagli altri durante le migrazioni estive, d'inverno invece si riunivano con altri aul che dividevano lo stesso territorio. Queste unità formate da più aul entravano a far parte di unità ancora più grandi, ciascuna con il proprio territorio, collegate attraverso una genealogia in qualche modo fittizia che univa i loro rispettivi capi, i khān. I khān, investiti di un'autorità limitata, erano capi militari piuttosto che politici, erano gli uomini ai quali si pagavano le tasse e che si seguivano in guerra, ma solo finché dimostravano le qualità apprezzate in un capo: un'attitudine ad appianare le dispute, una famiglia numerosa e unita, grandi quantità di bestiame, generosità nel concedere l'uso dei propri animali, e una certa età. Così l'unità politica e il potere politico erano sempre fragili e transitori, ma potevano essere accentrati nelle mani di un leader forte, capace di creare una formidabile macchina militare.
La popolazione che più si avvicina all'immagine popolare della pastorizia nomade è quella degli allevatori di cammelli che abitano il Sahara, l'Arabia Saudita e le aree desertiche del Corno d'Africa. Sebbene allevino anche pecore, capre, cavalli e bovini, l'animale più importante per queste genti, in virtù del suo notevole adattamento alle condizioni estreme imposte dal deserto, è il dromedario. Per sopperire ai propri fabbisogni di prodotti agricoli, questi nomadi raccolgono direttamente i frutti che crescono nelle oasi o effettuano scambi in natura con gli agricoltori. Di tanto in tanto compiono qualche razzia ai danni delle popolazioni stanziali, ma hanno anche svolto un ruolo importante nel commercio, collegando aree civilizzate distanti tra loro e trasportando merci varie (dal sale all'oro) dall'una all'altra di queste zone.
Gli Al Murrah del deserto dell'Arabia Saudita sono tipici rappresentanti di queste popolazioni nomadi (v. Cole, 1975); i cammelli costituiscono la loro fonte di sostentamento, cui si aggiungevano in passato il grano e i datteri forniti dalle popolazioni stanziali in cambio di protezione. Gli Al Murrah trasferiscono il loro bestiame da una parte all'altra del deserto grazie alla loro profonda conoscenza dell'ambiente e delle sue continue variazioni. Come i Kazachi, si muovono in piccoli gruppi imparentati per parte di padre, che rappresentano le unità fondamentali del sistema sociale. L'associazione di questi piccoli gruppi, sempre in base alla parentela, dà luogo a gruppi più ampi, che condividono lo stesso territorio e che, in passato, si mobilitavano come unità compatte in caso di guerra.
Sulle terre semidesertiche dell'Africa a sud del Sahara l'allevamento dei bovini costituisce una componente importante dell'economia da quasi tre millenni. Accanto ai bovini, che rappresentano la risorsa principale, si allevano anche pecore e capre; inoltre si coltivano, in quantità variabili, miglio e sorgo (e ora anche mais). Nel Nord si trovano alcuni allevamenti di cammelli e nell'Africa occidentale di cavalli; altrove, invece, non si allevano animali da sella. Gli allevatori di queste zone si dividono in piccole tribù indipendenti; non esistono istituzioni politiche di livello superiore rispetto alle tribù. Eccettuate alcune tribù Masai, tutte queste popolazioni svolgono qualche attività agricola e - come ha notato Rada Dyson-Hudson (v., 1972) a proposito dei Karamajong - perfino quelli che sembrano esclusivamente allevatori dedicano molte cure alla terra. Spesso una parte della tribù è costituita da allevatori e la parte rimanente da contadini, come avviene tra i Pokot del Kenya (v. Edgerton, 1971) e i Sebei dell'Uganda (v. Goldschmidt, 1976).
Tra tutte le popolazioni di allevatori africani quella dei Masai, il cui territorio si estende dal Kenya centrale alla Tanzania centrale, è la più conosciuta. Pur parlando la stessa lingua (con varianti dialettali), i Masai non possiedono una struttura politica unitaria, benché i laibon, o profeti, abbiano creato un certo grado di unità. In mancanza di un'autorità politica centrale, i Masai si spartiscono il territorio sulla base di un mutuo accordo.
