societa
Insieme di individui uniti da rapporti di varia natura e in cui si instaurano forme di cooperazione, collaborazione e divisione dei compiti. Riprendendo un’idea che risaliva ad alcune scuole della filosofia greca, e ulteriormente sviluppata nel Medioevo, diversi pensatori del 17° e del 18° sec. elaborarono una concezione della s. come ordine artificiale creato dagli uomini sulla base di un «contratto sociale», attraverso il quale vengono stabilite le regole del vivere comune e hanno origine le istituzioni sociali. La costituzione della s. sarebbe stata preceduta da uno stato di natura, inteso da alcuni (T. Hobbes, J.-J. Rousseau) come condizione presociale, da altri (J. Locke) come condizione in cui esistevano già istituti come la famiglia, il rapporto padrone-servo e la proprietà privata. Nell’Ottocento, l’antropologia culturale sviluppò, sulla base di concezioni formulate alla metà del Settecento da C.-L. de Montesquieu e Voltaire, un approccio evoluzionistico, rifiutando l’idea che la s. sia frutto di un patto consapevolmente stipulato. Affermando che la vita associata è connaturata all’uomo, questa prospettiva riteneva che le forme di vita e di organizzazione sociale fossero esistite fin dai primordi, e si fossero sviluppate nel tempo diventando via via più complesse. L’antropologo americano L.H. Morgan sostenne che nei primi stadi l’organizzazione sociale era basata sui rapporti di parentela, mentre nelle forme più evolute si era giunti a un’organizzazione politica basata sul territorio e sulla proprietà privata, per garantire la quale si erano formate poi le leggi e le istituzioni politiche, compreso lo Stato. Secondo un’altra concezione sviluppata nell’Ottocento, la cosiddetta teoria funzionalista, la s. è simile a un organismo le cui parti sono connesse da una rete di relazioni e interdipendenze. Un modello organicistico fu proposto da due padri fondatori della sociologia, A. Comte e H. Spencer. Quest’ultimo paragonò la s. a un organismo formato da varie parti (le famiglie, le imprese economiche, le istituzioni politiche), ciascuna delle quali assolve una funzione specifica contribuendo al funzionamento del tutto. L’approccio funzionalista fu ripreso, nel secolo successivo, dagli antropologi culturali B. Malinowski e A.R. Radcliffe-Brown, per i quali la s. è un complesso di parti interconnesse che non possono essere comprese isolando le une dalle altre. Negli anni Cinquanta del 20° sec. il sociologo americano T. Parsons elaborò una teoria sistemica della s., in seguito ripresa e in parte modificata da N. Luhmann. In questo approccio, la s. è concepita come sistema che riceve risorse (input) dall’ambiente esterno e produce a sua volta effetti (output) nell’ambiente. Ogni sistema sociale deve soddisfare alcuni requisiti (mantenere la sua identità nel tempo, assicurare l’integrazione tra le sue parti, fissare i propri scopi e organizzare i mezzi per raggiungerli) ed è articolato in vari sottosistemi (politica, economia, diritto ecc.) che svolgono le funzioni principali. I sistemi sociali tendono all’equilibrio, ma possono mutare per rispondere alle sfide dell’ambiente aumentando il proprio grado di differenziazione interna.