SOCIOLOGIA DELLA SCIENZA
La scienza, dal punto di vista della sociologia, è un ''sistema d'azione sociale'', specializzato nel produrre e accumulare, mediante metodi che pretendono di essere socialmente legittimati per via del primato che assegnano all'evidenza empirica e all'argomentazione razionale, conoscenze attendibili, affidabili e riproducibili intese a predire, post-dire (cioè ''spiegare'') e manipolare, in modo statisticamente non casuale, determinate sezioni spazio-temporali del mondo, ovvero insiemi interdipendenti di eventi e processi fisici, biologici, sociali o psichici. Nel quadro di riferimento che la sociologia applica allo studio dei sistemi d'azione, il ''sistema scienza'' costituisce un sottosistema del sistema socioculturale, un sistema di base che forma con i sistemi comunitario, politico ed economico il primo livello di differenziazione d'una società moderna. La s. della s. studia a) le azioni, le relazioni e i processi socioculturali costitutivi del sistema scienza, inclusi i processi di sviluppo strutturale e di crescita della conoscenza, e b) le relazioni di reciproca influenza, scambio e interpenetrazione osservabili sia tra il sistema scienza e gli altri sistemi sociali di base, sia tra di esso e i restanti sottosistemi del sistema socioculturale (per es. la scuola, le organizzazioni religiose, il sistema delle professioni).
La struttura del sistema scienza. - Le azioni che formano il sistema scienza si distribuiscono, da un punto di vista analitico, in quattro domini principali: il dominio oggettuale, in cui le azioni consistono soprattutto nella scelta degli oggetti d'indagine, dei temi di ricerca, dei fenomeni da sottoporre a osservazione; il dominio concettuale, dove le azioni corrispondono alla scelta e alla costruzione di modelli del mondo, di modelli dell'osservatore, di modelli empirici e di concetti di base (nell'insieme queste strutture cognitive organizzano e filtrano il modo in cui lo scienziato pensa determinate parti del dominio oggettuale, ovvero definisce gli oggetti indagati, li delimita rispetto all'ambiente, li rappresenta a sé e agli altri); il dominio finalistico, nel quale rientrano azioni orientate alla scelta di scopi interni e scopi esterni dell'attività scientifica; e il dominio pragmatico, formato dalle azioni di cui consiste il quotidiano ''fare scienza'' dello specialista: compiere osservazioni e registrare il risultato, scegliere tra modelli e teorie in competizione, dialogare al proposito con i colleghi, scambiare risorse materiali e simboliche con l'ambiente sociale, redigere testi di varia dimensione e livello tecnico.
Gli ''oggetti'' che uno scienziato sceglie per la propria indagine non possono peraltro venir intesi come enti naturali autonomi, che attendono passivamente, in forma immutabile, l'intervento dell'uomo volto a scoprirne le proprietà e le interrelazioni. In qualsiasi momento essi sono già il prodotto d'una duplice storia, pratica e concettuale. Le particelle subatomiche cui un fisico di fine Novecento dedica le proprie ricerche formano un repertorio non soltanto più numeroso, ma anche affatto diverso da quello su cui si affaticava un suo collega degli anni Quaranta. I comportamenti di consumo studiati da un microeconomista contemporaneo non sono gli stessi oggetti studiati da un contemporaneo di Keynes, e non solo perché il consumatore di allora non trovava sul mercato i beni o i servizi di oggi. Ancora, i processi mentali analizzati al presente da uno psicologo non sono i medesimi analizzati da Freud, sia perché i loro contenuti storici e personali sono cambiati, sia perché egli applica loro un quadro di riferimento che è stato mutato dall'opera stessa di Freud, dei suoi successori e dei suoi critici. In tutti i casi, avviene che l'oggetto d'indagine sia stato materialmente trasformato con gli anni da una pratica − l'uso di collisori di particelle in fisica, i processi di grande distribuzione in economia, l'interazione tra sistemi psichici e società sempre più complesse − e al tempo medesimo simbolicamente ridefinito dall'azione indagatrice cui è stato via via sottoposto nello stesso periodo.