La loro società è divisa in lignaggi che svolgono le diverse funzioni legali e sociali. L'istituzione che più d'ogni altra svolge un ruolo coesivo presso i Masai, come presso molti popoli di allevatori dell'Africa orientale, è il sistema delle classi di età. Un giovane Masai è inserito nel sistema subito dopo la pubertà, attraverso un'iniziazione che comporta la circoncisione e altri riti; allora si unisce ai suoi compagni di iniziazione nella classe di età aperta al momento (ne esiste una per ogni ciclo di classi di età). Ciascuna classe di età è un gruppo corporato con una struttura interna e svolge una funzione particolare nell'ordine sociale. I neoiniziati hanno il ruolo di moran, cioè di guerrieri e pastori; col passare del tempo assumono, in successione, il ruolo di guerrieri anziani, di adulti e di adulti anziani. L'autorità politica è associata a questa gerarchia di classi di età.Tra i Masai le razzie di bestiame erano un importante mezzo per aumentare il prestigio e la ricchezza personali, dato che è il possesso di numerosi capi di bestiame che conferisce al Masai un elevato status sociale.
Al di là del margine settentrionale del continente eurasiatico, dalla Svezia alla Siberia orientale, le renne costituiscono il principale mezzo di sostentamento delle popolazioni locali. La renna è perfettamente adattata al freddo estremo delle tundre ed è indistinguibile dal caribù, che viene cacciato dagli Indiani d'America, dagli Eschimesi e da alcune tribù siberiane. Sebbene in Europa la caccia alle renne fosse già praticata nel Paleolitico superiore, esse non vennero addomesticate fino al II secolo d. C. circa. Il più antico riferimento storico all'allevamento di renne è un documento cinese del VI secolo d. C. (v. Laufer, 1917).
Il modello di allevamento delle renne varia da regione a regione. Waldemar Bogoras (v., 1930) ripartisce gli allevatori di renne in otto aree culturali: in alcune le renne sono usate come cavalcature, in altre come animali da tiro (per le slitte), in altre ancora né in un modo né nell'altro; in certe aree sono munte, in altre no; in qualche area sono imbrancate con l'aiuto di cani, in altre senza; in determinate zone sono lasciate allo stato brado durante l'estate, in altre sono tenute in cattività per tutto l'anno. Queste diversità non si prestano a un'analisi in grado di fornire informazioni sul luogo di origine e sull'evoluzione delle tecniche di domesticazione delle renne. Prescindendo dai dettagli che li differenziano, in generale gli allevatori di renne si dividono in piccoli gruppi, molto indipendenti, e i bisogni degli animali condizionano strettamente il movimento stagionale della popolazione.
Il bestiame ha giocato un ruolo importante nell'economia europea fin dall'inizio del Neolitico; le tribù dei Germani furono descritte da Cesare e da Tacito come tribù di allevatori o semiallevatori. Bovini, suini e ovini sono parte integrante dell'agricoltura di pianura dell'Europa moderna, ma ancor oggi, in Europa, esiste anche una forma di pastorizia migratoria di montagna, praticata da allevatori che in genere passano l'inverno nei villaggi e d'estate portano gli animali al pascolo. In Svizzera sono state rinvenute tracce di un utilizzo del genere dei villaggi e della montagna, risalenti all'inizio del secondo millennio a. C. (v. Higham, 1967). Questa transumanza è stata importante, nella storia più recente, per l'economia dell'Europa: fin dal XVI secolo ha infatti rappresentato la principale fonte di approvvigionamento di carni per le città che andavano ingrandendosi (v. Hornberger, 1969). Non esistono tracce inequivocabili di una vera e propria pastorizia nomade nella storia europea, ma Elizabeth Bacon (v., 1958) ha dimostrato che la struttura sociale della Scozia e del Galles antichi era simile a quella dell'Asia centrale, e come questa basata sulla pastorizia. L'allevamento moderno in Europa è legato essenzialmente all'agricoltura.
