Abstract
Le società di gestione collettiva del diritto d’autore esercitano i diritti patrimoniali d’autore per conto di una pluralità di titolari nei confronti degli utilizzatori delle opere dell’ingegno. Tali società hanno a lungo operato negli Stati europei in posizione di monopolio, assicurando l’esercizio transfrontaliero dei diritti attraverso accordi stipulati con società straniere. Con la diffusione delle tecnologie digitali, la gestione collettiva è stata regolata a livello europeo allo scopo di superare le inefficienze manifestate dalle società dominanti e di agevolare la concessione di licenze aventi ad oggetto più repertori per più territori (cd. licenze multi-territoriali).
Le società di gestione collettiva (o “collecting societies”) sono organismi che esercitano i diritti patrimoniali d’autore (o connessi) per conto di una pluralità di titolari nei confronti degli utilizzatori delle opere dell’ingegno: in particolare, tali organismi concedono licenze, raccolgono i relativi proventi per distribuirli ai titolari dei diritti e assicurano il controllo sulle utilizzazioni non autorizzate delle opere.
Per il singolo titolare la negoziazione delle licenze e la creazione di una rete di controllo sulle utilizzazioni può risultare difficoltosa e dispendiosa. La gestione collettiva consente di delegare queste attività a un soggetto specializzato che, peraltro, accentrando i diritti di più titolari, realizza una forma di condivisione dei costi di gestione, riducendo il relativo impatto sulla remunerazione degli autori. Anche la posizione degli utilizzatori risulta favorita, poiché questi stipulano un’unica licenza per l’utilizzazione di un numero ampio di opere.
Nel XIX secolo l’utilizzazione crescente delle opere dell’ingegno spinge gli autori ad associarsi per gestire efficacemente i propri diritti e per rafforzare la propria posizione nei confronti degli utilizzatori. Nelle forme tradizionali di gestione collettiva, dunque, i titolari conferiscono l’incarico di gestione ad organismi di cui sono, allo stesso tempo, soci. In Italia, la Società Italiana Autori ed Editori (Siae) nasce come associazione di diritto privato (oggi è definita dalla legge come ente pubblico economico a base associativa, la sua attività è disciplinata dal diritto privato e le relative controversie sono devolute al giudice ordinario: l. 9.1.2008, n. 2). Tali enti operano senza scopo di lucro e coprono i costi attraverso contributi degli associati e trattenute sui proventi raccolti.
La diffusione delle società di gestione è favorita anche dall’obiettivo degli Stati ottocenteschi di incentivare la produzione artistica nazionale. La gestione collettiva nasce dunque come fenomeno legato al territorio nazionale, per la tutela degli autori nazionali. Questo spiega anche le funzioni di tipo solidaristico svolte dalle società di gestione, ad esempio attraverso la redistribuzione dei proventi a favore delle opere di minor successo (v. art. 2 Statuto Siae 1882; v. anche art. 37 dell’attuale statuto).
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, le utilizzazioni delle opere dell’ingegno si diffondono anche al di fuori dei confini nazionali, rendendo necessario il controllo e l’esercizio dei diritti all’estero. Nel 1928 viene costituita Cisac, organizzazione internazionale delle collecting societies con il compito di agevolare la stipulazione di accordi di rappresentanza reciproca (Arr): si tratta di accordi con cui le società di gestione si impegnano reciprocamente a gestire i repertori dell’altra parte nel territorio di propria competenza, alle stesse condizioni con cui è gestito il proprio repertorio. In questo modo, le società assicurano ai propri membri la tutela dei diritti all’estero usufruendo della rete di controllo e di negoziazione degli organismi locali. Inoltre, ciascuna società si impegna a conferire licenze soltanto per le utilizzazioni sul proprio territorio e a rifiutare l’adesione ad autori stranieri. In questa fase, dunque, anziché competere fra di loro, le società si spartiscono il mercato, che rimane così segmentato lungo i confini nazionali. Ciascuna società si trova in una posizione di monopolio o, comunque, dominante sul proprio territorio.
In certi casi, il monopolio viene imposto dalla legge. Così è stato in Italia per la Siae, fino alla recente modifica dell’art. 180 l. autore, disposta con il d.l. 16.10.2017, n. 148, che ha consentito l’intermediazione dei diritti d’autore anche da parte di organismi di gestione collettiva privati, purché non aventi fine di lucro.