Ancorché qualsiasi oggetto immaginabile sia un prodotto doppiamente storico, nel momento contingente in cui viene prescelto come oggetto d'una nuova ricerca esso non potrà non essere rappresentato, nella mente del ricercatore, per mezzo di processi cognitivi di secondo grado: processi che si applicano a oggetti che sono già il prodotto d'una serie precedente di atti cognitivi. Ne sia consapevole o meno, un attore scientifico che avvia una ricerca applica innanzitutto a sé stesso, a priori, un modello dell'osservatore, e all'oggetto assunto per l'indagine una serie di modelli del mondo. I modelli dell'osservatore si possono definire ''contratti cognitivi'' che definiscono le condizioni sotto le quali questi può avere, o no, accesso alla realtà, ivi comprese le condizioni che stabiliscono non esservi alcuna realtà al di fuori dell'atto d'osservazione, come nell'interpretazione cosiddetta ''molti mondi'' del collasso della funzione d'onda nella meccanica quantistica. I principali modelli dell'osservatore variano tra il paradigma realista, che colloca la realtà al di sotto della superficie osservabile, e quello positivista, che non crede esservi alcunché d'interessante al di là delle regolarità discernibili in natura; quindi, tra il modello razionalista, che postula una partecipazione significativa ma limitata della mente alla categorizzazione degli oggetti del mondo, e quello pragmatista (che include a sua volta come varianti quello convenzionalista e quello costruttivista), per il quale non esiste alcun confine tra il soggetto e l'oggetto.
I ''modelli del mondo'' sono rappresentazioni nella mente dell'attore descriventi aspetti fondamentali degli oggetti indagati che egli stesso attribuisce loro. Alcuni descrivono la natura del mondo, ovvero se l'oggetto studiato −sia questo un essere animale o vegetale, un biotopo o l'intero pianeta, una struttura fisica o un processo mentale, un piccolo gruppo o una società − vada concepito come un meccanismo oppure come un organismo, come un sistema o come un processo. Altri modelli del mondo descrivono: il modo in cui l'oggetto ebbe origine (l'attore può credere che esso sia nato da un progetto o da un'evoluzione, da una forma di conflitto o di cooperazione); i tipi di ordine in esso prevalenti (deterministico o probabilistico, autolegale o relazionale); le forze che lo sospingono, oppure gli scopi che lo attirano. Entro queste rappresentazioni generali, della cui onnipresente funzione selettrice e ordinatrice non sempre è consapevole, lo scienziato colloca, quindi, i concetti di base della sua disciplina e, mediante questi, costruisce modelli empiricamente verificabili o falsificabili dei suoi oggetti d'indagine.
Nel dominio finalistico del sistema scienza si addensano le azioni volte a scegliere e perseguire scopi ''interni'' all'attività scientifica, oppure scopi ''esterni'', attinenti alle funzioni che la scienza svolge per la società. Tipici scopi interni della scienza, nella classica formulazione di R.K. Merton (che peraltro non trova concordi altri sociologi della scienza), sono l'universalismo, il comunismo, il disinteresse e il dubbio sistematico. L'universalismo rinvia al dovere di rispettare norme impersonali, valide in ogni circostanza, in tutte le fasi dell'agire scientifico. Il comunismo sta a significare che le scoperte, fatto salvo per lo scopritore il riconoscimento della priorità intellettuale, appartengono alla collettività e possono venire liberamente usate da ogni altro ricercatore. Il termine disinteresse designa in realtà i meccanismi istituzionali mediante i quali il sistema scienza (in concreto la comunità degli scienziati) tiene sistematicamente sotto controllo gli interessi personali dei suoi componenti. Quanto al dubbio sistematico, esso concerne l'impegno di sottoporre qualsiasi credenza al vaglio dell'evidenza empirica e dell'argomentazione razionale prima di accoglierla come forma di conoscenza.
Gli scopi esterni possono avere carattere cognitivo, etico, politico e applicativo. Uno scopo cognitivo volto a fondare e legittimare il significato socialmente attribuito alla scienza è la crescita della conoscenza, che per distinguersi da altre forme di conoscenza dev'essere al tempo stesso interessante, difficile da ottenere e inoltre possedere un elevato potere esplicativo (K. Popper). Gli scopi etici riguardano i possibili usi, a vantaggio o a danno di determinati individui o collettività, delle scoperte scientifiche o di particolari settori di ricerca, come la sperimentazione su esseri umani. Come politici possono definirsi gli scopi proposti o imposti ai ricercatori scientifici dallo stato o da un partito dominante. Gli scopi applicativi riguardano, invece, l'impiego della scienza nelle attività produttive e la sua conversione in tecnologie utilizzabili nei più disparati settori dell'organizzazione sociale.