Gli unici ruminanti addomesticati originari del Nuovo Mondo sono il lama e l'alpaca, che vivono sulla Cordigliera delle Ande. Le prime forme di domesticazione parziale di questi animali risalgono a circa 6000 anni fa. Prima dell'arrivo dei conquistatori spagnoli, il lama era diffuso in una vasta regione compresa fra la Colombia meridionale e il Cile centrale, mentre l'habitat dell'alpaca era limitato alle zone più alte delle Ande.Il lama fornisce carne, lana e altri prodotti, ma il suo latte non è adatto all'alimentazione umana. È anche usato come animale da soma e in questa veste svolse un ruolo importante nell'integrazione politica delle popolazioni andine primitive (v. Lynch, 1982). L'alpaca era allevato principalmente per la sua bella lana. Nel continente americano, contrariamente a quanto accade nel Vecchio Mondo, non c'è traccia di tribù autonome dedite esclusivamente alla pastorizia, anche se sull'altopiano delle Ande si trovano comunità specializzate nell'allevamento dei camelidi, che comunque vivono a strettissimo contatto con gli agricoltori locali (v. Webster, 1973).
Bovini, ovini ed equini furono importati nel Nuovo Mondo dai primi esploratori europei e subito adottati dagli Indiani d'America; nel caso di alcune comunità indiane l'allevamento divenne la fonte principale di sostentamento. Nel Sudamerica gli Indiani della Patagonia e i Goajiro del Venezuela settentrionale istituirono l'allevamento dei bovini. Negli Stati Uniti sudoccidentali parecchie tribù indiane, in particolare quella dei Navajo, si diedero all'allevamento delle pecore. Sia i Goajiro sia i Navajo mantennero il loro precedente sistema sociale matrilineare, costituendo così, insieme con i Tuareg del Sahara, una rara eccezione al normale sistema patrilineare delle popolazioni di pastori.
Gli indiani delle pianure del Nordamerica decisero di allevare cavalli, per poi impiegarli come cavalcature nella caccia (specialmente nella caccia al bisonte). Gli Indiani nordamericani sono generalmente considerati cacciatori, mentre, in effetti, come ha notato S. C. Oliver (v., 1976), sono allevatori, in quanto possiedono grandi mandrie di cavalli e, alla stessa stregua degli allevatori di bovini subsahariani, usano gli animali come 'moneta' e come status symbol. Fatto interessante, questi Indiani delle pianure hanno sviluppato un sistema di gruppi corporati, composti da giovani guerrieri, simile sotto il profilo funzionale (se non sotto quello strutturale) al sistema delle classi di età delle popolazioni dell'Africa orientale.
Dopo aver passato in rassegna le diverse comunità di allevatori, sottolineandone le differenze reciproche, vediamo quali caratteristiche hanno in comune.Le esigenze obiettive connesse con l'allevamento degli animali impongono un certo grado di uniformità alle strutture sociali e alle scale di valori vigenti nelle varie comunità di allevatori. Ciò permette di ricavare un modello generale di società basata sulla pastorizia, che cercheremo di tratteggiare, pur nella consapevolezza che ogni generalizzazione ha le sue eccezioni. Gli animali appartengono esclusivamente ai capifamiglia maschi e vengono ereditati patrilinearmente. In alcuni casi i figli maschi ricevono la loro parte di eredità quando si sposano (al figlio più piccolo spetta il compito di prendersi cura dei vecchi genitori), in altri gli animali restano di proprietà del padre, ma i figli possono servirsene. Gli animali non solo costituiscono la principale fonte di sostentamento della famiglia, sia direttamente che attraverso il commercio, ma svolgono anche una funzione sociale.