Gli Stati sottopongono i monopoli a regolazione e vigilanza, in virtù dell’interesse generale a un’efficace tutela del diritto d’autore e alla promozione della cultura nazionale (v. Cass. 19.3.1997, n. 2431). La Siae, per esempio, è soggetta a vigilanza governativa; il suo statuto deve essere approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (prima del 2008, anche i criteri di ripartizione dei proventi dovevano essere approvati dal Ministro vigilante: art. 7, co. 7, d.lgs. 29.10.1999, n. 419) e il presidente è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 1, co. 4, l. 2/2008). Il settore della gestione collettiva in Italia è attualmente soggetto anche alla vigilanza dell’Agcom (art. 40, d.lgs. 15.3.2017, n. 35).
In posizione di monopolio ha operato a lungo in Italia anche l’Imaie (Istituto Mutualistico fra Artisti Interpreti Esecutori), costituito nel 1977 come associazione di diritto privato per l’amministrazione dei diritti spettanti agli artisti, interpreti ed esecutori (v. art. 4, l. 5.2.1993, n. 92). Nel 2009, in seguito a gravi irregolarità nella gestione, ne è stata disposta l’estinzione e le sue funzioni sono attualmente svolte dal “nuovo” Imaie, costituito nel 2010 e sottoposto a vigilanza (v. d.l. 30.4.2010, n. 64, convertito con l. n. 100/2010). Con il d.l. 24.1.2012 n. 1, l’attività di gestione collettiva dei diritti connessi è stata espressamente liberalizzata.
Nella seconda metà del XX secolo, con l’integrazione europea, limiti al comportamento delle società di gestione derivano anche dall’applicazione del diritto della concorrenza: le collecting societies sono imprese ai sensi del diritto dell’Unione europea (v. da ultimo C. giust. Ue, 14.9.2017, C-177/16, AKKA) e, dato il potere di mercato detenuto a livello nazionale, sono imprese in posizione dominante, soggette al divieto di abuso di cui all’articolo 102 Tfue.
In una prima fase, l’applicazione del diritto antitrust si concentra sui comportamenti unilaterali delle società, come le pratiche di prezzo eccessivo o gli abusi ai danni dei titolari dei diritti. La divisione territoriale del mercato, rafforzata dalla rete di Arr, non viene messa in discussione: si ritiene che gli elevati costi e le difficoltà che una società incontrerebbe nel tentativo di operare sul territorio straniero possano spiegare la tendenza al rispetto reciproco delle aree di competenza e la mancanza di concorrenza tra le società.
Con l’avvento di Internet, sorge a livello europeo l’esigenza nuova di creare un mercato unico digitale delle opere dell’ingegno e la situazione della gestione collettiva viene avvertita come un ostacolo a quest’obiettivo. Le tecnologie digitali riducono i costi di gestione e consentono controlli a distanza, come testimonia l’entrata sul mercato di nuovi enti che esercitano l’attività di gestione collettiva con scopo di lucro (enti “indipendenti”). Resta, tuttavia, ferma l’inefficienza degli enti di gestione dominanti, i quali non assicurano un’ottimale distribuzione dei proventi agli autori e non sono incentivati ad innovare i propri servizi. Di qui l’obiettivo di agevolare l’apertura del settore alla concorrenza, che è divenuta possibile grazie alle nuove tecnologie, e di migliorare la trasparenza della gestione.
Inoltre, le piattaforme che offrono servizi di accesso alle opere online invocano semplificazioni nelle negoziazioni con le società di gestione e si pone il problema di creare uno “sportello unico” per la licenza di più repertori per più territori, soprattutto in campo musicale. Di questi obiettivi si è occupata la dir. 2014/26/Ue.
Il titolare non è obbligato a rivolgersi a una collecting society per la gestione dei propri diritti: può anche esercitarli individualmente (art. 180, co. 4, l.autore). La gestione collettiva del diritto d’autore non è dunque automatica, ma è necessario il conferimento di un incarico ad una società da parte del titolare (Trib. Roma, 2.7.2007, in AIDA, 2008, 1226; Cass., 19.3.1997, n. 2431; Trib. Milano, 11.4.2011 (ord.), in AIDA, 2011, 1453; configura la Siae come mandataria ex lege Trib. Milano, 29.7.2010, in AIDA, 2011, 1435). La giurisprudenza italiana ha qualificato tale incarico come contratto di mandato (v. Trib. Roma, 12.1.2005, in AIDA, 2005, 1056; Trib. Roma, 2.7.2007, cit.; v. però, per alcune differenze tra la Siae e i mandatari di diritto privato, Trib. Roma 2.7.2007, cit., in cui, tra l’altro, è stato ritenuto inapplicabile alla Siae l’art. 1711 c.c. sui limiti del mandato).