Entro il dominio pragmatico i principali tipi di agire scientifico comprendono l'esecuzione e l'interpretazione di osservazioni, compiute mediante strumenti tra i quali la s. della s. pone in primo piano il ''corpo'' dell'osservatore. Quindi, in presenza del fatto che le teorie appaiono sempre sottodeterminate dalle osservazioni, nel senso che il medesimo insieme di osservazioni può venire spiegato con pari efficacia da varie teorie differenti − altro enunciato ricorrente, e però problematico, nella recente s. della s. −, troviamo la formulazione di giudizi metaosservazionali intesi ad affermare la superiorità predittiva o esplicativa d'un determinato modello empirico o di una teoria, ovvero a difenderli da critiche, contro esperimenti e nuove scoperte che parrebbero confutarli. V'è poi la costruzione di forme di discorso dirette, mediante l'uso di svariate tecniche argomentative, a comunicare i risultati della ricerca e a persuadere della loro validità sia la comunità scientifica, sia i vari segmenti di pubblico: forme che si concretano, a differenti livelli di strutturazione, in discussioni di gruppo, relazioni, articoli per riviste specializzate, trattati. Fanno ancora parte del dominio pragmatico le azioni orientate a scambiare risorse con l'ambiente sociale del sistema scienza. Da una parte gli scienziati forniscono a esso nuove scoperte, conoscenze, tecnologie, lezioni, consulenze, testi; dall'altra ricevono in cambio status (ovvero, in misura e combinazioni variabili, reddito, prestigio e potere), finanziamenti per i laboratori, strumenti per le ricerche, premi, nomine in accademie scientifiche, la direzione di centri di ricerca privati o statali, talvolta seggi in Parlamento.
Processi sociali entro il sistema scienza. Sue relazioni con gli altri sistemi sociali. - Delimitata come sopra la struttura del sistema scienza, si può meglio precisare l'ambito d'interesse della s. della scienza. Essa mira a spiegare in qual modo strutture, processi e azioni sociali, sia endogeni che esogeni rispetto al sistema scienza, orientano, condizionano, oppure portano a costruire le scelte, le decisioni, le azioni − incluse le azioni specificamente cognitive − che gli scienziati compiono nei vari domini sopra indicati e nei campi e sottocampi in cui si differenziano. Quanto ai fattori endogeni del sistema scienza, particolare importanza viene assegnata ai processi di riproduzione socioculturale delle singole discipline; alla politica della scienza in generale e delle differenti scienze in particolare, volte ad accrescere la propria quota di risorse materiali e umane; alle dinamiche di gruppo dei ricercatori; alla stratificazione sociale degli scienziati, che in tutto il mondo è fortemente piramidale; ai fenomeni di conformità e devianza rispetto alle norme generali o localmente prevalenti; ai meccanismi di valutazione dell'attività dei colleghi. Tutti questi processi sono in parte autonomi, in specie nelle società contemporanee dove il sistema scienza appare fortemente differenziato rispetto a ogni altro sistema e sottosistema sociale, e ha perciò acquisito un notevole grado di autolegalità nei propri comportamenti; in parte s'intrecciano con o sono a loro volta condizionati dai sistemi e sottosistemi sociali che costituiscono l'ambiente del sistema scienza.