La numerosità e la qualità degli armenti sono indicatori dello status sociale del proprietario; ma, soprattutto, gli animali sono gli strumenti essenziali su cui si basano le transazioni sociali. In particolare fungono da moneta per 'acquistare' mogli e, dato che quasi tutte le popolazioni di allevatori sono poliginiche, la disponibilità di bestiame offre la possibilità di avere molte mogli e quindi molti figli; una prole numerosa è spesso una misura dell'elevato status sociale ancor più indicativa delle dimensioni della mandria.Intorno al bestiame, inoltre, gravitano molte altre forme di interscambio da cui dipendono l'influenza sociale e il benessere personale degli individui. Il bestiame non è perciò solo un bene economico, ma un bene sociale altamente significativo.La terra, d'altra parte, non appartiene a nessuno in particolare, ma è a disposizione di tutti i membri della comunità o, meglio, di tutti i loro armenti. Lo stesso vale per le sorgenti d'acqua e per tutte le risorse di cui gli animali hanno bisogno. L'instabilità climatica delle zone in cui vivono gli allevatori rende questa regola inderogabile; infatti le eccezioni sono molto rare. Tuttavia, nel caso che gli allevatori svolgano un'attività agricola, le terre coltivate costituiscono una proprietà privata o se ne gode l'usufrutto.
L'allevamento del bestiame richiede conoscenze e competenze disparate: il pastore deve avere una profonda conoscenza delle necessità degli animali, delle caratteristiche del territorio e delle piante di cui gli animali si nutrono e di tutti quei fenomeni, a partire dalle mutevoli condizioni climatiche, che possono influire sui pascoli. Gli allevatori, inoltre, devono possedere una buona dose di coraggio, per far fronte agli attacchi dei predatori - uomini e/o animali - che spesso infestano il loro territorio.La cura del bestiame richiede, infine, capacità manageriali. Il proprietario di armenti, infatti, deve saper calibrare le dimensioni della mandria in funzione dell'estensione dei pascoli e della disponibilità di manodopera.Caso per caso esistono delle dimensioni ottimali che le mandrie devono raggiungere (ma non superare) per prosperare soddisfacentemente.
Anthony Leeds (v., 1965) ha dimostrato come le caratteristiche istituzionali della società Chuckchi consentano di mantenere le dimensioni delle mandrie a livelli ottimali. Dahl e Hjort (v., 1976) hanno elaborato formule per calcolare le dimensioni minime che devono raggiungere le mandrie dell'Africa orientale, per soddisfare le esigenze degli allevatori locali.Dato che gli animali allevati allo stato brado vivono dispersi su pascoli estesi, è difficile sorvegliare i lavoranti: per questa ragione, nella stragrande maggioranza dei casi, della custodia delle mandrie si occupano direttamente il proprietario e i suoi familiari. Anche se occasionalmente vengono assunti pastori salariati (che peraltro sono considerati una fonte potenziale di problemi), nelle società di allevatori non esiste la classe dei lavoratori dipendenti. La gestione familiare degli armenti implica che solo famiglie numerose possano allevare grandi mandrie e quindi conseguire ricchezza e potere.Il bestiame costituisce una forma di ricchezza notevolmente instabile: una mandria può essere decimata in breve tempo da malattie, calamità naturali o dai ladri. Inoltre, dato che a mandrie numerose corrispondono famiglie numerose, una mandria numerosa finirà per essere spartita fra molti eredi. Così anche lo status sociale è instabile nelle società pastorali, ed è per questa ragione, almeno in parte, che gli allevatori sono ovunque egualitari e democratici. La leadership si consegue dimostrando buone capacità manageriali, cui spesso si attribuisce un valore carismatico, in quanto si esplicano non soltanto nella gestione del bestiame, ma anche in quella dei rapporti sociali.
La vita che conducono gli allevatori richiede un alto grado di flessibilità, nel senso che ognuno deve sapersela cavare da solo in certe stagioni e in determinate circostanze, mentre in altre occasioni deve impegnarsi in attività collettive. Lo spirito di indipendenza è un tratto caratteristico della personalità degli allevatori ed essendo considerato un valore importantissimo viene inculcato precocemente nell'animo dei giovani pastori (v. Goldschmidt, 1971). Tuttavia, al tempo stesso, è necessario istituzionalizzare un forte senso di collaborazione. La soluzione virtualmente universale di questo problema consiste nello stabilire una gerarchia di unità sociali 'aperte' basate sulla parentela. Elizabeth Bacon (v., 1958) ha dimostrato che un tale schema di organizzazione, per cui ha usato il termine mongolo obok, caratterizzava tutte le popolazioni di allevatori dell'Eurasia, dalla Scozia alla Mongolia, così come quelle del Vicino Oriente e del Nordafrica. E. E. Evans-Pritchard (v., 1940) riscontrò un sistema simile tra i Nuer del Sudan e lo definì sistema dei 'lignaggi segmentari'; si è poi accertato che questo sistema è molto diffuso tra gli allevatori africani.