La legge prevede casi in cui gli organismi di gestione collettiva possano gestire i diritti dei titolari anche senza il conferimento di un mandato. Si pensi alla disciplina sul diritto di seguito sulle vendite di opere d’arte e di manoscritti (art. 152 e ss. l. autore) o alla riscossione dei proventi in paesi stranieri in caso di inerzia degli autori (art. 180, co. 6, l. autore). In alcuni ordinamenti diversi da quello italiano, inoltre, gli enti di gestione sono legittimati a concedere licenze per conto di autori che non hanno concesso mandato; questi ultimi possono richiedere che le proprie opere siano escluse dalla licenza (un meccanismo simile è previsto dall’art. 7 della proposta di direttiva sul diritto d’autore COM(2016)593; in C. giust, 16.11.2016, C-301/15, Soulier, la Corte ha affermato che meccanismi di questo tipo devono assicurare che i titolari dei diritti siano adeguatamente informati).
Ancora, vi sono casi in cui non solo la società può gestire i diritti dei titolari senza necessità di mandato, ma è anche preclusa la possibilità di esercitare tali diritti individualmente (casi di gestione collettiva cd. “obbligatoria”). In questo modo viene agevolata la posizione degli utilizzatori, i quali usufruiscono di uno sportello unico per ottenere le autorizzazioni per l’utilizzo delle opere necessarie alla propria attività.
Si pensi, ad esempio, al pagamento dei compensi per la riproduzione privata di fonogrammi o videogrammi (art. 71 octies l. autore), alla remunerazione supplementare degli artisti, interpreti ed esecutori (art. 84-bis l. autore) o alla ritrasmissione via cavo (art. 180 bis l. autore; v. anche la proposta di reg. Ue COM(2016)594, l’art. 181-ter e l’art. 73 l. autore, come modificato dalla l. 4.8.2017, n. 124).
Il titolare che intenda affidare i propri diritti alla gestione collettiva è libero di scegliere a quale società conferire l’incarico e per quali diritti.
Le limitazioni alla libertà dei titolari dei diritti imposte da parte di una collecting society possono costituire abusi di posizione dominante, a meno che tali limitazioni siano indispensabili per un’efficace tutela dei diritti gestiti (C. Giust. 27.3.1974, C-127/73, BRT). Così è stato ritenuto abusivo lo statuto di una società che prevedeva, come condizione di adesione, la cessione di tutti i diritti attuali e futuri, su tutte le opere, per tutto il mondo e che imponeva una durata minima della gestione di sei anni (Comm. Ce, 2.6.1971, IV/26760, GEMA; si v. anche Agcm, 5.4.2017, A508-Siae, in cui è stata oggetto di analisi, tra l’altro, la pratica di impedire ai titolari di circoscrivere il mandato ad alcuni diritti soltanto). Lo stesso vale per il caso in cui la società non ammetta titolari che intendano riservarsi la gestione individuale di alcuni diritti (Comm., 12.8.2002, COMP/37.219, Banghalter Homem Christo) o per il rifiuto di gestire i diritti dei titolari con cittadinanza straniera (GEMA, cit.; C. giust., 2.3.1983, C-7/82, GVL). Ancora, le clausole degli Arr con cui le società di gestione si impegnano a rifiutare l’ammissione a cittadini stranieri costituiscono intese restrittive della concorrenza (Comm., 16.7.2007, COMP/C2/38.698, CISAC).
Questi principi sono stati codificati nell’art. 5 della dir. (recepita in Italia con il d.lgs. n. 35/2017). Il titolare ha il diritto di affidare l’incarico all’organismo di gestione collettiva di propria scelta, per i diritti e le opere di propria scelta e per i territori da esso indicati, indipendentemente dal luogo di nazionalità e di residenza o dal luogo di stabilimento della società. A questo diritto corrisponde l’obbligo dell’organismo di gestione collettiva di assumere la gestione richiesta, salvo il caso in cui tale gestione non rientri nel proprio ambito di attività o sussistano giustificate ragioni per rifiutare la gestione. Inoltre, il titolare ha il diritto di revocare l’affidamento della gestione con un ragionevole preavviso. Con queste disposizioni la direttiva ha inteso agevolare la mobilità dei titolari allo scopo di incentivare la concorrenza tra le società. L’obbligo di contrarre poi impedisce alle società più efficienti di rifiutare gli incarichi relativi alle opere meno appetite, assicurando così protezione alla diversità culturale europea (v. sul punto Risoluzione del Parlamento Eu., 13.3.2007).
L’art. 5 si applica agli “organismi di gestione collettiva”, cioè agli enti di gestione che operano senza scopo di lucro o sono detenuti (o controllati) dai titolari dei diritti (art. 3 dir.). Tali enti dunque hanno l’obbligo di assumere la gestione a prescindere dal fatto che si trovino in posizione dominante.