In codesto ambiente, pressioni strutturanti e destrutturanti, fattori di sviluppo o di stasi del sistema nel suo insieme, interventi selettivi miranti a privilegiare determinati campi o direttrici di ricerca possono provenire da tutti i sistemi sociali fondamentali, in funzione del loro tipo e grado di sviluppo, della loro reciproca differenziazione, della posizione dominante o subordinata di ciascuno in una data società, dei conflitti in cui si trovano coinvolti. Vi sono però differenze rilevanti nelle funzioni che gli altri sistemi sociali scorgono nella scienza, o meglio in determinate scienze, comprendendo tra di essi anche il sistema socioculturale di cui la scienza fa parte. Per il sistema politico e il sistema economico la scienza delle società moderne, sin dalla sua prima strutturazione nelle comunità italiane di architetti, ingegneri, artisti e dotti del 16° secolo, è stata sempre considerata come un superiore mezzo di adattamento per entrambi i sistemi, uno strumento sommamente efficace per accrescere le loro probabilità di sopravvivenza interne e internazionali. Specialmente significativo al riguardo è il caso della fisica, progenitrice di quasi tutte le tecnologie militari e industriali, dato che nell'accezione classica essa comprende la meccanica, la termodinamica e l'ottica. A cicli alterni e con diversa misura di successo, promuovendo con svariati mezzi lo sviluppo di tale scienza, principi, re e governi da un lato, imprenditori e dirigenti dall'altro, sono riusciti in differenti epoche e paesi (dall'Inghilterra della rivoluzione industriale alla Germania di Bismarck, dagli Stati Uniti a Israele) a consolidare il proprio dominio di élites o di classe; a far prevalere il proprio paese tanto in conflitti militari quanto in competizioni economiche; ad accelerare a dismisura, in una prospettiva comparata, il suo sviluppo economico.
Per contro, il sistema socioculturale e il sistema comunitario hanno percepito per secoli nella scienza un mezzo attuale o potenziale di dis-adattamento, un mezzo che riduceva o rischiava di ridurre, anziché accrescere, la probabilità di sopravvivenza della loro identità e struttura profonda. L'hanno quindi combattuta piuttosto che promuoverla. La Chiesa, per prima, ha scorto per secoli nella scienza, volta a volta, il frutto proibito; un male necessario; una deviazione intollerabile della fede; un corpo di ipotesi da confutare o assoggettare a controllo; una creatura nemica cui contrapporne artificialmente un'altra amica (la cosiddetta ''scienza cattolica''); per aprirsi, infine, solo in epoca recente a varie forme di dialogo (G. Minois).
A sua volta il sistema comunitario ha accolto e criticato la scienza, con le sue filiazioni tecnologiche, soprattutto come un fattore di erosione dei legami sociali primari e delle connesse forme d'identità e solidarietà che si costituiscono su basi familiari, religiose, etniche, politiche, ideologiche e territoriali. Dette comunità e solidarietà sono contraddistinte da relazioni particolaristiche, locali, affettive, diffuse, che pongono in primo piano le qualità individuali. La scienza e le sue ricadute sociali (asserisce la critica comunitaria della scienza) tendono a sopprimere tali relazioni sul piano planetario per sostituirvi relazioni universalistiche, cosmopolitiche, affettivamente neutre, specifiche, che badano anzitutto alla prestazione. Ne seguirebbe la distruzione dell'identità/individualità d'ogni comunità, soppiantate da una società globale resa omogenea dal mercato e dalla tecnologia. Molti movimenti antiscientifici di ieri e di oggi hanno alla radice il risentimento, e la nostalgia, per le tante comunità che sarebbero andate perdute a causa dello sviluppo della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche.
Il condizionamento sociale sull'agire e sulla conoscenza scientifici. -Tale condizionamento (C) può essere sinteticamente valutato, lungo un asse che varia da un minimo (min) a un massimo (max), osservando quali e quanti scienziati, tecnici, ricercatori compiono eventualmente scelte o azioni specifiche, nell'uno o nell'altro dei domini del loro agire scientifico − oggettuale, concettuale, finalistico e pragmatico − per il fatto di essere esposti a determinati processi o situati in determinate strutture sociali. All'estremo ''C min'', il condizionamento appare prossimo a zero, in quanto si ritiene di poter provare che nessun genere di processo o struttura sociale ha influito in alcun modo sulla scelta, da parte d'un attore o d'un gruppo di attori scientifici, d'un componente qualsiasi dei quattro domini del sistema scienza con i quali deve confrontarsi la loro azione. All'estremo ''C max'' si deve, per contro, registrare un condizionamento sociale elevatissimo o totale, perché tutti o quasi i componenti dello spazio d'azione di analoghi attori dimostrano d'essere stati scelti per l'influenza di fattori sociali. A partire dalla metà degli anni Settanta, ovvero da quando si è affermato nella sociologia cognitiva il cosiddetto Programma Forte (manifesto della Scuola di Edimburgo) che tende a esaltare il ruolo del condizionamento sociale sulla scienza, chi è incline a situare l'agire scientifico in prossimità di ''C min'' è detto internista, mentre chi propende a collocarlo nei pressi di ''C max'' è detto esternista (i due predicati, si noti, non hanno niente a che vedere con i suaccennati scopi interni ed esterni della scienza).