L'organizzazione sociale dei Somali offre un modello ideale di questo sistema. L'enorme tribù dei Somali è divisa in due metà, ciascuna delle quali costituisce un gruppo basato sulla discendenza patrilineare. Ciascuna metà si divide in sette livelli gerarchici di lignaggi segmentari; ognuno dei livelli più alti comprende i 'fratelli' di un erede comune e i loro discendenti: un sistema genealogico onnicomprensivo, sebbene fittizio. In ogni caso il sistema costituisce la base delle alleanze nei conflitti endemici della società somala, dove i fratelli si coalizzano contro i cugini, i cugini contro i secondi cugini, e così via. Questa struttura è, comunque, abbastanza insolita: il tipo di organizzazione più comune comprende solo tre o quattro livelli di lignaggi. Il sistema obok è spesso esogamo, almeno ai livelli più bassi, mentre nel mondo arabo è preferita l'endogamia e la forma ideale di matrimonio è quella tra figli di due fratelli.
Nella società di allevatori esistono poi altri meccanismi che favoriscono la collaborazione fra i membri. Un meccanismo del genere è il sistema delle classi di età dell'Africa orientale, che si aggiunge al sistema del lignaggio senza sostituirlo. Anche i vincoli di parentela acquisiti sono usati per creare alleanze: spesso i matrimoni sono decisi con questo intento. In molte società gli uomini formano alleanze stipulando contratti che riguardano il bestiame e instaurano così rapporti che possono essere altrettanto stretti quanto quelli di parentela (v. Goldschmidt, 1967).Questi rapporti, anche se consentono agli uomini di lavorare e combattere insieme, non costituiscono però la base di un sistema politico e in effetti le società di allevatori generalmente non hanno né organi di governo centrali, se si eccettua la carica di capotribù, peraltro priva di autorità e occasionale, né un'aristocrazia. In queste circostanze, un facoltoso leader carismatico può concludere importanti alleanze fino a costruire uno Stato-nazione, come fu il caso di Gènghiz Khān e di Tamerlano.
Lawrence Krader (v., 1979), d'altra parte, sostiene che i Mongoli e altri abitanti delle steppe dell'Asia centrale fondarono Stati dotati di una struttura formale, di continuità e di gerarchie di funzionari, e quindi non si basavano semplicemente sulla personalità di leaders carismatici. Egli riscontra anche l'esistenza di classi sociali fisse e di un'élite preposta al controllo delle risorse produttive. L'alta mobilità di questi allevatori a cavallo conferiva loro una posizione unica nel loro ambiente, così che possono veramente rappresentare un'eccezione all'assenza generale di un sistema politico; d'altra parte, non si sa con sicurezza fino a che punto l'esistenza di un tale sistema dipendesse da un settore agricolo stanziale.
Anche l'impero degli Sciti fu fondato dagli allevatori, presumibilmente su una base simile, e la sua forma duratura fu resa possibile dall'incorporazione di popolazioni stanziali (v. Khazanov, 1978). Nella maggior parte dei casi questi quasi-Stati sopravvivono solo fin quando perseguono una politica di aggressione armata nei confronti di altre popolazioni. Marshall Sahlins (v., 1961) ha notato come l'istituzione dei lignaggi segmentari fosse particolarmente adatta alla realizzazione di mire espansionistiche. Può verificarsi, occasionalmente, che popolazioni di allevatori conquistino e impongano il proprio regime a una popolazione sedentaria; quando questo succede, i conquistatori vengono generalmente assimilati dalla cultura assoggettata, come nel caso dei Mongoli, in Cina, e del regno africano del Buganda. Non è questo, comunque, l'unico esito possibile: gli allevatori che soggiogarono i contadini del Ruanda e del Burundi, per esempio, prevennero l'assimilazione costituendosi in casta dominante separata.Forse la caratteristica generale più significativa degli allevatori è il loro spirito. Essi sono descritti normalmente come uomini orgogliosi, fieri e indipendenti, feroci e crudeli con i nemici, ma gentili e generosi con amici e ospiti. Apprezzano la bellezza, come attestano i gioielli e i tappeti, prodotti del loro fine artigianato, ed è ampiamente riconosciuto il loro amore per la poesia e per la musica.