L’obbligo non si applica invece agli enti indipendenti, cioè agli enti di gestione collettiva non detenuti dai titolari dei diritti e operanti con scopo di lucro (art. 3 dir.): questi ultimi possono rifiutare la gestione, fatta salva l’applicazione del diritto antitrust. Esonerando gli enti indipendenti dagli obblighi dell’art. 5, la direttiva pare voler agevolare la competitività dei nuovi entranti nel settore, a lungo privo di pressione concorrenziale nei confronti degli enti tradizionali (quest’obiettivo è condiviso dall’Agcm: v. 22.3.2017, A489-Nuovo Imaie, in cui la società dominante adottava nei confronti dei nuovi entranti pratiche discriminatorie, rifiutava l’accesso alle banche dati e proteggeva la propria posizione attraverso contratti di licenza e Arr di lunga durata; v. anche A508, cit., relativo a condotte escludenti nei confronti dei nuovi entranti da parte della Siae).
Per quanto riguarda le collecting tradizionali, il titolare dei diritti, oltre a stipulare un contratto di mandato, diviene normalmente anche membro dell’ente incaricato. La costituzione di tale rapporto associativo conferisce al mandante il diritto di partecipazione e di voto nell’assemblea dell’ente e l’obbligo di pagamento di contributi (v. artt. 5, 14 statuto Siae). Il titolare può anche decidere di conferire solamente un mandato, senza assumere la qualità di associato nell’organismo (art. 7, d.lgs. n. 35/2017).
Oltre al già richiamato dovere di assumere la gestione richiesta dal titolare ai sensi dell’art. 5 dir., l’organismo di gestione ha anche il dovere di accettare come membri i soggetti che ne facciano richiesta e che siano in possesso dei requisiti di adesione (art. 6 dir.). Questi requisiti devono essere fissati in maniera oggettiva, trasparente e non discriminatoria.
L’assemblea generale dei membri decide, tra l’altro, sulla nomina e la revoca degli amministratori, sulla definizione della politica generale di distribuzione dei proventi e sulle modifiche statutarie (art. 10, d.lgs. n. 35/2017).
Nel processo decisionale dell’ente deve essere assicurata in maniera equa ed equilibrata la rappresentanza di tutte le categorie di membri. Lo statuto può prevedere restrizioni al diritto di voto in ragione della durata dell’adesione o degli importi ricevuti dal titolare, purché questi criteri siano stabiliti e applicati in modo equo e proporzionato e siano resi pubblici.
Il tema delle restrizioni al diritto di voto di certi membri è stato affrontato in varie occasioni da parte della giurisprudenza italiana. In particolare, è stato rilevato che le differenze nei diritti di elettorato attivo e passivo in base a criteri di anzianità e censuari non sono di per sé illegittime (Tar Lazio, 3.7.2003, n. 6371; C. St., 9.7.2004, n. 6187; Tar Lazio, 22.7.2014, n. 7946). Criteri di questo genere sono però illegittimi se consentono l’esclusione perpetua di alcuni membri dai poteri di gestione, se comportano l’affidamento ad alcuni membri soltanto del potere di disporre dell’intera massa dei proventi e se impediscono ad alcuni titolari ogni rappresentatività anche sulle decisioni che riguardano la loro personale posizione (C. St., 10.2.1992, n.97; Tar Lazio, 20.5.2002, n. 4485).
Altri organi della società sono il consiglio di amministrazione e l’organo di sorveglianza sulla gestione (nel quale deve esservi rappresentanza equa ed equilibrata delle diverse categorie di membri: art. 11, d.lgs. n. 35/2017). Sono fissate regole sulla diligenza e sui conflitti di interesse per i membri di tali organi (art. 12); la loro responsabilità è disciplinata dall’art. 2932 c.c. È infine prevista la presenza di un organo di controllo contabile (art. 13, d.lgs. n. 35/2017).
Le regole relative all’organizzazione interna si applicano solo agli organismi di gestione collettiva, non agli enti indipendenti (art. 3, d.lgs. n. 35/2017), i cui soci non sono i titolari dei diritti gestiti. Questi enti possono assumere qualunque forma giuridica prevista dal nostro ordinamento, purché rispettino i requisiti previsti dall’art. 8, d.lgs. n. 35/2017.