Agli occhi dell'internista, le mosse cognitive e pragmatiche di un attore scientifico appaiono determinate esclusivamente dall'esame razionale delle relazioni logico-empiriche che esistono tra teoria e dati. Posti una teoria e un insieme di dati, l'attore perviene necessariamente a un giudizio razionalmente corretto circa il modo e la misura in cui i dati confermano o confutano la teoria. La scienza cambia e progredisce perché nuovi dati osservativi portano a considerare superate le teorie preesistenti, o perché vengono costruite nuove teorie meglio capaci di spiegare i dati disponibili. Questa concezione del progresso scientifico è quella che più a lungo ha tenuto il campo nella filosofia come nella storia della scienza fino alla rottura epistemologica operata dal famoso lavoro di T. Kuhn su La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962).
L'esternista è di tutt'altro parere. In sintesi esso sostiene: a) è affatto evidente che di epoca in epoca, da una società all'altra, la scelta degli oggetti d'indagine, degli scopi che uno scienziato deve perseguire, delle priorità della ricerca, sono determinati da fattori sociali esterni, quali interessi di classe, pressioni politiche, dogmi religiosi, rapporti della scienza con l'industria e le forze armate, modelli e stadi di sviluppo economico, conflitti internazionali; b) anche se è meno evidente, le ricerche compiute dai sociologi cognitivi nel vivo di laboratori, centri, istituti di ricerca mostrano che questi e altri fattori sociali, come relazioni interpersonali e dinamiche di gruppo, condizionano anche la scelta di modelli, teorie e concetti di base, e anzi intervengono nella loro stessa costruzione (perfino i quark, è stato affermato da A. Pickering, sono il prodotto di siffatta costruzione sociale della realtà scientifica); c) se il giudizio degli scienziati fosse guidato esclusivamente da principi razionali, riconducibili in ultimo a un sistema di logica, non si spiegherebbero le veementi divergenze di opinioni che tra loro si osservano; d) se pure la razionalità avesse l'importanza a essa attribuita dagli internisti nel guidare il giudizio scientifico, non v'è dubbio che esistono differenti sistemi e criteri di razionalità, e la scelta dell'uno piuttosto che dell'altro è sempre socialmente condizionata; e) la scienza progredisce non tanto perché nuove ricerche falsificano le teorie precedentemente stabilite, ma perché una nuova generazione di studiosi adotta nuovi paradigmi o modelli del mondo che conferiscono un significato del tutto diverso ai dati osservativi disponibili, o spingono la ricerca su terreni che la generazione precedente, dato il suo particolare orizzonte socioculturale, non era nemmeno in grado d'immaginare.
Considerata la rilevanza del dibattito tra internisti ed esternisti per l'odierna s. della s., occorre precisarne origini e portata. Per intanto l'esternismo è assai meno moderno di quanto talora non traspaia dalla letteratura recente. L'ipotesi dell'origine sociale di concetti che stanno alla base delle conoscenze scientifiche, come quelli di causalità e di forza, venne formulata da E. Durkheim già all'inizio del 20° secolo. Quanto al principio del condizionamento sociale della conoscenza scientifica, dovuto in specie all'influenza degli interessi e dei conflitti di classe, è stato ripetutamente formulato nelle opere di K. Marx e di molti autori marxisti. Al riguardo sono ben noti gli interventi dei delegati sovietici al Congresso internazionale di storia della scienza e della tecnologia tenutosi a Londra nel 1931, tra i quali spicca un saggio di B. Hessen sulle radici sociali ed economiche dei Principia di I. Newton. Grazie al consenso riscosso presso giovani studiosi inglesi dell'epoca, quali J.D. Bernal e J. Needham, essi influenzarono le origini stesse della s. della s. in Europa.