Gli allevatori sono sempre in contatto con qualche popolazione sedentaria, dato che hanno bisogno di completare la propria alimentazione con prodotti agricoli. Questo rapporto è ambivalente: allevatori e coltivatori hanno bisogno gli uni degli altri, ma diffidano anche gli uni degli altri. Quando prevale, la popolazione sedentaria cerca di costringere gli allevatori a insediarsi stabilmente; quando i più forti sono gli allevatori allora spesso saccheggiano le città, soggiogandone gli abitanti. Tuttavia gli allevatori sono stati anche utili alle popolazioni sedentarie praticando il commercio: le carovane che attraverso il deserto portavano da lontano gioielli, spezie e altri prodotti raffinati hanno contribuito a innalzare il tenore di vita degli abitanti delle città.Ostilità e sospetti reciproci continuano tuttora. La moderna tecnologia avvantaggia i governi centrali, che sistematicamente cercano di controllare le tribù nomadi allontanandole dalle terre migliori e spingendole a costituire insediamenti stabili, qualche volta con mezzi draconiani.
Perfino politiche attuate a fin di bene, come quella del controllo dei pascoli, quella che prevede lo scavo di pozzi d'acqua e simili, si rivelano normalmente disastrose per gli allevatori, a causa dell'inadeguata comprensione del delicato equilibrio di fattori che rende possibile questa forma di attività economica (v. Goldschmidt, 1981).
Comunque dappertutto - in Cina (v. Shen, 1982), nell'Unione Sovietica (v. Annaklychev, 1978; v. Dakhshleiger, 1978), nel Vicino Oriente e nell'Africa coloniale e postcoloniale - si tenta con ogni mezzo di controllare e trasformare in popolazioni sedentarie gli allevatori. Il fiorire degli studi antropologici sulle popolazioni di pastori, nei due passati decenni, ha portato all'organizzazione di un gran numero di convegni sui problemi che travagliano gli allevatori nel mondo moderno (v. Pastoral production..., 1979; v. Salzman, 1980; v. Galaty e altri, 1981). Oltre all'azione diretta delle popolazioni sedentarie, altri fattori minacciano la sopravvivenza degli allevatori. Fra questi fattori vanno annoverati, paradossalmente, i progressi della medicina, umana e veterinaria, che, riducendo la mortalità sia fra gli uomini sia fra gli animali, hanno prodotto un aumento della pressione sulle risorse disponibili. Lo sfruttamento eccessivo dei pascoli e la desertificazione sono problemi ricorrenti degli allevatori moderni, cui non vengono fornite soluzioni tempestive.I
l futuro della pastorizia è perciò altamente problematico. Le politiche nazionalistiche e gli eventi naturali hanno contribuito a rendere le condizioni di vita degli allevatori sempre più precarie. Gli stili di vita, così affascinanti, dei pastori che vivono in tribù sono ormai compromessi e molti studiosi considerano una vera tragedia la loro fine imminente. Fra l'altro gli allevatori utilizzano risorse naturali non altrimenti utilizzabili, che col venir meno della pastorizia andrebbero sprecate.Una politica saggia e ispirata a principî di solidarietà dovrebbe cercare di garantire la continuazione delle attività degli allevatori, contribuendo alla raccolta delle scorte di foraggio, stimolando il mercato dei loro prodotti e incrementando così la loro integrazione nelle economie nazionali; ma soprattutto riconoscendo che le popolazioni di allevatori sono riuscite, nel corso dei millenni, a organizzare la loro delicata forma di economia secondo meccanismi che vanno preservati e adattati alle circostanze moderne, se si vuole far sopravvivere la pastorizia.
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