In Italia l’attività di intermediazione, comunque attuata, relativamente ai diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione (compresa la comunicazione via satellite) e di riproduzione meccanica e cinematografica è stata a lungo riservata in via esclusiva alla Siae (art. 180 l.autore; la disposizione era comunque ritenuta di carattere eccezionale: Trib. Milano, 6.10.2014, in AIDA, 2015, 1696).
La riserva non pregiudica la facoltà dei titolari di gestire i propri diritti individualmente (art. 180, co. 4). Inoltre, essa non si applica al settore dei diritti connessi, salvo quanto previsto per la ritrasmissione via cavo (Trib. Milano, 23.2.2010, in AIDA, 2011, 1410): la gestione collettiva dei diritti connessi in Italia è settore aperto alla libera concorrenza, anche da parte di enti indipendenti (art. 39, d.l. n. 1/2012; per poter svolgere quest’attività le imprese devono comunque soddisfare dei requisiti minimi relativi all’organizzazione interna, alla forma giuridica e ai libri contabili: art. 8, d.lgs. n. 35/2017).
La riserva legale a favore di Siae è stata messa in discussione in varie occasioni. La Corte Costituzionale ha affermato la compatibilità dell’art. 180 con la libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost. (C. Cost. 17.4.1968, n. 25) e con l’art. 41 Cost. (C. Cost. 19.4.1972, n. 65; C. Cost. 15.5.1990, n. 241). In questi ultimi casi, anteriori all’adozione della legge antitrust in Italia, è stata sollevata questione di costituzionalità per il fatto che l’art. 180 costituisce una posizione di monopolio senza prevedere adeguati strumenti giuridici di reazione agli eventuali abusi. Nella prima pronuncia, la Corte ha affermato che la Siae non si trova in posizione di monopolio, in quanto gli autori restano liberi di gestire i propri diritti individualmente; inoltre, esiste una vigilanza sull’operato della società e la determinazione dei compensi in misura eccessiva può essere contestata di fronte al giudice. Nel secondo caso, la Corte ha invece riconosciuto che la Siae si trova in posizione di sostanziale monopolio, ma ha ritenuto infondata la questione poiché il monopolio legale rende applicabile alla Siae l’obbligo di contrarre rispettando la parità di trattamento previsto dall’art. 2597 c.c.
In una controversia sul pagamento dei compensi da parte di un istituto termale, è stata poi sollevata di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione se gli articoli 56 (sul principio di libera circolazione dei servizi nel mercato unico) e 102 Tfue ostino ad una riserva legale in materia di gestione collettiva (C. giust., 27.2.2104, C-351/12, OSA). Secondo la Corte, tale riserva costituisce una limitazione alla libera circolazione dei servizi. Tuttavia, la previsione di un monopolio legale è giustificata poiché risponde a ragioni imperative di interesse pubblico (la tutela della proprietà intellettuale) e non supera quanto necessario per il soddisfacimento di tale interesse: allo stato attuale del diritto dell’Unione, non risulta provata l’esistenza di un metodo di gestione più efficace della protezione a livello territoriale del diritto d’autore «riguardo a una comunicazione come quella di cui trattasi nel procedimento», cioè la comunicazione al pubblico effettuata da un istituto termale (secondo la Corte, inoltre, l’art. 16 della dir. 2006/123/Ec (cd. dir. Servizi) non si applica alla gestione collettiva del diritto d’autore). Inoltre, la riserva legale non viola di per sé l’art. 102 Tfue: è possibile che la previsione del monopolio legale violi l’art. 106 Tfue, in combinazione con l’art. 102, laddove si dimostri che la collecting society abusa della propria posizione dominante e ciò sia imputabile alla normativa nazionale (v. anche C. St., 18.2.2015, n.823).
In Trib. Milano, 6.10.2014, cit., l’art. 180 è stato interpretato nel senso che gli autori stranieri non sono obbligati a rispettare la riserva legale della Siae e possono dunque incaricare società straniere per la gestione dei propri diritti in Italia.
Dubbi sull’art. 180 l.autore sono stati sollevati anche dall’adozione dell’art. 5 dir. sulla libertà di scelta del titolare dei diritti: il fatto che una società diversa dalla Siae non potesse operare sul territorio italiano avrebbe finito per svuotare di efficacia la libertà di scelta del titolare (Parere Agcm, 1.6.2016,. AS1281 - Gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno). Il d.lgs. n. 35/2017 (di recepimento della direttiva) non ha risolto il problema, in quanto ha previsto che il titolare possa scegliere a quale società rivolgersi “fatto salvo quanto disposto dall’art. 180”. Successivamente, il d.l. n. 148/2017 ha modificato l’art. 180 l. autore, disponendo che l’attività di intermediazione per i diritti ivi previsti sia riservata alla Siae e agli altri organismi di gestione collettiva non aventi fini di lucro (i quali dovranno rispettare i requisiti fissati dall’art. 8, d.lgs. n. 35/2017). È venuto meno dunque il monopolio legale a favore della Siae (ma il d.l. non ha modificato le altre disposizioni della l. autore che riservano alla Siae certe attività, come la gestione della ritrasmissione via cavo). Resta ancora preclusa, però, agli enti indipendenti l’attività di intermediazione prevista dall’art. 180 sul territorio italiano (la Agcm sembra ritenere aperta agli enti indipendenti la gestione dei diritti online, poiché l’art. 180 non prevede, tra i diritti patrimoniali riservati, la comunicazione online: cfr. AGCM, A508, cit.).