In secondo luogo la divisione internisti/esternisti non contrappone in modo netto filosofi della scienza e scienziati da una parte, storici e sociologi dall'altra, come sulle prime si potrebbe credere. Il primo importante filone della s. della s., quello nato con le ricerche di Merton sugli sviluppi della scienza nell'Inghilterra del 17° secolo, era esso medesimo internista, poiché riteneva che i fattori sociali influissero su organizzazione, tasso di crescita, indirizzi, posizione pubblica, sistemi d'insegnamento e altri aspetti della scienza, ma non avessero alcun peso nel produrre conoscenze scientifiche. Per contro, a volte sono proprio gli scienziati i quali notano come in settori estremamente avanzati, quali la fisica delle alte energie e l'astrofisica, le operazioni sperimentali a un certo punto non sorreggono più l'attività teoretica, di modo che questa deve spingersi per necessità al di là di esse. Tale sorpasso della teoria rispetto all'esperimento apre la porta all'influsso di fattori sociali, culturali e personali che stanno all'esterno della scienza, in questo caso della fisica.
Infine, essere internista non significa per ciò stesso professarsi realista, così come esternista non significa abbracciare senz'altro un relativismo totale. Un internista dichiarato come lo storico L. Laudan, che vede il progresso cognitivo sospinto in prevalenza dalla scelta razionale di teorie più efficienti, s'ispira a un'epistemologia pragmatista più che realista. Sull'altro versante, sebbene sia vero che gli esternisti tendono in genere a sposare qualche forma di relativismo, va ricordato che perfino il loro manifesto più radicale − il citato Programma Forte - include l'asserto che il condizionamento sociale della conoscenza scientifica è capace di spingere gli scienziati tanto verso la verità quanto verso l'errore. Al presente, anzi, i laboratori scientifici sono visti da alcuni sociologi come luoghi in cui varie pratiche sociali si condensano, vengono strumentalizzate a fini epistemici e trasformate in apparati di produzione di conoscenze empiricamente e logicamente consolidate (K. Knorr Cetina).
Su queste basi si può, pertanto, affermare che la s. della s., anziché avversario della filosofia e della storia della scienza, o della scienza stessa, come a volte è stata definita, si presenta oggi come una disciplina che, in una continua interazione con altre, può contribuire a costruire una scienza naturale della scienza.
Bibl.: T. S. Kuhn, The structure of scientific revolutions, Chicago 1962 (trad. it., Torino 1969, 19784); D. Bloor, Knowledge and social imagery, Londra 1976; Sociologia della scienza, a cura di G. Statera, Napoli 1978; La sociologia della scienza in Europa, a cura di R.K. Merton e J. Gaston, Milano 1980; W.L. Bühl, Introduzione alla sociologia della scienza, Napoli 1981; R.K. Merton, La sociologia della scienza, ivi 1981; M. Mulkay, La scienza e la sociologia della conoscenza, Milano 1981; Science in context. Readings in the sociology of science, a cura di B. Barnes e D. Edge, Stony Stratford 1982; A. Pickering, Constructing quarks. A sociological history of particle physics, Chicago 1984; B. Latour, Science in action. How to follow scientists and engineers through society, Cambridge (Mass.) 1987; R.N. Giere, Explaining science. A cognitive approach, Chicago 1988; D.L. Hull, Science as a process. An evolutionary account of the social and conceptual development of science, ivi 1988; H. Zuckerman, The sociology of science, in Handbook of sociology, a cura di N. Smelser, Newbury Park 1988, pp. 511-74 (con bibliografia); Handlexikon zur Wissenschaftstheorie, a cura di H. Seiffert e G. Radnitzky, Monaco 1989; N. Luhmann, Die Wissenschaft der Gesellschaft, Francoforte sul Meno 1990; G. Minois, L'Eglise et la science, 2 voll., Parigi 1990; Companion to the history of modern science, a cura di R.C. Olby, G.N. Cantor, J.R.R. Christie, M.J.S. Hodge, Londra 1990; K. Knorr Cetina, Die Fabrikation von Erkenntnis. Zur Anthropologie der Naturwissenschaft, Francoforte sul Meno 1991; R. Viale, Metodo e società nella scienza, Milano 1991; E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza. Le dimensioni etiche dell'impresa scientifico-tecnologica, ivi 1992; L. Gallino, L'incerta alleanza. Modelli di relazione tra scienze umane e scienze naturali, Torino 1992; Science as practice and culture, a cura di A. Pickering, Chicago 1992; J. Blamont, Le chiffre et le songe. Histoire politique de la découverte, Parigi 1993; L. Gallino, Scienza, Sociologia della, in Id., Dizionario di Sociologia, Torino 19932, pp. 575-89; L. Verlet, La malle de Newton, Parigi 1993.