Le società di gestione collettiva hanno il compito di stipulare licenze per l’utilizzo delle opere comprese nel proprio repertorio. La licenza è generalmente un contratto standard che copre un elevato numero di opere. Per questo motivo, si applicano gli artt. 1341 e 1342 c.c. (Cass., 13.1.2004, n. 267).
Se la stipulazione di contratti limitati soltanto ad alcune opere del repertorio non pregiudica gli interessi degli autori e non comporta un aumento dei costi di gestione e di sorveglianza, l’imposizione di licenze globali agli utilizzatori può costituire illecito antitrust (C. giust. 13.7.1989, C-395/87, Tournier; C. giust., 13.7.1989, C-110/88, 241/88, 242/88, Lucazeau).
Le società di gestione collettiva non sempre possono rifiutare di stipulare una licenza con gli utilizzatori. Nel nostro ordinamento, gli enti in situazione di monopolio legale, come la Siae (almeno fino all’adozione del d.l. n. 148/2017), hanno un obbligo di contrarre a parità di trattamento (art. 2597 c.c.). Obblighi di concedere licenza possono derivare anche dal divieto di abuso di posizione dominante. Ancora, il divieto di intese restrittive della concorrenza si applica agli Arr con cui le società di gestione si impegnano a rifiutare la licenza ad utilizzatori stabiliti in aree di competenza delle altre parti (v. C. giust., Tournier, cit.; Comm., CISAC, cit.). In generale, gli organismi di gestione collettiva hanno l’obbligo di offrire licenza oppure di dare una motivazione per il rifiuto (art. 16, co. 3, dir.). Tanto gli organismi di gestione quanto gli enti indipendenti devono agire in buona fede durante le negoziazioni delle licenze.
Le società di gestione non sono nemmeno libere di determinare le condizioni della licenza. In primo luogo, le società in posizione dominante commettono un abuso se applicano condizioni discriminatorie, come, ad esempio, sconti ingiustificatamente riservati a certe categorie di utilizzatori (v. AGCM, 28.7.1995, A48, SILB/SIAE; o C. App. Bruxelles, 3.11.2005, in cui la Commissione ha espresso un’opinione, v. http://ec.europa.eu/competition/court/opinion_2005_sabam_fr.pdf).
In secondo luogo, sono abusive le tariffe eccessivamente elevate applicate dalle società dominanti (C. giust., 9.4.1987, C-402/85, Basset). In particolare, se una di queste società impone tariffe sensibilmente più elevate di quelle praticate in altri Stati membri e qualora il confronto delle tariffe sia stato effettuato su base omogenea (tenendo conto anche delle differenze nel potere d’acquisto nei vari Stati: C. giust. Ue, AKKA, cit.), tale differenza dev'essere considerata come l'indizio di un abuso di posizione dominante (la differenza deve essere rilevante e non occasionale: C. giust. Ue, AKKA, cit.). Spetta, in questo caso, alla società giustificare la differenza basandosi sulle diversità obiettive tra la situazione dello Stato interessato e quella prevalente negli altri Stati (Tournier, cit.; v. anche SILB/SIAE, cit. per un caso in cui le differenze di tariffe non sono state considerate giustificate; v. ancora sul tema delle tariffe inique: C. giust. Ue, AKKA, cit, C. giust. 23.4.2009, C-425/07P, Aepi; Trib. Ue, 24.1.1995, T-114/92, Benim).
Tariffe basate sul livello di entrate degli utilizzatori non sono abusive di per sé, purché tengano conto della quantità di opere effettivamente o potenzialmente utilizzate e salvo che un altro metodo consenta di identificare e di quantificare in maniera più precisa l’utilizzo di tali opere, nonché l’audience, senza tuttavia comportare un aumento sproporzionato delle spese sostenute per la gestione dei contratti e per la sorveglianza sull’utilizzazione di tali opere (C. giust. 11.12.2008, C-52/07, Kanal 5; v. sul tema delle tariffe fondate sul fatturato anche App. Venezia, 30.1.2004, in AIDA, 2006, 654).
Infine, l’art. 16 dir. dispone che le condizioni contrattuali applicate dagli organismi di gestione siano determinate in maniera oggettiva e non discriminatoria; le tariffe devono, inoltre, essere ragionevoli in riferimento al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, alla natura e alla portata dell’uso delle opere e al valore economico del servizio fornito dall’organismo di gestione collettiva. Le tariffe sono oggetto di pubblicazione (art. 21 dir., applicabile anche agli enti indipendenti).
Oltre a conferire le licenze, le società di gestione hanno anche l’incarico di effettuare controlli sulle utilizzazioni non autorizzate delle opere gestite. Al riguardo, esse sono legittimate ad agire in giudizio a tutela dei diritti oggetto di gestione (art. 164 l. autore; v. App. Bologna, 19.7.2002, in AIDA, 2006, 1071; in materia di diritti connessi v., per es., Trib. Roma, 6.4.2006, in AIDA, 2008, 1209).
I compensi raccolti dalle società di gestione collettiva devono essere distribuiti ai mandanti o alle società legate da Arr. Per tutelare gli autori nei confronti degli editori la legge prevede che la SIAE, nel distribuire i proventi agli aventi diritto, riservi una quota parte ai primi (art. 180 co. 5; v. anche 71 octies l.autore).
Oggetto di attenzione è stata la pratica delle collecting di adottare criteri di riparto a carattere forfettario, non basati dunque sul numero effettivo di utilizzazioni delle singole opere. In certi casi, la giurisprudenza ha affermato che la società non è tenuta a distribuire le royalties in maniera analitica: è necessario, infatti, tenere conto sia delle opere meno appetite sul mercato che dei costi che la società dovrebbe sostenere per realizzare un riparto analitico (Trib. Roma, 12.1.2005, in Dir. aut., 2005, 391; Trib. Roma, 2.7.2007, cit.). In altri casi, però, sistemi che remuneravano anche autori diversi da quelli le cui opere erano state utilizzate sono stati ritenuti contrari alla legge (Tar Lazio, 10.5.2002, n. 4123, in cui si afferma che la funzione solidaristica della società non è prevista né dalla legge né dallo statuto). Secondo questa giurisprudenza, oltre a quello analitico, anche altri criteri potrebbero essere adottati per ragioni precisamente identificate, ma qualunque metodo deve tener conto, per quanto possibile ed in modo adeguato, dell’effettivo contributo di ciascun titolare alla produzione dei proventi (C. St., 9.5.2003, n. 4873, in applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 419/99 oggi abrogato; v. anche SILB/SIAE, cit.).
Infine, la direttiva dispone che la distribuzione avvenga in maniera regolare e precisa (v. art. 14 dir., sul principio di non discriminazione verso i titolari stranieri in caso di Arr). Le società sono tenute a fornire numerose informazioni al riguardo ai titolari e alle altre società legate da Arr (art. 18 ss. dir.). Inoltre, gli importi riscossi devono essere tenuti separati nella contabilità rispetto alle altre attività dell’ente. Con queste disposizioni si è voluto porre un freno alle inefficienze nel riparto dei proventi da parte degli organismi di gestione.
È prevista poi la possibilità di detrazioni dai proventi raccolti per fini sociali, educativi o culturali (art. 12 dir.).
Con lo sviluppo di internet, sono emerse nuove piattaforme che consentono l’accesso alle opere online. L’offerta di questi servizi richiede all’operatore della piattaforma di ottenere l’autorizzazione all’utilizzo di numerose opere per numerosi territori (i.e. tutti i territori dai quali il servizio online sia accessibile). Il sistema tradizionale degli Arr consentiva a ciascuna società di concedere licenza su numerose opere (quelle comprese nel proprio repertorio e in quelli delle società legate da Arr) ma limitatamente ad un solo territorio, cioè il proprio (v. CISAC, cit.): le licenze necessarie per la gestione di una piattaforma online erano dunque numerose, soprattutto per il settore musicale, il che comportava costi e incertezze per le imprese, con correlati ostacoli allo sviluppo di un mercato unico digitale a livello europeo.
Le società di gestione hanno tentato di offrire una soluzione al problema, concludendo Arr in base ai quali ciascun ente è legittimato a concedere licenze multi-repertorio e multi-territorio agli utilizzatori. Tali accordi contenevano però clausole con le quali le parti si spartivano i licenziatari (Comm., 8.10.2002, COMP/C2/38.014, IFPI; COMP/C2/38126, Santiago) o i mandanti (v. Comm., 7.7.2005, Study on a community initiative on cross-border collective management of copyright, working document). In alcuni accordi erano adottati anche meccanismi tali da fissare i prezzi delle licenze (v. IFPI, cit., in cui era prevista una tariffa aggregata uguale per tutte le società; Comm., 4.10.2006, COMP/C2/38.681, Cannes, in cui erano previste clausole volte a scoraggiare gli sconti). In altre parole, tali Arr istituivano “sportelli unici”, ma, allo stesso tempo, impedivano lo sviluppo della concorrenza tra le parti. Per questo motivo, la Commissione li ha talvolta ritenuti incompatibili con il diritto antitrust.
In una raccomandazione del 2005 (2005/737/Ce), la Commissione ha individuato la soluzione al tema delle licenze online nel conferimento ai titolari della libertà di scegliere la società cui affidare la gestione dei propri diritti online sulle opere musicali per tutta l’Unione. Da un lato, questa soluzione avrebbe introdotto concorrenza tra le società; dall’altro, avrebbe portato all’aggregazione dei repertori in capo a pochi enti a livello europeo, riducendo così il numero di negoziazioni per gli utilizzatori. Coerentemente con questi obiettivi, nel caso Cisac, la Commissione ha applicato l’art. 101 Tfue al comportamento parallelo di società europee che limitavano la portata delle licenze al proprio territorio di stabilimento (EC CISAC, cit.). Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che il comportamento delle società potesse spiegarsi in ragione delle difficoltà di controllo a distanza delle utilizzazioni non autorizzate e ha annullato in parte la decisione (Trib. Ue, 12.4.2013, T-442/08, Cisac).
Negli anni successivi alla raccomandazione, molte grandi imprese di edizione hanno ritirato i propri diritti dal sistema degli Arr e hanno affidato il compito di concludere licenze multi-territoriali sulle proprie opere ad enti appositi, costituiti in collaborazione con alcune società di gestione. Il numero degli enti da cui ottenere licenza, anziché diminuire, è quindi aumentato e i grandi editori, svincolandosi dalle collecting, hanno ottenuto un maggiore controllo sui prezzi delle licenze (Comm., 22.5.2007, COMP/M.4404, Universal/BMG; Comm. 19.4.2012, COMP/M.6459, Sony/Mubadala). Inoltre, è stato avvertito il rischio che il distacco delle opere delle major dalle società di gestione potesse tradursi nell’emarginazione delle opere minori, a scapito della diversità culturale (Risoluzione Parl. Eu, 25.9.2008, cit.).
Sul tema è intervenuta la recente direttiva. Sono autorizzati a concedere licenze multi-territoriali per l’utilizzo di opere musicali online solo gli organismi che abbiano la capacità di gestire i dati necessari, di identificare le opere e i diritti, di distribuire i proventi efficacemente e via dicendo (art. 24 dir.). Queste società sono obbligate a stipulare accordi (non esclusivi) di rappresentanza con le società prive dei requisiti per la gestione multi-territoriale che ne facciano richiesta. Ove, invece, una società non abbia concesso licenze multi-territoriali e non abbia conferito incarico ad un altro ente entro il 10 aprile 2017, i titolari dei diritti possono ritirare i propri diritti dalla gestione di tale società ai fini della concessione di licenze multi-territoriali, senza dover ritirare anche la gestione ai fini delle licenze mono-territorio. Tale sistema dovrebbe agevolare la concentrazione dei repertori in capo a poche società, così da ridurre le licenze necessarie per l’utilizzo online delle opere (v. Comm., 16.6.2015 COMP/M.6800, PRSfm, STIM, GEMA, JV); allo stesso tempo, dovrebbe essere scongiurato il pericolo di emarginazione delle opere minori, data la presenza di un obbligo di gestione in capo alle società maggiori.
Le disposizioni sulle licenze multi-territoriali non si applicano né agli enti indipendenti, i quali restano liberi di concedere licenze multi-territoriali (v. anche art. 32 dir.), né alla materia dei diritti connessi, per i quali il problema delle licenze multi-territoriali è meno avvertito (Comm., 11.7.2012, Impact assessment, SWD(2012)204, 12 ss.).
L. 22.4.1941 n. 633; l. 5.2.1993 n. 92; d.lgs. 29.10.1999 n. 419; l. 9.1.2008, n. 2; d.l. 24.1.2012 n. 1; dir. 2014/26/UE; d.lgs. 15.3.2017, n. 35; l. 4.8.2017 n. 124; d.l. 16.10.2017, n. 148.
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